Indizi d’Arte

Nell’opera d’arte dal 1400 e fino al 1900 gli artisti hanno lasciato indizi, prove tangibili del loro estro e del loro tempo non sempre facili da decifrare. Proviamo a delineare un avventuroso tragitto alla scoperta di segreti, indizi e scoperte di temi che nell’arte ancora oggi possono parlarci e apparire moderni e appassionanti.

Flagellazione di Piero della Francesca

Piero della Francesca. Flagellazione, 1460 ca

In opere celeberrime come La Flagellazione di Piero della Francesca (datato non oltre il 1460) da decenni gli storici ravvisano differenti piani di lettura: da una parte l’ovvio episodio evangelico ma dall’altra gli enigmatici personaggi stimolano a differenti interpretazioni. 

Che cosa nasconde questo dipinto? Quali importanti episodi storici ci vuole raccontare? Esiste un modo per raccontare la storia del passato senza annoiare, anzi appassionando grazie a indizi preziosi collocati qua e là in un dipinto?

Scarpe di imperatori bizantini, turbanti di sultani e gesti delle mani modernissimi  che ancora oggi possono “parlare” ai nostri studenti. La sfida è svelare la modernità assoluta di un piccolo dipinto realizzato nel XV secolo.
Partiamo per questo viaggio con una macchina del tempo che ci porterà addirittura alla corte degli ultimi imperatori bizantini poco prima della caduta provocata dagli ottomani. Questi ultimi venivano da lontano e bramavano conquistare la magnifica Costantinopoli che di lì a poco  sarebbe diventata la capitale sul Bosforo: ponte tra due culture, Istanbul.

La tesi più recente e accreditata vuole identificare nel dipinto una rievocazione storica vicina alla realizzazione dello stesso manufatto e riferita alla presa di Costantinopoli da parte dei Turchi avvenuta nel 1453. La Chiesa tribolata dai turchi sarebbe quindi la sottotraccia significante. Ma quali potrebbero essere gli indizi che accompagnano tale tesi? L’artista ha lasciato dei segni riconoscibili ancora oggi? Potremmo affermare di sì!

Ad esempio il Cristo legato alla colonna e che stoicamente accetta la Flagellazione è sormontato da una statua che sorregge un globo simile a quella che in età costantiniana era stata posta nella rinata città secoli addietro proprio per volontà dell’imperatore Costantino. La figura imperiale seduta alla destra del Cristo potrebbe essere interpretata come Giovanni VIII Paleologo, erede ultimo della gloriosa dinastia imperiale d’Oriente. Purtroppo il suo regno si era ridotto a un territorio limitato alla sola Costantinopoli ( ai cinque fratelli infatti era destinato il controllo degli altri domini imperiali). Riuscì comunque fino alla fine dei suoi giorni (morì nel 1448) a mantenere Costantinopoli sotto il suo controllo e partecipò al Concilio di Ferrara del 1438 e poi di Firenze del 1439. Assieme a Papa Eugenio IV, predicò l’unione tra la chiesa greca e quella romana. Tale auspicio doveva precedere gli invii militari occidentali a Costantinopoli contro i turchi. Di ritorno in patria trovò le gerarchie ecclesiastiche locali e la popolazione violentemente in disaccordo con queste scelte: “meglio sotto i turchi che sotto Roma” era il grido che si levava nella città. Subì un tentativo di detronizzazione da parte dei famigliari e alla fine preferì firmare un patto di non belligeranza e pace con i turchi. Una figura emblematica quella dell’imperatore che Piero della Francesca probabilmente suggerisce anche attraverso accessori come i purpurei calzari imperiali, che solo gli imperatori bizantini potevano portare! Proseguendo nella nostra “investigazione dell’arte” possiamo riscontrare che la figura del Pilato/ Paleologo è in silenzioso dialogo e contrasto con i flagellatori che circondano il Cristo. L’elmo del flagellatore di destra pare un tipico accessorio militare turco così come la figura di spalle indossa sul capo un inequivocabile turbante (quest’ultimo personaggio potrebbe addirittura interpretare il ruolo di Maometto II, il sultano che voleva insediarsi sul trono di Costantinopoli). Anche i rozzi piedi nudi degli astanti sembrano contrastare con l’elegante purpureo dei calzari imperiali! Chi accompagnò l’imperatore nella disperata missione diplomatica di Ferrara e Firenze? Tra gli altri un celebre  cardinale: Il  Bessarione, ossia il delegato bizantino che molto si adoperò durante il Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-39, nella speranza di ottenere l’aiuto occidentale contro gli Ottomani e di scongiurare la caduta di Costantinopoli. Il cardinale potrebbe quindi essere l’elegante personaggio posto a sinistra del gruppo “dialogante“ a destra della scena: una mano che sembra precedere il gesto dell’allocuzione e l’altra a tenersi la toga. Seguendo questa affascinante presentazione dei personaggi potremmo riconoscere nella figura al centro del medesimo gruppo  Tommaso Paleologo, pretendente senza speranza al trono di Bisanzio (e difatti anch’egli è scalzo); infine, Niccolò III d’Este, il quale ospitò parte del Concilio a Ferrara. L’opera d’arte può quindi ancora parlare e dialogare con noi contemporanei e nell’abilità del pittore di Borgo San Sepolcro possiamo ravvisare un’astuzia narrativa e una serie di rimandi mediatici, politici e religiosi da far riconoscere ai nostri discenti. 

L’opera d’arte scomparsa, rubata e alla fine ritrovata.
Il caso Klimt

Klimt, Ritratto di signora, 1917 (a sx opera più recente, a sx e al centro radiografia e opera al di sotto datata 1912)

Quanto il racconto di storia dell’arte e di lettura dell’immagine può essere avvincente e contemporaneo? Tantissimo soprattutto se si scovano casi unici degni di una fiction. E’ il caso di Klimt e del ritratto di signora datato 1917. Pochi mesi prima della sua  morte il grande artista viennese dipinge questa dolce ragazza dalle gote esasperatamente rosse e dalla bocca schiusa. Dal 1925 è proprietà di Giuseppe Ricci Oddi. Il filantropo piacentino è conscio del fatto che sole altre due opere del grande maestro della Vienna Felix sono presenti in Italia ( la Giuditta della Ca’ Pesaro di Venezia e Le tre età della donna della Galleria d’arte moderna di Roma). L’opera, poi entrata nella Galleria Ricci Oddi,  descrive una fanciulla soave e assieme tormentata, dallo sguardo dolce e dall’abito di gusto lievemente orientale. Tale stile d’abbigliamento era influenzato dalla “maison” di Emilie Floge, stilista affermata, musa e compagna di Klimt. Fino a qui però il nostro racconto non delinea nessun mistero degno di una fiction! Ma adesso arriva il coup de théâtre. Una studentessa liceale, Claudia Maga, nel 1996 prepara la sua tesina di maturità e mentre studia i dipinti della Galleria fondata da Ricci Oddi si ricorda di aver visto in una pubblicazione dedicata a Klimt un dipinto definito “scomparso” del 1912 incredibilmente simile a quello di Piacenza. Si rivolge subito ai responsabili del museo e grazie a delle radiografie si scopre che sotto il dipinto del 1917 ve ne è un altro o meglio il secondo strato pittorico copre in parte accessori indossati dalla fanciulla nella prima stesura. Tra gli elementi più incredibili si scopre che in origine la modella indossava un largo cappello poi cancellato nel dipinto  finale. L’opera “scomparsa” di Klimt è stata dunque ritrovata. Era stata sempre sotto il naso di tutti ma nascosta dalla versione finale elaborata dall’artista. Ma le emozioni non finiscono qui. Nel 1997 viene organizzata una mostra e il dipinto viennese sarebbe dovuto essere la “star “ della mostra. Proprio durante questa fase di allestimento il capolavoro di Klimt viene rubato! Non si riesce a scoprire né il mandante del furto né il ladro. Ventitrè anni dopo il dipinto ricompare nel vano esterno di un muro del museo, nascosto da rampicanti. Un dipinto in una busta di plastica viene aperto sotto gli occhi dei responsabili della Galleria Ricci Oddi. E’ il dipinto klimtiano; non aveva mai lasciato il museo. Una storia incredibile che per fortuna finisce bene anche se lascia misteri e perplessità: chi ha rubato l’opera ? E chi lo ha lasciato in una nicchia del museo stesso? Cosa può essere successo tra il momento del furto e il tentativo di portar fuori l’opera?

Ecco quindi un altro quesito dell’arte svelato.

Per approfondire

Una storia per immagini 

Le immagini costituiscono un formidabile strumento nelle mani dell’insegnante di storia. Esse infatti possono rivelarsi molto utili per favorire l’apprendimento della disciplina da parte di studentesse e studenti. 

Un’immagine opportunamente scelta e analizzata può fornire una “chiave d’accesso” a un determinato argomento o periodo storico, e al tempo stesso può facilitare la comprensione e la memorizzazione di concetti ed eventi.

OCCASIONI CONCRETE PER COINVOLGERE E AIUTARE NELLO STUDIO

Alcune immagini del passato, innanzitutto, hanno un indiscutibile impatto emotivo nei confronti di chi le guarda: attraggono l’attenzione, generano curiosità, “avvicinano” la storia a chi le fruisce. Prima ancora delle parole – o meglio, insieme alle parole che le veicolano – esse possono coinvolgere ragazze e ragazzi.

Alcune immagini assumono poi anche un altro valore, che potremmo definire “icastico”: esse sono cioè in grado di raffigurare in modo efficace e immediato uno snodo storico, oppure il modo di vivere di una certa epoca, o ancora un’idea, un personaggio o un episodio che hanno contribuito ad imprimere un certo corso agli eventi. In questo caso esse permettono di capire e fissare i concetti in maniera più immediata, rivelandosi un valido supporto allo studio.

Non bisogna naturalmente tralasciare il fatto che le immagini che provengono dal passato sono prima di tutto fonti: come tali – una volta collocate nel contesto storico e culturale in cui sono state prodotte – si prestano ad essere comprese e studiate, e possono rivelarsi utilissime per svolgere attività didattiche in classe.

SU QUALI IMMAGINI LAVORARE?

Non tutte le immagini “storiche” di cui disponiamo (e che in molti casi ci sono state volutamente tramandate) si prestano necessariamente al nostro scopo.

Per assolvere ai compiti a cui abbiamo accennato, dovrebbero rispondere ad alcuni requisiti fondamentali: avere un valore significativo per l’epoca o per i concetti che vogliamo trasmettere, essere di facile leggibilità, saper incuriosire o colpire chi le guarda, prestarsi ad essere spiegate e interpretate anche su più piani.

Possono essere miniature medievali così come dipinti dell’Ottocento o fotografie del Novecento, solo per citare dei casi ricorrenti. Vediamo alcuni esempi.

1. UN CODICE MINIATO

Un codice miniato databile a cavallo tra VIII e IX secolo e conservato a Salisburgo ci mostra il calendario – mese per mese – delle attività che si svolgevano nei campi durante l’Alto Medioevo. Dalla semina in gennaio, alla mietitura in agosto… e via dicendo. Esso rappresenta il più antico
calendario agricolo fino ad ora ritrovato.

L’immagine ci permette di comprendere come la vita dei contadini in questa epoca lontana fosse strettamente condizionata da ciò che la natura poteva offrire nei diversi periodi dell’anno. Non sarà difficile per studentesse e studenti farsi un’idea della vita nelle campagne nell’Alto Medioevo, che ruotava attorno a un’agricoltura basata su metodi antiquati (si noti per esempio l’aratro) e di conseguenza assai poco redditizia.

2. UN DIPINTO

Il dipinto di Jacques-Louis David che raffigura Napoleone Bonaparte mentre valica il Gran San Bernardo (databile tra il 1800 e il 1803) è evidentemente un’immagine encomiastica, con uno scopo propagandistico. Esso è un tipico documento che – parafrasando Jacques Le Goff – è stato lasciato per “imporre consapevolmente una data immagine”, quella dell’allora primo console Bonaparte.Esso è infatti la celebrazione dell’audacia di Napoleone, capace di sfidare un valico alpino a quasi 2500 metri di quota (e, nonostante ciò, perfettamente in posa, su un cavallo rampante, dipinto secondo i canoni del ritratto equestre di antica tradizione). L’immagine ci permette di introdurre il tema della gestione del consenso nella Francia post-rivoluzionaria da parte di Napoleone.

3. UNA FOTOGRAFIA

Una fotografia risalente al 1900, in seguito colorata, raffigura il Palazzo dell’elettricità all’Esposizione universale di Parigi del medesimo anno. In questo caso l’immagine esercita un forte impatto emotivo: essa offre infatti la possibilità di calarsi nei panni di quei visitatori borghesi che visitando uno dei prodigi della Belle époque. Gli abiti ricercati di uomini e donne, le fontane zampillanti, i bagliori delle luci (prodigio dell’elettricità) sono elementi che restano impressi. E che simboleggiano un’epoca, i suoi progressi, le sue speranze.

UN APPROCCIO ADATTO A DIVERSI STILI DI APPRENDIMENTO

Un insegnamento della storia, evidentemente, non può prescindere dal testo scritto, ossia dal profilo storico che si trova nei manuali. Tuttavia l’elemento visuale e quello verbale si possono intrecciare, dando vita a un doppio binario per l’apprendimento.

Spesso nei manuali scolastici di storia le immagini rischiano spesso di assumere un valore esornativo. È vero, ci sono le didascalie che le accompagnano e che ne rendono ragione, ma è anche vero che in molti casi studentesse e studenti tendono a dare loro una rapida e fuggevole occhiata, se non proprio ad ignorarle.

Appare tuttavia possibile intrecciare e collegare in modo efficace testo scritto e immagini, elemento visuale ed elemento verbale. In questo modo, le immagini cessano di essere elementi marginali, e diventano punti di riferimento a cui ancorare saldamente le conoscenze.  Per i motivi sopra illustrati, ciò può favorire l’approccio alla disciplina storica e può anche soddisfare i diversi stili di apprendimento di allieve ed allievi, in una modalità decisamente inclusiva.

PER APPROFONDIRE

Per chi volesse approfondire il tema del “funzionamento” delle immagini e di come sono state e vengono tuttora progettate e costruite, suggeriamo il testo di Riccardo Falcinelli: Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram, pubblicato da Einaudi, Torino, nel 2020.

Sul tema dell’uso di determinate immagini che nel corso della storia è stato fatto soprattutto dai detentori del potere, suggeriamo il recente testo di Germano Maifreda: Immagini contese, pubblicato da Feltrinelli, Milano, nel gennaio 2022.

La legge di bilancio 2022

Febbraio 2022

Nell’articolo La legge di bilancio 2022 l’autore, Paolo Balduzzi, presenta in maniera puntuale ed esaustiva i provvedimenti più importanti contenuti nella legge di bilancio del 2022, fortemente condizionata dalla crisi economica e sanitaria causata dal Covid-19 e dalla spinta messa in atto per la ripresa.

Dopo aver inquadrato la legge nel più ampio contesto delle regole europee cui aderisce il nostro Paese, l’autore ne passa in rassegna i contenuti principali, soffermandosi in particolare su sulle misure a sostegno di lavoro, previdenza e reddito, senza dimenticare aspetti più specifici come l’impatto sul mondo dell’istruzione e della ricerca.

Al termine dell’articolo è presente un’attività per la classe, un debate per riflettere sulla Legge di bilancio 2022.

Per approfondire

Le frontiere della computazione II – I computer quantistici

Cara lettrice, caro lettore,
nell’articolo di gennaio abbiamo parlato di uno dei limiti delle macchine di Turing: attualmente, ci sono problemi la cui risoluzione richiede un numero di operazioni che cresce in modo più che polinomiale rispetto alla lunghezza dell’input. Alcuni di questi problemi, però, si possono risolvere rapidamente utilizzando tecniche di computazione alternative alle macchine di Turing. In questo articolo parleremo di una di esse: il quantum computing.

Un salto di paradigma

Le macchine di Turing e tutti i modelli di calcolo equivalenti si basano su una concezione dei bit legata alla fisica classica: a prescindere da come siano fisicamente realizzati all’interno di un computer, i bit possono assumere solo due valori: 0 o 1. La fisica classica non è però l’unico paradigma che conosciamo: per descrivere dei fenomeni che avvengono a livello atomico e subatomico, la fisica quantistica fornisce dei modelli più accurati.
La descrizione quantistica dello spin di una particella, per esempio, è un’alternativa al bit classico. Infatti lo spin può assumere i due valori su (indicato anche con $|1\rangle$) e giù (indicato anche con $|0\rangle$), ma anche tutte le combinazioni $a|1\rangle + b|0\rangle$ al variare dei numeri reali $a$ e $b$ che verificano $a^2+b^2=1$. Questa proprietà è nota come principio di sovrapposizione. I valori $a^2$ e $b^2$ indicano la percentuale di ciascuno stato. Quindi, per esempio, una particella che si trova nello stato $\frac{1}{\sqrt3}|1\rangle + \sqrt{\frac{2}{3}}|0\rangle$ si trova per $\frac{1}{3}$ nello stato su e per $\frac{2}{3}$ nello stato giù.

I bit quantistici

Un qubit, ovvero un bit quantistico, è l’unità elementare di informazione codificata dallo spin di una particella. Di conseguenza, un qubit si può trovare in uno degli stati puri $|0\rangle$ o $|1\rangle$ o in uno stato del tipo $a|1\rangle + b|0\rangle$. Utilizzando i qubit al posto dei bit è possibile progettare algoritmi che permettono una certa misura di calcolo non deterministico, cioè che permette di eseguire più operazioni in contemporanea.

I bit quantistici e le misure

Alla fine di una computazione quantistica, per vedere quale risutato è codificato in un qubit dobbiamo effettuare una misurazione. Però il risultato di una misura è un bit classico che non può presentare una sovrapposizione di stati. Di conseguenza, nel momento in cui misureremo il valore di un qubit, esso assumerà solo uno dei due valori $|1\rangle$ o $|0\rangle$. Questo però non è un ostacolo per lo sviluppo degli algoritmi quantistici. Anzi, permette di sfruttare altre proprietà della fisica quantistica, come l’entanglement.

L’entanglement

L’entanglement quantistico è un altro fenomeno presente a livello microscopico ma non in quello macroscopico. Secondo questo principio, esistono sistemi il cui stato non è descrivibile singolarmente, ma solo come sovrapposizione di più stati. Un esempio di stato entangled a due qubit è $\frac{|11\rangle + |00\rangle}{\sqrt2}$.
Una delle conseguenze dell’entanglement è che, osservando una delle componenti di questo sistema, per esempio quella $|11\rangle$, l’intero stato viene determinato. In altre parole, allo stesso tempo in cui una componente è misurata, viene determinato anche il valore di tutte le altre.

Supremazia quantistica

I bit quantistici e l’entanglement permettono di svolgere compiti impossibili per i computer classici, come il trasporto istantaneo di informazioni a grandi distanze (il cosiddetto teletrasporto quantistico). Inoltre consentono di sviluppare algoritmi alternativi a quelli classici per la risoluzione di problemi che con i computer tradizionali richiedono tempi di calcolo immensi. Un esempio è l’algoritmo di fattorizzazione Shor, pubblicato nel 1994, che permette la risoluzione di un problema classicamente difficile in un tempo polinomiale su un computer quantistico. Un algoritmo simile è stato implementato nell’ottobre 2020 dal team di AI Quantum: il computer quantistico realizzato dal team di Google ha eseguito in soli 200 secondi un calcolo che, eseguito su un supercomputer tradizionale, avrebbe richiesto circa diecimila anni.

Applicazioni e limiti dei computer quantistici

Nonostante i recenti successi dei computer quantistici, non dobbiamo aspettarci di poterli acquistare presto come dei comuni personal computer. I computer quantistici, infatti, devono realizzare al loro interno condizioni fisiche molto particolari necessarie per creare i qubit. Inoltre, i calcoli sui computer quantistici non sono più veloci di quelli sui tradizionali chip classici. Di conseguenza, per tutti i problemi già risolubili velocemente, cioè con algoritmi polinomiali, i computer tradizionali rimangono imbattuti. Invece, si ipotizza che i computer quantistici verranno utilizzati solo su richiesta per applicazioni molto specifiche, per esempio quelle legate alla sicurezza informatica.
Nonostante i computer quantistici siano ancora in fase di sviluppo, possiamo già simulare l’esecuzione di algoritmi su un computer quantistico per esempio utilizzando il linguaggio Q#, un’estensione di C# per il quantum computing.

Riferimenti

Un lapbook per la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Il bullo, la vittima e gli spettatori: come spezzare il circolo vizioso.

 

Di bullismo si parla spesso, concentrando l’attenzione soprattutto sul protagonista dell’azione negativa: il bullo. Si parla molto anche della vittima e di come questa deve reagire agli atti di bullismo. Si parla molto meno, invece, degli spettatori degli atti di bullismo: quei compagni che nel silenzio e nell’omertà diventano a loro volta complici del bullo, il quale si sente supportato e legittimato nelle sue azioni.

Occorre quindi educare fin da piccoli le bambine e i bambini a una corretta lettura di una scena di bullismo. Come se si trattasse di un testo di narrativa dobbiamo insegnare loro a farne l’analisi, individuando i protagonisti, i coprotagonisti e gli antagonisti, le azioni positive e negative, le sequenze della storia, il climax, l’intervento dell’aiutante, la risoluzione del conflitto e la morale della storia. Chi è l’eroe della storia? Chi è l’aiutante magico? La risposta a queste domande è: “Tutte le persone che si battono per aiutare la vittima”.

A supporto di quanto precedentemente spiegato abbiamo scelto la storia “Il bullo citrullo” di Alberto Pellai, una storia ispirata all’omonima canzone dello Zecchino d’Oro di cui Pellai è coautore del testo.

Questa storia e narrata appunto da uno spettatore: un bambino della classe che osserva quanto succede tra il bullo e la vittima. Questo bambino prova un’emozione forte: la rabbia per le ingiustizie (abbiamo molto apprezzato l’uso positivo di questa emozione spesso dipinta esclusivamente come negativa). Sarà questa rabbia e la voglia di fare qualcosa a mettere in moto la risposta positiva del bambino che si coalizzerà con gli altri compagni di classe perché l’unione fa la forza! Partendo da questa storia, nell’attività di questo mese, proponiamo la creazione di un lapbook per raccogliere le informazioni nate dalla riflessione sui tipi di bullismo, il profilo degli attori della scena di bullismo e le possibili azioni che possono essere messe in atto nel caso si sia vittima o spettatori di un atto di bullismo.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura e interpretazione della storia;
  • seconda parte: presentazione del lapbook;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il lapbook.

Video

MATERIALI AGGIUNTIVI

LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

God Save The Queen

On the 6th of February 1952 King George VI died and Elizabeth became the new Queen.  The headline of this newspaper mentions the ancient phrase that seems contraddictory but shows how monarchy never interrupts. Firstly used in France, the phrase highlights the fact that the throne is never empty. Elizabeth was in Africa, on a trip to Kenya with Prince Philip when she received the message of her father’s death. Jim Corbett, a British hunter who was with the Royal couple wrote the sentence that has become one of the most popular of that day “For the first time in the history of the world, a young girl climbed into a tree one day a Princess and after having what she described as her most thrilling experience she climbed down from the tree next day a Queen.”. 

Queen Elizabeth had the first broadcast Coronation Cerimony in history on the 2nd June 1953. 

The Coronation brought the nation together, as 10.4 million people watched in the homes of friends and neighbours, and 1.5 million watched in public places like pubs and cinemas. The BBC coverage of the event included cameras installed inside Westminster Abbey for the first time, to show the Coronation Service. The Queen gave her permission for this departure, against official advice – revealing the monarchy’s willingness to move with the times. Television commentary in the Abbey was provided by Richard Dimbleby, with 7 other commentators including Bernard Braden and Brian Johnston providing coverage along the processional route.

The BBC’s Coronation coverage was broadcast around the world. In the United States 85 million people watched recordings of the highlights, while in Germany all 11 hours of coverage were transmitted. Reaction to the broadcasts was overwhelmingly positive. With competition from ITV only 3 years away, the BBC established an early lead as the trusted and reliable broadcaster of national events.

TEACHING IDEAS:

In her 70 years of reign Queen Elizabeth has experienced a variety of historical events.

TEACHING IDEAS:

And now, being the first Queen to clebrate the 70th anniversary, a huge amount of events have been organized for her including a specific prayer published by the Church of England to be used thoughout the year.

Almighty God, the fountain of all goodness,
bless our Sovereign Lady, Queen Elizabeth,
and all who are in authority under her;
that they may order all things
      in wisdom and equity, righteousness and peace,
to the honour and glory of your name
and the good of your Church and people;
through Jesus Christ your Son our Lord,
who is alive and reigns with you,
in the unity of the Holy Spirit,
one God, now and for ever.
Amen.

TEACHING IDEAS:

One more year and she will be the longest reigning monarch not only of the UK but in the history of our world. “God save the Queen”. 

Il bullismo si combatte con la consapevolezza emotiva

I dati ci dicono che il bullismo e la sua derivazione digitale, il cosiddetto cyberbullismo, sono fenomeni in costante crescita e per questo si stanno sperimentando sia azioni di formazione degli insegnanti (la piattaforma ELISA) sia strumenti di intervento educativo (per esempio il progetto “Generazioni connesse”).

Quello che spesso  non emerge, però, è che per intervenire sul bullismo bisognerebbe non partire dal bullismo. 

Per gli insegnanti della scuola primaria, in particolare, fare prevenzione sul bullismo vuol dire prima di tutto partire dal presupposto che è possibile insegnare al bambino e alla bambina come affrontare in modo costruttivo le difficoltà incontrate ogni giorno. Si tratta di affrontare, in sostanza, il tema dell’educazione affettiva, ovvero quel processo di apprendimento che porta all’autoregolazione delle proprie emozioni e che è la matrice dell’acquisizione della sicurezza di base.

Non si tratta di “modellare” un comportamento, né tantomeno spersonalizzare le emozioni secondo un modello adulto. Si tratta, piuttosto, di far riconoscere ai bambini e alle bambine il fatto che “intelletto ed emozioni non sono aspetti del funzionamento umano completamente separati, ma il pensiero può influenzare le reazioni emotive” (Mario Di Pietro, L’educazione razionale-emotiva, Erickson 1992).

Alla base di questa idea ci sono gli studi dell’americano Albert Ellis, l’ideatore di una teoria denominata Terapia Razionale Emotiva. Teoria  che parte dall’assunto che le nostre emozioni derivino non tanto da ciò che ci accade, ma dal modo in cui interpretiamo e valutiamo ciò che ci accade. Il pensiero e l’autovalutazione personale, quindi, danno senso a quanto ci succede attorno e quindi determinano una risposta più o meno adeguata.

Un bambino o una bambina che non si sente ascoltato/a in modo adeguato dai compagni e dalle compagne, per esempio, potrebbe costruire una teoria disfunzionale intorno al comportamento del gruppo e quindi pensare che “gli altri ce l’hanno con lui, o con lei” e che la situazione è talmente insopportabile da scatenare una reazione furiosa.

Come se ne esce? Parlare semplicemente di bullismo probabilmente non risolve il problema perché colloca i comportamenti disfunzionali in una sorta di “zona di devianza” che colpirebbe solo alcuni soggetti e non altri. E’ invece possibile affrontare in classe l’argomento dell’educazione affettiva con buoni risultati proponendo attività collegate al riconoscimento delle emozioni, al riconoscimento della loro intensità e anche alla gestione delle situazioni più frustranti in una sorta di Educazione Razionale Emotiva.

I bambini e le bambine più consapevoli delle proprie emozioni crescono in modo più sicuro e sono consapevoli di quanto avviene intorno.

È proprio la sicurezza, e non la paura del pericolo nascosto dietro i compagni e le compagne di classe, il fattore di maggior protezione per i bambini e le bambine.

Arlecchino, una lezione sul valore della collaborazione

  • Destinatari > L’attività può essere presentata a tutti gli alunni della scuola primaria. Sarà cura dell’insegnante stabilire in che misura sarà opportuno guidare la riflessione dei propri alunni e quanta autonomia accordare loro nella lettura della storia.
  • Discipline coinvolte > Italiano, arte ed educazione civica

In occasione del Carnevale, oltre a tanto colore, potremmo portare in classe qualche spunto di riflessione. Lo stimolo per intessere un dialogo attorno al tema della “collaborazione”, ce lo può offrire la vicenda di Arlecchino, un bambino così povero da non potersi permettere nemmeno un costume per travestirsi in occasione del Carnevale. In suo soccorso, però, intervengono i compagni di classe, che gli donano un pezzo di stoffa ciascuno. La mamma cuce per una notte intera unendo tra loro gli scampoli colorati e – al suo risveglio – Arlecchino trova un vestito coloratissimo e super originale.

Di seguito vi lascio la storia da scaricare, con le relative domande di comprensione.

Dopo la lettura e il commento del brano, è interessante focalizzare l’attenzione dei nostri bambini e delle nostre bambine sul fatto che, senza l’iniziativa e il contributo del gruppo dei suoi amichetti, Arlecchino non avrebbe mai potuto avere un vestito per la festa di Carnevale indetta a scuola.

Si raccolgono le considerazioni dei bambini, successivamente potrebbe essere interessante sperimentare la bellezza e l’importanza del collaborare, colorando insieme l’abito di questo meraviglioso personaggio.

Ognuno si dedica ad un pezzetto e lo colora personalizzandolo: solo grazie all’impegno di tutti Arlecchino diventerà un capolavoro!

File da stampare e ingrandire, affinché i bambini possano colorarne un pezzo. ciascuno.

L’autrice 

Gloria Ragni

Insegnante di scuola primaria, promotrice del fare per apprendere e sostenitrice dell’utilizzo integrato del digitale nella didattica.  Ha un blog didattico https://maestraglo.altervista.org e condivide su Instagram le sue avventure da maestra (la trovate come @maestraglo). 

Perché studiamo la storia dell’arte

È una domanda che sorge spontanea non solo in ogni studente che apra per la prima volta un manuale di storia dell’arte, ma in ogni persona che si trovi davanti a un libro che intenda raccontare i caratteri e le vicende delle diverse culture artistiche che hanno accompagnato la storia dell’umanità. 

L’espressione artistica, ciò che genericamente chiamiamo “Arte”, è il risultato di un insieme di fattori, ricordi, esperienze individuali, sentimenti collettivi, credenze mitologiche o religiose, aspettative, idee, intuizioni, che dalla mente, in cui prende una prima forma, attraverso una serie di mediazioni linguistiche, espressive, stilistiche si trasferisce, impiegando i materiali più diversi e le più diverse tecniche, in un oggetto che rappresenta la forma visibile dell’idea iniziale. 

Un disegno, un dipinto, una fotografia, un’architettura, un graffito, una scultura, un vaso, un gioiello, un tappeto, insomma un’immagine, una volta terminata l’attività creativa dell’artista, entra a far parte del nostro quotidiano e trasmette da individuo a individuo, da società a società, quell’insieme di valori, di invenzioni e di idee che sono, appunto, le civiltà. Poiché queste immagini, queste forme, hanno un aspetto, una struttura, una modalità che parlano anche alla nostra sensibilità estetica esse spesso diventano nel sentire comune “Arte”, così come sono percepiti anche una poesia, un testo letterario, un film, un’opera teatrale, una canzone, un concerto, un video, una danza.

La storia dell’arte si occupa di manufatti, dall’architettura agli oggetti, che hanno caratterizzato e accompagnato le diverse civiltà, ma non si tratta solamente di testimonianze che vengono incasellate in uno schema cronologico poiché, se è vero che il percorso storico è fondamentale per comprendere le diverse dinamiche creative e gli interscambi culturali, è pur vero che le espressioni artistiche sono un bacino infinito di idee, di formule e di modelli, e gli artisti, ovvero gli individui che per talento, capacità, invenzione creano sempre nuove formulazioni visive, continuano, attraverso il tempo, a guardare al passato per creare il futuro, talvolta lo accolgono, modificandolo, talvolta lo imitano, talvolta lo rifiutano, proponendo alternative, ma il mondo delle immagini e delle forme è sempre vitale, presente, utile per comprendere i nostri percorsi e soprattutto la realtà contemporanea.

I manufatti delle civiltà umane, dalle architetture alle opere d’arte, hanno significati e ragioni propri, così come hanno proprie ragioni storiche, ed è per questo che si studia la storia dell’arte, ma ogni epoca, ogni civiltà guarda al patrimonio del passato con i propri occhi e con la propria cultura. In altre parole ogni opera d’arte è, contemporaneamente, una testimonianza storico-culturale inserita nel tempo e nella storia e un oggetto che si rinnova con significati e valori diversi ogni volta che lo si guarda. 

Viviamo circondati da immagini, dai video ai film, dalla pubblicità al web, impariamo, dunque, a guardarle con interesse, a capirne l’origine, il senso, la funzione, capire da dove vengono le forme, i modelli e quali possono essere i significati che vi possiamo scoprire: fare questo percorso significa avere le chiavi per decifrare linguaggi sconosciuti, aprire orizzonti nuovi, comprendere i modi in cui l’essere umano nel corso della storia ha cercato di rispondere ai sentimenti e alle paure primordiali, come ha cercato di raccontarsi e di trovare un modo per eternare, al di là della vita individuale, la propria visione del mondo.

Per approfondire

Il Prof. Valerio Terraroli, autore della nuova Storia dell’arte di Sansoni per la scuola, Con gli occhi dell’arte, ha tenuto su questo tema una lezione, che puoi rivedere qui.