Roma, 1922: fu vera marcia?

Nel centenario del 1922, è verosimile che si torni a parlare della marcia dei fascisti sulla capitale, avvenuta alla fine di ottobre di quell’anno. La bibliografia sul tema è vastissima, tanto sul versante della memorialistica, quanto sul quello della storiografia. 

Partiamo dai fatti

Forte del successo ottenuto nelle piazze e abbandonato qualsiasi accenno di residuale repubblicanesimo (così da garantirsi il favore della monarchia), nell’autunno del 1922 Mussolini era pronto a sferrare il colpo finale e ad assumere la guida del governo.

Tra il 27 e il 28 ottobre 1922, alcune decine di migliaia di camicie nere (all’inizio 15-16.000, poi dalla serata del 28 oltre 20.000, quindi il 30-31 a Roma verosimilmente fino a 50.000) puntarono sulla capitale, con l’obiettivo di far capitolare la classe dirigente. Nella fase finale esse erano  guidate dai “quadrumviri” Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono, Michele Bianchi, uomini di fiducia di Mussolini.

Doveva essere la marcia su Roma, atto di forza volto a spingere il sovrano alla decisione finale di conferire il potere a Mussolini. 

Il disfacimento del quadro istituzionale

L’atteggiamento dei liberali in quel frangente testimonia l’ormai avvenuto disfacimento del quadro istituzionale e l’inconsistenza dei partiti, tentati ora dall’accordo, ora dalla presa di distanze. Inutilmente Facta, dopo molte trattative sottobanco con i fascisti, si risolse a proporre al sovrano la proclamazione dello stato d’assedio nella prima mattina del 28, diffondendone preventivamente notizia ai prefetti; Vittorio Emanuele III, pur disponendo di 28.000 soldati nella capitale, scelse invece di non reagire, rifiutandosi di firmare il decreto, che quindi fu revocato prima ancora di essere proclamato ufficialmente nella tarda mattinata, sempre del 28

Facta si dimise e il sistema liberale subì il colpo di grazia. Mussolini, che attendeva prudentemente a Milano, dopo aver rifiutato una soluzione di estremo compromesso sul nome di Salandra, giunse a Roma verso le 11 del 30 ottobre per salire al Quirinale in camicia nera e ricevere dal re l’incarico di formare il nuovo governo.

Piano militare e piano politico

Sotto il profilo militare, la consistenza effettiva delle camicie nere in attesa sotto la pioggia scrosciante in più punti non lontano da Roma, prima della revoca dello stato d’assedio, fu modesta: la mobilitazione era avvenuta a macchia di leopardo e le forze raccolte sarebbero state facilmente disperse dalle truppe regolari. 

Sotto il profilo politico, invece, la pressione psicologica esercitata dai fascisti sulla corte e sul ceto dirigente liberale ebbe successo, perché indusse il re e una parte considerevole dell’élite a ritenere la nomina di Mussolini inevitabile per non scatenare una presunta, imminente guerra civile. L’ambiguità e l’attendismo di molti prefetti fra il 27 e il 28 sono da attribuire anche alla sensazione che con Mussolini si stesse trattando e che il leader del Pnf avrebbe potuto, da ministro o da presidente del Consiglio, influire sulle loro carriere. 

La costruzione di un mito politico

Infine, dal primo pomeriggio del 30 ottobre, dopo che, ricevuto l’incarico, Mussolini ebbe annunciato che le camicie nere avrebbero sfilato il giorno successivo fino all’Altare della Patria per poi rendere omaggio al sovrano e quindi sciogliersi, la marcia effettiva si trasformò in una sfilata a supporto del giovane capo del governo jn pectore, tollerata dalle autorità: arrivarono treni dal sud e dal nord e il numero dei fascisti crebbe prodigiosamente. Per i partecipanti i rischi, a quel punto, erano assai modesti, anche se incidenti, talvolta mortali, continuarono a verificarsi fino ai primi di novembre, a Roma in altri centri del Paese.

Il regime non fece poi gran differenza fra chi aveva condiviso la veglia in armi nella notte del 27, in attesa di uno scontro a fuoco dall’esito incerto, e chi solo la festa romana della sera del 30 o del 31: tutti furono considerati appartenenti alle camicie nere in marcia. D’altronde, così si costruiscono i miti politici.

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Alle radici del conflitto in Ucraina: l’URSS staliniana e l’epoca della Guerra fredda

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce parole e concetti che, forse troppo frettolosamente, molti di noi pensavano di aver archiviato in un capitolo chiuso della storia più recente.

E così oggi si è tornati a parlare di URSS staliniana, di dominazione russa e Stati satellite, di Guerra fredda, politica del contenimento e deterrenza: espressioni che, dopo la caduta del muro di Berlino e lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, sembravano ormai accantonate, perché legate a una visione del mondo che si credeva superata una volta per tutte.

Per risalire alle radici del conflitto in Ucraina – e per cercare di fornire a studentesse e studenti un inquadramento storico ad ampio raggio di ciò che sta accadendo – dobbiamo perciò tornare a fare i conti con questi concetti. E a ripercorrere una fetta di storia del Novecento.

STALIN E L’UCRAINA

A partire dagli anni Trenta del XX secolo, la feroce dittatura di Stalin produce tragici effetti sul popolo dell’Ucraina. Questo Stato viene di fatto considerato un territorio posto sotto la dominazione russa. Tra l’autunno del 1932 e la primavera del 1933 il capo dell’URSS attua la collettivizzazione forzata dei campi coltivati: la proprietà privata viene abolita e i contadini sono obbligati a lavorare in fattorie collettive (i kolchoz), controllate direttamente da funzionari dello Stato sovietico.

L’Ucraina, che costituisce la regione agricola più produttiva dell’URSS, subisce pesantemente le conseguenze di questa imposizione. In particolare i kulaki, ossia i contadini più benestanti (piccoli proprietari terrieri e coltivatori diretti), dopo aver cercato in ogni modo di opporsi alle requisizioni dei prodotti agricoli, vengono arrestati e deportati in massa. Molti di loro sono uccisi o muoiono nel corso della deportazione. La collettivizzazione delle terre attuata da Stalin distrugge l’economia agricola ucraina ed è tra le cause che innescano una terribile carestia, nota con il nome di Holodomor (termine che significa “sterminio per fame”): i morti ucraini sono – secondo le stime – circa 4 milioni.

Nell’ambito dei suoi piani per lo sviluppo economico dell’URSS, Stalin decide inoltre di concentrare industrie siderurgiche nella regione orientale dell’Ucraina, il Donbass: per questo motivo moltissimi lavoratori russi si trasferiscono qui. E per questo motivo ancora oggi nel Donbass c’è una forte presenza di abitanti russi, molti dei quali vogliono l’indipendenza da Kiev.

DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE ALLA GUERRA FREDDA

Nel febbraio del 1945, mentre ancora si combatte la Seconda guerra mondiale, Stalin, il presidente statunitense Roosvelt e il primo ministro inglese Churchill si ritrovano a Yalta, in Crimea, per definire quale assetto dare al mondo una volta sconfitto Hitler. In quell’occasione si stabiliscono dei princìpi da mettere in pratica al termine del conflitto: libere elezioni in Europa, autodeterminazione dei popoli, commercio internazionale aperto. Eppure, già a Yalta comincia a delinearsi la contraddizione che segnerà il mondo per i successivi quarant’anni: USA e URSS, pur affermando quei princìpi, sono intenzionati a creare sfere d’influenza a livello europeo e mondiale.

Sempre nel 1945, questa volta dopo la capitolazione del nazismo, gli Stati del mondo decidono di dar vita all’ONU, con lo scopo di difendere la pace nel mondo. Ben presto, però, la contrapposizione tra USA e URSS finisce per paralizzare la neonata istituzione. Già il 9 febbraio del 1946, del resto, Stalin tiene un discorso al teatro Bolshoi di Mosca parlando di due “blocchi” antitetici: quello occidentale statunitense e quello orientale sovietico. Gli fa eco di lì a poco (12 marzo 1947) la “dottrina” del presidente statunitense Truman, che contrappone i due modelli, sostenendo che gli USA siano la patria della libertà e l’URSS del totalitarismo. Gli Stati Uniti danno così il via alla politica del contenimento. Cercano cioè di contenere l’espansione del blocco sovietico.

Inizia così a tutti gli effetti la Guerra fredda, caratterizzata da una forte tensione a livello internazionale, sempre sul punto di trasformarsi in un conflitto. Una linea invalicabile inizia a separare l’Europa occidentale, formata da Stati democratici e ad economia capitalista, dall’Europa orientale, composta da Stati satellite dell’URSS, comunisti e ad economia pianificata: è la cosiddetta “cortina di ferro”, come la definisce Churchill. Di lì a poco le tensioni si traducono in alleanze militari: nel 1949 nasce la NATO (con funzione difensiva in caso di attacco sovietico), nel 1955 il Patto di Varsavia (per garantire mutua assistenza tra gli Stati del blocco orientale).

L’EQUILIBRIO DEL TERRORE

Anche se scoppiano sanguinosi conflitti locali (in Corea tra il 1950 e il 1953; in Vietnam dagli anni Sessanta al 1975) la Guerra fredda non degenera mai in un conflitto combattuto con le armi su scala globale, anche perché gli arsenali nucleari di cui dispongono le due Superpotenze provocherebbero danni incommensurabili. Ciò non toglie che l’opinione pubblica mondiale viva un’epoca di terrore, in cui lo spettro della bomba atomica produce un incubo collettivo in intere generazioni.

Si afferma così, attorno agli anni Sessanta, il principio della deterrenza: ogni blocco si dota di armi sempre più numerose e distruttive, per dissuadere l’avversario da qualsiasi idea di attacco. Si alternano poi momenti di riavvicinamento, favoriti per esempio dalla destalinizzazione condotta da Krusciov in URSS o dall’elezione di Kennedy negli USA, a momenti di forte contrapposizione (la costruzione del muro di Berlino, nel 1961) e di gravissima tensione (la crisi di Cuba, nel 1962).

L’economia del blocco sovietico, tuttavia, a lungo andare si dimostra incapace di reggere la competizione con quella occidentale. Le politiche repressive e illiberali attuate dall’URSS e dai governi compiacenti degli Stati satellite hanno ormai i giorni contati: l’insofferenza della popolazione cresce sempre più. Nel 1985 l’elezione di Gorbacev a segretario del partito comunista dell’URSS apre una nuova fase, con il disgelo tra le due superpotenze e con l’avvio di un programma di riforme in Unione sovietica. Il 9 novembre 1989, la caduta del muro di Berlino fa capire che non si può più tornare indietro: il blocco comunista inizia a frantumarsi, mentre alla fine del 1991 l’URSS cessa di esistere e gli Stati che la compongono – tra cui l’Ucraina – conquistano l’indipendenza. Nasce la CSI, Comunità degli Stati Indipendenti. Anche il Patto di Varsavia viene sciolto.

UNA NUOVA GUERRA FREDDA?

L’aggressiva invasione dell’Ucraina scatenata da Putin il 20 febbraio 2022 ha risvegliato tensioni forse mai del tutto spente tra il mondo russo-orientale e quello occidentale. Ascoltando i discorsi e soprattutto osservando l’operato senza scrupoli del capo del Cremlino – un uomo nato nel 1952, e che pare ancora vivere nel clima politico di quegli anni – ci sentiamo ripiombare in piena Guerra fredda. Tornano anche a farsi sentire le minacce nucleari.

La situazione, però, non è più quella del secolo scorso. Nel frattempo è nata e cresciuta l’Unione europea, con un ruolo forse ancora in fase di definizione, ma non più trascurabile. E gli equilibri sono profondamente cambiati. A testimoniare questo fatto è anche quanto è accaduto pochi giorni fa (il 3 marzo 2022) nel corso della riunione dell’ONU convocata in sessione di emergenza per condannare l’invasione russa ai danni dell’Ucraina. I numeri ci parlano di un fronte contrario a Putin molto più vasto di quello che poteva essere il mondo occidentale nel XX secolo: 141 Stati hanno votato a favore della condanna, 5 si sono opposti (Russia, Bielorussia, Siria, Nord Corea ed Eritrea), mentre 35 si sono astenuti (tra cui India e Cina). Come fa notare Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 4 marzo 2022, Stati tradizionalmente filorussi si sono apertamente opposti alla Russia e tra questi vi sono, per esempio, i Paesi del Medio Oriente. Resta la grande incognita degli astenuti, che pur numericamente limitati, rappresentano da soli circa la metà della popolazione mondiale. È probabilmente anche qui che si decide il futuro del pianeta.

Guerre en Ukraine : comment en parler à nos élèves ?

Après plus de deux ans de pandémie, un nouveau cauchemar est venu tourmenter la santé mentale de nos étudiants et les plonger dans un contexte anxiogène. Le matin, avant de commencer les cours, c’est souvent leur sujet de conversation. Puis, on continue à la récré, le moment privilégié pour le partage des idées.

De la maternelle au lycée, les enseignants ont une tâche ardue à accomplir en ce moment : parler de la guerre sans inquiéter davantage leurs élèves. Oui, il faut en parler parce que, comme souligne la plupart des chercheurs en psychologie, il faut considérer qu’il y a des enfants qui n’ont pas les informations correctes ou l’écoute nécessaire et adaptée dans leur environnement familial.

En plus, s’il est préférable de ne pas anticiper ce terrible sujet, il faut sans aucun doute répondre aux questions de manière à ne pas augmenter leurs peurs. Il ne s’agit pas de mentir ou de cacher la vérité, mais plutôt d’éviter ce qui n’est pas nécessaire, comme, par exemple, leur montrer des photos ou des reportages violents.

Il est très important aussi de chercher à « remettre en perspective » et relativiser la situation : malheureusement, il y a toujours eu des guerres dans l’histoire de l’homme et il y en a encore aujourd’hui dans le monde. Enfin, il ne faut pas oublier notre mission : faire comprendre. Il sera donc utile, pour mieux aborder et expliquer les causes de la crise ukrainienne, disposer de bonnes ressources et pistes pédagogiques.

Per approfondire

Voici donc une série de repères utiles proposés par le site Eduscol du Ministère de l’Education Nationale, de la Jeunesse et des Sports.

La tutela dell’ambiente entra nella Costituzione

Febbraio 2022

L’8 febbraio 2022 il Parlamento ha approvato in via definitiva una proposta di legge volta ad inserire la tutela dell’ambiente tra i princìpi fondamentali della Costituzione, modificando gli articoli 9 e 41.

Prima di questa modifica, il testo non conteneva un riferimento specifico al concetto di ambiente. Nel periodo in cui la Costituzione è stata scritta, le priorità della nazione erano ben diverse da quelle attuali. Lo stato di salute del pianeta, tuttavia, notevolmente peggiorato negli ultimi decenni, ha posto la tutela dell’ambiente al centro del dibattito politico, a livello nazionale e internazionale, fino a giungere a questa importante decisione.

Si tratterà davvero di un cambiamento epocale come alcuni sostengono?

L’auspicio è quello di accelerare la transizione ecologica, ma già spuntano dubbi e perplessità sulle limitazioni che queste norme costituzionali possono provocare nella vita dei cittadini.

Riflettiamo sul tema con un articolo di approfondimento che contiene anche la proposta di attività didattiche da realizzare in classe con gli studenti.

L’articolo arricchisce tutti i corsi Tramontana di diritto ed economia per il biennio, di diritto per il triennio AFM SIA, di diritto e legislazione turistica per gli IT Turistici e di diritto per l’articolazione Rim.

Per approfondire

L’elezione di Mattarella e la crisi del sistema politico italiano

Febbraio 2022

Il 30 gennaio 2022 è stato eletto Presidente della Repubblica italiana, per la seconda volta, Sergio Mattarella, approdato nel 2015 alla principale carica istituzionale italiana.

La Costituzione non prevede la rielezione del Capo dello Stato, ma neppure la vieta, quindi il Presidente della repubblica italiana può ricoprire più mandati. Nella storia repubblicana questa circostanza si è verificata solo due volte: con Giorgio Napolitano e con Sergio Mattarella.

Ripercorriamo così le due rielezioni, approfondendo la situazione politica e sociale in cui sono avvenute.

Completano il testo due attività per la classe.

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Com’è fatta una penna? La chimica nascosta nella vita quotidiana

Quante volte ci capita di osservare un oggetto che maneggiamo tutti i giorni e chiederci di che cosa sia fatto? La chimica ci viene in aiuto, spiegandoci la struttura di tanti prodotti usati nella vita quotidiana.

Prendiamo come esempio qualcosa che non manca mai negli astucci posati sui banchi di scuola: la penna a sfera.Tanti forse ne conoscono la storia, ma ignorano le caratteristiche che stanno alla base del suo funzionamento.

Per conoscerle dobbiamo partire dall’intuizione di un brillante giornalista ungherese, László Bíró nato nel 1899, che per esigenze di mestiere aveva bisogno di scrivere velocemente, ma la penna stilografica usata all’epoca richiedeva continue ricariche di inchiostro e un’attenzione particolare alle macchie, molto frequenti.

Serviva uno strumento che utilizzasse l’inchiostro dei giornali (che si asciugava in fretta) e un meccanismo simile a quello dei rulli di carta che lo trasferivano sui fogli.

L’ispirazione arrivò nel 1943 quando László Bíró, passeggiando tra le vie di Budapest, si imbattè in un gruppo di bambini che giocavano con le biglie:  mentre li osservava, Bíró notò che le sfere, dopo essere passate in una pozzanghera di fango, lasciavano sul terreno una striscia umida e regolare.

Da quel momento iniziò a studiare il modo di inserire nella punta di una penna una piccola sfera che consentisse di ottenere lo stesso effetto, facendo uscire l’inchiostro in modo uniforme e veloce.

Il fratello György, un chimico, si dedicò invece a cercare di produrre un inchiostro che avesse la giusta viscosità per scorrere agevolmente sulla sfera e allo stesso tempo asciugarsi rapidamente.

La combinazione di un inchiostro ad alta viscosità con un meccanismo a sfera fu vincente! 

Da allora la penna a sfera ha subìto continue evoluzioni ed adattamenti.
Ma com’è fatta oggi una penna?

Innanzitutto è composta da una punta con una sfera all’estremità il cui diametro varia dai 0.38 ai 1.6 millimetri. La punta solitamente è fatta in ottone, alpacca, plastica o acciaio inossidabile.
Il passaggio dell’inchiostro dalla punta alla sfera avviene grazie al rotolamento della sfera stessa al suo interno che prende l’inchiostro e, muovendosi, lo trasferisce sulla carta.

Quasi tutti gli inchiostri delle penne a sfera sono costituiti da uno o più pigmenti colorati o coloranti disciolti o sospesi in un solvente (solitamente olio o acqua). 

Ulteriori composti chimici come acido oleico e alchil alcanolamide vengono aggiunti per semplificare il processo di scrittura: servono infatti per mantenere fluido l’inchiostro che scorre dalla penna e rendono i colori vibranti. 

Ci sono centinaia di variazioni sulle formule di inchiostro. 

L’inchiostro della penna a sfera è composto in genere da particelle di colorante o pigmento – nero carbone per penne nere, eosina per rosso, cristallo viola e ftalocianina blu per la classica penna blu – sospese in un solvente di olio o acqua. 

Il più comune degli oli è l’alcool benzilico o il fenossietanolo, che si mescola con i pigmenti o i coloranti per creare un inchiostro liscio e vibrante che si asciuga rapidamente. 

La scoperta di László Bíró ha cambiato per sempre il nostro modo di scrivere e ancora oggi, in tanti Paesi del mondo, la penna viene semplicemente chiamata con il suo cognome: la biro. A ricordo della sua invenzione gli è stato intitolato l’asteroide (327512) Biro, scoperto nel 2006.

Per approfondire

Per approfondire curiosità, news, fatti storici sul ruolo della chimica nella nostra vita e nelle nostre case, vi consigliamo di visitare il blog di Federchimica Fatti, non fake! Fattinonfake.federchimica.it/, un blog che intende sfatare i falsi miti legati alla chimica e dare utili consigli con rigore e approccio scientifico.

La mungitura robotizzata

Negli ultimi anni la sostituzione della mungitura tradizionale (VMS – Voluntary Milking System) con la mungitura robotizzata (AMS – Automatic Milking System), è andata sempre più incontro alle esigenze di ammodernamento del comparto zootecnico da latte tenendo conto anche del ricambio generazionale più legato alla tecnologia. A questa rivoluzione del settore zootecnico si aggiunge anche una terza nuova prospettiva ovvero la VMS Batch Milking System. Questa nuova tecnica consiste nell’unire i vantaggi di una mungitura robotizzata, conservando i benefici della sala di mungitura (Ruminantia, 2021). Questa rivoluzione di automazione si riflette inevitabilmente anche nella selezione e nel miglioramento genetico degli animali. Per esempio, nella pubblicazione dei dati genetici della razza Frisona Italiana di dicembre 2021, l’Associazione Nazionale allevatori Razze Frisona, Bruna e Jersey (ANAFBJ), ha introdotto l’IMA (Indice di mungitura robotizzata). Questo indice unisce caratteristiche morfologiche della mammella con caratteristiche funzionali, al fine di premiare le bovine con caratteristiche favorevoli e selezionare i riproduttori con il miglior IMA. Nel momento della scelta di quale tipologia di mungitura adottare che più si avvicini alle esigenze manageriali, risulta utile pesare gli aspetti favorevoli e sfavorevoli relativi agli investimenti destinati allo sviluppo aziendale. Di seguito vengono riportati i principali vantaggi e svantaggi della mungitura robotizzata (Fantini, 2020).

Vantaggi

  • Diminuzione dei costi di manodopera (Bijl et al., 2007).
  • Controllo puntuale e affidabile dei parametri qualitativi del latte.
  • Monitoraggio dei parametri fisici e fisiologici dell’animale (riproduzione, alimentazione).
  • Aumento della produzione di latte del 10% grazie al maggior numero di mungiture (Jacobs and Siegford, 2012).
  • Gestione dell’alimentazione per soddisfare i fabbisogni del singolo animale (Migliorati, 2009).
  • Miglioramento del management aziendale (Steeneveld, 2015).
  • Miglioramento della qualità della vita dell’allevatore (Fantini, 2020).
  • Aumento del benessere animale (Fantini, 2020).

Svantaggi

  • Elevato costo di investimento iniziale (Bijl et al., 2007).
  • Aumento dei costi energetici dovute al funzionamento h24 (Bijl et al., 2007).
  • Difficoltà nel gestire una moltitudine di informazioni (Rumi, 2013).
  • Non sempre è utilizzabile per alcune produzioni tipiche come le DOP (Ventura, 2015).
  • Difficoltà di adattamento delle pluripare (Jacobs and Siegford, 2012).
  • Massimo regime di utilizzo per unità di mungitura è di 65/70 capi al giorno (Ventura 2015).
  • Reperibilità 24 ore su 24 di un operatore per eventuali anomalie operative (Fantini, 2020).

La mungitura robotizzata rappresenta un crescente interesse nei confronti degli allevatori e delle nuove generazioni e diventa un’opportunità da cogliere per favorire l’imprenditoria dei giovani allevatori.

Video consigliati:

 

 

Matematica della bellezza: il numero aureo

È innegabile il fascino generato dalla perfetta disposizione dei semi di un fiore di girasole o dei petali di una rosa, dall’eleganza della spirale di una conchiglia di Nautilus, dalla perfezione di una statua greca o di un dipinto di Leonardo.

Quale filo invisibile lega questi e altri fenomeni, apparentemente distanti e diversi tra di loro, che ci rimandano tutti a un’idea di bellezza e armonia?

Per quanto risulti incredibile, questo filo invisibile è rappresentato da un numero noto fin dall’antichità e che tra il XV e XVI secolo è stato denominato “numero aureo”. 

Un numero al quale, nel 1509, il matematico Luca Pacioli ha dedicato un intero trattato e che dall’inizio del XX secolo, per opera del matematico americano Mark Barr, è stato indicato con la lettera greca Φ, dall’iniziale dello scultore greco Fidia. 

Il numero aureo, detto anche “sezione aurea” o “rapporto aureo”, è un numero irrazionale il cui valore approssimato alla terza cifra decimale è 1,618.

Presente negli ambiti più insospettati e diversi, dalla biologia all’arte, dall’architettura alla musica, fa parte della nostra quotidianità e ci consente di leggere il profondo legame tra matematica e bellezza.

Per queste ragioni, in sintonia con quanto riportato nelle Indicazioni nazionali (È di estrema importanza lo sviluppo di un’adeguata visione della matematica non ridotta a un insieme di regole da memorizzare e applicare, ma riconosciuta e apprezzata come contesto per affrontare e porsi problemi significativi e per esplorare e percepire relazioni e strutture che si ritrovano e ricorrono in natura e nelle creazioni dell’uomo), abbiamo elaborato e realizzato un percorso che consentisse ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado di scoprire questo numero così particolare e affascinante e di comprendere come la matematica possa permetterci di scoprire il segreto della bellezza.

Le attività che caratterizzano il percorso possono essere suddivise in 4 parti. 

PARTE 1

La prima parte comprende attività dedicate alla scoperta del numero aureo in geometria: dalla costruzione di rettangoli aurei (con la piegatura della carta, con gli strumenti del disegno geometrico e con un software di geometria dinamica), alla realizzazione della spirale aurea, alla scoperta del rapporto aureo nel pentagono regolare.   

PARTE 2

La seconda parte è una vera e propria attività di problem solving che, partendo dal famoso problema dei conigli, porta alla scoperta della relazione tra il numero aureo e i termini della successione di Fibonacci.

PARTE 3

La terza parte è dedicata alla scoperta del numero aureo in natura, anche attraverso la costruzione del compasso aureo.

PARTE 4

La quarta parte è dedicata alla ricerca del numero aureo nelle opere dell’uomo, da quelle architettoniche, a quelle scultoree o pittoriche.  

Il percorso è stato realizzato in una classe terza della scuola secondaria di primo grado e ha permesso agli alunni di sviluppare competenze alfabetico-funzionali, matematiche, digitali, sociali e civiche. 

Il lavoro è stato presentato al Matescienzeday del 2019 e può essere visualizzato cliccando sul seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=Ua4kZriG81A&t=10s

PER APPROFONDIRE

  • La sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni, Mario Livio, BUR, 2017
  • I numeri magici di Fibonacci. L’avventurosa scoperta che cambiò la storia della matematica, Keith Devlin, Rizzoli, 2012
  • Il quadrato, Bruno Munari, Corraini, 2005

SCOPRI L’OPERA

Tangram, il nostro corso di matematica per la scuola secondaria di primo grado, di L. Ferri, A. Matteo, E. Pellegrini – Fabbri Editore – Rizzoli Education, 2020

Storia della scienza in classe: come e perché

La storia della scienza è un potente strumento didattico utile a far acquisire agli allievi non solo le conoscenze della scienza, rappresentate dalle idee e dalle teorie più importanti che costituiscono il patrimonio universalmente condiviso delle conoscenze scientifiche, ma anche le cosiddette “conoscenze sulla scienza”, inerenti i metodi e le pratiche dell’investigazione scientifica.

La dimensione storica aiuta inoltre gli studenti a capire che la meravigliosa avventura della conoscenza scientifica è frutto di un processo laborioso che quasi mai si snoda lungo un percorso lineare: non si tratta infatti di uno sviluppo meramente cumulativo, ma di un cammino che può presentare improvvise svolte e a volte veri e propri cambi di direzione, un percorso che si costruisce gradualmente, spesso con grande difficoltà e fatica, a volte attraverso errori e sconfitte, altre volte con intuizioni improvvise o addirittura fortuite. Pensiamo per esempio alla scoperta della penicillina a opera di Fleming nel 1945, avvenuta per un evento inatteso: la contaminazione di una piastra di coltura batterica da parte di una muffa che aveva inibito la crescita dei batteri. Il messaggio che il docente deve veicolare è che non tutti avrebbero saputo cogliere e utilizzare in modo costruttivo questo incidente: come disse Pasteur “il caso favorisce solo la mente preparata”. 

L’insegnamento scientifico, correlato con la storia dell’evoluzione delle idee scientifiche, rende infine ancora più evidente quanto le conquiste della scienza e della tecnologia abbiano modificato il modo di vivere dell’umanità, migliorandolo decisamente, ma anche minacciandolo con la scoperta di nuove armi da guerra e l’uso incontrollato delle risorse.

I concetti rivoluzionari in ambito scientifico sono spesso preceduti da contributi più modesti, ma fondamentali, che molte volte passano inosservati. La storia della scienza è infatti costellata di esempi di grandi idee che non si affermarono subito perché in attesa di nuove evidenze. Pensiamo per esempio alla teoria della tettonica delle placche, affermatasi solo nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso: già negli anni Venti alcuni geofisici, e in particolare Holmes (1928)1, avevano elaborato una ipotesi alternativa a quella di Wegener che spiegava lo spostamento dei continenti facendo riferimento a movimenti convettivi nel mantello, ma le loro idee non ebbero successo. Qualcosa di simile era avvenuto un secolo prima per le leggi di Mendel, pubblicate nel 1866, leggi che lasciarono il mondo scientifico del tempo del tutto indifferente anche perché contrastate dal mondo accademico: esse furono riscoperte solo nell’ultimo anno del XIX secolo, quando tre ricercatori, l’olandese De Vries, il berlinese Correns e il viennese Tschermak, «per una coincidenza che – come afferma Isaac Asimov – è forse la più sorprendente nella storia della scienza», ciascuno per proprio conto e indipendentemente l’uno dall’altro, giunsero contemporaneamente alle stesse conclusioni di Mendel.  Anche la teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Darwin fu preceduta dall’idea di evoluzione di Lamarck. Gli errori e le verità parziali sono pertanto tappe molto spesso necessarie ai fini di una scoperta.

Gli studenti devono poi essere consapevoli che le certezze fornite dalla scienza sono spesso limitate nel tempo e possono essere messe in discussione e modificate o del tutto abbandonate in seguito a nuove osservazioni: l’esempio più classico è quella della rivoluzione copernicana che mise da parte il precedente modello geocentrico.

Oltre al contesto storico e sociale, un altro fattore che concorre allo sviluppo di nuove idee è lo sviluppo tecnologico e la conseguente disponibilità di nuovi strumenti di indagine: lo sviluppo della teoria cellulare, per esempio, ci mostra come l’individuazione delle diverse strutture cellulari sia andata di pari passo con il progredire della tecnologia e la conseguente innovazione della strumentazione a disposizione degli scienziati.

Fare storia della scienza significa infine anche collegare la conoscenza scientifica, spesso vista come oggettiva e impersonale, a nomi, volti, tempi e luoghi specifici. Lo si può fare attraverso lo studio di documenti dell’epoca, come i manoscritti originali di Darwin e di Leonardo, oppure riproducendo esperimenti di laboratorio condotti da scienziati nei secoli passati. 

 1. A. Holmes, Continental Drift, Nature, 122. 431-433,1928.

Alcune proposte

Le misconoscenze e le idee spontanee degli studenti ricalcano spesso convinzioni del passato; pensiamo per esempio alla generazione spontanea che fino al Seicento ha avuto largo seguito. Molte osservazioni della vita quotidiana – come le farfalline che svolazzano da un pacco di farina o i “vermi” che troviamo in un frutto bacato – potrebbero far pensare che la vita possa generarsi spontaneamente.  Prendendo spunto da casi del genere o dalla descrizione della ricetta di Van Helmont per ottenere topi da una camicia sporca (Fig. 1), si può proporre agli studenti di realizzare l’esperimento di Francesco Redi attraverso il quale il medico e naturalista toscano dimostrò che ogni essere vivente nasce sempre e solo da un altro vivente, cioè che la generazione spontanea è impossibile (Fig. 2).

Figura 1

Figura 2

Nel libro di testo Tra le dita- Scienze da esplorare da cui è tratta questa esperienza, in tutte le unità sono presenti riferimenti a grandi e piccole scoperte, dai premi Nobel a invenzioni cosiddette minori, ma non meno interessanti come la gelatiera inventata da una creativa signora americana, Nancy Johnson (1794-1890), offrendo una panoramica variegata ed equilibrata di donne e uomini di scienza (Fig. 3).

Figura 3

Un documento sulle Big Ideas, le grandi idee della scienza, pubblicato nel 2015 dall’IAP-Rete globale di Accademie scientifiche, riassume bene quanto affermato in questo articolo: Gli studenti devono comprendere i processi dell’attività scientifica; oltre alle idee devono sapere come si sia arrivati a queste idee che spiegano il mondo. In realtà, è difficile immaginare di separare la conoscenza dell’attività scientifica da quella delle idee scientifiche. Senza sapere come queste conoscenze si siano sviluppate, l’apprendimento della scienza richiederebbe cieca accettazione di molte teorie che sembrano in contrasto con il senso comune.” 

PER APPROFONDIRE

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  •  “Tra le dita- Scienze da esplorare di A. Alfano, V. Boccardi, E. De Masi, G. Forni – Fabbri Editore – Rizzoli Education, 2022 – Testo di scienze per la scuola secondaria di primo grado

Benidorm Fest 2022

Hay veces que la tarea de escribir es realmente ardua, porque no hay nada interesante qué contar. En cambio, en otras, el ingente número de noticias ponen en un brete a la persona que debe hacerlo porque tienen muchísimo dónde elegir. Esto fue lo que me pasó a mí en esta ocasión, en la que podría haber escogido escribir sobre la victoria número 21 en el Abierto de Australia de Nadal, o sobre el día de San Valentín o el día de las mujeres y las niñas en la Ciencia, o, en fin, sobre la belleza de la diversidad. Sin embargo, yo me he decantado por el festival Benidorm Fest 2022.

Tengo que decir que no soy una apasionada de los concursos canoros y por ende no seguí la final del Benidorm Fest, a pesar de que la curiosidad me aguijoneara porque había oído que participaba el grupo Tanxugueiras con un tema en gallego, hecho totalmente inusual. Sin embargo, dicho acicate no fue lo bastante fuerte para hacer que yo la viera, incluso, porque la victoria parecía cantada: por los mentideros virtuales se comentaba que Rigoberta Bandini tenía todas las papeletas para ganar, gracias a su ¡Ay, mamá! (https://www.rtve.es/television/20220130/rigoberta-bandini-eurovision-actuacion-video-final-teta-pecho-delacroix/2274900.shtml), canción con un claro mensaje feminista y muy bailable.

Por eso, cuán grande no sería mi sorpresa cuando escuché la votación final: había ganado Chanel con el tema SloMo (https://youtu.be/4mYBiIO0pfY) y Tanxugueiras se había alzado con el tercer puesto gracias al voto del respetable: nada más y nada menos que el 70% del respetable, había votado Terra (https://www.rtve.es/television/20220130/tanxugueiras-canta-terra-final-benidorm-fest-video-actuacion/2274060.shtml). ¡Eso sí que no me lo esperaba!

En realidad, yo no era la única sorprendida porque las redes ardían con el triunfo de Chanel. Se hablaba de tongo, pucherazo, enchufe… Que, si el voto del público no cuenta, para qué vota. Bueno, resumiendo… que se armó la de San Quintín, llegando incluso la polémica al Congreso, porque algunos partidos exigieron la comparecencia del presidente del Consejo de RTVE para aclarar el resultado, pues no convencía la justificación de los miembros del jurado que afirmaban que habían elegido la candidatura más idónea para España: seguramente, me imagino que fue por ese español tan impecablemente perfecto y la profundidad de la letra (retranca gallega). 

Yo me mojo. No soy una experta musical, pero, como Salvador Sobral, ganador de Eurovisión 2017, me quedo con Tanxugueiras actuación que hizo vibrar hasta al más pintado, aunque en honor a la verdad, tampoco hubiera hecho girones mis vestiduras si hubiera ganado Rigoberta Bandini. Y vosotros y vuestros alumnos, ¿estáis de acuerdo con el jurado o no? Para vosotros, ¿cuál es la mejor canción de las tres? ¿Cuál es la que tiene más fuerza? ¿Cuál elegiríais para representar España?

Otra polémica derivada de la victoria de SloMo es el hecho de que muchos piensan que la letra de este tema es vejatoria y discriminatoria contra la mujer, en cambio hay otros que dicen que es símbolo de empoderamiento de la mujer. Y vuestros alumnos ¿qué piensan? ¿SloMo es una canción vejatoria para la mujer o es un símbolo de empoderamiento de la mujer? 

En fin, antes de despedirme y dado que en febrero es el día de San Valentín, me gustaría aconsejar dos libros de poesía – Consecuencias de decir te quiero y Nos quedan más atardeceres – ambos publicados por la editorial Plan B y escritos por Manu Erena, un chico de 16 años, convertido en una sorpresa editorial. Además,  animaría a vuestros alumnos a cimentarse en una poesía.