Giornata Mondiale della Poesia: riscopriamo la tradizione!

La Giornata Mondiale della Poesia, istituita nel 1999 dall’Unesco, si celebra il 21 marzo, il primo giorno di primavera. Questa ricorrenza è nata per celebrare la poesia come ideale di bellezza globale capace di avvicinare lingue e culture differenti.

Di recente, ci siamo accorte che spesso troviamo alunne e alunni che conoscono le poesie o le filastrocche di grandi poeti e su temi interculturali, ma che non conoscono le filastrocche e le poesie della tradizione italiana. Da un’indagine in alcune delle nostre classi abbiamo potuto constatare che, ad esempio, le conte sono poco conosciute e utilizzate nel gioco. Filastrocche che, una volta erano conosciute da chiunque, oggi sono un ricordo appannato. I proverbi e i modi di dire che una volta venivano utilizzati per trasmettere il sapere e la saggezza popolare oggi fanno sorridere le bambine e i bambini che fanno fatica a coglierne i messaggi non espliciti. Gli scioglilingua sono quasi del tutto sconosciuti, sebbene siano un’ottima palestra per affinare la concentrazione.

Pensando a questo, abbiamo deciso che quest’anno proporremo di celebrare questa giornata proprio riscoprendo la poesia popolare, in modo da creare un ponte tra passato e presente e avvicinare le bambine e i bambini ai testi della tradizione, magari con una particolare attenzione ai dialetti regionali.

Partendo dal libro “Sotto la cappa del camino” un’antologia di rime per giochi, indovinelli, filastrocche, scioglilingua e ninne nanne realizzata da Alberto Mari, A. Virgilio Savona e Michele L. Straniero, edito da Oscar Mondadori, abbiamo deciso di proporre una sfida a suon di filastrocche replicabile in ogni classe.

Al fine di produrre un oggetto simbolo di questa sfida e giornata abbiamo scelto di realizzare un flexagono con la celebre filastrocca “C’era una volta un re”, che può essere letta e riletta all’infinito senza interruzioni. 

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura e interpretazione delle filastrocche e lancio della sfida;
  • seconda parte: presentazione del flexagono;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il flexagono “C’era una volta un re”.

Video

 

MATERIALI AGGIUNTIVI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

3 giochi con il pop-it e il Pi greco

Mancano pochi giorni al 14 marzo, il PI GRECO DAY, la giornata dedicata alla costante matematica più famosa del mondo!

Perché il Pi greco, il numero che esprime il rapporto tra la lunghezza di qualsiasi circonferenza e il suo diametro, si festeggia proprio il 14 marzo? Nei paesi anglosassoni la data si scrive nel formato mese-giorno, quindi il 14 marzo corrisponde a 3.14, come le prime cifre del Pi greco.

Questa costante viene di solito approssimata a 3.14: le cifre decimali di questo famoso numero non sono solo due ma proseguono all’infinito senza ripetizioni. 

Prendiamo in considerazione le prime cento cifre del Pi greco:

3,141592653589793238462643383279502884197169399375105820974944592307816406286208998628034825342117067… 

Le cifre si susseguono in modo casuale, a volte due cifre uguali sono molto vicine (es. le prime due cifre 1 sono separate da una sola cifra) e a volte sono molto distanti (trentatré cifre separano la seconda dalla terza cifra 1). La cifra più frequente è il 9 che compare tredici volte mentre lo 0, l’1, il 5 e il 7 sono quelle meno frequenti (otto volte). Il 6 compare nove volte, il 4 dieci volte e il 2, il 3 e l’8 dodici volte.

Queste considerazioni sono alla base dei tre giochi che vi propongo per festeggiare in modo “scoppiettante” la giornata del Pi greco. Il protagonista dei giochi è il Pi greco con le sue prime cento cifre scritte su un pop-it 10×10 (fig. 1) con un pennarello rimovibile con acqua. È possibile giocare anche con la versione cartacea del pop-it allegata rinunciando alla divertente stimolazione sensoriale. Per giocare sarà necessario anche un dado a dieci facce (con le cifre da 0 a 9) facilmente reperibile oppure realizzabile utilizzando il file allegato (fig. 2). 

                       

Figura 1, Figura 2

Ecco i tre giochi da svolgere in coppia con un dado, un pop-it e il famoso numero .

  • VAI AVANTI FINO AL NUMERO USCITO.
    A turno i bambini lanciano il dado a dieci facce e si spostano in avanti sul pop-it (dalla prima alla centesima bolla) fino a raggiungere la prima bolla con il numero uscito. Vince chi arriva per primo all’ultima bolla con la centesima cifra del Pi greco (7).
  • SCOPPIA LE BOLLE E ACCUMULA I PUNTI.
    A turno i bambini lanciano il dado e scoppiano il numero corrispondente di bolle (o si spostano in avanti sulle bolle già scoppiate dall’avversario). Ad ogni turno conquistano il numero di punti scritto sulla bolla raggiunta. Il gioco termina quando uno dei giocatori raggiunge la centesima bolla. Vince chi ha accumulato più punti.
  • LANCIA E CERCA IL NUMERO.
    A turno i bambini lanciano il dado a dieci facce e cercano una bolla sul pop-it da scoppiare con il numero uscito. Perde chi non ha a disposizione una bolla da scoppiare con il numero indicato dal dado.

I giochi da fare con un pop-it, un dado e il Pi greco non finiscono qui, ma è possibile inventarne altri per un divertimento senza fine!

Aria di primavera!

  • Alunni destinatari > classi terza, quarta e quinta 
  • Discipline di riferimento > italiano, arte e immagine, musica

Il 21 marzo non solo segna l’inizio della primavera, ma è anche la giornata mondiale  della poesia. Vorrei, dunque, condividere con voi un laboratorio di scrittura che potreste  proporre ai vostri bambini proprio in questa ricorrenza. 

La poesia che ho selezionato è Primavera di Attilio Bertolucci, della quale vi scrivo ora il  testo: 

È venuto il tempo
che il ranuncolo limpido
rischiara l’erba folta e amara;
fitte e stupide si schierano sulle prode
le margherite,
già l’usignolo s’ode. 

Sotto gli occhi di ogni fanciulla
una tenebra ombra fiorita
e con quell’ombra di viole
il giovane sole
si trastulla. 

Questa poesia evoca immagini legate alla stagione primaverile e può rivelarsi un  pretesto per favorire l’osservazione e l’espressione delle proprie reazioni al  risveglio della natura. 

Percorso operativo 

Fase 1 > “A tu per tu con la natura!” | Se possibile si esce nel giardino della  scuola, ci si siede sul prato e, attraverso i sensi, si esplora la natura circostante.  Il docente può rivolgere ai bambini alcuni interrogativi: 

  • Quali profumi colpiscono il nostro olfatto? 
  • Quali sfumature di colore catturano il nostro sguardo? 
  • E la nostra pelle? Avverte forse una brezza leggera o un piacevole  tepore? 
  • Cosa cogliamo, invece, attraverso l’udito? 

Dopo l’attenta analisi sensoriale, l’insegnante guida i bambini a riflettere sui  cambiamenti visibili portati dalla natura. 

Fase 2 > Immersione nella poesia | A questo punto, i bambini sono invitati a  chiudere gli occhi, così da evitare ogni possibile distrazione, e ad ascoltare con  attenzione l’insegnante che proclama la poesia. Successivamente – senza troppo  indugiare – si chiede loro cosa hanno compreso di questo componimento e di  esprimere eventuali considerazioni. 

È probabile che vi siano alcuni termini sconosciuti: può essere l’occasione per  fare insieme una ricerca del loro significato (magari abbinando la definizione alla  visione della loro immagine). 

È importante che l’insegnante solleciti i bambini a far emergere anche un  personale vissuto legato alla primavera e che si condividano le sensazioni  provate durante l’ascolto della poesia. 

Fase 3 > Esprimere le emozioni attraverso la musica e l’arte | Inizia ora la  seconda parte del laboratorio, che si svolge in classe. Qui si ascoltano i brani de  La primavera di Antonio Vivaldi e nuovamente l’insegnante esorta i bambini ad  esprimere le loro emozioni. Può anche chiedere loro quale aspetto della natura  primaverile ritengono sia richiamato da ciascun momento della musica. 

Poi i bambini traducono in rappresentazione grafica quanto la poesia ha evocato  in loro e abbinano al disegno due versi in rima a tema “Primavera”.  Come conclusione di questo laboratorio – se l’insegnante lo riterrà opportuno – si potrà dare origine ad un unico componimento unendo le singole frasi in rima.  Inoltre, appendendo le rappresentazioni dei bambini, si potrà creare la “galleria  di Primavera” in aula.

Scarica il documento con il testo della poesia e le domande di riflessione.

L’autrice 

Gloria Ragni

Insegnante di scuola primaria, promotrice del fare per apprendere e sostenitrice dell’utilizzo integrato del digitale nella didattica.  Ha un blog didattico https://maestraglo.altervista.org e condivide su Instagram le sue avventure da maestra (la trovate come @maestraglo). 

Mille parole per mille emozioni

Difficile fare a meno di trattare le emozioni a scuola. In qualsiasi ordine e grado dell’istruzione, parlare di “quello che abbiamo dentro” e che determina molti dei nostri comportamenti sembra un argomento ormai imprescindibile. Colpa, forse, di una sempre più diffusa e riconosciuta fragilità emotiva o di una maggiore attenzione da parte di adulti ed educatori, sta di fatto che insegnanti e famiglie si trovano spesso a dover stabilire quale taglio dare al proprio intervento.

Spesso il primo approccio è informativo e si affidano alla classe alcune nozioni:

  • la parola emozione deriva dal latino e-movere che significa smuovere, portare da dentro a fuori
  • l’emozione è una reazione del nostro corpo di fronte a un determinato evento
  • le emozioni primarie sono sei: dolore, gioia, paura, rabbia, disgusto, sorpresa
  • le emozioni sono universali: le persone di tutti i Paesi del mondo esprimono le emozioni primarie con le stesse espressioni facciali.

Inutile precisare, però, che un’adeguata informazione su questo tema non produce alcun effetto sulla gestione delle emozioni, né alcun risultato da un punto di vista educativo. Molto più efficace, sotto questo punto di vista, proporre in classe attività più o meno strutturate di riconoscimento della propria vita interiore. In questo ambito possiamo far ricadere numerose attività che vanno dall’ampliamento del lessico fino alla gradazione dell’intensità delle emozioni.

E’ importante saper nominare la propria emozione, anche con un lessico sempre più ricco e, di conseguenza, più preciso rispetto a ciò che si sente. Un comportamento tipico e disfunzionale, infatti, è legato al modo totalizzante con cui i bambini e le bambine vivono i propri stati emotivi. Non è così frequente, per esempio, il riconoscimento della propria “frustrazione” o “irritazione” di fronte a una determinata situazione. Il modo di sentire è sempre estremo: ansia, rabbia, felicità…

Non avere sufficienti parole vuol dire non riuscire a dare un nome al proprio mondo interiore e questo contribuisce a creare fragilità. Non solo. Oltre alle parole giuste è necessario fornire anche chiavi di lettura delle proprie reazioni. Siamo nel campo dell’educazione razionale emotiva, di cui abbiamo già parlato nel numero precedente.  Ci sono molte buone pratiche da presentare in classe. 

Qualche esempio:

  • la tombola delle emozioni: alcune situazioni estratte a caso devono essere interpretate e ricondotte agli  stati emotivi scritti su apposite cartelle.
  • Immagini ed emozioni: la raccolta di visi da riviste e giornali può servire per raggruppare espressioni facciali e nominare emozioni più sfumate rispetto a quelle normalmente nominate dai bambini e dalle bambine.
  • I dottori delle emozioni: a partire da situazioni-stimolo, gli alunni e le alunne definiscono l’emozione suscitata, il grado di intensità ed eventuali azioni per contrastare le sensazioni sgradevoli.

Non va inoltre sottovalutato il fatto che un efficace lavoro sulle emozioni ha effetti anche sulla sfera degli apprendimenti. Per questo l’educazione emotiva dovrebbe riguardare tutte le discipline e tutte le attività scolastiche: rendere consapevoli i bambini e le bambine di ciò che sentono e di come si sentono prima, durante e dopo un lavoro è una delle principali risorse a nostra disposizione per aiutarli a migliorare anche nel loro percorso apprenditivo. 

Animali in Grecia e a Roma

Nelle discipline scolastiche, in particolare nella storia e nella letteratura, gli animali sono spesso “comparse” relegate all’ambito dell’aneddotica o del folklore: si pensi al cane Argo dell’Odissea o agli elefanti di Annibale. Eppure essi costituiscono un canale privilegiato per accostarci e per far avvicinare i nostri studenti e le nostre studentesse al mondo antico, perché si tratta di creature familiari anche a noi, nei confronti delle quali l’atteggiamento dei greci e dei romani era spesso molto simile al nostro. Il rapporto con gli animali è inoltre un tema centrale nell’educazione civica, perché rientra tra gli obiettivi dell’agenda 2030 (in particolare i goals 14 e 15 sulla vita sott’acqua e la vita sulla terra). Per comprendere a pieno le caratteristiche di una civiltà, antica o moderna, è indispensabile considerare il modo in cui essa si rapporta con gli altri esseri viventi, se li rispetta, e come li assume nel proprio immaginario. Per tutti questi motivi abbiamo inserito, nel nostro manuale Le porte della storia, una rubrica specifica dedicata ad alcuni animali che hanno assunto un significato particolarmente pregnante in differenti epoche o luoghi: a partire da questo spunto vi propongo, di seguito, un breve percorso alla scoperta del mondo greco-romano, osservato da questo particolare punto di vista. 

Il cane 

Plutarco, nella Vita di Temistocle, racconta che quando gli ateniesi furono costretti ad abbandonare la loro città sotto la minaccia dell’invasione persiana, nel 480 a.C., una delle cose più strazianti da vedere era la disperazione dei cani, abbandonati per l’impossibilità di metterli in salvo. Il cane di Santippo, padre di Pericle, seguì a nuoto la trireme del padrone fino a Salamina, per poi morire di fatica sulla spiaggia, là dove “ancor oggi c’è un luogo, chiamato Tumulo del Cane, ove dicono sia sepolto”. Fedele e prezioso aiutante di cacciatori e pastori, oltreché custode della casa (come dimostrano le celebri iscrizioni Cave canem, frequenti sulle soglie delle case di Pompei), il cane è spesso, nell’iconografia, simbolo di lealtà e amicizia. Eppure, nell’immaginario antico, non perde del tutto la sua natura selvatica, che lo avvicina al suo antenato lupo: la cagna è emblema di sfrontatezza femminile e nel formulario omerico i cani, insieme ai corvi, sono gli animali che divorano i cadaveri degli eroi insepolti.   

Il lupo 

L’ingresso in città di uno o più lupi era considerato dai romani un prodigio, un inquietante avvertimento inviato dagli dèi per segnalare la rottura della pax deorum, l’alleanza stretta tra mondo umano e divino a vantaggio della comunità, che poteva essere ripristinata solo grazie a specifici riti espiatori. Il lupo era infatti percepito come una presenza “altra” rispetto alle norme della vita civile. Questa sua connotazione negativa, che emerge anche nella tradizione favolistica antica, dipende certamente dalla minaccia che esso rappresentava per le greggi, in una società come quella greco-romana, la cui economia era largamente basata sulla pastorizia. Ma è proprio una lupa ad allattare i neonati Romolo e Remo, assumendo un ruolo determinante nella tradizione di fondazione di Roma: una lupa eccezionale, però, che si comporta “come un animale addomesticato” (Dionigi di Alicarnasso) ed è legata al dio Marte, che l’ha inviata a proteggere i suoi figli. Nella festa dei Lupercalia, celebrata il 15 febbraio a Roma, l’elemento selvaggio rappresentato dai lupi irrompe ritualmente in città: giovani seminudi, chiamati Luperci, corrono per le vie, colpendo con strisce di pelle caprina le donne che incontrano, favorendone in questo modo la fecondità. L’ordine della civiltà viene rotto temporaneamente e, col consenso dei cives, il lupo prende possesso dello spazio urbano, ma solo fino alla fine della festa. 

Il leone 

La prima impresa compiuta da Eracle è l’uccisione del leone di Nemea, in Argolide, un animale eccezionale, dalla pelle invulnerabile, che l’eroe strangola a mani nude e di cui indossa poi il manto come un talismano che lo proteggerà e diverrà uno dei suoi attributi più emblematici. Il leone in questione è una creatura fantastica, figlia, secondo la Teogonia di Esiodo, di altri due “mostri”, Ortro e Chimera: nella regione dell’Argolide non vi erano grandi felini, benché la loro presenza sia attestata invece sulle montagne della Grecia settentrionale. Nell’immaginario antico questo animale viene percepito come un dominatore fiero e arrogante, con tratti esotici che affascinano gli organizzatori dei crudeli giochi del circo, a Roma: Pompeo da solo ne fa sterminare 600 nei suoi memorabili ludi del 55 a.C. La caccia al leone è riservata, oltreché agli sventurati gladiatori del Colosseo, a personaggi eccezionali come Eracle, appunto, o la ninfa Cirene, eponima della città africana, che secondo il mito sopraffece l’animale con la sola forza delle braccia, destando in questo modo l’amore appassionato del dio Apollo, che la stava osservando. La percezione antica del confronto-scontro tra umani e leoni ricorda, mutatis mutandis, certe pagine di Karen Blixen, nella Mia Africa o nelle Lettere, in cui l’autrice descrive la potente emozione provata nel fronteggiare il maestoso animale. Proprio l’approccio predatorio tipico soprattutto del mondo romano, ha portato, dobbiamo ricordarlo, allo sterminio di migliaia di grandi felini, causando la completa estinzione del leone nord-africano.    

L’elefante

Anche gli elefanti, come i leoni, sono stati sterminati a migliaia nei giochi romani del circo, e Plinio il Vecchio descrive il commovente comportamento di alcuni di questi animali, durante i già citati giochi organizzati da Pompeo nel 55 a.C.: “persa ogni speranza di fuggire, cercarono di attirarsi la compassione degli spettatori […] con una sorta di lamentazione, provocando tanta commozione nella folla che questa […] si alzò tutta in piedi e scagliò contro Pompeo delle maledizioni, che ben presto egli scontò”. Oltre al curioso riferimento profetico alla tragica fine di Pompeo, che sarebbe dunque dovuta alla sua crudeltà nei confronti degli innocenti pachidermi, colpisce la forte empatia che si stabilisce tra persone e animali: sono passati molti anni dalla prima volta in cui i soldati romani hanno ascoltato con terrore il barrito dei colossali elefanti che avanzavano tra le file dell’esercito di Pirro, e li hanno scambiati per buoi dalle dimensioni mostruose. La familiarità e la simpatia nei confronti di questi animali è ormai tale che lo stesso Plinio può affermare che essi sono i più vicini al genere umano per sensibilità e intelligenza e, anzi, possiedono qualità più nobili delle nostre: “onestà, saggezza, senso della giustizia, perfino un religioso rispetto per gli astri e un culto particolare per il sole e per la luna”. L’enciclopedista latino dimostra qui di applicare all’elefante quel procedimento di “antropomorfizzazione” che caratterizza anche la nostra visione del mondo animale. 

Il serpente

Rispetto agli animali trattati finora, il serpente ci pone di fronte a un immaginario e a un comportamento che sono in gran parte molto lontani dalla nostra sensibilità moderna. Gli antichi, i greci in particolare, percepivano infatti il lato inquietante di questa creatura, dovuto essenzialmente al fatto che fosse privo di arti e che strisciasse sul terreno, ma ne deducevano un suo legame complesso e oscuro con la sfera divina. Sotto le spoglie del serpente infatti può nascondersi una divinità: il dio medico Asclepio, in particolare, che assume questa forma quando il suo culto viene esportato da Epidauro ad Atene, e in quell’occasione (nel 420 a.C.) è il tragediografo Sofocle a ospitare il serpente sacro nella propria casa finché non viene costruito il tempio alle pendici dell’Acropoli. Si trattava di uno dei molti rettili allevati nel santuario di Epidauro, dove essi svolgevano anche funzioni guaritrici, leccando e risanando le piaghe. Nell’immaginario comune, ma anche nella vita quotidiana, il serpente viene considerato in Grecia un custode efficacissimo, sia delle più umili dimore sia dei tesori più eccezionali, come il vello d’oro o i pomi d’oro delle Esperidi, cui fanno la guardia rettili soprannaturali, temibili e dotati della capacità di non dormire mai. Forse per il suo aspetto inquietante e il fatto che la sua tana è talvolta sotterranea, il serpente ha anche, per i greci, un rapporto col mondo dei morti, fino a simboleggiare, sulle lapidi, l’anima del defunto, cui si rendono affettuosi omaggi e libagioni, anche per placarne l’eventuale potere. È per noi più difficile comprendere il rapporto che gli antichi avevano col serpente “domestico”: l’animale, naturalmente di una specie non velenosa, veniva infatti tenuto nelle case greche, a custodia del focolare, mentre la sua immagine nei larari romani incarnava la divinità protettrice della famiglia e della casa, il genius loci. Ma non basta: pare che l’imperatore Eliogabalo (III sec. d.C.) allevasse, tra l’altro, serpenti egizi, non sappiamo se per motivi legati alla sua profonda e complessa religiosità o per un semplice capriccio. 

Consigli di lettura

  • Plinio il Vecchio, Storie naturali (libri VIII-XI), a cura di F. Maspero, Rizzoli 2011      
  • Eliano, La natura degli animali, a cura di F. Maspero, Rizzoli 1998  
  • Pietro Li Causi, Gli animali nel mondo antico, Il Mulino 2018

Link

Scopri l’opera

  • Le porte della storia” di Riccardo Rao e Anna Però – La Nuova Italia – Rizzoli Education, 2022 – Testo di geostoria per la scuola secondaria di secondo grado

La cosmetica italiana. Un’industria che fa bene al Paese

Ogni giorno milioni di donne e uomini curano corpo e capelli, si lavano, si profumano dedicando sempre più tempo alla cura di sè. Il cosmetico è un elemento insostituibile nella nostra vita quotidiana e svolge numerose funzioni, dal miglioramento dell’aspetto fisico all’idratazione, alla protezione, alla profumazione, alla detergenza, all’igiene personale fino al trucco. Tutte queste funzioni hanno contribuito al miglioramento dello stile di vita di ogni individuo, aumentandone la qualità e il benessere complessivo. I cosmetici fanno parte della nostra quotidianità. Contribuiscono al nostro benessere e sono preziosi alleati della nostra salute.

I cosmetici, come i farmaci, gli alimenti e tutti i prodotti di largo consumo, sono sottoposti a una serie di valutazioni e controlli, nell’ambito di una normativa specifica il Regolamento europeo 1223/2009L’obiettivo principale della normativa è tutelare la sicurezza dei consumatori, attraverso l’immissione in commercio di prodotti controllati e sicuri per la salute del consumatore. Dal 1967 Cosmetica Italia è la voce dell’industria cosmetica nazionale che conta oggi tra le sue fila oltre 600 aziende rappresentative del 90% del fatturato del settore: un’eccellenza dal punto di vista economico e occupazionale. L’industria cosmetica si colloca a pieno titolo tra le eccellenze tricolori grazie ad alcune peculiarità: 

  • il valore economico dimostrato dai numeri che, dal fatturato all’occupazione, hanno dato prova di capacità di reazione anche durante la pandemia;
  • il valore scientifico attestato dei costanti investimenti in ricerca e innovazione; 
  • il valore sociale del cosmetico, prodotto indispensabile che accompagna quotidianamente ognuno di noi con gesti che sono sinonimo di igiene, benessere e cura di sé. È anche attraverso queste leve che il settore esprime la sua vocazione ad una responsabilità sociale che fa bene all’intera comunità.

Il comparto cosmetico, con il sistema economico della sua filiera, raggiunge infatti i 33 miliardi di euro e occupa oltre 400mila addetti.  L’industria cosmetica offre numerose opportunità ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro e la formazione del capitale umano è un punto di forza della competitività delle imprese nel mercato globale.  Occorre, infatti, considerare l’intera filiera, che va dalle multinazionali alle piccole e medie realtà produttive e distributive collocate sull’intero territorio nazionale, passando per le imprese di packaging, materie prime e macchinari.

Considerando l’ampiezza della filiera, non sorprende come i “mestieri della cosmetica” si sviluppino su più aree di competenza: oltre ai numerosi specializzati in chimica, farmacia, CTF e cosmetologia, il settore richiede infatti anche addetti specializzati in economia, marketing di canale e sostenibilità. La cosmesi può quindi offrire opportunità di buon livello sul piano professionale, anche per gli interessanti profili che stanno nascendo e che hanno bisogno, tra l’altro, di una forte componente di comunicazione e di utilizzo delle nuove tecnologie informatiche, oltre che di quelle legate specificamente alla ricerca e allo sviluppo prodotti.

Accanto alle opportunità formative nel campo della cosmesi, finora principalmente orientate ai percorsi universitari, bisogna ricordare una nuova offerta che prepara i giovani a un ingresso diretto nel mondo del lavoro. Si tratta del Corso ITS Tecnico delle produzioni cosmetiche 4.0 nato nel 2019. Un corso biennale post-diploma sulla cosmesi, l’unico in Italia, con l’obiettivo di formare una figura professionale con una specializzazione tecnico/scientifica molto spiccata, supportata da una formazione a 360° sulla legislazione cosmetica, la cultura d’impresa, l’economia e il marketing. Oltre il 60% della formazione d’aula è svolta da docenti provenienti dalle imprese cosmetiche. Si tratta quindi della formazione di un profilo tailor made per le imprese cosmetiche da poter inserire nell’area ricerca&sviluppo, nella produzione, nel quality assurance e nell’area regolatoria.

Un comparto che, anche in questa fase post – emergenza, continua a investire su risorse giovani, preparate e al passo coi tempi. Perché i giovani professionisti sono un elemento essenziale per dare nuova linfa al settore: portano innovazione e competenze all’avanguardia, fattori essenziali per continuare a fare della cosmesi un’industria che fa bene al Paese.

Le frontiere della computazione III – Il machine learning

Cara lettrice, caro lettore,
continuiamo a parlare di tecniche di computazione alternative alle macchine di Turing. A febbraio abbiamo parlato del quantum computing, che richiede un cambio di paradigma dalla fisica classica a quella quantistica. In questo articolo ci occuperemo di una tecnica che si può implementare sui computer classici, ma che richiede comunque di rilassare il concetto di che cosa voglia dire risolvere un problema: il machine learning.

Macchine che pensano

Il machine learning è una branca dell’intelligenza artificiale che utilizza tecniche statistiche per migliorare progressivamente le performance di un programma. Una delle applicazioni principali del machine learning è l’identificazione di regolarità, per esempio nel riconoscimento di immagini o nell’analisi di dati.

I software ottenuti con il machine learning vengono visti come scatole nere, cioè degli oggetti di cui non si conosce il funzionamento, ma di cui si può osservare solo l’output che corrisponde a un determinato input. Queste scatole nere si possono parzialmente configurare mediante dei parametri. Per realizzare (o, come si dice in gergo, “addestrare”) un modello, gli sviluppatori forniscono in input il tipo di dati desiderato e cercano di configurare i parametri in modo che l’output approssimi in modo corretto il risultato voluto.

Per esempio, nella realizzazione di una rete neurale che distingue i cani dai gatti, dobbiamo fornire in input diverse foto di cani e di gatti e configurare i parametri in modo che la scatola nera riesca a distinguere con una buona precisione quelle dei gatti da quelle dei cani. Dopo aver eseguito l’operazione di taratura ci aspettiamo che, nel momento in cui alla scatola viene fornita una nuova foto di animale, l’output sia corretto con probabilità elevata.

Algoritmi e soluzioni

Il machine learning richiede di ripensare due concetti alla base dei modelli di calcolo classici: quello di algoritmo e quello di risoluzione di un problema. Con il machine learning, infatti, non vengono realizzati algoritmi in senso tradizionale. I passi che vengono svolti dal sistema per ottenere la soluzione non sono accessibili agli sviluppatori che, quindi, non possono dire di stare utilizzando un preciso algoritmo risolutivo composto da istruzioni note e univoche. Anche il concetto stesso di risoluzione di un problema va ripensato: le soluzioni fornite sono spesso approssimate, quindi anche per questo motivo il machine learning non è paragonabile ai modelli di calcolo tradizionali.

Applicazioni del machine learning

Nonostante le differenze appena descritte, il machine learning ha numerose applicazioni che ci riguardano da vicino. Oggi moltissimi software, soprattutto quelli disponibili sui dispositivi mobili, utilizzano in misura maggiore o minore il machine learning. Alcuni esempi sono il riconoscimento automatico delle immagini (disponibile su dispositivi Android tramite il servizio di Google Lens), la traduzione automatica, il riconoscimento vocale e così via. Il machine learning è fondamentale anche per lo sviluppo di sistemi che interagiscono con l’ambiente senza l’aiuto umano, come le macchine a guida autonoma. Un’applicazione molto più vicina alla nostra quotidianità riguarda le previsioni meteorologiche: alcuni centri italiani stanno affiancando ai modelli classici basati sulle equazioni matematiche anche quelli basati sul machine learning, in modo da compensare i limiti di entrambi i modelli e fornire agli utenti previsioni sempre più accurate.

Riferimenti

  • Il machine learning applicato alla meteorologia è stato protagonista di una puntata di Senti che scienza! di Radio Dolomiti.
  • L’intelligenza artificiale può essere usata per dimostrare teoremi, ma se le facciamo fare una verifica prende tre. Ti spiego il motivo di questa apparente contraddizione in un articolo pubblicato su Scienza in Rete.
  • Vuoi sapere in quali centri di ricerca italiani si studia il machine learning e l’intelligenza artificiale? Te lo racconto in un articolo pubblicato su Colpo di Scienza.
  • Il machine learning è presentato nel Capitolo 1 del volume del V anno di #NetGeneration.

La selezione genomica nella specie bovina

La genomica è la scienza biologica che viene utilizzata per caratterizzare e sequenziare interi tratti del DNA al fine di definire la loro struttura e quantificarne la funzione. Fino alla prima decade del nuovo millennio (dicembre 2011), l’attribuzione della stima del valore genetico di un individuo (EBV – valore genetico stimato), avveniva esclusivamente attraverso la rilevazione del fenotipo dei soggetti iscritti ai Libri Genealogici utilizzando differenti modalità (Indice di Pedigree, Performance Test, Sib Test, Progeny Test).

Fino a tale data, paradossalmente, la stima degli effetti del genotipo era basata sull’esclusiva rilevazione del fenotipo e non sull’effettivo utilizzo derivante dalla “lettura” del genoma. Il valore genomico di un soggetto è basato sulle seguenti informazioni (ANAFIBJ, 2021):

  1. genotipizzazione degli animali della popolazione;
  2. raccolta dei dati fenotipici, per il calcolo di stima dell’indice genetico – EBV;
  3. stima del valore genomico con l’utilizzo di marcatori genetici (SNP);
  4. calcolo dell’indice genomico diretto (DGV) e del valore genomico complessivo (GEBV). 

Il sequenziamento e l’interpretazione del genoma è possibile grazie all’avvento di nuove tecnologie associate all’utilizzo della bioinformatica con specifici software per l’analisi statistica dei dati. La lettura del genoma avviene grazie all’utilizzo di particolari marcatori genetici, SNPSingle Nucleotide Polymorphism. Gli SNP sono letteralmente una variazione all’interno di una sequenza di DNA di un singolo nucleotide (basi azotate + zucchero + gruppo fosfato), che si differenzia tra soggetti della stessa specie o tra una coppia di cromosomi dello stesso individuo (BIANCONERO, novembre 2011).

Gli SNP vengono utilizzati in kit di laboratorio (chip in grado di leggere attualmente 68.000 diverse informazioni) che servono per determinare le caratteristiche genetiche di un individuo. Una volta che un individuo viene genotipizzato si deve calcolare l’indice genomico diretto (DGV). Questo è possibile grazie al confronto con i dati fenotipici di soggetti provati ad alta attendibilità (con elevato numero di record fenotipici) e genotipizzati (con la stima dell’indice genetico e genomico conosciuti), noti come “training set”. Per esempio, il training set di riproduttori della razza Frisona è di oltre 30.000 soggetti.

Con la genomica è possibile stimare con maggior accuratezza il valore genetico di un soggetto; il dato di stima si ottiene sommando l’indice genetico tradizionale (EBV) e l’indice genomico diretto (DGV) da cui si ottiene il dato di stima del valore genomico di un individuo (GEBV) (ANAFBJ, 2021). Questo permette di ottenere il valore genetico stimato di un soggetto con un livello di attendibilità più elevato e in tempi molto più rapidi rispetto al passato. Inoltre, vengono fortemente ridotti i costi di selezione dei riproduttori, aumentando la velocità di miglioramento dei caratteri oggetto di selezione. 

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Marzo 2022

La fine della fase emergenziale della pandemia di Covid-19 ci riconsegna al mondo carichi di incertezze, ma anche più consapevoli dell’importanza di una maggiore giustizia sociale al fine di costruire una società più coesa e resiliente. Per meglio comprendere che cosa ciò significhi in termini pratici, Olimpia Capobianco e Simona Diani analizzano in questo articolo gli interventi previsti dal Pnrr in tema di protezione e inclusione sociale, povertà e disuguaglianze di genere.

L’articolo arricchisce il corso Società futura. Tutte le informazioni sul corso sono disponibili nel nostro catalogo online.

Lezione sul Business model Canvas

Il materiale didattico può essere utilizzato per preparare una lezione sul Business Model Canvas destinata agli studenti della classe quinta degli Istituti Tecnici Economici (AFM, RIM, SIA) e degli Istituti professionali – Indirizzo Servizi commerciali.

Nel file in ppt, si presentano in maniera particolareggiata i nove elementi che concorrono a definire il modello di business. Segue il pdf che riporta due esempi di applicazione del BMC a imprese industriali: Technogym, conosciuta per la fornitura di attrezzature per palestre, e Sammontana, famosa per i gelati.

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