Le infrastrutture verdi: servizi ecosistemici e disservizi forniti. Quali alberi scegliere in città?

Introduzione 

La vegetazione rappresenta uno strumento essenziale per la creazione di città ecologicamente ed  economicamente sostenibili in quanto sono in grado di ridurre l’entropia dell’ambiente antropico. 

L’Istituto nazionale di statistica (Istat) definisce il verde urbano come un patrimonio di aree verdi che  insiste sul territorio dei Comuni gestito, direttamente o indirettamente, da Enti pubblici quali i  Comuni, le Province, le Regioni o lo Stato. In questo ambito sono compresi diversi tipi di aree verdi:  verde attrezzato, parchi urbani, verde storico, aree di arredo urbano e aree speciali comprendenti  giardini scolastici, orti botanici, vivai, giardini zoologici e altre categorie residuali. 

I servizi ecosistemici forniti dalle infrastrutture verdi 

Con il termine servizi ecosistemici si intende la capacità dei processi e dei componenti naturali di  fornire beni e servizi che soddisfino, direttamente o indirettamente, i bisogni dell’uomo e  garantiscano la vita di tutte le specie. 

Le infrastrutture verdi migliorano le condizioni microclimatiche urbane, la qualità dell’aria, la  resilienza della città e la salute psico-fisica dei cittadini, in particolar modo di coloro che risiedono in  aree densamente popolate. Inoltre, garantiscono il mantenimento della biodiversità locale. 

La vegetazione in città e, specialmente, le siepi, grazie alla loro naturale capacità fonoassorbente,  sono in grado di ridurre il livello e la percezione dei rumori generati dalle attività umane. Nel 2013, il progetto europeo Hosanna ha evidenziato che una cintura di alberi di 15 metri riduce i livelli del  rumore di 3 decibel. 

Gli alberi mitigano il clima urbano in quanto riducono l’isola di calore attraverso l’assorbimento di  calore da parte delle foglie, l’ombreggiamento e l’evapotraspirazione che consiste nell’assorbimento  dell’acqua da parte delle radici e nella restituzione di quest’ultima sotto forma di vapore acqueo dopo  la fotosintesi. 

Tale processo è endotermico poiché sottrae l’energia all’ambiente esterno causando un decremento  della temperatura intorno alle piante durante le ore più calde e un innalzamento dell’umidità  atmosferica. Attraverso tali processi la temperatura dell’aria negli spazi verdi urbani può essere da 1- 3 °C fino a un massimo di 5-7 °C più bassa delle aree urbane edificate circostanti. La vegetazione,  infatti, è in grado di svolgere il ruolo di termoregolatore. 

La vegetazione è in grado di ridurre l’erosione idrica superficiale e il rischio idrogeologico in quanto  assorbe una parte delle piogge, che poi vengono rilasciate gradualmente sia nelle falde idriche  sotterranee che nei corpi idrici superficiali. 

Le infrastrutture verdi possono essere progettate per la rinaturalizzazione di aree da destinare alla  laminazione delle piene e per il ripristino di zone umide perifluviali attraverso la ricostruzione degli  spazi funzionali all’equilibrio fluviale. 

Gli alberi svolgono la funzione igienico – sanitaria in quanto depurano chimicamente l’atmosfera,  fissano i gas tossici, filtrano le polveri sottili e gli altri agenti inquinanti. 

Nel dettaglio, l’inquinante maggiormente captato dalle specie vegetali è rappresentato dal particolato  atmosferico. Gli inquinanti sono fissati dalle specie vegetali in concentrazioni differenti in base alla 

micromorfologia dell’apparato fogliare, come ad esempio la quantità di tricomi, la presenza di cere  superficiali o lo spessore della cuticola.  

Infatti, le foglie aventi un’elevata quantità di tricomi intercettano il particolato grossolano o avente dimensioni superiori ai 10 µm, mentre disdegnano quello fine. Le foglie cerose, invece, trattengono  il particolato fine. 

La capacità delle piante di agire come filtri attivi nei confronti del particolato atmosferico è  direttamente proporzionale alla vicinanza con il suolo. La stagionalità, invece, non rappresenta un  parametro chiave.  

Alcune piante svolgono la funzione di ripristino ambientale e di recupero di siti inquinati da  contaminanti di varia natura. 

Il valore storico e culturale intrinseco delle infrastrutture verdi è rappresentato dalla capacità di  schermare la vista dei palazzi, di valorizzare i monumenti, di migliorare gli ambienti domestici e  lavorativi, di influire sulla salute fisica e mentale delle persone e di diversificare il paesaggio. 

L’albero è dunque una risorsa biologica, ambientale, energetica e sociale avente una funzione strategica nello sviluppo sostenibile delle città. 

I disservizi ecosistemici forniti dalle infrastrutture verdi 

Le specie vegetali rilasciano i composti organici di origine biogenica (BVOC), ovvero una varietà di  sostanze chimiche volatili aventi una vasta gamma di funzioni per le piante, e di conseguenze per  l’ecosistema e l’ambiente.  

Tali composti rappresentano, quindi, l’alfabeto con cui le piante comunicano con l’ambiente e, in  particolare, con le specie animali. Infatti, tali sostanze attraggono specifici impollinatori e proteggono  le specie vegetali dai patogeni grazie alle loro proprietà repellenti, deterrenti, antimicrobiche e  antifungine. 

Infine, tali composti proteggono le piante dagli stress abiotici in quanto sono dei potenti antiossidanti.  Si rileva, infatti, che le specie emettitrici di BVOV sono in grado di adattarsi maggiormente ai  cambiamenti climatici. 

L’isoprene, i monoterpeni ed i sesquiterpeni rappresentano gli unici BVOC in grado di  influenzare la qualità dell’aria in quanto interagendo con gli altri gas atmosferici possono  incrementare la formazione del particolato atmosferico e dell’ozono, potente gas serra e  inquinante tossico in grado di ridurre significativamente le produzioni colturali e forestali. 

I composti volatili svolgono un ruolo fondamentale nelle aree caratterizzate da elevate  concentrazioni di azoto, come quelle urbane e perurbane, in quanto l’isoprene contribuisce alla  formazione dell’ozono a livello del suolo, mentre i monoterpeni e i sesquiterpeni incrementano  la presenza del particolato atmosferico. 

Nel dettaglio, in presenza di forte irraggiamento solare, le reazioni fotochimiche fra tali composti e  gli ossidi di azoto possono causare l’inquinamento fotochimico e, conseguentemente, la formazione  di ozono, perossiacetilnitrato (PAN), perossibenzoil nitrato e altre sostanze secondarie. 

Le condizioni ottimali per la formazione di ozono sussistono quando il rapporto tra i composti  organici e gli ossidi di azoto è compreso fra 4 e 15, mentre viene limitato dalla bassa concentrazione  di quest’ultimi o di VOC. Nelle città si verificano le condizioni ottimali in quanto i composti  organici voltatili sono determinati sia da fattori antropici (ad es. veicoli, incenerimento dei rifiuti,  processi di combustione) e sia da quelli naturali (vegetazione).

Si ritiene necessario rilevare che la rimozione di ozono troposferico ad opera delle piante ne supera  la produzione durante il periodo notturno in quanto le concentrazioni di ossidi di azoto sono  tendenzialmente minori e le emissioni di isoprene, essendo luce e temperatura dipendente, non si  verificano. 

Infine, occorre evidenziare che le specie vegetali con scarsa capacità emissiva sono anche quelle  meno resistenti all’ambiente urbano. 

Le infrastrutture verdi e il cambiamento climatico 

In questi ultimi anni molte associazioni, comitati e cittadini hanno ritenuto che la forestazione può  rappresentare una soluzione al cambiamento climatico.  

L’assorbimento di anidride carbonica da parte delle specie vegetali è connesso alla loro strategia di  crescita, alla necessità di estrazione dei nutrienti dal suolo e alla loro capacità di adattarsi ai mutamenti  climatici. 

L’incremento delle temperature, infatti, accentua i processi di respirazione rispetto a quelli di  fotosintesi clorofilliana da parte delle piante, riducendo la capacità di stoccaggio dell’anidride  carbonica. La riduzione della conduttanza stomatica, indispensabile per mantenere la quantità di  acqua necessaria alla fisiologia della pianta, riduce gli scambi con l’atmosfera e, conseguentemente,  l’accumulo e la fissazione di anidride carbonica da parte delle specie vegetali. 

La diminuzione delle precipitazioni, invece, ha modificato le caratteristiche chimiche,  biogeochimiche e di evapotraspirazione dei suoli sfavorendo i processi vitali delle piante stesse e  favorendo i processi di decomposizione organica e la conseguente emissione di anidride carbonica in  atmosfera. 

Conclusioni 

La gestione del verde nelle città, purtroppo, non tiene in considerazione le esternalità positive e gli  impatti sopra descritti. 

Si rappresenta che esistono differenze specie-specifiche nella capacità di sequestro del carbonio, di captazione del particolato atmosferico e di emissioni dei BVOC. Infatti, l’emissione di composti  organici di origine biogenica e l’assorbimento di anidride carbonica non è costante poiché è connessa  allo stato fisiologico e alla fenologia della pianta.  

In particolare, le specie arboree più efficaci per il sequestro e lo stoccaggio del carbonio sono il  Pioppo bianco e la farnia Quercus robur, mentre per la rimozione di biossido di azoto, biossido  di zolfo, monossido di carbonio e ossigeno sono ottimali il Pino domestico, l’Ippocastano ed il  Pioppo bianco. 

I Tigli ed il Bagolaro rappresentano le specie aventi capacità media di rimozione degli  inquinanti e basso potenziale di formazione dell’ozono, specialmente negli ambienti urbani del  Mediterraneo. Il cerro, l’ulivo e il frassino sono ideali per minimizzare la produzione di ozono, ma  non sono vantaggiosi per l’assorbimento di anidride carbonica in quanto la crescita delle foglie e della  massa legnosa è assai modesta e lenta. 

Nella messa a dimora delle nuove alberature, inoltre, occorre considerare la loro dimensione finale  nel tempo. Infatti a seconda dell’area di pertinenza e dello sviluppo potenziale degli alberi bisogna  garantire la distanza minima tra le alberature dai 2 ai 6 metri di raggio.

In ambiente urbano, quindi, la pianificazione delle infrastrutture verdi è fondamentale in quanto  permette di massimizzarne i benefici e di ridurne gli impatti. 

Gli Enti locali dovrebbero effettuare il censimento del verde, il monitoraggio delle alberature, le cure  e gli interventi adeguati, incluse le operazioni di potatura e anche di abbattimento che siano  necessarie. Tali operazioni però devono effettuate con la perizia necessaria e, quindi, devono essere  evitate le potature tramite capitozzatura o gli abbattimenti effettuati durante la stagione di  nidificazione dell’avifauna anche in assenza di ragioni di somma urgenza. 

Occorre, altresì, evitare modelli di gestione monoculturale del verde urbano e incrementare la  presenza dello strato di vegetazione inferiore, come ad es. gli arbusti e rampicanti, al fine di aumentare  la biodiversità e di ridurre gli impatti ambientali determinati dal depauperamento delle falde acquifere  profonde e dall’instabilità idrogeologica.

Galileo Chini, artista inventore della ceramica moderna italiana, 1896-1925

Figura emblematica del passaggio epocale che l’Italia affronta con la fine del XIX secolo, Galileo Chini ne incarna pienamente le caratteristiche e le contraddizioni sul piano artistico e culturale. Chini appartiene infatti a quella generazione di artisti che deve fare i conti con il rapporto tra arte e industria, che si interroga su come poter sviluppare la produzione in serie senza perdere un alto livello qualitativo dei propri prodotti, che indaga la possibilità di creare uno stile “nazionale” in grado di fondere la tradizione latamente medievale e rinascimentale delle arti decorative ottocentesche con il nuovo linguaggio modernista. Riscopriamo questo artista poliedrico, insieme al cocuratore della mostra Galileo Chini. Ceramiche tra Liberty e Déco, attualmente in corso al MIC, Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, a cura di Valerio Terraroli e Claudia Casale.

La prima formazione a Firenze

La prima formazione artistica di Galileo Chini, nato a Firenze nel 1873, è segnata dalla pratica diretta sul patrimonio artistico medievale e rinascimentale di Firenze determinata dal fatto che, in seguito alla morte a breve distanza dei genitori, Galileo viene preso a lavorare come garzone nel laboratorio dello zio Dario, noto restauratore, il quale decide di occuparsi del nipote iscrivendolo alla Scuola Professionale di Arti decorative e Industriali di Firenze, nella quale il giovane si forma nella copia e nella rielaborazione del repertorio medievale e rinascimentale fiorentino.

Del resto proprio a quel repertorio si ispirano molti architetti, artigiani, artisti e decoratori, i quali si trovano a dover rispondere sia alle molte commesse pubbliche, dovute ai grandi lavori di risanamento della città, ma, soprattutto, alla numerosa e influente comunità inglese e americana, che la visita o vi risiede stabilmente, e che riconosce in quelle scelte decorative, sia nelle architetture sia negli oggetti, dei valori identitari alternativi, nei loro caratteri storicisti o pseudo tali, rispetto a ciò che stava avvenendo a livello europeo con l’affermarsi di un nuovo orizzonte del gusto, orientato ad un gusto decorativo ispirato alla vitalità della natura, all’interno della “rivoluzione modernista”. 

Tra le attività del settore ceramico che, più di altre, basano la propria fortuna sul revival storico e possono vantare una relazione privilegiata con l’elite anglosassone figurano la manifattura Cantagalli e la manifattura Ginori di Doccia. Ulisse Cantagalli, convinto sostenitore delle teorie morrisiane ispiratrici dei londinesi Arts & Crafts, promuove, dal 1878, una produzione eccellente, rispetto alla tradizione famigliare in origine più specializzata nella cottura delle terre che nella produzione di ceramiche artistiche, riorganizzando gli ambienti di lavoro, predisponendo gli spazi per la decantazione, la battitura, la lavorazione al tornio, le fornaci per il biscotto, per il terzo fuoco e diverse muffole per smalti e vernici.

Se la Cantagalli continua per diversi decenni a offrire al pubblico una produzione esclusivamente incentrata sul revival del patrimonio quattrocentesco e rinascimentale, la manifattura Ginori, già sul finire degli anni settanta dell’Ottocento, mostra una maggiore attenzione verso le innovative istanze moderne che iniziano ad emergere nelle esposizioni universali e nazionali, ma, a causa di problemi gestionali mai risolti, viene acquistata dall’industriale ceramico milanese Augusto Richard e nel 1896 nasce la Società Ceramica Richard-Ginori.

L’Arte della Ceramica: “qualcosa di nuovo”

Secondo le testimonianze autobiografiche è questo il motivo che spinge Galileo Chini, verso la fine del 1896, a fondare, assieme a Giovanni Montelatici, Vittorio Giunti e Giovanni Vannuzzi, la manifattura L’Arte della Ceramica con l’ambizione di rinverdire i fasti dalla ceramica smaltata e invetriata dei Della Robbia, ma declinandola entro le linee del gusto moderno sia nella produzione di vasi ornamentali e oggetti di arredo domestico, sia negli apparati decorativi architettonici, e scegliendo, strategicamente, di aprirne il negozio in via Tornabuoni. Dunque, così come Ulisse Cantagalli sceglie di porre la propria sala espositiva a fianco dei propri laboratori per poter legare la propria immagine commerciale a un tipo di lavoro percepito come artigianale e quindi autentico, Galileo e i suoi soci scelgono di consolidare un’immagine moderna e internazionale di L’Arte della ceramica attraverso un punto vendita arredato secondo le linee del gusto art nouveau e nel cuore commerciale della Firenze contemporanea. Sempre nel 1896, uno dei soci, Giuseppe Montelatici, ispirandosi alla rivista d’arte “Gil Blas” avvia la pubblicazione del settimanale “Fiammetta”, nella quale pubblicano Ojetti, Angeli, Bontempelli e molti altri, con illustrazioni ideate da Kienerk, Fabbri, Signorini e Chini, ispirate ai modelli simbolisti e secessionisti europoei.

“Vittorio Giunti diventò il nostro direttore tecnico, io il direttore artistico, Giovanni Montelatici e Giovanni Vannuzzi i primi esecutori […] Vittorio fu l’ingegnere costruttore della piccola fornace nel cortile, io avevo già fatto le sagome dei vasi e pensavo già a queste e alla decorazione di darle un carattere proprio, vi erano già in Italia e in Firenze fabbriche di grande valore, a Firenze come Cantagalli, perciò il seguitare delle varie epoche si doveva escluderlo e cercare qualcosa di nuovo e intonato ai nostri tempi”.

Da queste considerazioni risulta evidente quanto l’esigenza di dar vita ad una manifattura ceramica di questo genere non sia tanto una sorta di revanscistico orgoglio locale a fronte del passaggio della gloriosa Ginori ad una proprietà industriale milanese, quanto dalla lucida consapevolezza che un’azienda ceramica, nata come cooperativa secondo il modello morissiano, capace di unire competenze tecniche artigianali di alto livello, sperimentazione tecnologiche prese da esperienze industriali, intelligenza creativa fondata su un’eccellente conoscenza dei repertori decorativi storicisti, ma aggiornata sui modelli pittorici moderni e sulle novità del gusto modernista, potesse avere la possibilità di aprire un nuovo mercato, soprattutto internazionale, connotando la propria produzione con la qualità della tradizione italiana declinata secondo i parametri dello stile moderno.

A questa fase appartengono maioliche e ceramiche smaltate e invetriate di diversa ispirazione che rivelano quanto le fonti iconografiche e stilistiche siano ancora venate di qualche sfumatura storicista che velocemente si stempera in formulazioni organicamente più affini agli stilemi art nouveau anche se la pittura preraffaellita risulta essere la matrice più riconoscibile in questa fase di avvio delle invenzioni pittoriche di Galileo per la manifattura ceramica. Alla produzione di piatti ornamentali con soggetti femminili ispirati alla pittura preraffaellita e ad una sorta di linea neobotticelliana [1], successivamente arricchita dall’impiego dei lustri metallici e proseguita fino a tutti gli anni Venti, si affiancano vasi a forma di anfora le cui anse sono plasticamente modellate come serpenti che attorcigliano il proprio corpo, ispirate alle maioliche rinascimentali, con un fregio pittorico nel quale profili femminili e di fauni o una coppia di centauri si alternano su un fondo di paesaggio o, più modernamente, gli elementi plastici si sciolgono in decori pittorici in cui gli elementi floreali si dispongono sulla superficie del vaso in modo asimmetrico, come nastri avvolgenti, decisamente modernisti. […]

[1] Piatto decorativo con testa femminile e girasoli, 1896-1898, Arte della Ceramica, collezione privata

Tra il 1898-1900 L’Arte della Ceramica avvia l’esecuzione di pannelli ornamentali, costituiti da piastrelle dipinte, nei quali profili e volti preraffaelliti si stagliano su girali di foglie e fiori [2], e di vasi nei quali la struttura decorativa, di soggetto floreale, non è solamente un abbellimento di forme tradizionali, ma spesso ne determina la trasformazione espandendosi plasticamente  nelle anse e nelle imboccature dando vita ad un’organica relazione tra corpo plastico e decorazione pittorica. Il segno è sempre preciso, graficamente rilevato, e gli elementi naturalistici, ordinati in ritmiche composizioni che rimandano ai tessuti prodotti su disegno di William Morris e Walter Crane per gli Arts & Crafts, assumono talvolta l’effetto “colpo di frusta” e una sorta di lineare semplificazione affine a certe proposte della grammatica secessionista monacense, documentata nelle pagine della diffusissima rivista “Jugend”.

[2] Pannello ceramico con due teste femminili fiori e grappoli d’uva, 1898-1902, Arte della Ceramica, Galleria Expertise di Cinelli Marzio

Così la pittura risulta stesa sulle superfici sia in campiture uniformi, perfettamente circoscritte da una sottile line di contorno, sia per piccoli tocchi di pennello, più o meno ravvicinati, allo scopo di creare effetti di sfumato affini alla pittura vera e propria, magari con l’impiego di lustri, come nei piatti in cui il volto di una sirena, o di una ninfa o di una giovane donna, si gira a guardare lo spettatore e la cui espressione stupita e venata di malinconia è resa nello sfumare della guancia e dello zigomo e dalle ciocche di capelli mosse che sembrano metamorfizzarsi in una sorta di avvolgente moto ondoso.

I riconoscimenti nazionali e internazionali

La prima partecipazione della giovane manifattura ad un evento espositivo nazionale è quello alla Prima esposizione di arte decorativa moderna, organizzata a Torino nel 1898, nella quale essa ottiene la medaglia d’oro, a pari merito con le manifatture toscane Cantagalli e Bondi di Signa, le quali, però, presentano ancora un repertorio storicista ed eclettico dando la misura di quanto la battaglia tra gusto storicista e stile moderno non sia ancora terminata.

Tuttavia, le novità proposte da Chini vengono immediatamente colte dai più avveduti critici del momento, ossia Leonardo Bistolfi, Ugo Ojetti, Enrico Thovez e, in particolare, da Anna Piccola Menegazzi che, con lo pseudonimo di Mara Antelling, pubblica un significativo intervento nella rivista  “Arte Italiana Decorativa e Industriale” che sottolinea la perfetta corrispondenza delle invenzioni ceramiche di Galileo Chini con il gusto modernista già ben delineato anche in Italia: “Chi ha dato un vero tuffo nel moderno attingendo però a piene mani alle sottili gentilezze del preraffaellismo e specialmente alle grazie del Botticelli è stata la Società Fiorentina “L’Arte della Ceramica”.

Anche qui una tavolozza calma, fresca, nell’intonazione tenera dei versi. Nessun stridore, un’abbondanza di gialli pallidi, di azzurri, di violetti, di rosa tenacissimi. Una fioritura larga uno spampanamento di petali che si adagiano nelle corrette forme dei vasi, forma svariatissime, le quali vanno dalle anfore e dai boccali di birra ad uso di Fiandra, fino agli orci medicei. In mezzo alla decorazione floreale di iridi e di papaveri verdi o gialli, spiccano i profili virginei di teste femminili, di delicatezza eterea, o ridono satiri, di un riso diabolico, contrasto violento con la dolcezza dei visi muliebri”.

Del resto, Sem Benelli nel gennaio del 1899 di “Emporium” (1899, pp. 74-78) attesta ulteriormente quanto i nuovi linguaggi stilistici di impronta modernista si siano ormai radicati definitivamente anche in terra toscana e quanto le invenzioni di Chini siano la punta di diamante di questa scelta. L’ulteriore affermazione, questa volta internazionale, con l’ottenimento del Grand Prix d’Honneur per le arti decorative e la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, conferma il successo, anche commerciale, della manifattura fiorentina avendo in questa occasione affiancato alla produzione di vasi, cache-pot e brocche o versatoi, piastrelle per rivestimenti sia di esterni sia di interni.

Anche se il successo non stabilizza i bilanci della cooperativa, il 7 marzo 1898 L’Arte della Ceramica raggiunge la sua definitiva costituzione legale come “società”, abbandonando la sua prima natura di “cooperativa”. Tale cambiamento, però, genera a sua volta risentimenti tra chi, come Montelatici, crede ancora fortemente nella possibilità di continuare un’attività dettata esclusivamente da fratellanza e comunione d’intenti. È proprio a causa del progressivo allontanamento di Montelatici che, dal marchio di fabbrica, scompare il simbolo delle mani intrecciate, emblema della fraterna amicizia dei quattro fondatori e caratteristica delle segnature di tutti i manufatti che vengono prodotti entro e non oltre il 1898; permane invece, fino al 1909, quando ormai nessuno degli iniziatori dell’attività è più presente nella manifattura, il simbolo della melagrana con il monogramma “ADCF” o “ADC”. 

Una matrice ancora artigianale fra tradizione e modernità

Galileo Chini ricopre il ruolo di direttore artistico della manifattura L’Arte della Ceramica tra il 1897 e il 1904, la quale, in contemporanea con l’esposizione di Torino del 1902, assume la denominazione di Ceramica Fontebuoni. Le sue invenzioni, dai grandi vasi decorativi ai piatti da parata, dalle ciotole alle anfore, sono una testimonianza, come si è detto, dell’influsso della pittura preraffaellita e dei modelli morissiani nella cultura dell’arte decorativa italiana, per la quale i valori fondativi sono la dimensione artigianale del lavoro, l’indissolubile unità tra arte e vita, l’idea della sostanziale unicità dei singoli pezzi che, seppur prodotti serialmente, vengono decorati a mano.

Ciò dimostra, al di là delle prese di posizione teoriche, quanto l’Italia sia ancora lontana, a queste date, dall’idea di industrializzazione e di produzione meccanica dei pezzi, come invece già avviene in Germania nell’ambito del Deutscher Werkbund. Del resto è significativo che Chini proponga un vastissimo repertorio di forme e di tecniche decorative che spaziano dalle citazioni della gloriosa stagione rinascimentale della maiolica italiana, come le anse anguiformi o fitomorfe che divengono un continuum con la parte pittorica, all’impiego dei lustri metallici, già del resto proposti dalla manifattura fiorentina di Ulisse Cantagalli a partire dal 1878, dai repertori naturalistici di insetti, fiori e piante palustri ai motivi stilizzati della coda di pavone [3], del fiore di cardo, della palmetta, fino ad arrivare a decori squisitamente grafici o, al più, di ispirazione alla ceramica greca arcaica, con i vasi in grès decorati con la tecnica al sale in blu o in verde su fondo chiaro che Galileo continuerà a produrre anche nella nuova manifattura Fornaci di San Lorenzo, gestita insieme ai cugini fino al 1925. Negli stessi anni, altri centri produttivi in Italia cercano di adottare la nuova formula decorativa modernista, per quanto in ritardo rispetto alla media europea, ma senza coglierne la profonda ventata di rinnovamento linguistico e tecnico, anche per la sostanziale separazione della produzione ceramica, tranne i rari casi di Cantagalli, Chini e delle manifatture milanesi, dalla contemporanea invenzione architettonica. […] 

[3] Vaso a bulbo con “occhio di penna di pavone”, 1919-1925, Fornaci Borgo San Lorenzo, MIC Faenza, inv. n. 20190

La contrapposizione, ma anche la continuità, fra tradizione e modernità, è ben rappresentata dalla personalità artistica di Galileo Chini, ma su questo tema si assiste anche ad un vivace confronto sul piano teorico da parte di Agnoldomenico Pica, Alfredo Melani, Enrico Thovez, Roberto Papini, Adolfo Venturi e Ugo Ojetti, benché ognuno di loro, con sfumature diverse, sostenga la medesima necessità per lo sviluppo delle arti decorative italiane, di un’articolata e moderna formazione per gli artigiani, dell’organizzazione di esposizioni nazionali e internazionali per diffondere sia il gusto del bello sia il mercato, la creazione di repertori di riferimento, l’adozione da parte delle manifatture, anche industriali, di un direttore artistico che garantisca la qualità e l’originalità della produzione e una sostanziale fusione tra le arti, in altre parole l’adozione rigorosa di uno stile moderno con risvolti anche di educazione sociale e di recupero delle tradizioni e  dei valori popolari. […]

Le Fornaci San Lorenzo e la nuova stagione creativa

Il nuovo assetto societario dell’Arte della Ceramica voluto dal maggior finanziatore della manifattura, il conte ferrarese Vincenzo Giustiniani, induce, nel 1904, alle dimissioni di Galileo, in qualità di direttore artistico, seguito dal cugino Chino, direttore tecnico, nel 1905. Tuttavia, sulla base delle esperienze maturate e dei riconoscimenti ottenuti, i Chini decidono di investire nell’apertura di una propria manifattura industriale ceramica e vetraria (grande passione di Chino) nel Mugello, a Borgo San Lorenzo, che prende il nome di Fornaci San Lorenzo e che sceglie come marchio, ironicamente, la griglia stilizzata evocante il martirio del santo eponimo.

Inizia così una nuova stagione creativa di Galileo che elabora una serie ricchissima di disegni per le decorazioni sia delle maioliche a lustri, sia dei grès: si tratta di progetti ornamentali per vasi, anche di monumentali dimensioni, cache-pot, ciotole, alzate, versatoi, contenitori di varia foggia, calamai e rivestimenti in piastrelle sia dipinte a lustri, sia modellate plasticamente e smaltate. Il repertorio si è fatto estremamente stilizzato, al limite del decoro geometrico, e a tratti astrattizzante, scegliendo talvolta smalti monocromi entro una griglia rigorosamente cartesiana. 

I temi fitomorfi risultano aver perso l’andamento flessuoso e avvolgente per assestarsi in composizioni simmetriche, arcaicizzanti, specie nei grès al sale dipinti con il blu cobalto (eseguiti sotto l’attenta perizia tecnica di Chino) e nei quali i motivi sono ripresi dalla ceramica greca arcaica, nella regolare divisione orizzontale in fasce ornamentali, oppure si presentano come tappeti musivi certo suggeriti dall’onda lunga del lessico secessionista, soprattutto austriaco, e dall’impatto che su Galileo hanno le scelte decorative e compositive presenti nelle opere mature di Gustav Klimt esposte alla Biennale veneziana (1910) e alla mostra internazionale del cinquantenario del regno a Roma (1911) [4].

[4] Vaso con rose stilizzate, 1906-1911, Fornaci Borgo San Lorenzo, collezione privata Pistoia

L’orizzonte decorativo di Chini aveva già iniziato a virare, intorno al 1902, verso una grammatica secessionista sua propria in cui confluiscono non solo suggestioni da Monaco e da Vienna, ma anche suggerimenti provenienti dalla profonda conoscenza delle xilografie e dei repertori pittorici giapponesi e da una specifica evoluzione interna dei temi fitomorfi e zoomorfi che si liberano definitivamente di cadenze asimmetriche e avvolgenti […] in favore di quella geometrizzazione del segno e di quell’esuberanza decorativa che sono un preludio al gusto art déco. A partire dalla fine degli anni Dieci, Chini propone per la manifattura Fornaci San Lorenzo invenzioni decorative rinnovate e nutrite dalla straordinaria esperienza in Oriente che Galileo vive tra il 1911 e il 1913 durante il monumentale cantiere aperto a Bangkok per la decorazione del palazzo Reale di re Rama VI. […]

La stagione Déco e il ritorno alla pittura

L’approdo ad un maturo e specifico lessico déco lo si ha con la progettazione e la realizzazione dell’apparto decorativo (maioliche, vetrate, pitture murali, superfici musive, ferri battuti, arredi) per lo Stabilimento Termale Lorenzo Berzieri a Salsomaggiore Terme, impresa conclusasi nel 1923, nella quale eredità secessioniste e klimtiane ed esuberanze orientali si sposano in uno dei più affascinanti esempi dell’Art Déco italiana, ma la parabola dell’impegno nell’ambito della produzione ceramica di Galileo Chini si sta concludendo. Gli atti finali coincidono, simbolicamente, con la codificazione internazionale del gusto déco, ossia la Seconda Biennale delle arti decorative di Monza e, soprattutto, l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi, ambedue nel 1925. 

Dopo queste due esperienze espositive e con la proposta di opere originali per tenuta decorativa e intelligenza creativa, Galileo decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura, probabilmente un desiderio che coltivava da un po’ di tempo, lasciando la manifattura di famiglia che viene presa in carico dai figli di Chino, Tito e Augusto, e per la quale quest’ultimo, in particolare, si impegna nella rinnovo del campionario, sostanzialmente adattandolo ad una produzione industriale in cui spesso riemergono ancora echi dei disegni e delle proposte decorative di Galileo che restano nell’archivio della manifattura.

Nella pittura di cavalletto e nella grande decorazione Chini adotta, fin dai primissimi anni del Novecento, la tecnica del Divisionismo, su modello di Previati, Segantini, Pellizza da Volpedo, ricorrendo però agli stilemi lineari e avvolgenti e alle composizioni asimmetriche tipici delle secessioni europee; del resto, già nel 1904 aveva esposto alla Secessione di Monaco. Galileo Chini, nel corso della sua inesausta attività, ha collaborato con scultori e architetti tra cui Domenico Trentacoste, Edoardo De Albertis, Guido Calori,  Sirio Tofanari, Ugo Giusti, Adolfo Coppedè, Giovanni Michelazzi, Alfredo Belluomini; così come nel settore della scenografia ha avuto stretti rapporti di amicizia e di collaborazione con Sem Benelli e con Giacomo Puccini, per il quale mette a disposizione la sua originale esperienza in Estremo Oriente per l’allestimento scenico dell’opera Turandot nel 1926. Muore nel 1956, dopo un trentennio dedicato pressoché esclusivamente alla pittura, nella sua casa fiorentina. 

Per approfondire

Una mostra per Galileo Chini
A Galileo Chini, inventore di ceramiche d’arte, che ha attraversato con intelligenza creativa e in quasi un trentennio le radicali trasformazioni del gusto e le complesse relazioni tra arte e industria che hanno caratterizzato il dibattito critico europeo sulla sostanza, la funzione e lo status delle arti decorative tra il 1890 e il 1925, il Museo Internazionale della Ceramica MIC di Faenza ha voluto dedicare una grande mostra co-curata dallo storico dell’arte Valerio Terraroli e dalla direttrice del Museo, Claudia Casali, con l’obiettivo di evidenziare e mettere in luce, pur nella sua poliedrica attività, lo specifico della ceramica d’arte di Galileo Chini. In questa occasione vengono presentati al pubblico, fino al 14 maggio 2023, circa 300 pezzi, tra ceramiche e disegni, espressioni del complesso e fascinoso universo creativo di un artista/designer protagonista delle mutazioni dell’arte italiana tra Simbolismo, Liberty, Secessione ed Art Déco.

Il MIC
Il Museo internazionale della ceramica MIC di Faenza è la più importante raccolta al mondo dedicata alla ceramica: ospita 60mila opere, che vanno dai 4000 anni a.C. ai giorni nostri. Comprende opere della penisola italiana dal Medioevo all’Ottocento, del Vicino Oriente Antico, di area mediterranea in epoca ellenistica, manifatture precolombiane e islamiche. Un’ampia sezione è dedicata alla ceramica moderna e contemporanea. A cadenza biennale, il museo promuove un concorso internazionale di ceramica artistica, che gli consente di ampliare le sue raccolte con opere provenienti da tutto il mondo.

In copertina: Piatto ornamentale con testa femminile e pavone, 1898-1902, Arte della Ceramica, collezione privata

Il Natale nella Letteratura

La letteratura è piena di riferimenti al Natale e all’ultima parte dell’anno, dall’atmosfera tanto magica e suggestiva per tutte le età. La rivista di questo mese vi propone schede pronte da utilizzare in classe per parlare del Natale attraverso romanzi, poesie e molto altro.

Blockchain II: garantire la sicurezza

In un recente articolo abbiamo presentato alcune caratteristiche di base di una blockchain. In questo proseguiamo idealmente il discorso e ci concentriamo su come si possa garantire la sicurezza delle blockchain, riferendoci in particolare a quella di Bitcoin ma premettendo che le opzioni possibili sono diverse.

Crittografia a chiave pubblica/privata

La sicurezza delle operazioni elencate nei blocchi di una blockchain è tendenzialmente basata su un sistema crittografico asimmetrico: ciascun utente inserisce le proprie transazioni nei blocchi della catena, ordinandole e poi firmandole attraverso la propria chiave privata (che resta segreta, in possesso del firmatario), mentre l’autenticità delle operazioni può essere verificata utilizzando la chiave pubblica del firmatario di una certa operazione (che è nota a tutti gli utenti della blockchain). Questo meccanismo consente pertanto di garantire l’autenticità dell’autore di ciascuna transazione.

Integrità dei blocchi

Il meccanismo di identificazione e connessione dei blocchi garantisce invece la loro integrità: ciascuno di essi ha una propria “impronta digitale” (che si chiama hash ed è utilizzata come identificatore) e “punta” al blocco che lo precede nella catena, memorizzandone proprio l’impronta digitale stessa.

Nell’immagine, una rappresentazione dei blocchi della blockchain e del sistema di puntamento.

L’hash associato a ogni blocco si può determinare grazie a un’apposita funzione crittografica di hash, ovvero una funzione che preso in input il contenuto di un blocco genera rapidamente un output di lunghezza fissa, che cambia completamente se viene effettuata anche una sola minima variazione al contenuto del blocco. Inoltre, la funzione deve essere anche difficile da invertire, nel senso che deve risultare computazionalmente intrattabile il problema di risalire a un input che abbia generato un certo output.

Con questo stratagemma, è facile verificare se il puntamento dei blocchi è corretto e se i blocchi subiscono variazioni nei contenuti o nell’ordine, rendendo sostanzialmente impossibile modificare blocchi già inseriti nella blockchain (se non altro, senza il consenso della maggior parte degli utenti).

Ci resta ancora da capire come funziona il meccanismo di consenso per l’aggiunta di blocchi validi e di considerare l’impatto ambientale che ha avuto la nascita di Bitcoin. Di questo, però, tratteremo nel prossimo articolo.

Approfondimenti

Un articolo più approfondito sulle blockchain:

Un sito dove trovare spiegazioni su come funzioni BitCoin, con vari livelli di difficoltà: da uno elementare ad uno molto tecnico:

La sostenibilità delle produzioni animali

Il mese di novembre 2022 verrà ricordato per il raggiungimento di 8 miliardi di abitanti a livello mondiale (ONU, 2022).

L’aumento della popolazione deve necessariamente confrontarsi con l’approvvigionamento alimentare e con le conseguenze dei cambiamenti climatici.

L’accordo di Parigi del 2015 fissa i limiti da rispettare, accordati a livello globale da 195 Paesi, per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C, indicando di tagliare i modelli insostenibili di produzione e consumo che interessano anche il comparto zootecnico.

La sostenibilità degli allevamenti zootecnici è argomento di estrema attualità in quanto i consumatori poco informati percepiscono che gli alimenti di origine animale siano impattanti per l’ambiente e dannosi per la salute (Leroy et al., 2022).

Gli alimenti di origine animale presentano qualità e valori nutrizionali indubbiamente elevati (Ruminantia, 2022). Da un punto di vista dell’ambiente, invece, non c’è dubbio che le produzioni zootecniche siano fonte di un impatto ambientale importante ma, allo stesso modo, sostenibile.

Le principali fonti di impatto ambientale degli allevamenti, in particolar modo dei ruminanti sono:

  1. emissione di gas climalteranti (CO2, CH4 e NO2);
  2. emissione di NH3 in atmosfera e rilascio dei nitrati nelle acque;
  3. consumo delle risorse idriche.

Il sistema zootecnico nazionale è il responsabile del 65% del totale delle emissioni del settore agricoltura (con 19.872 mila tonnellate di CO2) ma, allo stesso tempo, rappresenta solo il 5,2% delle emissioni totali italiane che derivano dai diversi settori produttivi (ISPRA, 2020). 

Nel corso degli ultimi 50 anni, grazie al miglioramento genetico e alle tecnologie applicate in zootecnia gli allevamenti intensivi degli animali hanno evidenziato una forte riduzione dell’emissione di inquinanti nell’ambiente (40% di gas climalteranti in meno prodotti dal 1970 a oggi).

Altro fattore a favore delle produzioni zootecniche è che il carbonio emesso dai gas di fermentazione è biogeno, ovvero deriva dalla fissazione nei vegetali a opera dei processi di fotosintesi. Questo carbonio viene ingerito dagli animali e riemesso in atmosfera per poi essere nuovamente fissato dai vegetali in un ciclo biologico continuo (Ronchi et al., 2021). Il carbonio emesso dall’utilizzo dei combustibili fossili, invece, deriva dalla sua fissazione nel sottosuolo avvenuta in centinaia di milioni di anni.

Questo ciclo biologico, a differenza di quello animale/vegetale, diventa troppo lungo perché il carbonio rilasciato in atmosfera ritorni nel sottosuolo; questi gas rilasciati, quindi, rimangono in atmosfera contribuendo in modo significativo all’effetto serra. Ciononostante, le filiere zootecniche del settore agricolo, rimangono le principali responsabili delle emissioni dei gas climalteranti del settore agricolo.

Ma come intervenire per ottenere allevamenti e stalle ancora più sostenibili? 

Cozzi e Dorigo nel 2022 hanno elencato una serie di strategie per raggiungere questo obiettivo. 

La prima risposta deriva dalla capacità dei ruminanti di nutrirsi con alimenti non utilizzabili dall’uomo (foraggi e prodotti ricchi in fibra), trasformandoli in alimenti per l’uomo con altissimo valore biologico. Si tratta quindi di un riutilizzo in alimentazione animale dei sottoprodotti della lavorazione degli alimenti per l’uomo al fine di ridurre gli sprechi. 

La gestione delle superfici agricole volta all’autoproduzione di alimenti per gli animali migliorerebbe l’efficienza aziendale (miglioramento della fertilità del suolo, gestione dei reflui e contenimento dell’utilizzo di acqua).

Il miglioramento genetico degli animali, l’utilizzo di alimenti altamente digeribili e la formulazione di diete che soddisfino i fabbisogni degli animali, evitando gli eccessi di nutrienti che altrimenti verrebbero eliminati con le deiezioni, possono contribuire in modo importante alla diminuzione dell’impatto ambientale degli allevamenti. 

Video consigliato

Le Wanderlust : une « maladie » moderne?

Noël approche à grands pas et les vacances aussi. 

Malgré la sobriété énergétique imposée par les pénuries de gaz dues à la guerre en Ukraine, les vitrines des commerces se préparent à offrir à chacun de nous des idées et des expériences pour célébrer, de façon stimulante et positive, la fête la plus importante de l’année. À côté des attachés à la tradition « sapin-santons», depuis quelque temps on trouve aussi les « malades » du syndrome de Wanderlust, qui font du lèche-vitrines devant les agences de voyage !

Savez-vous de quoi il s’agit ? Voyons ensemble !

Il faut souligner qu’il s’agit d’un mot d’origine allemande et que ce n’est pas un néologisme. Utilisé par les Romantiques allemands, grâce à la fusion de wandern (faire de la randonnée) et lust (envie), il passe tel quel dans la langue anglaise au début du XXe siècle et désigne l’ « envie  de voyager », le « désir de découvrir le monde ». Aujourd’hui le mot Wanderlust est très à la mode sur les réseaux sociaux : Facebook et YouTube offrent plusieurs témoignages de « malades » qui racontent leur angoisse devant la routine quotidienne, leur désir effréné d’organiser des voyages et de découvrir les pays du monde.

Coincées entre le lourd poids d’un passé pas trop heureux et l’inquiétude du futur, les personnes qui éprouvent cette passion insatiable pour les voyages, longs ou courts, dans le pays ou à l’étranger, en font ainsi une exigence fondamentale dans leur vie et leur personnalité. Cependant, comme le disait déjà Marcel Proust, il ne faudrait pas oublier que « le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux ». Voilà un intéressant sujet de discussion à aborder avec nos élèves.

Mais revenons à nous : vous êtes « sapin-santons » ou « passeport-valise » ?

Bibliographie

Sur le Wanderlust :

Sur les traditions de Noël :

Sur la sobriété énergétique :

Activités à proposer aux élèves pour dynamiser son cours

  • Réaliser une interview vidéo dans son collège autour du mot Wanderlust et la publier sur le site de l’école.
  • Créer un sondage sur les traditions de Noël, en France et dans le pays des élèves étrangers, et enregistrer les résultats avec Powtoon. Publication sur le site de l’école.
  • À la maison, faire réaliser une recette traditionnelle de son pays, l’enregistrer et ajouter les sous-titres français. Publication sur le site de l’école.

Ripartiamo dal laboratorio: proposte per la matematica

Da settembre 2022, via le mascherine, niente più distanziamento sociale, niente più DAD. Ma siamo sicuri che sia davvero tutto come prima? Che questi due anni non abbiano lasciato traccia sui nostri alunni e sul loro modo di stare al mondo?  Se andiamo a esaminare i risultati di diverse indagini, il quadro che riceviamo è davvero preoccupante.

“ I Servizi hanno purtroppo dovuto assistere negli ultimi anni a un inarrestabile e preoccupante aumento dei disturbi psichiatrici nell’infanzia e nell’adolescenza, (…) L’attuale emergenza pandemica e il trauma sociale conseguente si sommano alla grave crisi già esistente (…)” (Appello dei medici Neuropsichiatri Infantili delle Regioni Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria sull’emergenza adolescenza – Lettera aperta – 8/6/21)

Si sono aggravati, infatti, alcuni fattori di rischio per la salute fisica e mentale degli adolescenti. Tra questi merita particolare attenzione l’uso eccessivo dei social media che ha portato, tra le altre cose, a un uso precoce e massivo di contenuti pornografici e all’instaurarsi, più frequentemente tra le adolescenti, di un rapporto non sereno con il proprio corpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Date queste premesse, cosa possiamo fare a scuola?   

Sicuramente mettere in campo azioni che favoriscano la motivazione, la curiosità e gli aspetti relazionali:  tutto quanto possa aiutare i ragazzi a “stupirsi” e ad abbandonare uno stile di vita centrato “sull’io” a favore di uno stile centrato “sul noi”. Una metodologia adatta a rispondere a queste esigenze può rilevarsi quella basata sulle attività di laboratorio. Un approccio che noi esaminiamo dal punto di vista matematico, ma che riguarda tutte discipline.

Ma che cosa si intende per laboratorio?

Una qualsiasi situazione didattica che consente all’alunno di essere protagonista del proprio apprendimento. Un “luogo” di costruzione del sapere, dove si registrano dense relazioni affettive e che: 

  • consente di modificare i ruoli tradizionalmente assegnati agli alunni e ai docenti;
  • favorisce la costruzione delle conoscenze attraverso il “fare”;
  • crea occasioni di apprendimento cooperativo;  
  • favorisce lo sviluppo di relazioni, interazioni e linguaggi

Il laboratorio, quindi, inteso come metodo che rispetta l’idea di fondo di creare contesti di apprendimento motivanti e collaborativi.  Una proposta metodologica che per essere incisiva non deve essere sporadica o improvvisata.  Le attività di laboratorio, infatti, vanno progettate tenendo conto di alcuni elementi caratterizzanti:

  • il titolo, che deve da subito catturare l’attenzione e creare affettività verso il compito;
  • il contenuto, riferito a uno dei quattro nuclei fondanti; 
  • l’organizzazione della classe e degli spazi;
  • l’elenco del materiale necessario;
  • la situazione nella quale devono lavorare i ragazzi (situazione problematica in contesto reale, problem solving, situazione in cui è necessario costruire ed esplorare un modello, …);
  • i traguardi e le competenze attesi, riferiti a quanto esplicitato nelle Indicazioni Nazionali e nel curricolo di Istituto;
  • un momento di valutazione, che deve coinvolgere sia il docente sia l’alunno.  

Le attività, inoltre, devono prevedere domande stimolo, piuttosto che fornire facili risposte preconfezionate. Non dobbiamo dimenticare che è nostro compito sostenere l’apprendimento e consentire a tutti di partecipare, favorendo così l’autostima di ciascuno. Per riuscirci dobbiamo spostare il centro dell’azione da noi all’alunno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il laboratorio, dunque, può diventare uno strumento utile e potente nelle nostre mani per raggiungere l’obiettivo dello “star bene a scuola” e contrastare i fattori di rischio che in questo nostro tempo rendono tanto fragili gli adolescenti.

Per approfondire

Scopri l’opera

  • Tangram, di L. Ferri, A. Matteo, E. Pellegrini – Fabbri Editore – Rizzoli Education, 2020