All’inizio di febbraio si celebra la giornata contro il bullismo e il cyberbullismo. Questo argomento, in realtà, ha bisogno di essere affrontato con costanza durante il corso dell’intero anno scolastico e non di essere affrontato in una semplice giornata. Sul vocabolario online di Treccani il termine bullo viene così descritto: “Atteggiamento di sopraffazione sui più deboli, con riferimento a violenze fisiche e psicologiche attuate specialmente in ambienti scolastici o giovanili.”
Partendo da questa definizione, la nostra azione educativa dovrà essere volta a lavorare con i bambini su diversi aspetti tra cui:
la psicologia e le motivazioni del bullo;
le emozioni della vittima;
gli altri attori del binomio: i compagni che osservano in silenzio;
l’importanza di fare gruppo per contrastare il bullo.
Tutti questi aspetti, ugualmente importanti, possono essere affrontati insieme o uno alla volta. Il nostro consiglio è quello di utilizzare delle storie stimolo che possano aiutare i bambini e le bambine a immedesimarsi nelle situazioni e ad empatizzare con le varie situazioni.
L’anno scorso, avevamo trattato l’importanza di fare gruppo per contrastare il bullo attraverso la storia “Il bullo citrullo” di Alberto Pellai che proponeva la rabbia verso le ingiustizie come motore per l’aggregazione dei bambini. Quest’anno invece vogliamo porre l’accento sui sentimenti di tristezza, inadeguatezza e vergogna che prova il bambino o la bambina vittima di atti di bullismo. Per farlo abbiamo scelto la fiaba “Il brutto anatroccolo” di Hans Christian Andersen e lo stile grafico dei futuristi.
Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:
prima parte: lettura espressiva della storia;
seconda parte: presentazione del lavoro;
terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il manifesto gentile.
Video
MATERIALI AGGIUNTIVI
LE AUTRICI
Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.
Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.
Per concludere questa piccola carrellata non poteva mancare Ulisse: “Ora brucio con tre punte in una di tre cantiche”: Ulisse fra Aeneis ed Infernum. Non si tratta del πολύτροπος omerico ma dello scelerum inventor virgiliano, che, assieme al personaggio evocato da Macareo nelle Metamorfosi ovidiane, ha dato spunto all’Ulisse dantesco.
Invero l’idea dell’approfondimento è nata un po’ “al contrario” rispetto alle altre, direi dallo “spin off” al nucleo originario. Mi è capitato infatti di dover trattare l’Ulisse dantesco e i suoi influssi nella letteratura italiana soprattutto di fine Ottocento, inizio Novecento. Ne sono scaturiti una presentazione in slide e un articolo pubblicato sulla rivista “Ideas” 7 (2021), liberamente scaricabile da internet, che fornisco appunto nei materiali. In essi si segue l’evoluzione della figura dell’eroe caratterizzato dalla sete di conoscenza in autori quali Graf, ispiratosi a Tennyson, D’Annunzio, Pascoli, Gozzano e Saba. Al fascino della sua irrequietezza, tuttavia, non è rimasta immune nemmeno la musica leggera, come attestano cantautori quali Guccini, Claver Gold e Murubutu.
Nella proposta centrale, invece, si prende in esame il personaggio descritto nell’Eneide di Virgilio e interpretato dalla sua esegesi, che, come detto, ha delle caratteristiche decisamente meno positive: nel secondo libro compare infatti come l’artefice dell’inganno del cavallo, ma viene presentato nel falso racconto di Sinone, che invero ne costituisce una sorta di alter ego, come un nemico personale, falso e malevolo. Nel terzo, invece, lo cita Achemenide, senza rancore, come infelix: nelle peregrinazioni dopo la caduta di Troia Enea si trova in prossimità dell’isole dei Ciclopi e salva il Greco dimenticato dai compagni sul posto, dopo l’accecamento di Polifemo.
Ovidio nelle Metamorfosi rivisita secondo il suo stile il personaggio, emulando sicuramente l’Eneide, ma nella prospettiva di un’innovazione anche del codice epico. Così Ulisse, che parla in prima persona nell’armorum iudicium contro Aiace, non rinnega la sua sagace eloquenza ed anche la sua capacità ingannatoria: sono queste le doti fondamentali che hanno sostituito la virtus muscolare dei nuovi eroi. Nel racconto di Macareo, poi, Ulisse appare come l’ultor, colui che ha liberato i compagni dalla bestialità cui li aveva condannati la maga Circe, ma, di fronte alle ancipites vias preconizzate dalla maga stessa prima della partenza (e forse alla base del viaggio divergente cantato da Dante), anche Macareo ha rinunciato alla sete di avventura dell’Ulisse omerico, per cercare un porto sicuro.
Obiettivi
Nell’ambito delle competenze di latino:
In un’opera fondamentale del periodo augusteo, l’Eneide virgiliana, analisi di un personaggio secondario che tuttavia ha influenzato la letteratura successiva, per esempio la Divina Commedia di Dante.
Prima ripresa dell’opera e del personaggio in un autore quasi coevo, Ovidio: punti di contatto e differenze in una presentazione di Ulisse che a sua volta ha influito sulla figura dantesca.
Excursus sulla letteratura tecnica latina tardoantica, Servio e Tiberio Claudio Donato che solitamente non vengono trattate nella programmazione.
Utilizzo dei commentari in latino per comprendere meglio il testo di Virgilio.
Nell’ambito delle competenze digitali: reperimento di fonti on line tramite motori di ricerca e utilizzo corretto delle fotografie disponibili sul web.
In un’ottica di una didattica integrata, tramite lo “spin off”: approfondimento della figura di Ulisse in Dante e nella letteratura italiana fra fine Ottocento e prima metà del Novecento.
Chissà se ci avete mai riflettuto, ma l’inclusione ha un compleanno: il 4 agosto.
Il 4 agosto del 1977, infatti, una legge (la 517) ha stabilito che la scuola deve accogliere tutte le diversità. Sono passati 46 anni da allora e, se ci guardiamo indietro, possiamo gettare un occhio sulla strada percorsa. Abbiamo superato la ghettizzazione delle scuole speciali, abbiamo rivisto e corretto il concetto di disabilità, ampliato l’inclusione includendo (scusate il gioco di parole) neurodiversità, complessità etniche, differenze sociali.
Fatto, quindi? Siamo a posto? No. Perché vale per noi, per la scuola, quello che ha scritto Walt Whitman sul delicato rapporto che lega la natura alla poesia: il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuire con un verso. Il prossimo passo da compiere è fare in modo che entrando in classe, tutti i giorni, ognuno di noi si ponga la seguente domanda: la mia lezione è sufficientemente universale?
Non, quindi, se quello che ho preparato è troppo facile o troppo difficile, in media, per la classe. Non solo se il carico dei compiti sarà insufficiente o, all’opposto, eccessivo. Dovremmo iniziare a porre a noi stessi domande diverse per intercettare le diversità di tutti i bambini e di tutte le bambine.
Alcuni esempi:
ho predisposto l’aula affinché ognuno trovi il supporto necessario per svolgere le attività?
ho proposto materiali sufficienti per impegnare tutti e tutte? Chi ha bisogno di un aiuto in più e chi rischia di annoiarsi?
ho fatto in modo che durante l’attività la classe si senta libera di cercare aiuto, suggerimenti, stimoli?
Sono tre esempi, altri se ne potrebbero fare, ma per iniziare possono essere sufficienti. Prendetelo come un test: provate a rispondere a queste tre semplici domande per riflettere. Per confermare la vostra progettazione o per metterla in discussione. Quando si parla di diversità, soprattutto a scuola, non sempre vengono in mente i batteri e i lieviti. Eppure, è proprio la diversità di lieviti e batteri che, nel giusto ambiente, dà sapori diversi al pane, alla birra o al formaggio.
Ecco, concludiamo così: la didattica universale rende la scuola buona come il pane.
v’è mai successo di incontrare lo sguardo di qualche vostro bambino o bambina e di vederlo svuotato, malinconico, forse addirittura rassegnato? E v’è mai capitato – di fronte a quello sguardo che risuona come un grido d’aiuto – di non saper bene cosa fare o cosa dire? Beh, a me sì. Accade, talvolta, che qualche mio alunno o mia alunna sia – come si suol dire – un po’ giù di morale. Così, un giorno, ho deciso di proporre loro un’esperienza che sapesse riportare il sorriso e che suscitasse qualche riflessione.
Sono arrivata a scuola con questo materiale:
Bicarbonato di sodio
Aceto
Barattolo di vetro
Cucchiaino
Ciotola
Semi per pop-corn
Acqua a temperatura ambiente
Ho sistemato i semi dei pop-corn sulla cattedra e ho chiesto ai bambini e alle bambine di avvicinarsi per osservarli attentamente. Insieme abbiamo concluso che – purché molto simili e quasi interscambiabili – ognuno di essi aveva una forma e una sfumatura di colore diversa dagli altri: insomma, era unico! Così ho chiesto loro di scegliere un seme che li rappresentasse e di inserirlo in una ciotola.
Successivamente, abbiamo svolto insieme questi passaggi:
anzitutto abbiamo inserito un po’ d’acqua in un barattolo di vetro;
poi abbiamo aggiunto un cucchiaino colmo di bicarbonato di sodio e mescolato finché non è diventato invisibile;
successivamente abbiamo inserito nella soluzione i chicchi di pop-corn e controllato attentamente cosa accadeva;
infine, abbiamo versato dell’aceto e osservato il “balletto dei pop-corn”.
Incredibilmente sembrava che questi semi fossero sul punto di precipitare sul fondo del barattolo, poi – come per magia – venivano prontamente abbracciati da un gruppo bollicine che li riportavano in superficie.
“Vedete bambini e bambine – ho detto loro guardandoli negli occhi – noi siamo i chicchi di pop-corn. Ogni tanto, nella nostra vita, sembra che stiamo per sprofondare nelle difficoltà, soprattutto quando siamo chiamati ad affrontare delle sfide complesse. Vi è mai successo? Per fortuna, però, non siamo soli: quando siamo giù di morale,abbiamo attorno a noi qualcuno che – come le bollicine con i chicchi – ci abbraccia e ci sostiene. Secondo voi, chi sono – nella nostra vita – le bollicine?”. I bambini e le bambine – senza esitare – mi hanno risposto “la mamma”, “il papà”, “la maestra”, “i nonni”… “Ecco, ragazzi, anche voi potete essere le bollicine per i vostri compagni e le vostre compagne… Non dimenticatelo! Se li vedete un po’ giù, sosteneteli!”.
Alla fine, ho presentato loro la spiegazione scientifica dell’esperimento a cui avevano appena assistito: “Le bollicine sono anidride carbonica. Poiché questo gas è meno denso del liquido dove si trova, si attacca ai pop-corn e li trascina verso l’alto. A contatto con la superficie, il gas si stacca e si disperde nell’aria”. Da ultimo, come degna conclusione di questa esperienza, abbiamo cotto i restanti chicchi di pop-corn e ce li siamo mangiati, tra chiacchiere e sorrisi.
Gloria Ragni Insegnante di scuola primaria, formatrice e autrice di testi scolastici, promotrice del “fare per apprendere” e sostenitrice dell’utilizzo integrato del digitale nella didattica. Ha un blog didattico www.maestraglo.it e condivide suInstagram le sue avventure da maestra (la trovate come @maestraglo).
Molto spesso lo scoglio delle regole grammaticali impedisce ai nostri studenti di assaporare fin da subito il bello della lingua. Quello che risulta loro difficile è sopportare il quantitativo di esercizi ripetitivi. Questo mese vi proponiamo attività mirate per principianti per rafforzare le competenze grammaticali divertendosi.
ENGLISH – FUN WITH GRAMMAR
PRESENT SIMPLE
TABOO Material: Taboo cards
Divide the class into two teams.
Team A chooses one of their players to be their first Clue-giver. The Clue-giver draws a card. The word at the top is the Guess Word and the words below are the TABOO words that can’t be pronounced.
The first team that shouts out the correct word gets a point.
APPLE – RED, FRUIT, ROUND
BED – SLEEP, TIRED, BLANKET
FAMILY – MOTHER, FATHER, BROTHER
MILK – WHITE, COLD, BREAKFAST
ZOO – ANIMAL, CAGE, TICKET
SUMMER – SEASON, SPRING, WINTER
PIE – SLICE, DESSERT, BAKE
EGG – BREAKFAST, YELLOW, SCRAMBLED
DECEMBER – MONTH, COLD, CHRISTMAS
YES/NO QUESTIONS
DO YOU …? §Material: Paper, pen
List your students’ names in the left column or ask your students to write them.
Instruct students to circulate and find one thing they have in common with each other student on the list. They must find a different thing for each student.
Examples: Do you like pizza? Do you play volleyball?
Once they find something they have in common, your students will write a sentence on the piece of paper
Examples: We both like pizza. We both play volleyball.
FREQUENCY ADVERBS
TOSS IT! Material: soft ball
Arrange students in a circle.
Ask a question using a frequency adverb and toss the ball to another student.
The student who catches the ball answers using a frequency adverb.
When a students makes a mistake, he/she will write the sentence o the blackboard and the rest of the class will help with correction.
PAST SIMPLE
STATIONS Material: activities for each station
Create 5/6 stations in your classroom.
Divide the students into 5/6 groups 8same number of the stations).
Each group has to complete the activities of each station. The one with more correct answers, wins.
Activity 1: Alphabet challenge game – write a past simple for each letter
A (ate)
B (began)
C (cooked)
D…
Activity 2: Mixed up sentences – Put the words in the correct order
You movie did a yesterday watch ?
Pizza you did Tuesday on eat?
Didn’t I No ate I soup a
Christmas last mountains I to went the
Activity 3: Find the mistake
Did Susannah drove to work this morning?
I wanted to went to Milan two years ago.
Was you hungry after dinner yesterday?
Did they has a good time at the party?
Activity 4: Create a funny story using past simple (max 150 words)
PRESENT CONTINUOUS
MIMES Material: none
Students mime Present Continuous sentences until the other students say the whole correct sentence. It is important they don’t stop until people guess to give the idea of an action in progress.
SPAGNOLO
FORMAZIONE DEL PARTICIPIO PASSATO REGOLARE E IRREGOLARE Participios regulares e irregulares en español (Nivel A1-A2)
Explica la regla para formar participios regulares utilizando esta imagen:
Cada alumno debe completar la tabla con los participios regulares de los siguientes verbos:
Ahora divide los alumnos en grupos o equipos: cada uno tiene cinco minutos para buscar más verbos con participios regulares; gana el grupo o equipo que encuentra más verbos y que forma todos los participios de manera correcta.
Explica la regla para formar participios irregulares utilizando esta imagen:
Cada alumno debe formar el participio irregular de los siguientes verbos:
describir:
descubrir :
proponer:
resolver:
satisfacer:
Explica a los alumnos que hay verbos que pueden tener un doble participio:
Cada alumno debe formar dos frases con estos verbos, utilizando las dos formas de participios.
(ej. Me gusta mucho el pescado frito; Esta es una tortilla freída en mucho aceite)
Explica a los alumnos los usos de los participios a través de estos ejemplos:
Ahora los alumnos divididos en grupos tienen diez minutos para formar frases con los diferentes usos de los participios; gana el equipo que forma más frases correctas.
L’energia è un concetto fondante che coinvolge diversi ambiti disciplinari. Come trattarlo nella scuola secondaria di primo grado?
Nel libro di testo Tra le dita – Scienze da esplorare, l’Unità che studia l’energia è introdotta da un’immagine suggestiva – lampadine a forma di fiore (vedi fig.1 – in copertina) – accompagnata da un testo che invita a riflettere sulla dipendenza dell’umanità dall’energia, il cui approvvigionamento crea conflitti sociali e politici.
La produzione e il consumo di energia hanno un costo elevatissimo per l’ambiente in termini di sfruttamento di risorse e di inquinamento. Si sottolinea l’urgenza di ridurre gli sprechi e di incentivare la diffusione di forme di energia poco inquinanti e poco impattanti, anche in previsione dell’esaurimento dei combustibili fossili. Attualmente è in atto una fase di transizione dalla cosiddetta energia “nera”, prodotta dai combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), verso l’energia “verde”, come quella solare o eolica, prodotta da fonti rinnovabili. Per completare tale processo sarà però necessario un periodo abbastanza lungo, dell’ordine di alcuni decenni, anche perché occorrerà contemporaneamente sostituire un gran numero di tecnologie e infrastrutture che utilizzano le fonti tradizionali. Servirà inoltre una grande attenzione alle tematiche ambientali: per una energia sostenibile occorre infatti pensare a una forma di sviluppo economico che consideri anche la salvaguardia dell’ambiente per le future generazioni.
Nella doppia pagina che chiude l’Unità sull’energia, si approfondisce il tema dell’importanza dell’energia per la vita sulla Terra; si mette altresì in evidenza come le tappe più importanti del progresso dell’umanità siano legate alle scoperte di fonti di energia e di tecnologie per il loro uso, a partire dalla scoperta del fuoco.
Il termine energia dal punto di vista etimologico indica un’azione (εν “dentro, in” e έργον “lavoro, azione”), esprime ciò che si deve spendere per trasformare qualcosa, ad esempio riscaldare, spostare, sciogliere.
Nel libro Tra le dita abbiamo ritenuto opportuno introdurre il concetto di energia proprio a partire dalle sue trasformazioni fornendone una iniziale definizione intuitiva come “la capacità di un corpo o di un sistema di produrre cambiamenti; l’energia non è qualcosa che si può vedere, toccare o sentire, essa si manifesta ovunque intorno a noi attraverso gli effetti dovuti al suo trasferimento da un corpo a un altro”.
Secondo l’approccio IBSE, su cui è impostato il testo Tra le dita, la lezione che riguarda l’energia parte da un esempio emblematico e spettacolare di conversione dell’energia: le montagne russe. I carrelli della giostra solo inizialmente vengono portati nel punto più alto del percorso da una catena azionata da un motore; successivamente essi continuano la loro corsa senza bisogno che ci sia un motore a fornire energia. Come è possibile?
Attraverso un Kahoot che viene lanciato in classe, e precede il momento della spiegazione, i ragazzi – individualmente o a squadre – rispondono ad alcune domande che aiutano l’insegnante a capire le idee e le probabili misconoscenze di studenti e studentesse su questo argomento (figura 2A).La ricerca didattica ha messo in evidenza che il concetto di energia è spesso confuso con quello diforza, potenza e, a volte, anche con lo stesso movimento. L’energia è per alcuni come un“ingrediente” che può essere usato quando se ne ha bisogno. Attraverso una discussione, si conduce quindi la classe alla definizione intuitiva di energia precedentemente enunciata.A fine unità la classe sarà in grado di rispondere alle domande poste inizialmente e di completare il testo dell’esercizio (figura 2B).
Fig. 2A
Fig. 2B
L’energia è un tema ricorrente e fondamentale anche in biologia: un esempio è quello dell’endotermia che, pur essendo molto dispendiosa dal punto di vista energetico, nel corso dell’evoluzione animale si è affermata perché ha portato enormi vantaggi, come la possibilità di vivere in ambienti dal clima freddo dove molti ectotermi non potrebbero sopravvivere. La temperatura corporea degli animali endotermi, uomo compreso, viene regolata attraverso meccanismi di dissipazione e conservazione del calore come la sudorazione, i brividi, l’innalzamento del metabolismo legato a un maggior consumo di cibo; tutti complessi meccanismi, in gran parte automatici, che compensano l’aumento o la diminuzione della temperatura esterna. Per facilitare la comprensione dei meccanismi omeostatici, il libro di testo Tra le dita propone una riflessione sul funzionamento del ferro da stiro o di qualsiasi altro apparecchio dotato di termostato con spia luminosa (figura 3).
Fig. 3
I vincoli energetici hanno influenzato numerosi percorsi evolutivi come l’incremento delle dimensioni e della complessità dell’encefalo durante il processo di ominazione, che ha comportato un aumento del consumo dell’energia metabolica, che si aggira intorno al 20% delle calorie introdotte. Per compensare l’enorme dispendio di un cervello così affamato di energia (come di tutte le strutture altamente specializzate), la specie umana ha alleggerito rispetto agli altri mammiferi il costo energetico di altre funzioni, come la digestione, anche grazie alla pratica di cuocere i cibi. In termini di sopravvivenza i vantaggi di un cervello sviluppato sono evidenti: lo sviluppo delle capacità cognitive, della comunicazione attraverso il linguaggio e del comportamento sociale sono alla base della straordinaria evoluzione biologica e culturale dell’uomo moderno (figura 4).
Fig. 4 .Gli studenti confrontano i crani di alcuni ominidi. Il cervello di un australopiteco, nostro antenato estinto, era grande poco più di quello di uno scimpanzé, facendo ipotizzare capacità cognitive analoghe a quelle delle scimmie viventi; la fronte era sfuggente, mentre la mascella era sporgente. Nel corso dell’evoluzione, aumenta progressivamente il volume del cervello, il cranio diventa rotondeggiante e la fronte più ampia, mentre la mascella si riduce.
Tra le dita – Scienze da esplorare, di A. Alfano, V. Boccardi, E. De Masi, G. Forni – Fabbri Editore – Rizzoli Education, 2022 – Testo di scienze per la scuola secondaria di primo grado
En la radio y en las discotecas campea la canción Bzrp Music Sessions #53 de Shakira, en la que la colombiana dispara certeramente contra su expareja. Todos hablan del “efecto Shakira” y del nuevo filón musical abierto. Sin embargo, este fenómeno no es nuevo. En pasado, muchos cantantes dejaron patente su despecho con mayor o menor sutiliza por el final traumático de un amor.
Algunos artistas que, como Shakira, en el momento más álgido del dolor, echaron en cara a sus parejas todo su desprecio por sus infidelidades (Rata de dos patas de Paquita la del Barrio y Ese hombre de Rocío Jurado), dejándoles claro que para ellos no había posibilidad de vuelta atrás y que regresaran por dónde han venido (Olvídame y pega la vuelta de Pimpinela).
Otros, todavía con la herida abierta, recriminaron a sus exparejas su nueva vida (Hawái de Maluma), diciéndoles que nadie los amaría como ellos y que según ellos se arrepentirían; o decepcionados les acusaron de destruir los proyectos y los sueños que ambos tenían (Qué hiciste de Jennifer López).
En cambio, cuando el dolor ya se había suavizado y ya se estaba elaborando la ruptura, hay canta-autores, como Julio Iglesias (Hey!) y José Luis Perales (¿Y cómo es él?), que lograron exponer su posición con elegancia y suavidad. Sin embargo, hay quiénes como Rosalía (Despechá) optó por cantar – con un descarado empoderamiento femenino y mucha ironía – que ella andaba “despechá”, “alocá” y que salía con su “baby de la disco coroná’”, pidiendo a Dios que la libre de volver a su lado.
En resumidas cuentas, las rupturas nunca son ni bonitas ni sencillas, lo importante es saber canalizar el dolor. Yo, por mi parte, les agradezco a todos ellos sus temas porque me permiten enriquecer el vocabulario y las estructuras de mis alumnos de forma simpática y amena.
Ne parliamo con Simona Bodo, Silvia Mascheroni e Maria Grazia Panigada, co-fondatrici di Patrimonio di Storie
D: Dottoressa Bodo, prima di tutto, può presentarci Patrimonio di Storie: quando nasce, quale l’ambito di azione, la sua specificità?
SB: Patrimonio di Storie è un gruppo di lavoro cui Maria Grazia, Silvia Mascheroni ed io abbiamo dato vita nel 2011. Il nostro è un lavoro di mediazione del patrimonio culturale in chiave narrativa, che nel corso del tempo ci ha portato ad affinare un metodo al cui cuore vi è una forte convinzione: quella che il patrimonio debba essere reso “prossimo”, fatto risuonare con la vita delle persone; riteniamo sia questa la condizione necessaria non solo per salvaguardarlo e trasmetterlo alle generazioni future, ma per renderlo vivo e attuale agli occhi delle persone che lo incontrano oggi, in particolar modo i giovani.
Credo sia importante fermarsi a riflettere sul modo in cui percepiamo il patrimonio, chiedendoci se per noi sia solo un’eredità ricevuta, preziosa ma inerte, oppure un’opera aperta, in costante divenire, che possiamo interrogare e intrecciare ai nostri vissuti non solo per acquisire conoscenze, ma anche per attivare nuove riflessioni, consapevolezze, memorie, emozioni, relazioni.
Questa è la domanda al cuore del nostro lavoro, e questo è quanto abbiamo toccato con mano in questi 12 anni, a prescindere dalle persone con cui di volta in volta abbiamo lavorato (“nuovi cittadini”, giovani in età scolare o meno, anziani, volontari, detenuti, operatori museali, cittadini): stare insieme davanti a un’opera d’arte, dentro a una chiesa, in mezzo a una piazza, darsi tempo perché il patrimonio ci parli di sé e ci solleciti a parlare di noi, apre spazi inattesi e profondi di espressione di sé, di incontro e condivisione tra le persone, di riflessione sulla realtà che ci circonda.
È come se il patrimonio ci facesse da specchio, ci invitasse a intrecciare la nostra storia con la sua. Abbiamo lavorato in contesti diversi come le Gallerie degli Uffizi e la Pinacoteca di Brera, il Sistema museale del Chianti e del Valdarno Fiorentino e la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, il Museo Popoli e Culture del PIME a Milano, il patrimonio diffuso in terra bergamasca, la città di Cesenatico, e la cosa straordinaria, riscontrata in ogni esperienza da noi vissuta, è che qualsiasi patrimonio ci interroga con la stessa ricchezza e intensità, se a nostra volta siamo disposti a interrogarlo, anziché limitarci a uno sguardo distratto.
D: Dottoressa Panigada, quali sono le peculiarità dellanarrazione in chiave autobiografica, anche rispetto allo “storytelling” di cui tanto si parla?Come si applica nella relazione con il patrimonio culturale museale e diffuso?
MGP: Il nostro metodo di lavoro – questa è la peculiarità che ci contraddistingue – attinge alla grande tradizione del teatro di narrazione italiano. È dall’intreccio tra quest’ultimo e gli altrettanto preziosi saperi dell’educazione al patrimonio che nasce una visione della narrazione non come atto performativo, bensì come atto quotidiano ed elemento fondamentale della relazione umana: si narra per il desiderio e l’urgenza di comunicare, di condividere i propri vissuti, i propri pensieri, i propri sogni, facendo appello non tanto a tecniche oratorie, quanto piuttosto ad abilità espressive ed emotive. Questa esperienza attraversa la storia umana nei tempi e alle latitudini più diverse.
Il linguaggio della narrazione, in altre parole, è universale.
Non solo: a differenza del linguaggio di una tradizionale visita guidata, ci interpella in prima persona (non come un pubblico indistinto), mettendo in moto quelle risonanze che l’incontro con un’opera d’arte, un oggetto o una qualsiasi testimonianza patrimoniale (anche intangibile) suscita nell’esperienza e nel vissuto personale di ognuno, se ci diamo il tempo per guardarle in profondità.
Ed è qui che entra in gioco un altro elemento fondamentale del nostro lavoro: il potenziamento dell’ascolto e dello sguardo.
La prima fase dei nostri progetti ha sempre luogo in uno spazio “neutro”, e consiste in un laboratorio di narrazione dove le capacità di osservazione, descrizione e ascolto (un buon narratore, non dimentichiamolo, è innanzitutto un buon ascoltatore) delle persone con cui lavoriamo sono progressivamente dilatate attraverso esercitazioni intorno a luoghi, oggetti e memorie personali.
Una volta “in presenza” del patrimonio culturale, queste capacità aiuteranno il “narratore” a lasciarsi interpellare e sollecitare da ciò che guarda senza filtri e preconcetti: individuati gli elementi (ricordi, esperienze, tracce di vita…) su cui concentrare l’attenzione, il nostro compito è quello di accompagnare le persone nello sviluppo di narrazioni dove l’imprescindibile contenuto conoscitivo si intreccia alla dimensione del racconto.
Tutto questo avviene con il sostegno del gruppo, che fa da cassa di risonanza: la narrazione del patrimonio ha un risvolto relazionale importantissimo, e questo è un aspetto che nei nostri progetti rivolti a ragazzi in età scolare ha sempre assunto un significato particolare.
D: Dottoressa Mascheroni,la narrazione in chiave autobiografica può essere una risorsa per i saperi disciplinari e per promuovere anche l’espressione di sé?
SM: Ogni disciplina si caratterizza per i suoi saperi esperti, i concetti chiave, le acquisizioni inerenti alla metodologia della ricerca, che sono imprescindibili nell’azione di insegnamento-apprendimento. Possono essere vivificati grazie all’utilizzo della narrazione in un duplice senso: con l’evidenza delle note salienti della biografia dell’autrice, dell’autore e di ogni testimonianza del patrimonio culturale (che appartenga all’ambito storico-artistico, che sia un testo della letteratura italiana o straniera, una composizione musicale…), promuovendo l’interpretazione da parte delle allieve, degli allievi, che danno voce al loro personale vissuto.
La narrazione sollecita e fa esercitare alcune competenze-chiave del cittadino in formazione.
Saper osservare in modo puntuale, oltre alla superficialità e all’“attenzione distratta”, concedendosi il tempo (e il silenzio) di una dimensione poco praticata; è un saper fare applicabile e trasferibile in ogni contesto di apprendimento.
La messa alla prova del pensiero critico: per narrare devo interrogarmi riguardo a ciò che è essenziale, prioritario, irrinunciabile, e dunque essere capace di selezionare.
Sapersi esprimere: per narrare devo scegliere parole e immagini precise, capaci di veicolare il cuore del mio racconto e gettare un ponte verso chi ascolta.
Custodire pensieri e sguardi diversi dal proprio, nell’ospitare l’alterità: un saper essere prezioso per il vivere in comunità.
Esercitare la riflessione condivisa, che nasce e si alimenta dall’ascolto, supera il pregiudizio, è nemica dello stigma e alleata del riconoscimento della diversità.
Sappiamo bene quanto la stagione pandemica, la forzata sospensione di relazioni tra pari, dello stare e del fare insieme hanno provocato, soprattutto nei giovani, turbamenti, disagi, paure, e in alcuni casi, afasie dei propri sentimenti. Il metodo narrativo in chiave autobiografica ci invita a trovare “le parole per dirlo” e dunque sollecita e alimenta il saper individuare e selezionare quelle parole ed espressioni, superando un esperanto generazionale, omologato e sincopato. Ma, soprattutto, facendo fiorire la consapevolezza che nel narrare e nel narrarsi si può dare voce alla propria fragilità, aiuta a riconoscerla e ad accoglierla, intesa quale essenza di sensibilità e di delicatezza, dando spazio agli stati d’animo e alle emozioni.
La narrazione sollecita la memoria individuale e collettiva, dà voce a una collettività viva e vibrante, come agorà di spazio vissuto, contrapposto all’agorà fluida e manipolabile dei social.
D: Può raccontarci sinteticamente l’esperienza del corso di aggiornamento per insegnanti “Il museo narrativo: un laboratorio per la formazione di nuove cittadinanze culturali”?
SM: Nel 2017, grazie a Laura Colombo, docente di storia dell’arte e Rappresentante Provinciale della Sezione milanese di ANISA, abbiamo ideato e realizzato il corso, al quale hanno partecipato quindici docenti di storia dell’arte, di italiano e una docente di sostegno del Liceo artistico “Boccioni” di Milano.
Il corso si proponeva di far conoscere i concetti chiave e le acquisizioni più recenti nell’ambito dell’educazione al patrimonio in chiave interculturale, ma, soprattutto, le linee guida e gli strumenti operativi per l’utilizzo del metodo narrativo applicato ai patrimoni culturali da utilizzare nella didattica d’aula, in relazione con i saperi disciplinari.
Oltre ad alcuni interventi formativi, i partecipanti hanno seguito in “presa diretta” diversi percorsi narrati da noi curati in collaborazione con la GAMeC Bergamo e il Museo Popoli e Culture del PIME. Le narrazioni, condotte da mediatrici e mediatori di origine immigrata, erano tese non tanto alla trasmissione di nozioni o alla conoscenza delle diversità culturali, quanto all’apertura di spazi dialogici di contaminazione, di ascolto e di apprendimento reciproco, di costruzione e condivisione di significati.
Ai partecipanti del corso è stato affidato un compito di realtà da realizzare in piccoli gruppi: interrogare un patrimonio culturale (museale o diffuso) da loro individuato secondo le linee guida e i criteri del metodo narrativo, mettendone in rilievo le componenti immateriali (le storie, le funzioni d’uso attualizzate, la ritualità…). Per noi, la fase di progettazione alla fine del percorso formativo è sempre molto importante, perché richiede ai partecipanti di concentrarsi sulla trasferibilità del lavoro svolto in un contesto di didattica d’aula per/con i loro allievi.
D: Ci sono progetti di Patrimonio di Storie rivolti ai giovani in formazione che ritenete particolarmente rilevanti e generativi?
MGP: Un’esperienza per noi molto significativa è stata “My Place / My Texts” (2016), un progetto della GAMeC di Bergamo volto a trasformare il museo in luogo di appartenenza, in cui i giovani si possano riconoscere grazie all’attivazione di un processo di lettura delle collezioni permanenti che li chiama a mettersi in gioco con coraggio, in un contesto di ascolto e valorizzazione di ciascuno.
Attraverso il canale delle scuole superiori e di docenti che avevano già collaborato con il museo, sono state coinvolte diciassette ragazze di “seconda generazione”, che dopo una prima fase di conoscenza della collezione permanente hanno lavorato insieme a me per costruire brevi narrazioni da far confluire in un catalogo “alternativo” della GAMeC, rivolto alle scuole secondarie di secondo grado di Bergamo e provincia, e più in generale al pubblico giovane del museo.
Il percorso si è sempre svolto negli spazi espositivi. In una prima fase abbiamo lavorato sull’osservazione: le ragazze, suddivise in piccoli gruppi di ascolto, hanno descritto singolarmente le opere da loro scelte nei minimi particolari e da diversi punti di vista, se si trattava di una scultura. La libertà di osservazione ha permesso loro di scegliere modalità di approccio alle opere molto varie, dando vita a schede di catalogo piacevoli e interessanti alla lettura, che invitano anche a un approccio diversificato alle collezioni: in alcuni casi l’artista si rivolge al visitatore, in altri è la narratrice che esplicitamente accompagna lo sguardo di chi legge; la scheda invita a osservare alcuni dettagli dell’opera, oppure si articola in una serie di domande aperte che invitano alla riflessione personale.
Una volta steso un canovaccio di lavoro, si è passati alla scrittura individuale. Sebbene i testi siano stati poi rivisti, letti e ricalibrati insieme davanti alle opere, mi preme sottolineare che le autrici del catalogo sono le ragazze: in quanto esperta di narrazione, ho semplicemente lavorato in modo maieutico nel fare emergere e valorizzare le scelte compiute da ciascuna. Ne è nata una pubblicazione in grado di veicolare non solo informazioni storico-artistiche, ma anche suggestioni legate alla sfera emotiva e relazionale; queste ultime consentono ai fruitori del museo di apprendere una nuova modalità esperienziale di confronto con il patrimonio culturale, mettendosi in gioco in prima persona.
SB: Un’altra esperienza esemplare è il workshop “In viaggio attraverso i Sette Palazzi celesti” (2019). A differenza di altri progetti da noi curati, che di solito richiedono mesi di lavoro, questo è stato un percorso intensivo di pochi giorni, ideato e realizzato nell’ambito del progetto europeo “YEAD – Young European (Cultural) Audience Development”.
Fondazione ISMU – Iniziative e Studi sulla Multietnicità ci ha chiesto di accompagnare in un percorso di scoperta dell’installazione permanente di Anselm Kiefer in HangarBicocca (Milano) un gruppo eterogeneo composto da 8 giovani: studenti liceali e universitari con diversi background culturali e due minori stranieri non accompagnati. Oltre a creare un’occasione di incontro, confronto e scambio tra i ragazzi, valorizzandone le appartenenze linguistiche e culturali diverse, il workshop ha attivato un dialogo profondo con le opere di Kiefer attraverso il linguaggio della narrazione. Ne sono nate 8 brevi racconti scritti e una video-testimonianza, da cui emerge come nel corso delle due intense giornate in HangarBicocca (precedute, come di consueto nel nostro lavoro, da un laboratorio di narrazione), i ragazzi abbiano vissuto l’esperienza non come visita tradizionale e preconfezionata a un luogo della cultura, ma come opportunità di espressione, di creazione, di esercizio del pensiero critico; compreso che le istituzioni culturali possono essere dei luoghi straordinari di conversazione, ancor prima che di conservazione (luoghi dove ciò che fa la differenza non è tanto acquisire nozioni, quanto avere occhi, mente e cuore aperti); toccato con mano quanto l’ascolto partecipe, lo sguardo attento che si ferma, si allarga, scende in profondità, possano diventare storia e atto creativo.
LE AUTRICI
Simona Bodo, ricercatrice e consulente in tematiche legate al ruolo sociale dei musei, all’educazione al patrimonio in chiave interculturale e alla promozione della partecipazione culturale di tutti i cittadini.
Silvia Mascheroni, docente al Master “Servizi educativi del patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive”, Università Cattolica di Milano; Scuola di Specializzazione in Beni storico-artistici, Università di Pisa.
Maria Grazia Panigada, esperta di teatro di narrazione, è direttore artistico della prosa del Teatro Donizetti e del Teatro Sociale di Bergamo dal 2015, e dal 2022 del festival “Voci Umane. Musei e teatro di narrazione”.
Le piattaforme di condivisione possono essere una grande opportunità per la didattica, in particolar modo YouTube. La possibilità per chiunque di condividere filmati, animazioni, conferenze e registrazioni di qualsiasi tipo amplifica notevolmente le possibilità di diversificare la didattica quotidiana, richiamando anche competenze multidisciplinari da parte degli alunni. Il rovescio della medaglia, però, è la possibilità di trovare anche qualcosa di antiscientifico e di ingannevole per un navigatore poco attento. Per evitare l’inganno è sufficiente un po’ di attenzione e la comprensione di alcune semplici leggi chimico/fisiche.
Il moto perpetuo
Nella serie tv “Snowpiercer” un treno si muove grazie a un motore a moto perpetuo. Il moto perpetuo era ipotizzato in due forme: nella prima specie si aveva un dispositivo che produce più energia di quella ricevuta e nella seconda specie un dispositivo capace di riconvertire tutta l’energia iniziale in una forma finale senza alcuna perdita. In entrambi i casi si otterrebbero situazioni paradossali come la creazione di energia dal nulla (in violazione del primo principio della termodinamica) o con trasformazioni energetiche senza alcuna perdita (in contraddizione con il secondo principio). Per dirla con le parole di Max Planck: “È impossibile ottenere il moto perpetuo per via meccanica, termica, chimica, o qualsiasi altro metodo, ossia è impossibile costruire un motore che lavori continuamente e produca dal nulla lavoro o energia cinetica”
L’imbuto di Boyle e la Ruota di Leonardo
Il primo ingrediente per una buona fake è un titolo accattivante, meglio se associato ad un nome più o meno noto. Ad esempio il modello della ruota a ballotte di Leonardo, magari in versione moderna, realizzata con bottiglie di plastica e ruota da bicicletta. Va precisato che Leonardo stesso arrivò alla conclusione che il moto perpetuo era impossibile. I trucchi utilizzati per far sembrare perpetua questa ruota possono essere molteplici. Il più comune è quello del ventilatore nascosto che crea un flusso d’aria. L’imbuto di Boyle, invece, è un circuito idraulico con una strozzatura che sembra far girare l’acqua all’infinito in una fontana. Boyle non realizzò mai un simile dispositivo, che può funzionare solo aggiungendo un serbatoio posto in alto (fuori inquadratura) e con tubi aggiuntivi nascosti nel basamento oppure con una piccola pompa elettrica anch’essa nascosta. Ovviamente, tali trucchi vengono installati dopo aver più volte fatto vedere il dispositivo da tutte le direzioni possibili, nonostante in un filmato si riesca a intravederne uno nascosto non troppo bene dall’autore.
Energia elettrica dal nulla
Un buon magnete attira il ferro e a volte anche gli ingenui. In rete, numerosissimi sono i filmati che producono energia elettrica con magneti e bobine. Per qualcuno può sembrare plausibile dato che una dinamo da bicicletta è costruita con questi componenti. Tuttavia, non è possibile estrarre energia se non si creano variazioni nel flusso del campo magnetico come con un movimento relativo bobina/magnete (è il meccanismo della dinamo) o con fluttuazione del campo (è il caso dei trasformatori). Solitamente come espediente si nascondono delle pile o dei fili e si fornisce corrente, oppure si tiene nelle vicinanze un generatore di campi magnetici variabili (può essere un caricatore wireless per cellulari) magari nascosto sotto al tavolo su cui si effettua la presentazione, consumando così molta più energia di quella che si sembra aver prodotto.
Basta una patata per risolvere il problema energetico ?
Interessanti sono anche i filmati dove si accendono lampadine usando patate, limoni ecc. In effetti è vero che si può ricavare energia inserendo due punte di metalli diversi in questi ortaggi, è il principio delle pile a setto poroso. Tuttavia si ottiene un voltaggio molto basso (come previsto dall’equazione di Nernst) e una corrente erogata altrettanto debole. Basti pensare che usando un chiodo di rame e uno di ferro (3 grammi) la tensione prodotta sarebbe meno di un volt e l’energia totale ottenuta dopo l’intera corrosione del ferro sarebbe di circa 3600 J (formula dell’energia libera delle pile). Se si considera il tempo in giorni necessario per tale corrosione, la potenza istantanea in watt sarebbe particolarmente bassa. Per accendere una lampada a 230 V – 11 W occorrerebbe creare una batteria in serie/parallelo formata da oltre un migliaio di patate. L’unico modo di accendere una lampada avvitandola in una patata è quello di nascondere bene i fili o una pila/LED all’interno del bulbo traslucido della lampadina stessa
E infine…
La conoscenza dei principi della termodinamica e di semplici leggi chimiche, anche solo sommariamente, costituisce un buon antidoto contro le bufale on line di questo genere. Tutto ciò, però, non implica che siano completamente inutili dal punto di vista didattico. Potrebbero essere, infatti, sfruttati per far riflettere sulle leggi e sui possibili trucchi, anche se finiremmo col fare un piacere a questi “faker”, poiché il loro scopo non è tanto quello di creare energia dal nulla ma di incrementare le visualizzazioni su YouTube…. basandosi sul nulla.
Figura 1 Pseudo produzione di energia con magneti fissi, che potrebbe funzionare solo con un generatore di campi magnetici variabili nascosto, in grado di indurre una corrente nelle bobine poste in basso.
Figura 2: “Imbuto di Boyle” , il movimento “perpetuo” dell’acqua può avvenire solo grazie ad una pompa, che potrebbe essere nascosta all’interno del vaso stesso o dietro la mano sinistra dell’operatore
Figura 3: Particolare di un filmato che mostra uno dei possibili trucchi dell’imbuto di Boyle
Figura 4: Esempio di ruota perpetua. Nel filmato da cui è preso il fotogramma, è mostrato il trucco utilizzato, un ventilatore nascosto
Figura 5: Trucco della lampada collegata ad una patata: voltaggio e corrente prodotti non sarebbero sufficienti per l’accensione di una lampada di questo tipo
La consultazione ed il download di questo materiale sono riservati solo agli utenti registrati ad HUB Scuola con un profilo di docente
Attenzione!
La consultazione ed il download di questo materiale sono riservati ai docenti registrati e qualificati ad HUB Scuola.
Se sei registrato, fai la login usando le tue credenziali di accesso ad HUB Scuola.