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Costituzione e tutela dello sport e dell’ambiente

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En este artículo descubrimos la lengua española a través de cinco palabras que no tienen una traducción precisa en italiano.
Los idiomas son tesoros culturales: cada uno tiene unas palabras intraducibles que reflejan culturas y modos de vida únicos. El español, con su riqueza lingüística, ofrece muchas palabras que no se pueden traducir de manera directa al italiano.
La primera palabra que examinamos es “tutear”. Este verbo se refiere al acto de tratar a alguien con familiaridad, utilizando la segunda persona del singular, o sea, “tú”. Algo común en español pero sin un equivalente preciso en italiano, donde se utiliza la expresión “dare del tu”. Por ejemplo: Mi jefe y yo nos tuteamos.
La segunda palabra es “madrugar”: este es un verbo que se refiere a la acción de levantarse temprano por la mañana, especialmente antes del amanecer. En italiano, podríamos usar “alzarsi presto,” pero, como en el caso anterior, no existe una palabra específica. Por ejemplo: Estoy muy cansado, he madrugado esta mañana.
La siguiente palabra es muy común en español y es “sobremesa”. La sobremesa es un concepto único en la cultura española: se refiere al tiempo que se pasa en la mesa después de comer, disfrutando de un café y relajándose con la compañía de amigos o familiares. Por ejemplo: La cena terminó a las once, pero nos quedamos de sobremesa hasta la una.
Otra palabra para la cual no tenemos un equivalente específico es “estrenar”, un verbo que se utiliza para describir la acción de usar algo por primera vez, ya sea ropa, un coche nuevo o cualquier objeto. En italiano podríamos decir “inaugurare”, aunque no tenga el mismo matiz que “estrenar”, que connota la emoción de usar algo nuevo. Por ejemplo: Hoy voy a la fiesta de Marisol y estoy muy contenta porque puedo estrenar mis nuevos zapatos.
Y finalizamos nuestro artículo con el verbo “desvelarse”. Este verbo se utiliza para expresar la acción de despertarse a mitad de la noche sin poder dormirse de nuevo. En italiano, podríamos utilizar una frase idiomática como “passare la notte in bianco”. Por ejemplo: Necesito un café doble, anoche me desvelé y no he dormido nada.
Estas cinco palabras son ejemplos de la diversidad del español como idioma. Al explorar estas palabras únicas podemos entender cómo cada lengua puede captar experiencias de manera única dándonos otra comprensión del mundo.
Alba di Egness, madrelingua spagnola, laureata in economia e con un master in marketing, si trasferisce in Italia nel 2016 e si specializza nell’insegnamento dello spagnolo per studenti di madrelingua italiana. Content creator e Fondatrice dell’Accademia Egness, la prima scuola online di spagnolo per italiani.
Nelson Mandela è morto a 95 anni nel 2013. Un’età elevata persino nei paesi occidentali, figuriamoci per il continente africano. Anche se va ricordato che Mandela era sudafricano, e il Sudafrica, il più meridionale degli Stati del continente nero, già nel XX secolo aveva goduto di un’economia molto più avanzata di quella dei paesi confinanti, con un benessere paragonabile a quello dell’Europa occidentale o degli Stati Uniti. Tutto questo se facevi parte della minoranza bianca, di origine inglese o boera. Nelson Mandela era invece nero, del gruppo etnico Xhosa, il maggioritario insieme agli Zulu e il più vessato negli anni dell’apartheid.
Possiamo dire che di vite Mandela ne abbia avuto diverse. La prima è stata quella di un giovane sudafricano nero negli anni in cui il sistema segregazionista si andava precisando e, soprattutto, istituzionalizzando. Nelson, figlio di un capo-tribù (un dettaglio importante nella complessa antropologia africana) studiò legge prima a Johannesburg poi a Fort Hare, convinto che con l’attività di avvocato sarebbe potuto essere utile alla sua comunità. La sua fiducia venne minata dalla sempre più feroce repressione delle autorità segregazioniste sudafricane, decise a non concedere nessuna legittimità, neppure sul piano legale, alla maggioranza nera.
Allora cominciò per Mandela una seconda vita, quella del militante dell’African National Congress; del leader radicale che teorizza la legittimità della lotta armata contro il nemico insensibile a ogni richiesta e contrario a ogni compromesso. Entrò a fare parte del Partito Comunista sudafricano clandestino, scalando le gerarchie interne dell’ANC, grazie al suo carisma e alle sue doti strategiche. Nel 1962 venne arrestato e, dopo un processo formalmente corretto ma sostanzialmente fuori da ogni perimetro accettabile per uno stato di diritto, venne condannato all’ergastolo come terrorista (1964).
Iniziò la terza vita di Mandela: la lunghissima detenzione nel carcere di Robber Island, dove il regime razzista credette di avere seppellito non solo un uomo ma anche quello che lui rappresentava. I leader bianchi del Sudafrica si sbagliavano, perché fu in questa terza e lunghissima fase della sua esistenza che Nelson Mandela diventò il simbolo della lotta contro l’apartheid e l’icona del riscatto per milioni di giovani neri sudafricani che si ribellavano nelle township, i miserabili sobborghi delle grandi città come Johannesburg, Pretoria, Città del Capo, dove la maggioranza nera viveva segregata. Le foto di Mandela durante il processo del 1964 ci consegnano un uomo ancora giovane e per decenni queste saranno le uniche immagini pubbliche conosciute di Madiba, come era chiamato dai suoi sostenitori.
La sua fama, specialmente a partire dalla fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta, diventò planetaria: a lui furono dedicati libri, film, canzoni, concerti e massicce manifestazioni popolari in tutto il mondo; tutte all’insegna di un’unica richiesta: free Nelson Mandela!
Nel 1990 il presidente sudafricano bianco Frederik De Klerk (1936-2021) decise di liberarlo, cedendo alle pressioni internazionali che duravano ormai da tempo. L’immagine di Mandela ormai anziano divenne iconica: nel 1993 insieme allo stesso De Klerk fu insignito del premio Nobel per la pace, in virtù di quel progetto di pacificazione a cui i due ex avversari ambivano. L’anno seguente Mandela votò per la prima volta nella sua vita per le elezione presidenziali, così come milioni di neri sudafricani. I risultati lo videro trionfare sugli altri candidati e divenire presidente della Repubblica sudafricana (1994).
Negli anni successivi alla liberazione Mandela aveva portato a compimento quell’evoluzione politica che era già maturata negli ultimi anni della detenzione. L’opzione della lotta armata come scelta legittima di lotta della maggioranza nera della popolazione, era stata sostituita dalla convinzione che i cambiamenti avrebbero potuto avvenire solo con strumenti pacifici. La scelta della non-violenza non era tanto l’esito ideologico di un ragionamento astratto, quanto la conseguenza di una mutata situazione politica globale. Era finita la competizione tra superpotenze e il Sudafrica razzista e anticomunista non era più visto come un baluardo (imbarazzante ma utile) del conflitto tra mondo occidentale e blocco sovietico.
La scelta della pacificazione della nazione è stata l’essenza dell’ultima stagione della lunga vita di Nelson Mandela. Il problema della sanzione nei confronti della politica di apartheid (e dei suoi esecutori) è stato affrontato con un approccio nuovo e originale basato sul concetto della “giustizia riparativa” (in inglese Restorative Justice). L’idea era molto semplice: in Sudafrica non si sarebbe applicata la tipica “giustizia dei vincitori” (in questo caso la maggioranza della popolazione nera vessata per decenni dalla politica segregazionista) che ha come elemento fondante la punizione dei colpevoli. Piuttosto si propose un inedito dialogo tra vittime e carnefici, volto ad accertare per prima cosa la verità, sottraendola alla mistificazione possibile dei negazionisti e dei riduzionisti. In secondo luogo si introduceva il principio del perdono (attraverso un’amnistia per gli afrikaner colpevoli e rei confessi) in modo da spostare la sanzione dalle singole persone al principio malato della segregazione.
Queste due premesse erano le basi per la successiva riconciliazione nazionale il cui scopo non era dimenticare, ma piuttosto proporre una nuova alleanza tra gruppi che si erano fino a quel momento contrapposti violentemente. Strumento di questa politica fu la Commissione per la promozione dell’unità nazionale e la riconciliazione (detta anche “Commissione verità e riconciliazione”), diretta da un altro premio Nobel africano, il vescovo anglicano Desmond Tutu (1931-2021) la cui azione si è rivelata essenziale per pacificare il paese e prepararlo alle sfide del futuro.
Si tratta di un modello la cui efficacia dovrebbe essere valutata seriamente anche oggi, in un momento caratterizzato dall’esplosioni di conflitti sulla cui risoluzione sembra non esserci speranza. L’insegnamento di Mandela e del Sudafrica del dopo apartheid è una lezione che vive, specialmente quando tutte le altre opzione si rivelano impraticabili o disastrose.
Ma cosa c’entra Riccioli d’oro con la Giornata Mondiale delle Gentilezza? Come può una bambina irrispettosa, che entra in casa d’altri senza permesso, mangiare il cibo presente, rompere una sedia e mettere a soqquadro tutta la casa essere considerata un’icona di gentilezza? Ebbene: non lo è, ed è proprio questo a renderla così perfetta per avviare una riflessione con i bambini e le bambine sul tema della gentilezza. Solitamente ai bambini e alle bambine vengono riportati esempi di quello che si deve fare, proponendo personaggi perfetti, arrendevoli e gentili come modelli, dimenticando che questi sono molto lontani dai veri bisogni, pensieri e atteggiamenti dei bambini veri.
Riccioli d’oro rappresenta tutti gli atteggiamenti scorretti. Riflettendo sui suoi comportamenti e azioni, possiamo fare dei parallelismi con la vita di tutti i giorni e in particolare con la vita scolastica. Così, entrare in casa senza permesso diventa parlare senza alzare la mano, mangiare la zuppa equivale ad appropriarsi del temperamatite o della gomma del compagno, mettere a soqquadro la casa e la camera da letto equivale al tenere in disordine il proprio banco, la propria aula e i luoghi comuni della scuola.
La storia che abbiamo scelto questo mese per accompagnare l’azione didattica è quindi Riccioli d’oro e i tre orsi nella versione di Ginevra G. Gottardi e Giuditta Gottardi estratta dal manuale Il lapbook alla Scuola dell’Infanzia edito da Centro Studi Erickson; si tratta di un adattamento che mette in risalto gli atteggiamenti sbagliati e poco gentili della protagonista, al fine di ricercarne quelli corretti per una miglior convivenza in aula. L’attività correlata che viene proposta a partire dalla storia è un gioco dell’oca adattato, in modo da proporre ai bambini e alle bambine un’attività che abbia diverse regole da rispettare e che allo stesso tempo possa essere utilizzata per ripassare le nozioni di qualsiasi disciplina.
Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:
Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.
Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.
Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.
Novembre è il mese in cui si celebra la Giornata mondiale della gentilezza, una giornata in cui posare lo sguardo sulle piccole azioni e su quanto queste possano avere una portata davvero enorme. A scuola è davvero importante parlare di gentilezza, praticarla, renderla visibile e farla nostra: il mondo ne ha tanto bisogno. Ma da dove cominciare? Basta una giornata per riflettere su qualcosa di così importante?
Se io come insegnante, ogni giorno, tratto gli altri con gentilezza, raccolgo le carte a terra, mi prendo cura dello spazio dell’aula e parlo con pacatezza, anche gli alunni impareranno a farlo, e non perché ho detto loro che è giusto così, ma perché attraverso l’esempio quotidiano ho seminato buone pratiche.
A scuola ci troviamo ogni giorno di più di fronte a situazioni complesse, delicate e particolari, e quindi ancora di più risulta necessaria l’empatia, la riservatezza, il rispetto e la cura. Ritengo fondamentale agire con responsabilità, verso ciascuna richiesta che ogni giorno ci aspetta, dalle azioni in classe, agli impegni collegiali, al dialogo rispettoso con chiunque incontriamo.
Proprio nelle modalità in cui ci presentiamo, in cui agiamo, nel rispetto reciproco verso tutti e ciascuno, si dimostra il valore di un insegnante e la sua capacità di lasciare un segno significativo. E in tutto questo, ciascuna azione deve esser volta a combattere qualsiasi forma di pregiudizio, di stereotipo, insegnando a coltivare il dialogo, a partire dai piccoli litigi tra alunni, per seminare il rispetto e il valore di ogni persona.
Alcune storie sanno parlare al posto nostro, con un linguaggio che sa arrivare al cuore di bambini e bambine senza troppe parole. A volte basta davvero solo la lettura per innescare piccoli cambiamenti, ma è bello anche dare tempo per la condivisione di pensieri, di esperienze, di sensazioni. Alcuni albi che in questi giorni possono accompagnare le nostre riflessioni sono:
La gentilezza dovrebbe diventare il nostro modo di agire quotidiano, e i nostri alunni e le nostre alunne dovrebbero riconoscere in noi una modalità di comportamento, di comunicazione e di sguardo gentile e delicato. Spetta a noi seminare, nella speranza di creare un mondo migliore.
“Con la gentilezza si può scuotere il mondo”. Gandhi
SNel mese di Novembre ricorrono due importanti Giornate, entrambe focalizzate su parole importanti nelle relazioni umane: il 13 Novembre è il World Kindness Day, mentre il quarto giovedì del mese negli Stati Uniti si celebra Thanksgiving Day. Un giorno dedicato alla Gentilezza, uno alla Riconoscenza. Entrambe queste attitudini si sposano benissimo con l’apprendimento della L2 in un’ottica più ampia del semplice arricchimento lessicale; se infatti è essenziale, per parlare una lingua, sapere COSA dire, è ugualmente importante conoscere tutte quelle forme di cortesia che contestualizzano le nostre parole all’interno di un COME appropriato.
Please, Thank you, Sorry,
make everyone feel good.
Please, Thank you, Sorry,
that’s the way you should.
recita una canzone per bambini di Rachael Coleman, ed è proprio così: esprimersi con le dovute maniere può fare la differenza tra un’esperienza linguistica limitata e una memorabile.
In un mondo che pare andare sempre più veloce, talvolta le parole gentili sembrano solo “abbellimenti non necessari”, frivolezze, elementi di contorno. Invece sono gli atteggiamenti e le attitudini positive verso gli altri che fanno la differenza, soprattutto quando si parla di comunicazione, e ancora di più di comunicazione in L2. Un atto gentile vale più di mille parole, e questo può fare la differenza soprattutto quando le parole non vengono naturali, come nel caso di una seconda lingua. Fermarsi in un pub inglese e chiedere “I want a coffee”, oppure un semplice e un po’ sgrammaticato “Coffee, please? Thank you” possono essere due situazioni dall’esito completamente diverso, a partire dal sorriso del cameriere che ci sta servendo.
Usando i bambini come “modelli” fotografici, scattiamo delle fotografie che mostrino situazioni in cui le Kind Words possono essere usate, per ogni foto scriviamo la/e parola/e corrispondenti e creiamo un poster da appendere in classe.
Va da sè che il miglior modo per “insegnare” la gentilezza, la gratitudine, le buone maniere non è tanto creare o proporre attività didattiche, ma VIVERE e mostrare ogni giorno un atteggiamento gentile, grato, educato. Detto questo, non fa mai male enfatizzare come l’attitudine positiva ed aperta nei confronti degli altri possa essere la chiave per aprire numerose porte, tra cui quella della comunicazione in una lingua straniera.
Per approfondire
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