La Cattedrale di Santa Maria del Fiore, conosciuta anche come il Duomo di Firenze, è uno dei monumenti più iconici non solo della città, ma dell’intera Italia. Questo capolavoro dell’architettura risale al Rinascimento italiano ed è una meraviglia sia estetica sia storica. L’imponente cupola, progettata da Filippo Brunelleschi, è una delle caratteristiche più distintive della cattedrale. La sua costruzione rappresentò un vero e proprio trionfo ingegneristico dell’epoca. È un simbolo di ingegnosità e genialità artistica. Camminare all’interno della cattedrale è come fare un viaggio nel tempo. Le sue maestose colonne, le vetrate colorate e le opere d’arte che adornano gli interni raccontano la storia e la grandezza della città di Firenze.
Il campanile di Giotto, un’altra parte significativa del complesso della cattedrale, è un esempio sublime dell’arte gotica italiana. La maestosa torre campanaria è situata accanto al Duomo. Progettata da Giotto di Bondone, la costruzione iniziò nel 1334 e continuò dopo la sua morte sotto la guida di altri artisti. La struttura è rinomata per la sua bellezza e per la decorazione delle facciate con marmi bianchi, verdi e rossi, oltre a raffinate decorazioni scolpite. La vista dalla cima offre uno spettacolare panorama su Firenze e i suoi dintorni.
E non si può dimenticare la bellezza della facciata principale, progettata da Arnolfo di Cambio nel XIV secolo, è caratterizzata da marmi policromi, sculture e decorazioni intricate. L’elemento centrale è il maestoso portale principale, arricchito da rilievi scolpiti e statue, tra cui la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Lorenzo. La facciata è arricchita da diverse fasce marmoree di colore bianco, verde e rosso, che creano motivi geometrici e decorazioni floreali. Tra il 1871 e il 1887, la facciata fu completata seguendo il progetto originale di Arnolfo di Cambio, portando a termine la decorazione delle parti superiori e l’aggiunta di statue e dettagli architettonici che arricchiscono ulteriormente questa straordinaria opera d’arte.
Ma oltre alla sua bellezza esteriore, Santa Maria del Fiore ha un significato culturale profondo per Firenze e per l’intera Italia. È un simbolo di fede, di ingegno umano e di perseveranza. Il suo impatto culturale e storico è davvero straordinario. È un luogo che affascina sia i locali che i visitatori da tutto il mondo, offrendo loro una connessione con il passato e un’esperienza estetica senza pari. La magnificenza di Santa Maria del Fiore è un omaggio all’arte, alla storia e alla maestria umana, che continua a ispirare e affascinare le persone di ogni generazione.
Per approfondimenti, vai alla rubrica Luoghi dello Spirito della rivista Raggi di Luce.
Mancano una manciata di mesi all’inizio della maturità. Per questo motivo oggi vi presentiamo una lista di possibili collegamenti tra alcune opere letterarie e gli obiettivi dell’agenda 2030. Sia che abbiate già affrontato l’opera sia che la dobbiate ancora spiegare in classe, qui di seguito troverete utili spunti da condividere e percorrere con i vostri studenti in vista del colloquio d’esame. Per la maggior parte degli spunti presentati, vi vengono offerti lezioni pronte, podcast, video ed esercizi dal materiale Rizzoli Education.
«Come facciamo con la letteratura?». «Come si può progettare un Reading Workshop con la letteratura, quando i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di alcuni saperi essenziali?». «Forse il Writing and Reading Workshop non è la strada giusta per l’approccio al testo letterario».
Queste sono alcune affermazioni o domande che sintetizzano ciò che molti che praticano Writing and Reading Workshop si sono posti di fronte alla sfida della letteratura all’interno del Laboratorio. Con questo contributo, vogliamo provare a identificare e ad approfondire alcuni aspetti nodali per la progettazione di percorsi di Reading Workshop dedicati all’incontro con la letteratura. Lo sottolineiamo bene: incontro con la letteratura.
Se l’occhio non si esercita, non vede. Se la pelle non tocca, non sa. Se l’uomo non immagina, si spegne D. Dolci
Quando si affronta il tema dell’insegnamento della storia a scuola una delle questioni più impellenti è quella relativa al come farla apprezzare, e ciò sia per la storia più generale sia per quella “minore”, intesa come quella legata più alle persone singole, che nel bene e nel male l’hanno “messa in scena”, determinata, rappresentata, interpretata. E’ costante la domanda del come insegnare alle e ai più giovani a interrogare, a vedere, a ricostruire gli eventi storici e sociali, anche i più terribili, risvegliando in loro l’immaginario e la “compassione”, verso le tante storie del passato (anche recente), dalle più vaste alle più piccole e locali, fino alle famigliari… In altre parole, come fare accostare in modo autentico ed efficace le studentesse e gli studenti a ciò che è stato, in modo che non risulti per loro qualcosa di astratto, estraneo, lontano, che non li riguardi?
L’uso del linguaggio visuale
Perché è incontestabile quanto sia importante suscitare un coinvolgimento emotivo ed inclusivo nell’apprendimento della storia, che, accanto alla vigilanza metodologica, possa portare i ragazzi ad individuarvi quei valori universali, che perdurano nel presente. Trovo che l’uso del linguaggio visuale possa venirci in aiuto: negli anni come INDIRE abbiamo sviluppato un’attività sperimentale “La scuola allo schermo” che ha permesso di monitorare svariate esperienze in aula in cui storia e cinema si sono sapute incontrare in modo efficace, dando un contributo nella direzione di quell’istruzione di qualità di cui si parla quale base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile, soprattutto nelle aree difficili del nostro territorio, caratterizzate dallo spopolamento e dall’isolamento, laddove è più forte il bisogno di una rinnovata narrazione: dialogica, iconica, multimediale, tecnologica, filmica.
Il processo di digitalizzazione e il cinema come fonte
Certo nell’uso in classe delle fonti fotografiche, filmiche e audiovisive viene in aiuto il processo di digitalizzazione che le ha rese ormai più agevolmente accessibili on line. Ci si riferisce innanzitutto a siti e portali di istituti culturali, di archivi, ma anche di biblioteche, nonché di istituzioni e progetti nazionali ed europei, che hanno rendono oggi possibile la consultazione nel web di cospicui giacimenti documentari digitalizzati, descritti, contestualizzati, con percorsi didattici che, soprattutto oggi, costituiscono un’offerta proficua, senza precedenti, accanto a quella dei manuali e di altri strumenti didattici.
Fare cinema riunendo le discipline
Se si guarda, invece, non tanto al cinema come “fonte”, ma al “fare” cinema in classe nel quadro dell’insegnamento – apprendimento della storia: emerge un elemento, ovvero come il raccontare attraverso un’immagine o narrare per immagini sia un’attività che determina la discesa in campo di molte abilità, che sono alla base di un laboratorio di storia attivo e partecipativo, che prescinde dalla sola storia in senso stretto e che integra molte altre competenze, svelate proprio dai linguaggi visivi.
E se il cinema è un linguaggio, uno strumento con cui tutte le persone possono esprimersi allora a scuola può diventare uno strumento che favorisce l’insegnamento della storia, che consente una sua riattualizzazione e che, al contempo, unisce le discipline, riuscendo a far emergere conoscenze e competenze con carattere di trasversalità e, soprattutto, a favorire l’inclusione e a supportare talune fragilità.
The Lexi Cinema, Chamberlayne Road, NW10 – Mike Quinn – Wikimedia Commons
Un linguaggio inclusivo
Infatti, dagli esercizi allo sguardo più immaginifici si riesce a dare una forma ai pensieri e la cultura audiovisiva diviene, a tutti gli effetti, un linguaggio inclusivo che trasforma in attiva tutta l’applicazione metodologica. L’audiovisivo, inoltre, non è composto solo di immagini, ma di suoni, di sensazioni, di sinestesie, di lunghe emozioni tattili. Dunque, questa narrazione si configura come pluri-sensoriale. Questa dimensione in riferimento all’inclusione scolastica, può permetterci finalmente di parlare di didattica inclusiva: quest’ultima, oggi, può essere qualificata come una “didattica di qualità per tutti” ed ha smesso di essere considerata come una corsia d’accesso solo per studenti con disabilità o bisogni educativi speciali. Così anche nell’insegnamento della storia, l’audiovisivo diventa il terzo spazio mediale: un nuovo ambiente di apprendimento dove chi non riesce a comunicare convenzionalmente può creare.
La dimensione territoriale
La scuola si trova in una rete di relazioni che sono in primo luogo quelle del suo territorio, della comunità che vi abita e lavora e della loro storia. Per quanto il confine tra la dimensione locale e quella globale sia oggi più sfumato rispetto al passato, solo la dimensione territoriale è depositaria degli usi, dei costumi, dell’immaginario collettivo che dà forma all’identità personale e comunitaria, assegnando agli oggetti (naturali e artificiali) uno specifico significato. Questo processo di significazione costruisce il patrimonio della collettività, come ci ricorda l’articolo 2 della Convenzione di Faro, uno dei recenti documenti europei con maggiori e evidenti aspetti formativi.
Partendo da questo presupposto, che mette al centro del patrimonio culturale i soggetti e le loro volontà, la dimensione territoriale dell’azione educativa assume un valore cruciale. In tale prospettiva “fare storia” può coincidere anche con il raccontare il quotidiano, l’usuale, un luogo, una montagna, una periferia, narrando una vicenda “banale” come fosse un’epica, raccontando per non dimenticare, poiché raccontare è un esercizio della memoria.
Due esperienze nel territorio
Nelle due esperienze che potete scaricare qui sotto– sia in quella sviluppata in Abruzzo nella contingenza pandemica, sia in quella Toscana sui sentieri dei pellegrini – cinema, memoria e territori, compongono una grande narrazione corale, quasi un’epica, una mitologia dei luoghi e degli eventi. In queste due esperienze, la disciplina storica, attuata attraverso il fare cinema, si configura come elemento centrale per rafforzare il legame tra abitanti e i loro territori: l’attività svolta ha permesso di far emergere le voci dei territori, rispondendo all’intento di offrire alla comunità locale e pure a quella più ampia uno spazio ulteriore per raccontarsi nelle sue dimensioni storico culturali materiali e immateriali, valorizzando vicende, luoghi e personaggi dei territori extraurbani attraverso una narrazione che metta in luce aspetti significativi, talvolta inediti, che meritano di essere scoperti e approfonditi.
Alimentare, grazie al linguaggio cinematografico, il rapporto tra memoria, territorio e scuola ha significato ripensare alla prossimità non solo in termini di vicinanza fisica ma anche, e soprattutto, in termini di senso di appartenenza ai luoghi e di legami culturali identitari: si è trattato di valorizzare il patrimonio materiale e immateriale del territorio col fine precipuo di proteggere anche l’identità culturale delle comunità che in esso si riconoscono.
España, un destino que encanta con su diversidad cultural y paisajes variados, ofrece a los viajeros experiencias únicas en cada rincón del país. Aquí te presentamos las cinco ciudades más hermosas que deberías considerar visitar.
Madrid: La capital vibrante y cultural
La capital de España, Madrid, es el corazón del país y ofrece una mezcla de tradición y modernidad. Pasea por Puerta del Sol y Plaza Mayor, visita el Museo del Prado y admira las obras maestras de artistas como Velázquez y Goya, relájate en el Parque del Retiro o disfruta de un paseo por el elegante barrio de Salamanca, ¡en Madrid siempre hay cosas nuevas para descubrir!
Si te gustan los dulces, te aconsejo pasar por San Ginés, una de las chocolaterías más famosas de la capital, y probar su chocolate caliente con churros. Si también eres una persona fiestera, entonces te aseguro que la vida nocturna en Madrid es tan vibrante como la ciudad misma. Los madrileños son conocidos por su amor por la fiesta y la diversión. Explora la zona de Malasaña, llena de bares alternativos, y vive las experiencias inolvidables de los clubes en la Gran Vía para vivir Madrid en pleno.
Barcelona: La ciudad de Gaudí y las playas doradas
Barcelona, en la costa nororiental de España, es famosa por la arquitectura única de Antoni Gaudí. La Sagrada Familia y el Parque Güell son los destinos imperdibles de esta ciudad, pero Barcelona es conocida también por su animada escena artística y cultural. Mientras caminas por las estrechas calles empedradas del Barrio Gótico y aplaudes una exhibición de artistas callejeros, no te olvides pasar por el Mercado de la Boqueria y probar las tapas típicas de España así como otros tipos de comida.
Lo que amo de Barcelona es que aquí, en invierno o verano, siempre puedes disfrutar de playas hermosas, como la playa de la Barceloneta, relajándote y disfrutando del sol de Cataluña mientras paseas por uno de mis sitios favoritos, la Rambla del Mar: un puente que conecta las playas con el Acuario de Barcelona, otra atractiva que no te puedes perder.
Sevilla: Donde el flamenco y la historia se encuentran
Sevilla, en el sur de España, te enamorará con su encanto andaluz y te cautivará con su Alcázar árabe y sus exuberantes jardines. Esta ciudad cuenta con una de las plazas más famosas de Europa, la Plaza de España, que con sus imágenes representa artísticamente toda la península. Otra de las joyas de la ciudad son la Catedral de Sevilla y la Giralda, pero estoy segura que serán el Barrio de Santa Cruz y el de Triana los que te sorprenderán con sus pequeñas calles llenas de historia. Además, si visitas el barrio de Triana, te aconsejo que no te pierdas los espectáculos de flamenco: ¡esta será tu oportunidad de vivir la verdadera pasión española!
Valencia: La ciudad de las artes y las ciencias
Valencia, en la costa este, destaca por su modernidad y vanguardia. La Ciudad de las Artes y las Ciencias es un complejo arquitectónico futurista que no te puedes perder, pero la verdadera atracción de Valencia es la Lonja de la Seda, declarada Patrimonio de la Humanidad.
Si quieres un consejo, programa tu viaje a Valencia en marzo y no te pierdas una de las fiestas más atractivas de España: las Fallas, donde enormes esculturas artísticas se exhiben por toda la ciudad antes de ser quemadas en una impresionante ceremonia que simboliza la renovación y el comienzo de la primavera. Mientras disfrutas de los espectáculos pirotécnicos, prueba la paella y rompe con una de las disputas más históricas de España decidiendo cuál te gusta más entre la paella valenciana y la paella marinera.
Granada: El encanto de la Alhambra
En el sur de España, Granada te sorprenderá con la maravillosa Alhambra, un palacio morisco lleno de historia, y el Albaicín, el barrio árabe declarado Patrimonio de la Humanidad. Visitar esta ciudad será como viajar en el tiempo y en el espacio visitando una ciudad árabe medieval: pasea por sus jardines, sus barrios y sus tiendas para descubrir su magia.
No te olvides de explorar la ciudad desde las alturas en el Mirador San Nicolás, probar las tapas de los bares que encontrarás allí cerca y disfrutar de las vistas de la Alhambra, es una maravilla que te vas a llevar para siempre. España ofrece una variedad de experiencias únicas en cada ciudad. Desde la arquitectura de Barcelona hasta la pasión del flamenco en Sevilla, cada rincón tiene algo especial. ¡Prepárate para descubrir la belleza de España y su rica cultura!
España ofrece una variedad de experiencias únicas en cada ciudad. Desde la arquitectura de Barcelona hasta la pasión del flamenco en Sevilla, cada rincón tiene algo especial. ¡Prepárate para descubrir la belleza de España y su rica cultura!
L’autrice
Alba di Egness, madrelingua spagnola, laureata in economia e con un master in marketing, si trasferisce in Italia nel 2016 e si specializza nell’insegnamento dello spagnolo per studenti di madrelingua italiana. Content creator e Fondatrice dell’Accademia Egness, la prima scuola online di spagnolo per italiani.
“Parole, parole, parole, soltanto parole”…o forse no
Di cosa abbiamo bisogno per fare poesia? Delle parole, certamente, ma non di parole qualsiasi. La forza della lingua poetica, infatti, risiede proprio nell’uso particolare che fa dei suoi elementi. Forse è per questo che quando pensiamo alla dimensione poetica nella nostra mente formuliamo pensieri contrastanti: da un lato, percepiamo la poesia difficile e indecifrabile, quasi impossibile da scrivere; dall’altro veniamo rapiti immediatamente da nuovi significati, veicolati talvolta con scelte lessicali tratte dal nostro vocabolario quotidiano.
Nel territorio poetico il testo sprigiona un grande potere generativo: costruisce mondi, nuove possibilità di pensiero e sentimento, e lo fa proprio con la sua insostituibile parola, che dice cose normali in modo speciale, mettendo in crisi il senso dell’ordinario. Nel testo poetico, insegna Mario Luzi, si verifica un vero e proprio processo misteriosodi creazione, uno scambio tra le parole e le cose, che si «risvegliano reciprocamente» (Le parole agoniche della poesia).
La compiutezza di un verso
Ma cos’è che rende un testo una poesia? Come spiegare in classe che abbiamo bisogno esattamente di quelle parole e in quella precisa sequenza per ricreare l’esperienza poetica? Una parola, infatti, non vale l’altra, e Giovanni Giudici lo sapeva bene. Nel suo saggio narrativo Andare in Cina a piedi(Ledizioni, 2017) dedica diverse pagine alla potenza creativa della lingua poetica, una lingua che sembra rappresentare un’eccezione, una sfida rispetto agli usi ordinari del linguaggio. Per dimostrare che nel testo poetico esistono legami di significato misteriosi si serve del primo verso della celebre lirica leopardiana L’infinito. Invita il lettore a «variare l’ordine delle parole del verso, senza che ne sia peraltro alterato il senso logico e con modesti cambiamenti nello schema ritmico, così da ottenere una serie di varianti». Possiamo ottenere in questo modo dieci versi, come segue:
Caro mi fu quest’ermo colle sempre
Mi fu quest’ermo colle sempre caro
Quest’ermo colle sempre mi fu caro
Quest’ermo colle caro mi fu sempre
Caro mi fu sempre quest’ermo colle
Mi fu sempre quest’ermo colle caro
Mi fu quest’ermo colle sempre caro
Caro sempre mi fu quest’ermo colle
Caro quest’ermo colle mi fu sempre
Mi fu caro quest’ermo colle sempre
L’esercizio, spiega Giudici, serve proprio per dimostrare che nessuna delle varianti è lontanamente paragonabile «alla suprema e tranquilla e limpida perfezione del verso leopardiano». Ma perché questo accade? Cosa “stona” effettivamente nelle varianti anche se il significato è rimasto uguale?
La poesia, secondo l’autore, «non vale tanto per quel che dice, quanto invece […] per quel che è una successione di suoni, quasi note musicali, in ordinato e rigido rapporto tra loro, per cui ogni modifica nell’ambito di questa particolare fase (il “suono”) della lingua poetica mette in crisi anche il senso di tutto il resto (anche del semplice che-cosa-vuol-dire)».
Spunti didattici
Quando leggiamo L’infinito di Giacomo Leopardi noi vediamo la siepe che “il guardo esclude”, forse possiamo addirittura sentire il vento che l’accarezza e ci lasciamo attraversare dalla memoria dell’eterno. Un verbo diverso da “naufragar” per il pensiero che vaga nei ricordi e un’altra espressione rispetto a “profondissima quiete” non riuscirebbero a rendere l’immagine acustica del paesaggio che si unisce alle emozioni. Un buon esercizio per far comprendere alle studentesse e agli studenti i legami di senso che caratterizzano le opere poetiche potrebbe essere la riscrittura di un verso, sulla scia degli insegnamenti di Giudici, e riflettere su quanto un sinonimo, per esempio, potrebbe stravolgere il messaggio profondo che intende veicolare l’Io lirico. Proponete alla classe di scegliere in piena autonomia un verso di una poesia a piacimento e di rielaborare dieci varianti che, per quanto possibile, rispettino la semantica. Poi, aprite un dibattito sulle scelte lessicali, metriche e retoriche della variante che più si avvicina all’originale.
Negli ultimi anni si è fatto più acceso il dibattito sul “lavoretto di Natale”. C’è chi sostiene che non si debba fare, che si debba chiamare con altri nomi o che non abbia alcun senso per i bambini. Se viene fatto con uno scopo preciso e con l’intento di coltivare la bellezza, può essere un’occasione importante per esercitare competenze che non si metterebbero in campo nella normalità scolastica di tutti i giorni.
L’obiettivo
Troppo spesso si rischia che il focus del lavoro sia sul prodotto finale, sulla realizzazione di qualcosa di perfetto, che poco si addice alle mani dei bambini. Fare un manufatto, in occasione delle feste o in qualsiasi altro momento, dovrebbe essere l’occasione per sperimentare abilità diverse, per imparare tecniche artistiche, per mettersi alla prova e stimolare la propriacreatività.
L’abilità da apprendere
Ci sono abilità e tecniche artistiche infatti che nella quotidianità non vengono stimolate. Dunque mettersi all’opera su un manufatto può essere l’occasione per provare qualcosa di nuovo e misurarsi con abilità complesse e multidimensionali. Ecco allora che imparare a fare il decoupage, ritagliando con precisione i pezzetti di salvietta, creare un centrotavola, cucire il panno per fare qualche oggetto, utilizzare il legno, la carta vetrata e vari tipi di colla, diventano strumenti per apprendere ad utilizzare le mani, a creare, ad essere creativi, con lo scopo di potenziare il fare per apprendere.
La bellezza e la cura
In tutto questo però dovremmo ricordarci che i bambini amano il bello. Mettere a loro disposizione materiali curati, ben preparati, disposti con attenzione in uno spazio laboratoriale ben attrezzato, può fare la differenza. L’insegnante diventa un artigiano che fa vedere il processo in atto, mostrando le tecniche e dando suggerimenti sulla composizione. Ogni alunno e alunna poi, padroneggiata la tecnica, saprà applicarla in modo creativo, non per creare una copia del lavoro dell’insegnante, ma per dar vita ad un manufatto vero, proprio, pensato e progettato.
Un esempio in classe prima
In classe prima, ci siamo dedicati alla preparazione di un centrotavola. Ciascuno, ricevuti i materiali, li ha ordinati e osservati con attenzione, scegliendo i più adatti per sé. Poi con infinita pazienza ha incollato ogni piccolo oggetto nel ceppo, cercando la posizione migliore, sia perché fosse d’effetto, sia perché la vinavil facesse presa. Poi, con altrettanta pazienza, ognuno ha premuto sul pezzo, per far sì che la colla si fissasse, prima di aggiungere un nuovo elemento. Abbiamo imparato anche a gestire la frustrazione perché qualche pezzetto nonostante mille tentativi, proprio non si voleva attaccare, e qualche lacrima è scesa.
È stato un esercizio di pazienza enorme, e nel frattempo di scelta, di armonia e di decisioni attente. Solo alla fine, la maestra ha fatto vedere che esiste un altro tipo di colla, quella a caldo, con la quale avrebbe aiutato ad incollare i pezzetti minuscoli o strambi, che con la vinavil proprio non si volevano attaccare. Abbiamo cosparso di brillantini e di neve spray, e abbiamo ammirato soddisfatti il nostro risultato. Abbiamo poi preparato il biglietto, messo il tutto nel sacchetto. La soddisfazione di aver creato qualcosa di proprio, con tanta fatica e impegno, brillava negli occhi di tutti.
Certo, ci abbiamo messo una settimana, quindi il tempo dedicato è stato davvero molto, ma ne è valsa la pena, perché il lavoro di Natale può essere davvero speciale e produttivo.
Ho dipinto, ho atteso, è asciugato, ho sistemato. Ho raccolto, ho riordinato, ho atteso, ho pensato. Ho pensato, ho tagliato, ho pensato, ho incollato. Ho mostrato, ho spiegato, ho sorriso, ho ascoltato.
Così, se davvero capite quel che ho detto, vi prego, non chiamatelo soltanto “lavoretto”.
Christmas Eve 1914 – It all started with German soldiers singing, shouting Christmas Greetings and putting up Christmas decorations. The British and German trenches were so close that soldiers could see and hear each other. Therefore in some places soldiers had agreed not to fight. That is what we now call the Christmas Truce, an extraordinary event that paused WWI for a day. It was a day in which soldiers had the possibility to spend time with the “enemy”, to play football, to exchange biscuits or small presents. It was a day of hope and peace in the middle of what Sassoon called “the hell”.
Teaching with movies
Film – Joyeux Noel
Film – Oh What A Lovely War
Consider how people reacted to the Christmas truce and complete the table.
Ask your students to investigate the Christmas Truce from the point of view of the soldiers who wrote home. Let them choose two/three letters and then organise a plenary review
How would it feel after the truces ended for a soldier to shoot at someone he knew?
The poet takes into consideration every aspetc of the war. Highligh with two different colours the negative and positive aspects of those days highlighted in the poem.
What is the role of silence in the poem?
What does the phrase “sudden bridge from man to man” mean?
Teaching with commercials, newspapers and songs
SONG
My name is Francis Toliver, I come from Liverpool. Two years ago the war was waiting for me after school. To Belgium and to Flanders, to Germany to here, I fought for King and country I love dear.
‘Twas Christmas in the trenches, where the frost so bitter hung. The frozen fields of France were still, no Christmas song was sung. Our families back in England were toasting us that day, Their brave and glorious lads so far away.
I was lying with my messmate on the cold and rocky ground, When across the lines of battle came a most peculiar sound. Says I, “Now listen up, me boys!” each soldier strained to hear, As one young German voice sang out so clear.
“He’s singing bloody well, you know!” my partner says to me. Soon, one by one, each German voice joined in harmony. The cannons rested silent, the gas clouds rolled no more, As Christmas brought us respite from the war.
As soon as they were finished and a reverent pause was spent, “God Rest Ye Merry, Gentlemen” struck up some lads from Kent. The next they sang was “Stille Nacht,” “‘Tis ‘Silent Night,'” says I, And in two tongues one song filled up that sky.
“There’s someone coming towards us!” the front line sentry cried. All sights were fixed on one lone figure trudging from their side. His truce flag, like a Christmas star, shone on that plain so bright, As he bravely strode unarmed into the night.
Then one by one on either side walked into No Man’s Land, With neither gun nor bayonet we met there hand to hand. We shared some secret brandy and wished each other well, And in a flare lit soccer game we gave ’em hell.
We traded chocolates, cigarettes, and photographs from home. These sons and fathers far away from families of their own. Young Sanders played his squeezebox and they had a violin, This curious and unlikely band of men.
Soon daylight stole upon us and France was France once more. With sad farewells we each began to settle back to war. But the question haunted every heart that lived that wondrous night: “Whose family have I fixed within my sights?”
‘Twas Christmas in the trenches where the frost so bitter hung. The frozen fields of France were warmed as songs of peace were sung. For the walls they’d kept between us to exact the work of war, Had been crumbled and were gone forevermore.
My name is Francis Toliver, in Liverpool I dwell, Each Christmas come since World War I, I’ve learned its lessons well, That the ones who call the shots won’t be among the dead and lame, And on each end of the rifle we’re the same.
Divide the class into 3 groups and ask each group to consider the material provided. Let them write a short essay to describe the historical event and its protagonists.
Cos’è un genocidio? Si possono stabilire comparazione tra eventi storicamente tra di loro diversi? Dove si colloca la linea di divisione tra un massacro di gruppo e, invece, la distruzione sistematica di massa, voluta non solo politicamente ma – soprattutto – realizzata anche in maniera industriale, di intere collettività, definite secondo un criterio puramente razzista? Perché nella storia europea lo sterminio delle comunità ebraiche, durante la Seconda guerra mondiale, costituisce, a tutt’oggi, un punto di non ritorno, rispetto al quale dobbiamo ancora continuare a confrontarci? Non di meno, per quale ragione dovremmo ancora occuparci di tutto ciò, dal momento che molto altro è invece accaduto, nell’insipienza, nel silenzio e nell’immobilismo dei più?
Una questione di modalità e criteri
La questione di fondo, rispetto a ciò che è successo negli anni della guerra tra il 1939 e il 1945, rinvia – ancora una volta – non solo a numeri e vittime bensì a intenzionalità, modalità e criteri operativi. Poiché l’eliminazione della popolazione ebraica in Europa, in quegli anni, non è solo ed esclusivamente un problema della minoranza che ne fu fatta bersaglio ma anche, e soprattutto, un rimando a come le società totalitarie riescano a costruire, intorno a sé, un consensobasato su politiche sia di inclusione che di brutale esclusione, fino all’estremo dell’omicidio di massa. Entrambe su base etnica e, quindi, razzista.
Questioni terminologiche?
Si tratta di una questione che non si esaurisce con il Novecento. Ragionare sul tempo che fu ci dà quindi gli strumenti per capire il nostro confuso presente. Tanto più dal momento che i drammatici eventi in corso in Medio Oriente, a partire dalla guerra tra lo Stato d’Israele e Hamas, sembrano richiamare echi di quel passato. Soprattutto quando vi siano in campo protagonisti che si qualificano (o vengono qualificati) come ebrei. Il rimando, molto spesso incauto così come generalizzato, a termini quali «pogrom», «pulizia etnica» se non addirittura allo stesso «genocidio» o al «nazismo» per definire il significato di quanto sta avvenendo, rischia infatti di sovrapporre, e quindi, confondere, il tracciato del presente con il percorso del passato. Laddove, in una sorta di ribaltamento dei ruoli tra vittime e carnefici, oppure di improbabile ripetizione di quanto già è stato, si ritiene di potere giudicare ciò che avviene con il rigido e acritico ricorso agli schemi interpretativi adottati per comprendere quanto avvenne.
Senza comprendere non si può agire
Da ciò derivano atteggiamenti di falsa consapevolezza che, nel tentativo di inquadrare una volta per sempre un evento, lo riducono invece ad una sorta di elemento di una sequenza destinata a replicarsi inesorabilmente. Mettere a fuoco la consistenza delle categorie analitiche e interpretative che utilizziamo, quindi, non è un esercizio ozioso e di mera natura intellettualistica, dinanzi all’incalzare dei fatti, bensì una necessità irrinunciabile per comprenderne la specifica natura ed evoluzione. Senza una tale cognizione, la possibilità di intervenire attivamente su di essi, condizionandone consapevolmente i loro esiti, rischia altrimenti di essere annullata.
Per approfondire
In vista del Giorno della Memoria, puoi approfondire e condividere con la tua classe anche altre videolezioni di Claudio Vercelli: