Il santuario di San Francesco di Paola

Tra i santi più celebrati dalla tradizione cristiana, risalta la figura di San Francesco di Paola, la cui vita è stata caratterizzata da una profonda dedizione alla preghiera, alla penitenza e alla carità. Nato nel marzo del 1416 a Paola, in Calabria, Italia, da genitori devoti e religiosi, dimostrò sin dalla giovane età una particolare inclinazione alla spiritualità e alla vita ascetica. Intorno all’età di 13 anni, Francesco si ritirò in una grotta per condurre una vita di preghiera, digiuno e penitenza. Questo periodo di ritiro durò diversi anni, durante i quali il santo sviluppò una profonda intimità con Dio e una forte sensibilità verso i bisogni degli altri.

Nel 1435, all’età di 19 anni, Francesco ricevette un’apparizione della Madonna, che gli chiese di fondare un nuovo ordine religioso dedicato alla povertà e alla carità. Questo ordine divenne noto come l’Ordine dei Minimi. Francesco ricevette l’approvazione ufficiale per l’ordine nel 1474 da papa Sisto IV. A san Francesco di Paola sono attribuiti numerosi miracoli, tra cui la capacità di camminare sulle acque e la profezia di eventi futuri. Dopo aver trascorso gli ultimi anni in serena solitudine, morì in Francia a Plessis-lez-Tours il 2 aprile 1507, un Venerdì Santo, a ben 91 anni, età più che ragguardevole per l’epoca.

Il santuario di San Francesco da Paola sorge nella parte alta e collinare della cittadina di Paola, località di nascita di san Francesco, in una valle costeggiata da un torrente e ricca di vegetazione. È meta di pellegrinaggio da tutto il sud Italia, specialmente dalla Calabria, di cui san Francesco è patrono. Custodisce parte delle spoglie del santo, mentre le restanti si trovano a Tours in Francia. Nell’ottobre 1921 papa Benedetto XV ha elevato il santuario al rango di basilica minore. L’edificio presenta una facciata in pietra tufacea divisa in due ordini di colonne. Al di sopra in una nicchia è posta la statua del Santo con lo stemma dell’ordine monastico da lui fondato. Tale stemma consiste in uno scudo con al centro la scritta “Charitas”, gli fu indicato in una apparizione dallo stesso San Michele Arcangelo. 

L’interno della chiesa antica si presenta spoglio, con al lato destro solo una navata nella quale si affacciano cinque cappelle delle quali le prime quattro sono affrescate con episodi della vita di Francesco e l’ultima, la più sontuosa, ne custodisce alcune reliquie. Sull’altare si ammira un dittico raffigurante i due Santi: San Francesco di Paola e San Francesco d’Assisi, mentre le pareti del presbiterio mostrano un affresco della Madonna degli Angeli. Dal pronao si accede all’antico romitorio e al chiostro nelle cui pareti un affresco presenta Francesco che galleggia sulle acque rifacendosi al miracolo da lui compiuto allorché fu invitato a recarsi a Messina per edificarvi un convento. Anche per questo episodio della sua vita il Santo, oltre che essere considerato patrono della Calabria, è pure stimato patrono della gente di mare.

Per approfondimenti, vai alla rubrica Luoghi dello Spirito della rivista Raggi di Luce.

A lume di candela

Il 16 febbraio è la Giornata Internazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili: un’occasione importante per riflettere anche a scuola sull’importanza dei comportamenti individuali in materia di ecologia e sostenibilità. La scelta del 16 febbraio risale al 2005, data dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto: l’accordo tra 184 Paesi contro il surriscaldamento globale. L’Italia è uno di questi.

La Giornata internazionale del risparmio energetico è nata quindi con lo scopo di sensibilizzare la popolazione mondiale verso quei comportamenti – anche piccoli – che possono contribuire a contrastare il cambiamento climatico e a preservare la flora e la fauna del Pianeta. Quest’anno, inoltre, ricorre la XX edizione di M’illumino di meno, un’iniziativa della trasmissione di Radio 2, “Caterpillar”, che da sempre si occupa anche di temi ambientali. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha invitato le scuole di ogni ordine e grado ad aderire con iniziative e idee. E sono davvero molte le scuole che da anni si attivano e partecipano.

Ma che cosa possiamo fare? Il decalogo di M’illumino di meno 

Ecco dieci idee facili facili da promuovere a scuola: potrai scegliere quelle più fattibili in base alle esigenze della tua classe.

    1. Spegni e fai spegnere le luci
      Organizza per la giornata del 16 febbraio attività che possono essere svolte anche a luci spente. 
    2. Cena a lume di candela
      Invita la tua classe a proporre una cena anti spreco con ricette svuota-frigo e alimenti a basso impatto ambientale
    3. Rinuncia all’auto
      Chiedi alla tua classe di optare per mezzi pubblici, piedi, bici o trasporto condiviso.
    4. Organizza attività di sensibilizzazione
      Organizza volantini (scritti a mano) e cartelloni da appendere fuori dalla scuola per richiamare l’attenzione sul risparmio energetico.
    5. Pianta qualcosa
      Fiori, piantine… piante! Oltre a far crescere un essere vivente, darai un contributo alla coscienza ecologica di bambine e bambini.
    6. Fai economia circolare
      Organizza una festa del riuso: scambio di oggetti scolastici, giochi, libri…
    7. Condividi
      Chiedi alla tua classe di diffondere l’appuntamento del 16 febbraio.
    8. Condividi un evento non energivoro
      La fantasia non ha limiti: dall’osservazione del cielo stellato a un coro a scuola senza alcuna amplificazione.
    9. Fai efficientamento energetico
      Fai conoscere alla tua classe le piccole azioni che possono aiutare a risparmiare energia: dallo sbrinamento del frigorifero al rompigetto da applicare ai rubinetti.
    10. Abbassa il riscaldamento
      La bellezza di indossare un maglione!

Non ti sarà sfuggito il fatto che molte delle proposte che hai appena letto sono degli spunti per progettare con la classe degli stimolanti compiti di realtà, ne siamo certi.

Per la Giornata Internazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili non può mancare poi un buon libro. Il nostro consiglio è partire da un testo ormai diventato un classico: “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, edito da Salani. La storia, scritta in forma di autobiografia, narra l’incontro tra Gono ed Elzéard Bouffier, l’uomo che piantava gli alberi a cui si deve il titolo. Elzéard Bouffier ha l’abitudine di piantare ogni giorno 100 ghiande ben selezionate, per decine di chilometri e per decine d’anni. Il suo obiettivo è riportare la vita dove la vita (vegetale, animale, umana) non c’è più.

Un libro delicato ed essenziale su un uomo che può fare la differenza per se stesso, per le persone che gli vivono accanto, per il resto del pianeta. L’uomo che piantava gli alberi” è un piccolo libro di appena 64 pagine, pubblicato per la prima volta nel 1953, ma che continua da anni a far parte della collana degli Istrici (Salani). Tante edizioni diverse per una storia che ancora oggi parla a tutte le generazioni.

Buon risparmio energetico a tutti noi!

Busta paga 2024: le novità introdotte dalla legge di bilancio e dalla riforma dell’IRPEF

Con l’approvazione della legge di bilancio 2024 e del decreto legislativo di attuazione del primo modulo di riforma dell’IRPEF viene confermato per il 2024 l’esonero parziale dei contributi INPS e si riducono a tre gli scaglioni di reddito IRPEF. Nell’articolo si illustrano queste novità, si presentano alcuni esempi di calcolo e compilazione del foglio paga e si propongono degli esercizi da svolgere in classe o da assegnare come compito a casa per gli studenti.

 

La Dea Roma e l’Altare della Patria

Al centro di Roma, in piazza Venezia, nella Sala Zanardelli del Vittoriano è aperta al pubblico sino al 25 febbraio 2024 la mostra La Dea Roma e l’Altare della Patria. Angelo Zanelli e l’invenzione dei simboli dell’Italia unita, curata da Valerio Terraroli, che celebra la conclusione della campagna di restauro del fregio dell’Altare della Patria, realizzato dallo scultore bresciano Angelo Zanelli (San Felice di Scovolo, Brescia 1879 –Roma, 1942) tra il 1910 e il 1925, voluta e diretta dalla direttrice del ViVe Vittoriano-Palazzo Venezia, Edith Gabrielli, e condotto da Susanna Sarmati.

La strategica collocazione nel cuore pulsante della storia di Roma fa del Monumento a Vittorio Emanuele II, comunemente noto come Vittoriano, un nodo nevralgico e ineludibile non solo della città, ma anche del nostro concetto di monumento, e ancor più di monumento celebrativo, che nel corso del suo secolo e poco più di vita ha subito alterne fortune: dalle esaltazioni retoriche più insopportabili alle critiche più feroci, fino ad una sorta di damnatio memoriae che arrivò ad auspicarne il trasferimento in un altro luogo o, addirittura, la demolizione parziale e la sua trasformazione in una sorta di nostalgica rovina, in analogia con i vicini Fori imperiali.

Con la distanza temporale e culturale che ci separa dagli eventi che concorsero alla sua nascita e al suo sviluppo, ma anche dalle diverse attribuzioni di valore di cui il complesso monumentale è stato oggetto, oggi possiamo ragionare criticamente sul significato di quel manufatto attraverso una ricostruzione storica delle diverse vicende che lo hanno prodotto, contestualizzandolo nel momento in cui fu ideato, ma anche chiederci che cosa è nella realtà contemporanea il senso di quella gigantesca struttura che rappresenta non solo il più grande museo all’aperto della scultura italiana tra Ottocento e Novecento, ma che per merito dei Presidenti della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella ha riacquistato il ruolo di rappresentare i valori di unità, di libertà e di uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione.

Tale riappropriazione del monumento, dal quale per altro si ha la più ampia e spettacolare veduta di Roma e dei Fori imperiali, da parte di un larghissimo pubblico (3.800.000 visitatori nel 2023) è ancor più significativa oggi in occasione del restauro di quello che correttamente viene individuato come l’Altare della Patria: sintesi simbolica della nazione nata dalle Guerre d’Indipendenza, ulteriormente sacralizzato dalla collocazione della salma del Milite Ignoto al disotto della figura della Dea Roma che è il vero e proprio perno iconico e significante dell’intero complesso monumentale del Vittoriano.

Protagonista e autore di quell’invenzione fu Angelo Zanelli, un giovane scultore di origine bresciana, dal notevole talento, perfezionato e indirizzato nel corso degli studi nella scuola di arti e mestieri Moretto di Brescia, poi, attraverso borse di studio, nell’Accademia di belle arti di Firenze e in quella di Roma, che vinse nel 1909 il concorso nazionale del 1908 per la decorazione plastica dello spazio sottostante la statua equestre del Re. La mostra propone, quindi, un percorso che, presentando sia agli esordi veristi dello scultore sia la sua fase simbolista, punta l’attenzione sia sulla questione del fregio monumentale e dei valori allegorici che questa tipologia scultorea porta con sé, a partire dalla tradizione classica fino all’età moderna, sia sulla definizione dell’iconografia della Dea Roma, che divenne a sua volta un modello nel corso degli anni Venti e Trenta, per seguire l’evoluzione del linguaggio dell’artista in ordine al tema del monumento celebrativo con le imprese scultoree per il Campidoglio di Cuba (1925-1930) e di Tolentino (1935-1940).

Angelo Zanelli, La Dea Roma in Botticino nel cantiere di Porta Maggiore, 1924-1925 (Brescia Musei Civici, lascito Zanelli).
La decisione finale della Commissione Reale di mettere a confronto l’invenzione più dichiaratamente storicista ed eclettica di Dazzi con quella compiutamente simbolista e allegorica di Zanelli, restituisce la temperatura del dibattito sulla questione del fregio del sotto-basamento: da un lato, si sentiva il dovere di concludere armonicamente l’apparato decorativo del monumento secondo ciò che si riteneva l’originario progetto sacconiano, ossia entro la cornice di un grandioso classicismo eclettico, ma dall’altro si sentiva l’improcrastinabile necessità di dar vita a un’immagine forte, contemporanea, nuova, delle fondamenta valoriali dello stato nato dall’epopea risorgimentale, spostando l’obiettivo dal racconto storico ad un’invenzione allegorica senza tempo, appunto eterna. Nei due anni successivi i due bozzetti vennero tradotti in scala 1:1 e gli altorilievi in gesso risultarono finiti il 20 dicembre 1910. 

Angelo Zanelli e i suoi collaboratori davanti al modello definitivo in creta del Valor patrio che pugna e vince (lato destro dell’Altare), 1913 circa (Brescia Musei Civici, lascito Zanelli).
Si decise, quindi, di montarli su appositi binari a ridosso del muro del sotto-basamento del Vittoriano per renderli, alternativamente, visibili al pubblico in quello che sarebbe stato, per ognuno dei due progetti, il contesto architettonico definitivo. Il 1911 era un anno cruciale poiché fervevano i preparativi per le celebrazioni del cinquantenario del Regno d’Italia che, il 4 giugno, avrebbero avuto come acme l’inaugurazione del Vittoriano da parte di re Vittorio Emanuele II e della regina Elena dando vita ad un rito collettivo, un momento catartico in cui, al di là degli aspetti cerimoniali e retorici, la nazione si sarebbe identificata nei propri simboli: dal disvelamento della statua equestre del Re, raffigurato in modo realistico mentre incede, trionfalmente, nella Città, alla presentazione del fregio sottostante con i cortei del Valor Patrio che pugna e vince (a destra) e del Lavoro che vivifica e feconda (a sinistra) che omaggiavano la figura stante di una Roma moderna”, contemporaneamente Athena Parthenos e Italia personificata.

Fra il 1913 e il 1919, essendoci di mezzo anche la guerra, le due ali del fregio realizzate in marmo di Botticino andarono via via a sostituire il modello in gesso ormai illeggibile, ma rispetto al quale lo scultore dimostra di aver scelto definitivamente la strada del neomichelangiolismo sostenuta dal vecchio Rodin, ma asciugato da qualsivoglia effetto pittorico, materico, in favore di definizioni anatomiche risentite, non naturalistiche certo, ma caratterizzate da quel linearismo arcaico, classico e primitivo insieme, che si riconosce nelle contemporanee opere di Émile-Antoine Bourdelle, di Aristide Maillol e, soprattutto, di Ivan Meštrović, ma depurati da qualsiasi declinazione espressionista. Anzi, nei dettagli dei volti, dagli occhi sgusciati, vagamente orientaleggianti e dai tagli netti dei profili, e nell’euritmia delle silhouettes sovrapponibili di figure, di cavalli e di trombe trionfali, si percepisce in modo chiaro la metamorfosi dalla grammatica secessionista al fraseggio déco: ancora una volta le variazioni del gusto contemporaneo occhieggiano in sottotraccia nella modellazione zanelliana. 

Angelo Zanelli, La maternità, particolare del Lavoro che vivifica e feconda, dopo i restauri, 2023 (foto V. Terraroli).

Angelo Zanelli, Le teste dei cavalli, particolare del Lavoro che vivifica e feconda, dopo i restauri, 2023 (foto V.Terraroli).

Nel frattempo, l’Altare si fregiava di un nuovo simbolo, condiviso con le altre nazioni coinvolte nel conflitto mondiale: la tomba del Milite Ignoto. Il 28 ottobre 1921, davanti alla basilica di Aquileia tra undici salme di soldati sconosciuti ne fu scelta una. Il convoglio funebre ci mise giorni a percorre il tratto ferroviario fino a Roma e divenne a sua volta, come le cronache e le immagini d’epoca testimoniano, un rito collettivo del dolore e della memoria. Il 4 novembre 1921 il Milite Ignoto venne tumulato nella tomba ricavata ai piedi della statua di Roma, non ancora collocata, che da quel momento assunse anche il ruolo di custode e protettrice della memoria comune e dei valori di pace e fratellanza.

Nel 1925 il lungo percorso della decorazione si concluse con la collocazione nella nicchia centrale della Dea Roma, con in mano la lancia e la Vittoria alata in argento, divenendo, in sostanza, l’atto conclusivo dell’allestimento decorativo e simbolico dell’Altare della Patria la cui iconografia, evocante l’Athena Parthenos di Fidia, rappresentava il mito antico passato attraverso la Secessione, ma qui fattosi aspro e sontuoso nel preziosismo decadente dei dettagli e della maschera sfingetica, e quindi riconquistato a una solennità che neutralizzava l’estetismo della scelta per l’imponenza religiosa del suo presentarsi. Quell’opera, nell’esecuzione finale, ristabiliva il nesso con la cultura contemporanea, attraverso torniture plastiche più decise e un prepotente, quanto titanico, classicismo, annuncianti le modalità espressive del Novecentismo.

Per approfondire

Sull’arte a Roma e in Italia negli anni che videro l’edificazione del Vittoriano, puoi consultare: Valerio Terraroli, Con gli occhi dell’arte, volume 5, Sansoni per la Scuola

Visita il sito della mostra:

Non solo MOSE: tra luci e ombre storia di un progetto per salvare Venezia dall’acqua alta

A poco più di un anno dalla fine del collaudo (ipotizzato per il 2025) ripercorriamo la vicenda della controversa struttura realizzata per proteggere Venezia dall’acqua alta, mentre resta sempre attuale l’interrogativo se questa sia l’unica soluzione a un problema ben più ampio e di maggiore portata che riguarda la sopravvivenza stessa della città e della sua laguna.

Il fenomeno dell’acqua alta in Laguna 

L’acqua alta a Venezia è un fenomeno naturale ordinario e di durata temporanea. Si tratta di un picco di alta marea che interessa la città prevalentemente in autunno e in inverno, con maggiore probabilità nei mesi di novembre e dicembre. Le cause, come riportato dall’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) sono da ricercarsi nell’influenza astronomica, in quella meteorologica, in quella geologica e nel cambiamento climatico globale.

 Il contributo meteorologico

Un vento di scirocco, soffiando da sud est, spinge l’acqua verso la parte settentrionale dell’Adriatico dove si accumula proprio davanti alla laguna di Venezia. Una volta cessata l’azione del vento il bacino dell’Adriatico comincia ad oscillare. Queste oscillazioni (le onde di sessa) possono andare avanti per giorni, anche se si smorzano del 15 % ogni volta. Il periodo dell’oscillazione principale è di circa 23 ore, molto vicino a quello della componente diurna della marea astronomica, che è di circa 24 ore.

Il contributo climatico

La crescita del livello medio del mare globale è dovuta al cambiamento climatico. Questo contributo viene stimato in più di 3 mm all’anno ma è previsto che il trend acceleri nel futuro. Nello scenario peggiore, per la fine del secolo si avranno più di 8 mm all’anno.

L’Aqua Granda del 1966 e la nascita del MOSE

4 novembre 1966: una straordinaria ondata di maltempo investe la parte settentrionale della nostra Penisola. A Firenze l’Arno esonda, a Venezia un picco di marea, il più alto di sempre, raggiunge i 194 centimetri sullo zero mareografico di Punta della Salute. L’evento passerà alla storia come la cosiddetta “Aqua granda” che mette in ginocchio l’intera città. Da quella drammatica esperienza scaturirà il 16 aprile del 1973 la prima Legge Speciale per Venezia che dichiara la salvaguardia della città lagunare di “preminente interesse nazionale”.

Nel settembre del 1975 il Ministero dei Lavori Pubblici indice una appalto-concorso internazionale per la progettazione ed esecuzione di interventi in difesa delle acque alte. Tre anni più tardi dei cinque progetti presentati nessuno risulta idoneo. Solo nel 1982, con l’approvazione del cosiddetto “Progettone” e la costituzione del Consorzio Venezia Nuova (unico concessionario dell’opera), si inizia a parlare di un sistema di barriere mobili alle tre bocche di porto della laguna: Lido, Malamocco e Chioggia. Comincia così la lunga storia che porterà alla nascita e costruzione del MOSE, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico. 

Un iter lungo 40 anni

Doveva essere ultimato nel 1995 e costare un miliardo e mezzo di euro (anziché i 6,5 miliardi attuali). La prima pietra invece viene simbolicamente posata nel 2003 e i lavori si protraggono segnati da continui slittamenti, battute d’arresto e soprattutto, dallo scoperchiamento di un sistema di corruzione capillare sfociato nell’inchiesta giudiziaria del 2014. Crollano i vertici del Consorzio Venezia Nuova, della politica locale e regionale.

Il Mose finisce commissariato tra ulteriori blocchi dei cantieri, polemiche sui costi di gestione e manutenzione (inclusi i fenomeni di corrosione), incertezze sulla sua efficacia futura. Dopo la terribile acqua alta del 12 novembre 2019 (187 centimetri) e dei giorni seguenti il Mose comincia ad essere attivato in forma sperimentale ma ad oggi mancano ancora i collaudi tecnico-funzionali che, affidati ad un’apposita commissione, si dovranno concludere entro la fine del 2025.  

Il funzionamento del MOSE

Il sistema di dighe mobili consta in 4 barriere (due alla bocca di porto del Lido, separate da un’isola artificiale, le altre a quella di Malamocco e Chioggia) e conta in tutto 78 paratoie mobili che vengono attivate in caso di maree eccezionali fino ai 3 metri. Le paratoie abitualmente rimangono sul fondo della laguna in cassoni di alloggiamento in calcestruzzo e riempite di acqua. Per il loro sollevamento viene immessa dell’aria compressa che le svuota e consente così la loro emersione. 

Ad oggi la quota minima prevista per l’attivazione è una marea di 110 centimetri (la popolazione viene prontamente avvisata tramite servizio gestito dal centro Previsioni e Segnalazioni Maree del Comune di Venezia) ma la messa in funzione è comunque discrezionale. Per garantire il passaggio delle imbarcazioni durante la chiusura del MOSE sono state previste delle conche di navigazione alle bocche di porto di Malamocco (per le navi) e Chioggia (per i pescherecci).

Una città all’asciutto?

Il grande interrogativo che incombe sul destino della città patrimonio Unesco e sui suoi abitanti è se davvero il MOSE la salverà da eventi eccezionali che vanno assumendo sempre più la connotazione di ordinari e dall’innalzamento progressivo dei mari. Fermo restando che la città lagunare presenta un diverso livello del piano di calpestio a seconda della zona presa in considerazione e che quindi la scelta di una mancata attivazione del sistema di dighe mobili può avere conseguenze diverse in base al sestiere in cui ci troviamo, la risposta è nota. Il MOSE potrà soltanto mitigare l’emergenza ma non sarà la soluzione.

La salvezza di Venezia passa attraverso altre opere complementari di salvaguardia (come quelle che stanno interessando Piazza San Marco, il punto più basso della città) tenendo conto, tra le altre criticità, che il fragile ecosistema lagunare non può sostenere chiusure frequenti e prolungate per la circolazione dello scambio dei flussi tra laguna e mare. Bisogna difatti ricordare che in generale, tutte queste azioni devono concorrere a garantire la salvaguardia naturale e ambientale, la valorizzazione artistica, storica e archeologica, l’equilibrio idraulico, fisico e morfologico, risanando e preservando l’ambiente dall’inquinamento atmosferico.

Per il MOSE tanti saranno comunque i punti a rimanere in sospeso tra cui la sostenibilità dei costi di attivazione (200mila euro ad ogni sollevamento secondo le stime più recenti), il nodo manutenzione, la gestione ordinaria dell’opera una volta terminata l’azione del Commissario straordinario. 

Per approfondire

Alcuni contributi giornalistici:

Un’attività didattica per la classe

 

Foto copertina: © mosevenezia

Intelligence Artificielle : quelles nouveautés en 2024?

L’année 2023 a été marquée par une explosion de l’intelligence artificielle. Elle restera dans l’histoire comme un vrai tournant dans le développement de cette nouvelle technologie qui donne l’impression de tout savoir et de tout pouvoir. Le protagoniste est bien évidemment OpenAI et son célèbre modèle de langage ChatGPT. Meta a aussi joué un rôle dans le secteur de l’open source avec Llama, Google, avec son modèle Bard. 

De nombreux scénarios ont été imaginés : certains experts sont convaincus que l’IA règlera tous nos problèmes, qu’elle sera une source incroyable pour stimuler l’homme dans ses activités, d’autres qu’elle mettra fin au monde contrôlé par l’espèce humaine, qu’elle limitera la créativité et que 2024 pourrait être l’année où les limites techniques et juridiques de l’IA exploseront.

Destruction, stagnation ou encore utopie, il est clair que le développement de cette technologie et ses applications possibles alimentent fortement les débats. C’est le sujet du moment et pour l’année 2024, dans le domaine de la technologie, on vous donne un petit aperçu des événements à suivre.

Dès le 9 janvier, le CES, le salon de l’innovation le plus célèbre, a ouvert ses portes à Las Vegas. La 57ème édition s’est déroulée du 9 au 12 janvier et l’ intelligence artificielle était annoncée comme la grande tendance de l’année

Un autre événement à suivre avec attention se déroulera à Paris les 16 et 17 mai prochains. Nous parlons bien-sûr des Journées Internationales de Recherche sur l’Intelligence Artificielle 2024. La 4ème édition réfléchira sur le développement de l’IA et son impact sur l’homme, les organisations et la société.

Enfin, rappelons la PFIA 2024, organisée par l’Université de La Rochelle, du 1er au 5 juillet. La Plate-Forme Intelligence Artificielle s’adresse à l’ensemble de la communauté francophone d’Intelligence Artificielle afin de se poser les bonnes questions concernant des problématiques communes, comme par exemple la sécurité des contenus partagés. 

Bref, l’IA est entrée dans nos vies, parfois nous l’avons adoptée sans même nous en rendre compte, et cette année, elle nous réserve encore plus de surprises. Cet instrument représente pour la plupart des ados un vrai atout pour mieux comprendre le monde qui nous entoure et pour faire de stimulantes découvertes. Il est cependant essentiel d’apprendre la bonne façon d’utiliser l’intelligence artificielle, comprendre comment elle peut nous aider dans notre travail – et pas le faire à notre place ! Cette technologie peut se révéler très utile à l’Homme et ne doit pas devenir une menace pour notre intelligence. L’IA est un outil intelligent à utiliser avec intelligence et transparence. L’UNESCO propose justement de réglementer l’utilisation de l’IA dans le domaine de l’éducation et on commence aussi à s’interroger sur la façon dont laisser trace de cette source d’inspiration, par exemple sur les créations de documents visuels.

Et pour reprendre un verbe cher à Saint-Exupéry et à son Petit Prince, la chercheuse au CNRS Laurence Devillers, interviewée par Okapi, a donné aux adolescents ce précieux conseil : « Ne pas avoir peur de l’IA, mais s’entrainer à l’apprivoiser ».

Découvrez comment utiliser l’intelligence artificielle au meilleur de son potentiel et en toute sécurité :

Sabores españoles: los dulces más típicos de la península

Desde las calles empedradas de Andalucía hasta las bulliciosas plazas de Madrid, los postres típicos de España revelan la diversidad de su patrimonio culinario. En este artículo vamos a descubrir cuatro de los postres más típicos de las fiestas españolas. 

España, tierra de rica herencia cultural y gastronómica, cautiva los sentidos con una variedad de sabores que han perdurado a lo largo de los siglos. Entre las delicias culinarias que destacan en la escena gastronómica española, los postres ocupan un lugar especial. Empezamos nuestro paseo gastronómico adentrándonos en cuatro dulces emblemáticos que adornan la mesa española. 

Churros: este es el dulce más típico de España. Los churros son tiras de masa frita que han conquistado muchos corazones y se suelen servir acompañados de una taza de chocolate caliente. Sumergir un churro caliente en el chocolate es una experiencia que resalta la simplicidad y la exquisitez de la cocina de este país. Son perfectos para un auténtico desayuno español y si aún no los has probado, para empezar, te aconsejo probarlos en la cafetería San Ginés de Madrid, ¡te van a encantar!

Turrón: pasemos ahora al turrón, dulce típico tanto de las fiestas italianas como de las fiestas navideñas españolas y regalo apreciado que enciende la alegría en cada bocado. Esta delicia está hecha de almendras tostadas y miel, y se presenta en varias consistencias: blando o duro. Ojo a que no se te rompan los dientes, acompáñalo de un vino Moscatel o un buen café. 

Polvorones: mi merienda favorita cuando era pequeña, los polvorones son una especie de galletas secas que se deshacen en la boca. Suelen estar decorados con azúcar glas y son imprescindibles durante las navidades en España. 

Roscón de Reyes: relleno de nata (o crema para los más modernos) y adornado con fruta confitada de varios colores, este bollo de masa dulce es típico del día de Reyes en España. Es el dulce con el cual se terminan todas las fiestas navideñas y por eso, como los reyes magos, ¡trae regalos! Si algún día lo vas a comer ten cuidado con tu trozo de roscón: ¡podrías encontrarte un regalito escondido dentro!

Y si eres más de cremas, no te preocupes, en España vas a encontrar postres típicos y deliciosos como… 

Flan: Si te gusta el sabor a vainilla y caramelo, el flan es para ti. Este postre cremoso tiene una textura suave y su característico caramelo por encima es la guinda del pastel. ¡Qué esperas, ve a cocinarlo!

Crema Catalana: estoy segura de que ya has oído hablar de este postre. Es uno de los platos más famosos de Cataluña, ya extendido por el resto del país. Se hace con yema de huevo, harina, azúcar y leche, todo ello cubierto con una capa de azúcar caramelizado ¿será tan fácil de cocinar como de comer?

Así concluimos nuestro viaje por los dulces típicos de España, donde cada postre cuenta una historia única. La riqueza cultural de este país se revela en cada bocado, recordándonos que la gastronomía es mucho más que una experiencia sensorial; es un viaje a través del tiempo y la tradición que une a las personas en torno a la mesa. ¡Buen provecho!

L’autrice

Alba di Egness, madrelingua spagnola, laureata in economia e con un master in marketing, si trasferisce in Italia nel 2016 e si specializza nell’insegnamento dello spagnolo per studenti di madrelingua italiana. Content creator e Fondatrice dell’Accademia Egness, la prima scuola online di spagnolo per italiani.

YouTube
Facebook
Instagram

Imparare senza accorgersene

Avete mai utilizzato le routine a scuola per sostenere l’apprendimento spontaneo senza bisogno di esercizi, studio a casa o lunghe spiegazioni?

Introdurre e ripetere quotidianamente o all’inizio di ogni lezione alcune brevi attività permette a bambine e bambini di comprendere a fondo concetti matematici o scientifici, di ricordare senza sforzo regole o espressioni in una lingua straniera, oltre a dare punti di riferimento agli alunni che ne hanno più bisogno abbassando notevolmente il livello di stress.

Alcuni esempi di routine nella didattica della matematica

Iniziare le lezioni di matematica con un’attività ludica breve e divertente può essere di grande aiuto sia per poter creare un clima disteso e sereno, sia per portare l’attenzione sull’argomento desiderato, ma anche come ripasso.

Vediamo alcuni esempi: per potenziare il calcolo mentale, si potrebbe tenere in classe una scatola contenente dei cartoncini colorati con dei calcoli da pescare all’inizio della lezione (il set di operazioni può essere modificato spesso sulla base del livello della classe e delle competenze sulle quali si preferisce lavorare); oppure si possono allenare i cosiddetti amici del 10 giocando con le 10 dita: “se ne sollevo 3, quante sono quelle piegate?” e così via; o ancora si possono utilizzare dadi, carte da gioco e altri materiali per coinvolgere i bambini in una riflessione matematica divertente e creativa.

Si può poi far sperimentare il concetto di pari e dispari ogni volta che ci sia la necessità di mettersi in fila per due chiedendo ai bambini se tutti hanno un compagno – “allora siete pari” – o se qualcuno rimane da solo – “in questo caso siete dispari, ma come possiamo fare per essere pari?” – magari includendo la maestra o il maestro nel conteggio. Si può anche chiedere ai bambini quali altri raggruppamenti si potrebbero fare per evitare che qualcuno rimanga solo: “Ci possiamo mettere in fila per 3?”, “Sì, perché 9 è divisibile per 3!” e così via.

Un’altra attività divertente per riflettere sulla matematica può essere fatta in mensa: quando il menù prevede la pizza ciascun bambino riceve una bella fetta quadrata, qualcuno però ne chiede soltanto mezza, mentre la maggior parte chiede il bis; la nostra collaboratrice a volte dà un’altra mezza fetta, a volte un altro quarto o più. Un giorno i miei alunni di classe 3a hanno iniziato a confrontare la quantità di pizza ricevuta: un intero, un mezzo e ancora un quarto, qualcun altro due mezzi – che però equivalgono a un intero! – e così li ho aiutati a riflettere su quanti quarti o quanti mezzi avessero mangiato, sulle frazioni equivalenti e sulle somme di frazioni, senza astuccio né quaderno, solo con la voglia di…assaggiarne un quarto in più!

Quando si chiede ai bambini di lavorare in gruppo, possiamo farli riflettere sul numero di membri per ogni gruppo a partire dal numero di bambini nella classe; riflettendoci ogni volta, saranno portati a scoprire più facilmente i criteri di divisibilità di ciascun numero; una volta erano 19 in classe e, non riuscendo a creare gruppi con lo stesso numero di bambini in nessun modo, abbiamo scoperto l’esistenza e il significato dei numeri primi.

Alcuni esempi di routine utili per imparare ad interagire in lingua inglese

 

 

 

 

 

 

 

 

L’apprendimento delle lingue è prevalentemente mnemonico, quindi le routine da proporre saranno maggiormente legate alla ripetizioni di frasi, domande e risposte.

Fin dalla classe 3a si può introdurre l’attività del calendario da aggiornare ogni mattina: si può acquistare già pronto oppure si può realizzare in cartoncino o gomma eva, predisponendo i giorni della settimana, i mesi e i numeri ordinali. In questo modo i bambini dovranno semplicemente staccare e attaccare il giusto cartellino e poi leggere il calendario in inglese, con l’aiuto dell’insegnante e dei compagni se serve. In presenza di particolari difficoltà, si può preparare un promemoria con i giorni della settimana e i mesi in ordine.

Una possibile variante è quella di introdurre anche la stagione e il tempo metereologico. Quando i bambini saranno un po’ più sicuri, l’insegnante potrà porre loro delle domande come “What’s the weather like?”, “What’s season is it?”. In quinta, infine, saranno i bambini a porsi le stesse domande tra di loro.

E come fare per imparare a dire e chiedere l’ora in inglese? Perché anziché preparare schede piene di orologi con tanti orari diversi da completare (che servono prevalentemente a mandare in tilt bambini e bambine per poi finire nel “dimenticatoio”) non prepariamo un bel cartellone con la scritta “What’s the weather like?”, un orologio con le lancette mobili e le parole-chiave ben visibili (o’clock, past, to, half, a quarter, …) e poi ci impostiamo una bella sveglia che suona a sorpresa a orari stabiliti dall’insegnante?

Quando i bambini riconoscono il jingle devono chiedere ad alta voce “What time is it?”, il primo o la prima che lo chiede può andare al cartellone, posizionare le lancette e rispondere alla domanda con tutti i supporti necessari!

L’ultima idea che vi propongo riguarda le emozioni e vi suggerisco di introdurla dalle classi quarta o quinta. Vi racconto quello che facciamo noi ogni mattina: un giorno ho portato a scuola una bella scritta colorata “How are you?” e, insieme ai bambini, ho cercato tante parole per esprimere diversi stati d’animo raggruppandole per ambito semantico (in giallo tutte le emozioni legate alla felicità, in verde quelle legate alla paura, in blu quelle per esprimere tristezza…); ogni mattina inizio con il porre la domanda a un bambino o a una bambina passandogli un cono colorato contenente i bastoncini dei 6 colori che abbiamo scelto per le diverse emozioni, in modo che ciascuno possa scegliere quello che rappresenta il proprio stato d’animo, rispondere aiutandosi con le parole appese in classe e passare gli stick a un compagno rivolgendogli a sua volta la domanda.

Imparare non è mai stato così facile e coinvolgente!

L’impianto dell’arboreto

La realizzazione di un nuovo arboreto deve essere ben ponderata tenendo particolarmente conto dell’ambiente pedoclimatico; quest’ultimo deve essere vocato alla coltura e alla destinazione del prodotto che si intende coltivare. Una volta individuata la specie, si dovranno scegliere le varietà e i portinnesti che, a loro volta, indirizzeranno le forme d’allevamento più idonee e da cui dipenderanno le scelte relative ai sesti di impianto e alla tipologia di struttura di sostegno da adottare. 

Fertilità

In funzione delle scelte fatte e prenotato il materiale vivaistico, preferibilmente con un anno di anticipo, si potrà procedere con le operazioni in campo. La prima attività da svolgere riguarderà l’analisi del terreno per valutarne le caratteristiche e per programmare un’adeguata fertilizzazione di fondo.

La fertilizzazione è necessaria in prospettiva della lunga durata dell’impianto che può oscillare fra i 15 e i 30 anni a seconda della specie; per la stessa ragione è fondamentale un’adeguata precessione colturale, in genere grano, orzo ma anche sovescio, che permetta di liberare il terreno nel periodo estivo e consentire le lavorazioni in condizioni di asciutto. Per tutte le specie arboree è fortemente sconsigliato il ristoppio vale a dire il ritorno immediato della medesima specie nella stessa annata dell’espianto. 

Preparazione del terreno

Prima delle lavorazioni profonde il terreno potrebbe necessitare di livellamenti o ruspature per garantire le corrette pendenze per lo scolo delle acque, operazioni che generalmente sono agevolate da una leggera aratura superficiale che rende il terreno più scorrevole e movimentabile. In funzione delle analisi del terreno si potrà quindi procedere alla concimazione di fondo con fertilizzanti chimici ma soprattutto con sostanza organica.

La profondità di lavorazione può variare fra i 50 e i 100 centimetri e può essere realizzata mediante aratura, ripuntatura o con entrambe le operazioni. La profondità della lavorazione ha lo scopo di migliorare la struttura di una maggiore massa di terreno. Oggi in genere, soprattutto per praticità, si esegue una ripuntatura profonda seguita da un’aratura superficiale che, rendendo particolarmente fine e soffice il terreno superficiale, faciliterà le operazioni di messa a dimora delle piante. Dopo la lavorazione, immediatamente prima dell’inizio delle operazioni di impianto, con un erpice rotante si procederà all’affinamento superficiale del terreno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allestimento della struttura

La posa in opera della struttura di sostegno delle piante può essere realizzata sia prima che dopo la messa a dimora delle piante. L’allestimento della struttura precedente la messa a dimora facilita l’individuazione delle condizioni di lavoro ideali in funzione dell’andamento climatico mentre il posticipo viene effettuato per permettere il trapianto meccanico.

Oltre alla struttura di sostegno, che potrà anche essere dotata di sistema di protezione antigrandine o predisposta per una sua futura installazione, è spesso necessario prevedere la realizzazione di un sistema fisso di irrigazione che, soprattutto nel caso dei sistemi a goccia, potrà anche essere utilizzato per la  fertirrigazione. In ogni caso la possibilità di irrigare in modo tempestivo sarà fondamentale al momento della ripresa vegetativa soprattutto in presenza di primavere particolarmente siccitose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Campionati di Informatica

Le Olimpiadi Internazionali di Informatica (IOI) sono una gara di programmazione annuale per gli studenti delle scuole secondarie patrocinata dall’UNESCO. La prima edizione delle IOI si è svolta in Bulgaria nel 1989, mentre l’ultima edizione, a fine agosto 2023, si è svolta a Szeged, in Ungheria. Questa edizione ha visto la partecipazione di 92 paesi e 354 concorrenti (ogni paese può selezionare fino a quattro concorrenti).

L’Italia ha partecipato per la prima volta alle IOI nel 2000, e dal 2001 ha avviato un’edizione nazionale, chiamata Olimpiadi Italiane di Informatica, promossa da uno sforzo congiunto del Ministero dell’Istruzione insieme con AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico)Le Olimpiadi Italiane di Informatica, che dallo scorso anno hanno cambiato nome in Campionati Italiani di Informatica, sono divise in tre fasi:

  1. SCOLASTICHE (tipicamente a dicembre): in questa fase, nelle proprie scuole, circa quindicimila studenti concorrono a risolvere, su carta, un test che coinvolge abilità di matematica, logica e programmazione. In particolare, vengono anche presentati alcuni frammenti di pseudo-codice, che gli studenti devono analizzare: evitando linguaggi specifici, possono partecipare a questa fase anche studenti che non abbiano mai programmato.
  2. TERRITORIALI (tipicamente ad aprile): in questa fase, che si svolge in circa 50 istituti scolastici in tutta Italia, circa 2000 studenti, selezionati dalla fase precedente, gareggiano risolvendo quattro problemi di programmazione.
  3. FINALE NAZIONALE (tipicamente a settembre): a circa 100 studenti viene chiesto di risolvere in modo efficiente quattro problemi di programmazione. L’ultima finale nazionale si è svolta dal 12 al 14 ottobre presso l’ITI Paleocapa di Bergamo e hanno partecipato 105 studenti di tutta italia accompagnati da 37 docenti (i loro referenti territoriali).

I migliori classificati alla finale nazionale, circa una ventina, vengono poi selezionati come candidati a rappresentare l’Italia alle IOI. Accedono quindi a un percorso formativo in cui vengono alternate lezioni e gare, fino a quando quattro di loro vengono selezionati per partecipare alle IOI. Chi non viene selezionato per le IOI ha comunque modo di tenere alta la bandiera nazionale, in altre gare a cui l’Italia partecipa: le EGOI, le Olimpiadi Europee di Informatica riservate alle ragazze (European Girls Olympiad in Informatics), le BOI (Balkan Olympiad in Informatics) e le WEOI (Western European Olympiad in Informatics).

Per i ragazzi più piccoli, da due anni sono stati inoltre lanciati i Giochi di Fibonacci, una gara di algoritmica e coding rivolta agli studenti delle scuole primarie e delle scuole secondarie di primo grado.

Per approfondire