Una porta per trovarle tutte

Cara lettrice, caro lettore,

oggi parliamo ancora di porte logiche, raccontandovi una curiosità matematica che ha applicazioni pratiche incredibili nell’elettronica. Abbiamo già visto in una puntata precedente come le porte logiche si possano interpretare come funzioni, e come queste funzioni possano essere composte tra di loro in modo da ottenere altre funzioni. Così come la funzione (x+1)^2 si può ottenere componendo f(x)=x^2 e g(x)=x+1 in modo opportuno, così per esempio A XOR B = (A OR B) AND (NOT(A AND B)). Provate a verificarlo costruendo la tabella di verità.

 
Una costruzione alternativa della porta logica XOR. Notate che questa costruzione non è unica, la porta XOR si può realizzare anche in altro modo usando AND, OR e NOT. Vi ricordate come?

 

Questo esempio ci fa osservare che potremmo costruire la porta logica XOR avendo a disposizione come mattoncini di partenza le porte logiche OR, AND e NOT. Ora ci occuperemo di una costruzione simile, usando una porta logica particolare chiamata NAND. Questa porta logica è si può costruire negando l’output di una porta logica AND. Possiamo cioè dire che A NAND B = NOT(A AND B). Tuttavia, da adesso in avanti la utilizzeremo come mattoncino fondamentale, senza ricordare come è stata costruita, ma solo ricordando la sua tabella di verità: Falso, quando entrambi gli input sono Veri, e Vero in tutti gli altri casi.

 
La tavole di verità delle porta logiche NAND, AND e NOT

 

Come mai siamo così interessati alla porta logica NAND? Il motivo è che questa, insieme alla porta logica NOR (la negazione di OR) è una porta logica universale. Cioè, tutte le altre porte logiche si possono ottenere componendo in modo opportuno diverse copie della porta NAND. Matematicamente, questo è un risultato che affonda le sue radici nell’algebra booleana. Dal punto di vista pratico, ci permette di realizzare molti circuiti partendo da un solo chip che contiene porte logiche NAND (https://en.wikipedia.org/wiki/7400-series_integrated_circuits).

Ora è il momento di provare a dimostrare quello che abbiamo affermato, e per farlo si deve semplicemente provare a costruire le porte logiche AND, NOT, OR, XOR, usando solo il mattoncino fondamentale che chiameremo NAND. Ci basterà quindi fare degli esempi per confermare il nostro primo risultato. Osservate però che, sebbene ci si limiti a fare degli esempi, non vuol dire che non si debba usare il ragionamento: sappiamo già che la porta XOR si può ottenere con AND, OR e NOT. Quindi, se siamo in grado di costruire queste tre porte usando NAND, possiamo costruire anche XOR, sostituendo le configurazioni con i NAND nella formula A XOR B = (A OR B) AND (NOT(A AND B)).

La prima costruzione riguarda la porta logica NOT. In questo caso, sperimentando la costruzione con una sola porta logica NAND il risultato è chiaro già guardando la tavola di verità: V NAND V = F e F NAND F = V. Quindi possiamo “collegare insieme” gli input della porta logica NAND per ottenere il NOT: NOT(A) = A NAND A.

 
La porta logica NOT costruita usando una porta logica NAND

 

Una volta ottenuto il NOT, è molto facile ottenere la porta AND: ricordandoci originariamente che NAND si può costruire negando l’output di una porta AND, possiamo negare un’ulteriore volta questo output e ottenere la porta AND. In formule, sappiamo che NOT(A NAND B) = A AND B, e inoltre sappiamo costruire il NOT usando solo NAND. Per cui otteniamo A AND B = (A NAND B) NAND (A NAND B).

 
Sulle tre righe, la ricostruzione delle operazioni che ci hanno portato a costruire AND usando solo NAND. Prima si scrive AND usando NAND e NOT, e poi usando la costruzione del NOT vista in precedenza.

 

Avendo a disposizione le porte logiche AND e NOT, è il momento di costruire l’OR. Anche in questo caso il risultato si può ottenere in due modi: il primo è quello di “giocare” un poco accostando porte NAND e ricavando il risultato finale; con un po’ di fantasia è possibile ottenere il risultato voluto. L’altra possibilità è osservare che le porte logiche OR e NAND hanno una tabella di verità molto simile, semplicemente NAND è falsa se e solo se entrambi gli input sono veri, e OR è falsa se e solo se entrambi gli input sono falsi.

 
La tavole di verità delle porta logiche NAND, e OR

 

Da questo si ricava che per costruire l’OR basta negare entrambi gli input di una porta NAND, e viceversa. In formule: A OR B = (NOT A) NAND (NOT B), o viceversa A NAND B = (NOT A) OR (NOT B). E pensandoci ancora un po’, questo deriva semplicemente dall’osservazione che negare una proposizione in cui compare OR fa comparire NAND, argomento che abbiamo già affrontato. Abbiamo trovato che

A OR B = (A NAND A) NAND (B NAND B)

 
Sulle tre righe, la ricostruzione delle operazioni che ci hanno portato a costruire OR usando solo NAND. Prima si scrive OR usando NAND e NOT, e poi usando la costruzione del NOT vista in precedenza.

 

Con questo abbiamo terminato: abbiamo dimostrato con esempi che è possibile utilizzare solo la porta NAND per costruire AND, OR, NOT (e XOR). Questa è una possibile definizione di porta logica universale. Si può dire molto di più e dimostrare che usando NAND si possono costruire tutte le funzioni binarie con un numero arbitrario di input e output, ma questo richiede un procedimento più ingegnoso. Vi lasciamo sfidandovi a ripetere queste costruzioni usando la porta logica NOR.

 
Un modo per costruire XOR usando NAND. Riuscite a trovarne altri?

 

Come lo studio dell’arte e della letteratura possono favorire l’avanzamento scientifico: l’approccio STEAM

E se vi dicessi che un corso di calligrafia ha contribuito a rendere un noto computer, diverso da tutti gli altri? L’ideatore è Steve Jobs: era poco più che adolescente quando decise di abbandonare ufficialmente gli studi universitari, per dedicarsi ufficiosamente ai corsi che lo ispiravano di più. Non sapeva ancora che dieci anni dopo avrebbe contribuito al lancio del Macintosh, che si distingue per la grande qualità della grafica e del design, oltre che per la sua avanguardia tecnologica. 

Un altro celebre esempio di come la tecnica si sposi con l’arte è rappresentato nientepopodimeno che da Leonardo da Vinci. A lui, tra le altre cose, si deve il primo prototipo di veicolo robotico. Leonardo da Vinci era un artista, certo non uno a caso, ma anche un ingegnere, un matematico, e uno studioso di anatomia umana: disegnava, pensava, costruiva. Che non sia questa visione a tutto tondo il mistero dell’invenzione e della creatività?

Eppure, la specializzazione del sapere è il diktat su cui spesso si basa l’educazione ai giorni nostri: le scienze e le materie umanistiche appartengono a due domini separati che sembrano non essere in comunicazione. Ai bambini viene chiesto “ti piace la matematica o l’arte?”, come se fossero in rapporto di mutua esclusione, e non avessero punti d’incontro. Ma le cose non sono sempre state così e stanno tuttora cambiando. Non a caso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), una delle istituzioni accademiche più facoltose al mondo, ha introdotto svariati corsi umanistici all’interno della facoltà scientifiche per promuovere l’approccio interdisciplinare e l’integrazione delle conoscenze.

Ma perché integrare un approccio olistico alla conoscenza?

Una delle motivazioni risiede nella conformazione del nostro cervello. Sono passati i tempi in cui si pensava che la mente fosse un oggetto fisso, immobile, diviso in compartimenti stagni tra parte logica-razionale, l’emisfero sinistro, e quello artistica-creativa, quello destro. Recenti scoperte da parte di neuroscienziati hanno evidenziato, invece, come il cervello sia un organo integrato, un sistema interagente in cui al suo interno le componenti – i neuroni – scambiano informazioni tra loro tramite le connessioni sinaptiche, così da creare complesse reti neuronali.

Più che a un insieme di scatole isolate, il nostro cervello assomiglia ad una cartina geografica attraversata da super autostrade. In questo modo, attività notoriamente logiche, in realtà coinvolgono zone “creative” del nostro cervello, e viceversa. Inoltre, il cervello è un muscolo dotato di plasticità neuronale: si plasma con i contenuti che riceve, non esiste una divisione netta quindi, tra soggetto pensante e contenuto del pensiero, ma sono una la faccia dell’altra. In tal senso non si può trattare i contenuti – ciò che impariamo -, come appartenenti a settori diversi, perché il nostro cervello quando li apprende li integra tra loro, plasmandosi esso stesso su di loro

La domanda è, quindi: che senso ha settorializzare la conoscenza, se il nostro cervello quando rielabora le informazioni lo fa in modo integrato? La specializzazione della conoscenza e, di conseguenza, delle attività umane si è sviluppata gradualmente nel corso del tempo. Già con l’avvento dell’agricoltura l’uomo ha potuto stanziarsi stabilmente nei territori, e ciò ha permesso lo sviluppo della specializzazione delle tecniche, sulla base delle necessità della comunità e delle risorse disponibili. Ad esempio, alcuni individui potevano specializzarsi in agricoltura, altri nella lavorazione dei metalli, altri ancora nella costruzione di abitazioni e così via.

Dalla rivoluzione industriale questa tendenza si è ulteriormente sedimentata. Lo sviluppo di nuove tecniche ha reso disponibili nuove risorse e conoscenze, che a sua volta dovevano essere gestite da lavoratori altamente specializzati. Congiuntamente, all’inizio del XX secolo Henry Ford e il suo team di ingegneri, presso la Ford Motor Company, inventò la catena di montaggio. Questa innovazione ha reso i processi produttivi industriali più efficienti: ciascun operaio faceva solo una cosa, e per questo poteva farla molto velocemente, senza sprecare tempo nel passare da un’attività ad un’altra.

Questo metodo è molto funzionale nel replicare sempre la stessa cosa, ma rende le persone che lo adottano più alienate rispetto al contesto in cui operano (perdonami, Marx, se parafraso le tue parole!), non consentendo lo sviluppo della creatività. È come avere il paraocchi, vedi una sola strada e ti convinci che quella sia l’unica esistente. Questo è il rischio dell’iper-specializzazione. Senza considerare la mancanza di sogno, di ideale, di scopo cui questo eccesso può portare. Con il passare del tempo e l’avanzamento delle tecnologie e delle conoscenze, la specializzazione delle attività è diventata sempre più complessa e differenziata. Nei tempi moderni, questo fenomeno si è intensificato, con individui che si dedicano a una vasta gamma di professioni altamente settoriali, dalle scienze mediche all’ingegneria, dalla finanza allintrattenimento, e così via.

Se le sfide future, come il cambiamento climatico, i conflitti geopolitici, la crescita demografica e la scarsità di materie prime richiedono sempre più conoscenze approfondite e specializzate, è vero anche che la complessità del mondo in cui viviamo richiede soluzioni sempre più creative. Ma le grandi invenzioni non sono mai state fatte replicando ciò che c’era già, ma unendo i puntini, attingendo a diversi ambiti anche apparentemente diversi tra loro. Se nulla si crea e nulla si distrugge, allora il nuovo, nasce proprio dall’unire diversamente tasselli già esistenti. E questa capacità non può passare solo tramite un’istruzione altamente specializzata.  

L’esigenza di un collante, di una matrice, che tenga la conoscenza insieme, è necessità pressante, che deve essere sostenuta ed incentivata a livello dell’istruzione tramite una concezione olistica della conoscenza e delle abilità. Fortunatamente, esiste già un concetto che esprime quanto detto: l’interdisciplinarietà. Per interdisciplinarità si intende la comunicazione tra discipline appartenenti a domini separati, sia dal punto di vista delle conoscenze, che dei metodi.

In questo contesto si inquadra il cosiddetto trasferimento delle conoscenze, ossia la capacità di sfruttare risorse apprese in un contesto, per raggiungere obiettivi in contesti diversi. Un’applicazione audace del concetto di trasferimento delle abilità cognitive è rappresentata da alcuni studi che esplorano come attività creative, che riguardano il pensiero divergente, incentrato sulle idee, possano aiutare a risolvere problemi matematici, che richiedono notoriamente un pensiero convergente, incentrato sulle soluzioni.

Un’applicazione di interdisciplinarità si ha per esempio nella robotica, considerato non più un dominio prettamente ingegneristico. Diversi ricercatori stanno studiando come poter integrare i robot nella vita di tutti i giorni per aiutare le persone, come anziani o disabili. Nessuno investirebbe milioni di euro nella costruzione di robot che non userebbe nessuno, perché troppo inquietanti! Per far questo è necessario studiare in modo approfondito l’umano, e programmare robot che siano avvertiti come familiari, al pari di individui a cui affidarsi. Questo è uno splendido esempio di comunione tra ingegneria robotica e psicologia

Chi lo sa, quindi? Un filosofo si potrebbe ritrovare a prendere decisioni importanti in banca, oppure uno psicologo  potrebbe imparare a programmare, oppure ancora un fisico potrebbe lavorare in comunicazione.  Questi, non sono esempi a caso, perché è ciò che sta già avvenendo! Materie apparentemente sconnesse tra loro hanno più punti in comune di quanto pensiamo. E se non ne esistono ancora, ciò non vuol dire che non ce ne saranno!

Da questo input è nato l’approccio STEAM. Esso incentiva un’educazione integrata tra le discipline tecnico-scientifiche (Science, Technology, Engineering, and Mathematics), e le Arti. Stiamo assistendo ad intelligenze artificiali che creano opere d’arte utilizzando algoritmi particolarmente complessi, le cosiddette GAN (reti neurali generative), o assistenti virtuali basati sull’intelligenza artificiale che ti aiutano a fare brainstorming quando devi trovare nuove idee per il tuo progetto. Insomma: nel mondo del futuro, ormai sempre più presente, non si può più chiedere ad un bambino se vuole fare l’astronauta o il calciatore, ma gli si deve insegnare ad appassionarsi al mondo che lo circonda, passando dall’arte, alla fotografia alle equazioni di secondo grado.

Addirittura, l’allenamento fisico si è visto che aiuta l’apprendimento e stimola nuove connessioni neuronali! E quindi, alla domanda “ma a cosa serve la matematica?”, gli si potrà rispondere che la natura è matematica (in un fiore puoi trovare bellezza, ma anche la sequenza di Fibonacci!), che la musica di Beethoven sembra organizzata in base a schemi e strutture matematiche, e che la nascita della fotografia ha più a che fare con un laboratorio di ottica che con l’arte, che la matematica è un mezzo (a meno che ti piaccia così tanto da farne un fine) e che il collante tra tutte queste attività è la creatività! E la creatività si allena anche scrivendo poesie, parlando con un tuo amico o studiando storia. 

In conclusione, la conoscenza del mondo è unica, seppur complessa. La scomposizione del sapere è funzionale al sistema sociale e all’organizzazione dell’istruzione, ma deve essere il punto di partenza, non di arrivo, verso una visione integrata della realtà, che permetta di trovare soluzioni innovative a problemi complessi. E allora, nuovi scienziati letterati, e poeti programmatori, avanti tutta!

Bibliografia

Rubrica a cura di Generazione Stem

Scegliere Moodle come piattaforma per l’e-learning nella scuola secondaria di secondo grado

Moodle è una piattaforma di e-learning molto diffusa a livello mondiale che offre una serie di potenzialità molto interessanti per le scuole. Per poterla utilizzare va installata in uno spazio web. Moltissime Università mettono la piattaforma Moodle a disposizione dei propri docenti e la gestiscono tramite i propri uffici tecnici o avvalendosi di consulenti esterni; i docenti universitari, in questo caso, devono solo preoccuparsi dell’organizzazione dei contenuti.

Nella scuola superiore è difficile trovare le risorse economiche e professionali in grado di mettere a disposizione dei docenti un servizio di questo tipo; inoltre, prima della pandemia, utilizzare un Learn Management System (LSM) in questo tipo di scuole non era certo una priorità; è solo durante il periodo di isolamento che è nata questa esigenza in forma impellente e indifferibile, data l’emergenza. Per rispondere a questa necessità straordinaria, durante la pandemia le scuole hanno usato prevalentemente gli strumenti della piattaforma Google, immediatamente disponibili e utilizzabili senza bisogno di una formazione specifica.

Ora che non si è più in situazione di emergenza si può operare una scelta più consapevole, ragionata e a lungo termine che ci offra delle garanzie anche dal punto di vista della tutela della privacy e della sicurezza.

Fig. 1 Dalla presentazione del webinar: “Modalità didattiche innovative per la  scuola Secondaria di Secondo grado”.

Alcune scuole dispongono di una piattaforma Moodle installata in uno spazio web di proprietà e gestita da docenti o tecnici volontari; altri istituti aderiscono al progetto PP&S, Problem Posing and Solving, curato dall’Università e dal Politecnico di Torino (fig. 2), che mette a disposizione dei docenti che ne fanno richiesta la possibilità di pubblicare i propri corsi sui loro server; altri insegnanti, infine, preferiscono gestire i corsi Moodle su uno spazio web personale.

A riprova di quanto sia interessante Moodle per i docenti della scuola superiore possiamo rilevare che al momento sulla piattaforma PP&S sono presenti 1961 docenti e 2083 classi; molti di questi docenti insegnano materie STEM.

Fig. 2 Home page della piattaforma PP&S.

Corsi in modalità ibrida

I corsi Moodle che si possono organizzare nella Scuola Secondaria devono essere necessariamente in modalità ibrida, cioè devono combinare elementi di insegnamento a distanza e in presenzaL’uso di una piattaforma di insegnamento alla quale gli studenti possano accedere autonomamente rappresenta naturalmente un valore aggiunto nella didattica e Moodle non solo consente di condividere materiali ma permette di registrare e monitorare le attività che via via vengono svolte in classe e a casa.

Per poterla utilizzare anche nelle lezioni in aula è necessario disporre di una LIM o di un sistema collegato in rete che consenta la proiezione delle risorse presenti nel proprio spazio Moodle. Per gli insegnanti di Informatica è più facile utilizzare una piattaforma LMS in modo interattivo perché hanno a disposizione dei laboratori con una postazione per ciascun studente; in questo modo possono condividere sia materiali di lavoro che di valutazione.

Per organizzare al meglio il lavoro è opportuno che ogni corso della piattaforma si riferisca a un anno di corso così da gestire in modo pratico le diverse classi (fig. 3).

Fig. 3 Esempio di home page di corsi creati per il liceo Scientifico delle Scienze Applicate dell’anno scolastico 2023/2024.

Ogni corso viene poi suddiviso in argomenti e che raggruppano una serie di attività ordinate in modo cronologico (fig. 4).

Fig. 4 Argomenti del corso per le quinte del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate.

Per ogni argomento si possono creare delle pagine descrittive che contengono spiegazioni e definizione di concetti, esercizi, esercitazioni formative e verifiche con correzione automatica (fig. 5).

Fig. 5 Esempi di attività nel corso delle seconde del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate.

Si possono realizzare anche lezioni introdotte da un breve video di spiegazione a cui seguono attività guidate ed esercizi che lo studente dovrà svolgere e consegnare simulando così una lezione in presenza; questa stessa struttura è funzionale per gestire lezioni in modalità flipped classroom e CLIL.

Si possono facilmente integrare attività  più accattivanti e interattive come memory game, video con domande embedded o file audio utilizzando, per esempio, H5P.

Fig. 6 Gioco del Memory in H5P.

Con Moodle è possibile assegnare esercitazioni formative, verifiche in correzione automatica o somministrare esercizi in peer assesment con il modulo Workshop.

Nelle lezioni si può usare molto efficacemente il plugin CodeRunner (fig. 7) sia nelle esercitazioni formative sia nelle verifiche di programmazione (Python, C++ o anche SQL).

Questo plugin permette di gestire la risoluzione di brevi problemi di coding e ottenere feedback automatici relativi all’esattezza e completezza delle soluzioni formulate dagli studenti; si ha quindi a disposizione un ambiente di programmazione completo con strumenti di autocorrezione.

Fig. 7  Esempio di domanda CodeRunner.

Sitografia

Nina Simone and the civil rights movement

The 91st anniversary of the birth of “The High Priestess of Soul” Nina Simone is a great occasion to consider her role as an activist and civil rights in history. Nina Simone participated in the American Society of African Culture conference in 1961 along with other intellectuals such as Langston Hughes and James Baldwin. This experience marks the beginning of her involvement in the Civil Rights Movement. 

B1 LEVEL – NINA SIMONE IN 10 SONGS

 

  • YEAR 1963 – Nina Simone released her first protest song. Consider these newspapers. Why do you think she wrote her first protest song in 1963?

https://www.rarenewspapers.com/view/615979
https://bplonline.contentdm.oclc.org/digital/collection/p4017coll2/id/552/

  • Watch the video from 1.20 to the end

The song she released is Mississippi Goddam. Listen to the song and fill in the blanks

The name of this tune is ________ Goddamn
And I mean every word of it

Alabama’s gotten me so upset
Tennessee made me lose my rest
And everybody knows about Mississippi Goddam

Alabama’s gotten me so upset
Tennessee made me lose my rest
And everybody knows about Mississippi Goddam

Can’t you see it
Can’t you feel it
It’s all in the air
I can’t stand the _______ much longer
Somebody say a _______

Alabama’s gotten me so upset
Tennessee made me lose my rest
And everybody knows about Mississippi Goddam

This is a show tune
But the show hasn’t been written for it, yet

Hound ______ on my trail
School children sitting in jail
Black cat _____ my path
I think every day’s gonna be my last

Lord have mercy on this land of mine
We all gonna get it in due time
I don’t belong here
I don’t belong there
I’ve even stopped believing in prayer

Don’t tell me
I tell you
Me and my _______ just about due
I’ve been there so I know
They keep on saying “Go slow”

But that’s just the trouble
“Do it slow”
Washing the windows
“Do it slow”
Picking the cotton
“Do it slow”
You’re just plain rotten
“Do it slow”
You’re too damn lazy
“Do it slow”
The thinking’s crazy
“Do it slow”
Where am I going?
What am I doing?
I don’t know
I don’t know

Just try to do your very best
Stand up be counted with all the rest
For everybody knows about Mississippi Goddam

I bet you thought I was kiddin’ didn’t you

Picket lines
School boycotts
They try to say it’s a communist plot
All I want is ______
For my sister, my brother, my people, and me

Yes, you lied to me all these years
You told me to wash and _____ my ears
And talk real fine just like a lady
And you’d stop calling me Sister Sadie

Oh, but this whole ______ is full of lies
You’re all gonna die and die like flies
I don’t trust you any more
You keep on saying “Go slow”
“Go slow”

But that’s just the ______
“Do it slow”
Desegregation
“Do it slow”
Mass ______
“Do it slow”
Reunification
“Do it slow”
Do things gradually
“Do it slow”
But bring more tragedy
“Do it slow”
Why don’t you see it?
Why don’t you feel it?
I don’t know
I don’t know

You don’t have to live next to me
Just give me my equality
Everybody knows about ______
Everybody knows about _______
Everybody knows about Mississippi Goddam, that’s it

  • Highlight the references to the historical events mentioned before

B1/B2/C1 LEVEL – TEACHING WITH PROTEST SONGS: NEW YORK TIMES FOR TEACHERS

https://archive.nytimes.com/learning.blogs.nytimes.com/2016/02/04/lesson-plan-teaching-with-protest-music/

B2/C1 TEACHING WITH MOVIES – THE HELP

Watch the trailer of the movie and answer the questions

  • Describe the setting
  • Find some evidence to speak about the problem of racial discrimination
  • Briefly summarize the story

Watch the movie and write a short essay

TITLE: Discrimination and activism in “the Help”

In copertina: Nina Simone

Mi ami? Ma quanto mi ami?

Una delle discriminanti più evidenti tra chi padroneggia una lingua con scioltezza e chi la sta ancora apprendendo è l’ampiezza del vocabolario. La varietà e l’ampiezza del vocabolario sono due parametri decisivi per distinguere il parlante esperto dal principiante.

Quando si insegna una L2, in particolare quando ci si occupa di Inglese alla scuola primaria, è facile incappare nell’errore di fornire “grandi categorie di significato” facilmente spendibili, vocaboli generici e utilizzabili fin da subito, che danno al parlante l’impressione – reale – di essere in grado di comunicare immediatamente, ma che, se non vengono nel corso di apprendimenti successivi “raffinate” e articolate, possono portare ad una conoscenza della lingua superficiale, vaga e ad una comunicazione così basilare da risultare quasi banale. 

Le emozioni e i verbi: un universo di possibilità

Pensiamo, solo per citare alcuni esempi, al vocabolario relativo alle emozioni. Ovviamente i primi vocaboli che gli insegnanti presentano ai bambini sono generici e rappresentano categorie ampie e poco definite: happy, sad, angry… queste macro-espressioni vanno benissimo per il parlante alle prime armi, ma persino i bambini più piccoli si rendono benissimo conto che c’e’ una bella differenza tra la felicità che si prova scoprendo che un grande ci ha preparato una torta, e la felicità che prova chi ha vinto un grosso premio alla lotteria, solo per fare un esempio. Se da un lato il primo sarà pleased, delighted o glad, il secondo sarà invece overjoyed o exultant. Allo stesso modo, a seconda del grado di sete, avremo chi, lentamente, sips, chi gulps quasi senza prendere fiato, chi, semplicemente, drinks, senza connotazioni di sorta. 

Verbi ed aggettivi – soprattutto quelli legati alle emozioni -, tanto nella Lingua madre quanto nella L2, sono categorie grammaticali perfette per lavorare non solo sull’ampliamento del vocabolario, ma anche sulla percezione dei vissuti, sulla riflessione sui propri sentimenti, sull’articolazione elaborata e precisa del proprio pensiero. Vediamo come.

 

Ragionare sulla Lingua Madre come punto di partenza

Senza voler scomodare una L2, la conoscenza della propria lingua da parte dei bambini e’ talvolta poco profonda e variegata. Il primo passo per parlare e scrivere meglio è conoscere e usare tanti vocaboli che rappresentino diverse sfumature dello stesso significato. Ecco alcuni esempi di verbi – sicuramente non completi, ma per rendere l’idea:

  • MANGIARE: assaggiare, piluccare, sbocconcellare, divorare, rimpinzarsi…
  • PIANGERE: piagnucolare, frignare, singhiozzare, gemere…
  • CAMMINARE: vagabondare, trascinarsi, procedere, marciare, incedere…
  • DORMIRE: sonnecchiare, appisolarsi, assopirsi, ronfare…
  • GUARDARE: sbirciare, avvistare, squadrare, contemplare, fissare…

Queste sono solo alcune possibilita’ da cui partire per lavorare. L’insegnante potra’:

  • Fornire ai bambini alcune “liste” di esempio, chiedendo loro di discutere in piccoli gruppi sulle differenze di significato tra i vari elementi della lista;
  • Chiedere ai bambini di ampliare le liste presentate, aggiungendo altri sinonimi che loro stessi conoscono;
  • Offrire a ciascun gruppo un particolare verbo da utilizzare per creare una nuova lista, introducendo l’uso del dizionario dei sinonimi e contrari;
  • Chiedere a ciascun bambino di creare una frase per ciascuna delle variazioni presenti sulla sua lista, in modo che le frasi stesse mettano in evidenza le sfumature di significato.

 

Riconoscere l’esistenza delle sfumature di significato nella L2

Dopo aver lavorato sulla L1, il passaggio alla L2 dovrebbe essere abbastanza naturale. Usando un vocabolario a doppia entrata, l’insegnante potrà lavorare per insegnare ai bambini a cercare le traduzioni dei verbi e degli aggettivi identificati nella prima fase del lavoro. Ciascun bambino passerà poi a creare sul proprio quaderno una pagina per ciascun parola in cui, ponendo il vocabolo di riferimento al centro, si disegnerà intorno uno schema a ragnatela all’interno del quale saranno inseriti tutti i sinonimi trovati, aggiungendo dei disegni che li rappresentino, e magari una frase in L2. In questo modo si creeranno delle vere e proprie pagine di vocabolario personalizzato che, poiché uniscono la parola all’immagine, saranno molto più facili da memorizzare.

 

Creare le carte delle “gradazioni di parole”

Usando degli schemi che ricordano i campioni di colori di vernice presenti nei colorifici, l’insegnante inviterà i bambini a disporre i sinonimi di verbi ed aggettivi che hanno trovato in ordine di intensità. Come già detto sopra, abbuffarsi è molto diverso da piluccare, ed è ancora diverso da saziarsi, e imparare a distinguere tra i diversi gradi di profondità delle parole aiuta a diventare parlanti esperti sia nella L1 sia nella L2. Come classe, o in gruppi, i bambini coloreranno gli schemi (allegati) con diverse gradazioni di colore, dopodiché li riempiranno con le parole che hanno tradotto nell’attività precedente. Ogni schema può essere ritagliato su misura, poiché non tutte le parole hanno lo stesso numero di possibili sinonimi. Questi “arcobaleni di significato” potranno essere poi appesi in classe e restare sempre a disposizione come riferimenti lessicali.

 

Costruire un mazzo di “sinonimi visivi”

Utilizzando i bambini come modelli, il docente potrà realizzare, con un semplice strumento fotografico, dei mazzi di carte che rappresentino visivamente le variazioni di significato di ciascuna parola. A mensa, per esempio, si potrà fotografare qualcuno che sbocconcella, qualcuno che si abbuffa, qualcuno che assaggia. In palestra alcuni bambini saranno fotografati mentre marciano, altri mentre si trascinano altri ancora mentre gironzolano… Tutte queste carte potranno essere poi usate per il ripasso del vocabolario, estratte a caso, utilizzate come quiz veloci, o come giochi per creare semplici storie, magari estraendone due o tre in ordine sparso e chiedendo agli studenti di utilizzare i vocaboli pescati per creare semplici situazioni narrative.

Sfumature di significato a San Valentino

La ricorrenza di San Valentino si presta molto bene a introdurre il lavoro fin qui presentato sulle gradazioni di significato. Riprendendo l’adagio (foro noto più agli insegnanti che ai bambini) “Mi ami? Ma quanto mi ami?” è possibile selezionare un vocabolario specifico e coinvolgente da cui partire a lavorare:

  • TO LOVE: to care, ro enjoy, to be crazy about, to admire, to venerate…
  • TO HUG: to cuddle, to squeeze, tu clasp, to hold…
  • HAPPY: cheerful, merry, joyous, satisfied, overjoyed…
  • BEAUTIFUL: pretty, good-looking, charming, gorgeous, stunning…

Le possibilità sono infinite, così come le circostanze. Quello che però non cambia è l’importanza di fornire ai bambini un vocabolario il più ampio e specifico possibile, per permettere loro di esprimersi realmente secondo le necessità e intenzioni del loro pensiero, a prescindere da quale lingua essi decidano di utilizzare.

Una parola non vale l’altra | Natalia Ginzburg

La lingua e la storia: oltre la cifra stilistica c’è di più

Ogni lingua è la storia che si porta dentro. Nella letteratura non sono poche le voci femminili di poetesse e scrittrici che trovano un spazio di sperimentazione linguistica durante il periodo della Resistenza, caratterizzato da un clima vivace di ricostruzione culturale. Giocano con la lingua per raccontare la guerra, l’emancipazione delle donne e gli ideali antifascisti. Un po’ come fanno i loro colleghi. Pensiamo, per esempio, a Beppe Fenoglio, che ne Il partigiano Johnny (1968) utilizza l’inglese, lingua stigmatizzata e bandita durante il Ventennio, per arricchire l’italiano e creare una “nuova lingua letteraria”. Tra le autrici innovative e originali del tempo, Natalia Ginzburg si insinua con forza nella ricerca letteraria grazie alle nuove modalità comunicative che colorano le conversazioni domestiche di Lessico famigliare (1963), un romanzo esplicitamente incentrato sulla memoria autobiografica in cui racconta la vita quotidiana della propria famiglia d’origine dal 1925 ai primi anni Cinquanta. 

Neologismi, dialetto e storpiature

Lessico famigliare: il titolo del romanzo svela come l’autrice assegni un ruolo fondamentale al linguaggio usato dalla sua famiglia, cui attribuisce un valore al tempo stesso narrativo, evocativo e sociale. Per questo, nella sua prosa semplice e autentica, inserisce tic verbali, storpiature, neologismi ed espressioni dialettali. «Negrigure», «potacci», «sbrodeghezzi» sono solo alcune delle parole inventate dal padre Giuseppe Levi. La lingua inedita di Ginzburg diventa così un simbolo, uno strumento per contrapporsi alla situazione linguistica del Paese e per affermare il potenziale del linguaggio parlato. «Era necessario tornare a scegliere le parole, a scrutarle per sentire se erano false o vere, se avevano o non vere radici in noi». Le parole alle quali si riferisce Natalia Ginzburg sono quelle che hanno plasmato non solo la sua famiglia ma anche l’intera collettività. Ogni nucleo, in fondo, in quei dialoghi un po’ si rispecchia. L’autrice si chiede così se sia possibile impiegarle − quelle parole − per rivendicare la realtà, l’esistenza di una forma autentica di comunità dopo la dittatura fascista. In questo senso, la parola è fonte di vita. Di storia e di memoria.

Spunti didattici

Per stimolare ragazze e ragazzi ad approfondire il valore letterario della lingua di Lessico famigliare suggeriamo due spunti di attività da proporre in classe.

L’autrice e il suo romanzo
Proponi alla classe come materiale di studio il video di Chiara Tagliaferri dedicato a Natalia Ginzburg condividendo questo link. Successivamente, apri un dibattito a partire dalle seguenti domande:

  • Come comunicavano le persone in Italia nel periodo che rappresenta Natalia Ginzburg nel suo romanzo?
  • Che cosa intende Chiara Tagliaferri quando parla di “linguaggio semplice e sublime”?
  • «Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole»: cosa vuole comunicare Ginzburg al lettore o alla lettrice?

Dialogare con il presente

L’uso di soprannomi e di un lessico particolare, condiviso all’interno del gruppo ma difficilmente comprensibile agli esterni, caratterizza anche comunità diverse da quelle familiari. Proponi come esercizio di scrittura argomentativa una riflessione sul lessico (1000 battute) che le nuove generazioni utilizzano quotidianamente con amici e amiche e su quanto questo crei un senso di comunità.

In copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Natalia_Ginzburg#/media/File:Natalia_Ginzburg.jpg

Il Museo Egizio di Torino si rinnova nel segno dell’inclusione

Oltre un milione di visitatori nel 2023 (inclusi eventi istituzionali e privati) e una collezione di circa 40.000 reperti di cui 3.300 esposti nelle sale museali e circa 12.000 nelle Gallerie della Cultura Materiale. Sono i numeri del Museo Egizio di Torino che quest’anno si appresta a festeggiare i suoi 200 anni di vita.

Meta irrinunciabile per chi visiti la città sabauda, il museo nacque nel 1824 nella sede dell’Accademia delle Scienze all’interno del secentesco palazzo del Collegio dei Nobili ed ora, in occasione di questo peculiare compleanno, l’istituzione sta per dare il via a un progetto che la trasformerà in un “luogo d’incontro, scambio, cultura, trasparente ed inclusivo”. L’avvio dei lavori è previsto per la metà di aprile e si dovrà concludere entro il 2024. Ancora in fase di valutazione la parziale o temporanea chiusura dell’istituzione. 

Il bando e il progetto 

Nel 2022 è stato bandito dalla Fondazione Compagnia di San Paolo un concorso internazionale di idee vinto dallo studio olandese OMA (Office for Metropolitan Architecture, David Gianotten e Andreas Karavanas) in collaborazione con gli architetti locali Andrea Tabocchini Architecture, T-Studio e con la consulenza di Andrea Longhi. 

Fulcro del rinnovamento: la rifunzionalizzazione della corte interna per trasformarla in un nuovo spazio pubblico insieme al riallestimento della Galleria dei Re e del Tempio di EllesijaLa nuova agorà rinominata Piazza Egizia, che implicherà anche l’apertura di nuovi accessi, si presenta come un’area su due livelli coperta da una trasparente struttura in vetro e acciaio, accessibile liberamente anche oltre l’orario d’apertura del museo. 

A caratterizzare il progetto sono il cosiddetto giardino egizio con tanto di palmizi, una sala immersiva (a cura dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova), una nuova area conferenze e spazi espositivi temporanei nonché l’accesso gratuito e diretto al tempio di Ellesija, il più antico tempio rupestre della Nubia. Il tempio, in seguito alla costruzione della diga di Assuan, rischiava di venire sommerso dalle acque del bacino artificiale del lago Nasser e il Governo egiziano decise di donarlo al Governo italiano. Così nel 1966 venne trasferito e ricomposto a Torino. 

Il riallestimento della Galleria dei Re

Un’altra tappa fondamentale della metamorfosi dell’Egizio è da considerarsi il riallestimento della Galleria dei Re in sostituzione di quello attuale a firma dello scenografo Dante Ferretti e realizzato in occasione delle Olimpiadi Invernali del 2006. Attualmente sono in corso i restauri delle statue raffiguranti Faraoni e divinità provenienti da Karnak a Tebe. A breve si attende l’affidamento d’incarico per i lavori che comporteranno una redistribuzione delle statue secondo il loro assetto originario, così come dovevano trovarsi all’interno di un tempio egizio e, soprattutto, la riapertura delle finestre che consentirà all’ambiente di essere nuovamente illuminato dalla luce naturale. 

Una nuova visione di Museo 

«Celebrare i 200 anni del Museo, non è solo un esercizio di memoria, ma significa anche programmare il futuro» hanno dichiarato il Direttore Christian Greco e la presidente del Museo, Evelina Christillin. «Il progetto architettonico di Oma nasce sulla scorta di nuova visione di Museo, più articolato e multiforme: ente di ricerca, luogo inclusivo, spazio in cui, come recita l’articolo 3.2 della Costituzione italiana, si lavora per abbattere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo armonico della persona. Dopo la trasformazione del 2015 il Museo si è aperto al mondo, ha cambiato costantemente la sua offerta espositiva, ha studiato nuove strade e ricette per raccontare non solo la cultura materiale ma anche la storia nascosta dei reperti e della civiltà dell’antico Egitto. Per il bicentenario abbiamo deciso di riflettere sul ruolo dell’Egizio: è un luogo di conservazione o di distruzione? Cosa gli manca a 200 anni dalla fondazione? È a partire da questi interrogativi che vedrà la luce il nuovo Museo». 

Per approfondire

In copertina: Museo Egizio, Torino. Rendering della Piazza Egizia. Copy OMA

Fact Checking | Le fake news della storia antica

False notizie… sedimentate nel tempo

Le fake news? Di sicuro non sono un’invenzione della nostra epoca! Anzi, se ne possono scovare diverse persino nell’antichità. Certo, a quei tempi non si poteva disporre dei raffinati algoritmi dell’Intelligenza artificiale, ma le notizie false – soprattutto attorno ai personaggi più rilevanti – non mancarono di circolare.

A crearle furono i contemporanei e, allora come ora, lo scopo era quello di trasmettere una determinata visione degli eventi, arrivando a condizionare l’opinione pubblica, per usare un’espressione decisamente moderna. Molto spesso queste fake news furono poi raccolte e amplificate dalla storiografia di epoche successive, dando origine a false credenze, a vulgate intriganti capaci di cristallizzarsi nel tempo. E che gli storici, in tempi recenti, hanno dovuto smascherare con non poche difficoltà.

Alla ricerca di fake news

Per smascherare le false notizie più antiche occorre un’attenta e laboriosa attività di fact checking, cioè di controllo della veridicità delle informazioni, sottoponendo alla “prova dei fatti” la versione della storia che ci è stata trasmessa. Nel campo della storiografia, il fact checking si deve fondare su alcuni passaggi imprescindibili, come l’analisi e il confronto tra più fonti; la conoscenza approfondita del contesto storico-sociale-culturale in cui si sono verificati i fatti; l’individuazione di informazioni e dati il più possibile verificati; l’impiego delle tecniche e degli studi più recenti. Vediamo ora due celebri esempi di false notizie del mondo antico.

Alessandro Magno fu assassinato?

La figura di Alessandro Magno alimentò moltissime leggende e false notizie. Dai cronisti dell’epoca (come Callistene e Aristobulo), agli storici di epoche successive (da Arriano a Plutarco), fino ad arrivare al cosiddetto Romanzo di Alessandro (un’opera medievale falsamente attribuita a Callistene): tutti contribuirono a creare un alone di mito attorno al sovrano macedone.  In particolare sulla morte di Alessandro, improvvisa e prematura, iniziarono presto a circolare false notizie: in molti sostennero che fu un assassinio, a opera di uno dei suoi numerosi nemici o di qualche suo generale, ostile alla piega filo-orientale assunta dal sovrano. Ma di questo presunto assassinio non esistono prove. 

La causa più plausibile della morte di Alessandro resta la malattia. A lungo si è pensato che si trattasse di malaria: del resto, è probabile che la sua lunga marcia lo avesse esposto al contagio. L’ultima ipotesi sulla morte del sovrano arriva però dall’Università di Otago, in Nuova Zelanda. Secondo la ricerca, Alessandro fu ucciso da un disturbo neurologico chiamato sindrome di Guillain-Barré, provocato da un’infezione al tratto digerente, che lo lasciò paralizzato per sei giorni, fino ad impedirgli di respirare. Questa ipotesi, tra l’altro, collima con un dettaglio narrato dalla tradizione: quando i medici videro il re immobile, lo dichiararono morto, ma ancora sei giorni dopo il presunto decesso osservarono che il corpo non mostrava segni di decomposizione. Per i seguaci di Alessandro ciò costituiva la conferma definitiva della sua origine divina…

Augusto lasciò una città di marmo?

«Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo». Con queste parole, secondo Svetonio, Augusto in punto di morte volle celebrare la sua opera di trasformazione di Roma. Ma si tratta di verità o di uno slogan riconducibile alla propaganda augustea? L’Università della California a Los Angeles, basandosi su una grande quantità di informazioni e dati raccolti, ha elaborato recentemente alcuni modelli tridimensionali per mostrare i cambiamenti urbanistici di Roma tra l’anno dell’assassinio di Cesare (44 a.C.) e quello della morte di Augusto (14 d.C.). Il risultato è che la capitale non cambiò poi di tanto: con l’eccezione di alcune aree pubbliche in cui le strade furono lastricate o in cui vennero realizzati grandi edifici in marmo, Roma rimase molto simile alla città dell’epoca di Cesare.

La propaganda del principe presentò la capitale come una sorta di città ideale, ma la realtà era un’altra. Roma, che già per la propria conformazione naturale presentava problemi di tipo logistico non indifferenti, visse in questi decenni una crescita esponenziale della popolazione, con l’afflusso di grandi masse di poveri. La capitale divenne negli anni un groviglio urbanistico, in cui emersero le difficoltà legate alla convivenza di un grande numero di persone: quartieri sovraffollati, scarsa igiene, cattivi odori, violenze e malattie diffuse. Augusto su questo aspetto riuscì a fare ben poco. 

Il fact checking come metodo didattico

Una riflessione finale riguarda il fact checking come metodologia didattica. Insegnare a ragazze e ragazzi a guardare in modo attento al passato, o meglio a ciò che del passato ci è stato raccontato, può aiutare a suscitare un maggior interesse per la disciplina storica, favorendo il coinvolgimento e, quindi, l’apprendimento. Non solo: l’abitudine a vagliare le informazioni costituisce il primo passo per lo sviluppo di una soft skill sempre più necessaria nel mondo di oggi, costellato da fake news: quella del pensiero critico.

Che cos’è l’IA e come si usa?

Ogni giorno di più, l’intelligenza artificiale (IA) entra dirompente nelle nostre vite. Tutti ne facciamo uso ormai, consapevolmente o meno. Ma cosa si nasconde veramente dietro un’IA? 

Macchine e dati

Partiamo col definirla come un campo multidisciplinare dell’informatica e della matematica che crea macchine intelligenti in grado di replicare o superare l’intelligenza umana. Siamo bombardati da termini come machine learning, deep learning e intelligenza artificiale, spesso confusi tra loro. In realtà, si tratta di concetti diversi, seppur dai confini indefiniti. Il machine learning (ML) è, infatti, un sottoinsieme dell’IA che consente alle macchine di automatizzare e migliorare le proprie prestazioni addestrando dei modelli basati su dati. Per capire meglio di cosa si tratta, prova a immaginare il sistema che distingue tra le e-mail “spam” e “non spam” in modo automatico. 

Come nasce un’IA?

Anche se ci sembra recente, il primo utilizzo del termine IA risale al 1956, quando fu creato il primo sistema intelligente: il Logic Theorist, in grado di risolvere problemi matematici. Successivamente, fu sviluppata la prima e più semplice forma di rete neurale (un modello molto potente), il Percettrone, da cui negli anni si è sviluppata una sottocategoria, chiamata deep learning.

Le IA intorno a noi

Sono molteplici i campi dove l’intelligenza artificiale viene utilizzata: dalla sorveglianza alla diagnostica medica, alla guida autonoma, all’analisi e revisione di documenti, al marketing, agli stessi socialIl processing del linguaggio naturale (NLP) è uno degli ambiti in cui l’IA eccelle, consentendo alle macchine di comprendere, interpretare e addirittura generare linguaggio umano. Si pensi a chat gpt, assistenti vocali e traduttori automatici. 

Anche la sanità è stata rivoluzionata dall’IA, grazie, ad esempio, a modelli in grado di diagnosticare malattie in modo precoce. Nei veicoli, ancora, l’IA è fondamentale per la guida automatizzata, grazie alla costante elaborazione di informazioni provenienti da sensori per prendere decisioni in tempo reale. In ognuno di questi ambiti, algoritmi intelligenti, sono in grado di imparare automaticamente a riconoscere e prevedere situazioni complesse.

Chi progetta l’IA?

Per quanto, queste macchine ci sembrino così potenti e indipendenti, chi raccoglie, fornisce dati e progetta gli algoritmi è l’essere umanoL’evoluzione dell’IA è in continua crescita, così come i timori annessi ad ogni progresso scientifico dove grandi benefici sono sempre accompagnati da rischi che solo la regolamentazione e la conoscenza possono controllare. 

Rubrica a cura di Generazione Stem

Febrero, un mes corto pero lleno de curiosidades

Febrero es mucho más que el mes más corto del año, el mes al que se le añade un día cada cuatro años o el mes de los enamorados. Sigue leyendo este artículo y descubrirás algunas de las muchas peculiaridades de febrero. 

Origen del nombre

El término “febrero” proviene del latín februare y significa “limpiarse”. Se le denomina así porque los romanos realizaban ciertos ritos religiosos de purificación dedicados a Plutón.

La palabra “febrero” puede ser usada como un insulto

Además de un excelente dramaturgo, Shakespeare era un genio creando insultos, y el mes de febrero le parecía perfecto para indicar que alguien era feo.

« Tienes un rostro de febrero, lleno de escarcha, tormentas y nubosidad. »

                                                      Shakespeare, Mucho ruido y pocas nueces (1598-1599)

 

En principio tenía 29 días

Cuando los astrónomos romanos, por orden de Julio César, crearon el año de 365 días, con un día adicional cada cierto número de años dando lugar al año bisiesto, febrero normalmente tenía 29 días y cuando era bisiesto 30. Se cuenta que fue cuando Augusto salió al poder que para poder tener un mes en su honor (agosto), febrero perdió un día.

En los años bisiestos las mujeres podían proponer matrimonio

En Gran Bretaña, durante muchos años, las mujeres podían proponer matrimonio a sus pretendientes solo los 29 de febrero. Hay dos leyendas que explican el origen de este hecho. La primera y más antigua cuenta que, allá por el siglo X, Santa Brígida se quejó ante San Patricio de que las mujeres debían esperar demasiado a que sus pretendientes se decidieran a pedirles matrimonio y este les concedió la posibilidad de que el 29 de febrero fueran ellas quienes se lo propusieran. La segunda leyenda afirma que la reina Margarita de Escocia emitió una ley en 1288 que daba a las mujeres solteras la libertad de proponer matrimonio durante un año bisiesto.

Una fiesta de cumpleaños gratis 

¿Te imaginas poder festejar tu cumpleaños solo cada cuatro años o que tuvieras que hacer la fiesta en otro día? Triste, ¿no? Esto es lo que le pasa a quienes nacen el 29 de febrero. Muchos lo celebran el 28 de febrero. Por eso, en Anthony (Texas, EE.UU.), todas las personas que nacieron el 29 pueden tener una fiesta gratis. Nada mal, ¿verdad? 

Un mes de muchas fiestas

En muchos calendarios de todo el mundo, febrero es el segundo mes, después de diciembre, con más celebraciones, entre las que destacan: el Carnaval, San Valentín (14 de febrero) o el día de la Marmota (2 de febrero). 

En España, los Carnavales son los grandes protagonistas de este mes: en esos días las calles se llenan de música, se celebran desfiles y la gente se disfraza. Los más conocidos son el Carnaval de Santa Cruz de Tenerife, el de Cádiz, el de Verín, el de Xinzo de Limia o el Carnaval de Águilas, pero hay muchos más.

Puede no haber luna llena

El mes de febrero es el único en el que puede que no haya luna llena. 

Y tú ¿conoces alguna curiosidad más del mes de febrero?