Corsi di Laurea STEM a confronto: Fisica o Ingegneria Fisica?

Fino a qualche anno fa, una volta concluse le scuole superiori e dopo aver deciso di voler proseguire con la carriera universitaria, per studenti e studentesse le opzioni erano molto limitate, e spesso guidate dalle opinioni e dalle occupazioni dei genitori. Le facoltà più ambite erano giurisprudenza, ingegneria, economia… oppure lettere, per poi proseguire con l’insegnamento. Nel corso del tempo, queste facoltà sono diventate sempre di più e sempre più settoriali, ognuna con un suo scopo ma non ben delineato nel piano formativo, cosicché oggi,  studenti e studentesse si ritrovano a dover optare per un unico percorso universitario in mezzo a una lunghissima lista di corsi tra i quali scegliere.

Diventa quindi di fondamentale importanza, per guidare le future matricole in questa scelta, fare chiarezza su somiglianze e differenze soprattutto tra corsi di studio affini, sottolineandone le caratteristiche principali, e le possibilità di carriera future. Due facoltà che potremmo definire tra loro affini sono Fisica e Ingegneria Fisica; la prima materia pura e da sempre così, la seconda un insieme di argomenti e recentissima. 

Chi è il fisico / la fisica, e come si diventa?

Questa figura professionale si dedica allo studio della materia, dell’energia e delle leggi fondamentali dell’Universo. Attraverso l’uso di teorie, esperimenti e calcoli, cerca di comprendere i fenomeni naturali a livello microscopico e macroscopico. Gli esperti in questo campo possono lavorare in una vasta gamma di settori, come l’astronomia, la fisica delle particelle, la ricerca energetica, la medicina e l’ingegneria. Utilizzando strumenti avanzati e tecnologie all’avanguardia, sviluppano nuove tecnologie, studiano le leggi della natura, risolvono problemi complessi. Sono curiosi, creativi e appassionati, spinti dalla ricerca della verità e dell’innovazione.

Durante il corso di laurea triennale in Fisica si studiano principalmente analisi matematica, chimica, meccanica analitica, statistica e soprattutto molta fisica: la fisica classica newtoniana, la fluidodinamica, la relatività, la meccanica quantistica, e poi fisica della materia e fisica delle interazioni fondamentali, soprattutto al terzo anno quando con i corsi a scelta ci si può specializzare, approfondendo uno o più di questi argomenti teorici. Queste conoscenze saranno arricchite da laboratori di elettronica e di fisica dei materiali, e dall’imparare almeno un linguaggio di programmazione per l’analisi dati.

Chi è l’ingegnere fisico / l’ingegnera fisica e come si diventa?

È un professionista dell’innovazione, capace di gestire e progettare prodotti e processi ad alto contenuto tecnologico. È una figura professionale con ampie conoscenze ingegneristiche di base, unite ad un’approfondita nozione delle aree più avanzate della fisica applicata. Durante il corso di laurea triennale in Ingegneria Fisica si studiano le materie base di una qualunque facoltà ingegneristica: analisi matematica, chimica, fisica, informatica, automatica, meccanica, elettronica, sistemi energetici… Unite ad un’approfondita preparazione nelle aree più avanzate della fisica: fisica quantistica, tecnologie ottiche, principi di laser, struttura della materia, interazione luce-materia… Il tutto arricchito da una vita universitaria ricca di laboratori ed opportunità extra universitarie.

Il percorso di studi può continuare con una laurea magistrale in settori affini, come Ingegneria Fisica (Nanophysics and Nanotechnology, Photonics and Nano Optics), o in Ingegneria Nucleare, oppure ancora in Ingegneria Quantistica. L’ampia preparazione di base, comunque, permette di plasmare il proprio percorso di studi a piacimento, proseguendo, previa integrazione di eventuali esami mancanti, con una qualunque laurea magistrale in ingegneria o in fisica.

Gli sbocchi lavorativi con una laurea in Fisica 

Una volta terminata la laurea triennale in Fisica, è possibile continuare la carriera universitaria con una magistrale in Fisica delle interazioni fondamentali, Fisica della Materia, Fisica dei Dati o Astrofisica, e poi scegliere di proseguire con il dottorato di ricerca. Una laurea triennale in Fisica, però, apre anche diverse opportunità professionali, in una vasta gamma di settori. Nell’ambito ingegneristico, i fisici e le fisiche possono applicare le loro conoscenze alla progettazione e allo sviluppo di tecnologie avanzate, come dispositivi elettronici, sensori ottici o sistemi di imaging medico. Anche settori come l’industria aerospaziale, l’energia nucleare e le telecomunicazioni offrono opportunità di lavoro stimolanti per i laureati in Fisica, che possono contribuire al miglioramento delle tecnologie esistenti o alla creazione di nuove soluzioni innovative.

La consulenza è un altro settore in cui queste figure possono trovare impiego. Le loro competenze analitiche e di problem solving sono spesso richieste in ambiti come la consulenza finanziaria, tecnologica o strategica per l’analisi di dati complessi o lo sviluppo di simulazioni e modelliIn alternativa, chi ha una laurea in Fisica può intraprendere una carriera nell’insegnamento nelle scuole medie e superiori, oppure nella divulgazione scientifica in musei, centri di divulgazione, organizzazioni non profit. 

Gli sbocchi lavorativi con una laurea in Ingegneria Fisica

Gli sbocchi lavorativi di una laurea in Ingegneria Fisica sono molteplici: si può spaziare dalla ricerca (pubblica e/o privata), allo sviluppo industriale (dove i principi studiati sui libri diventano qualcosa di concreto). Alcuni dei settori di maggior impiego sono la fotonica (con ampio impiego nell’ambito dei laser, degli strumenti di misura e delle telecomunicazioni), le nanotecnologie, l’energia, la microelettronica, i materiali e le tecnologie avanzate. Ma la preparazione ingegneristico-scientifica permette anche di occupare ruoli all’interno di aziende che operano nella consulenza strategica e industriale, nonché all’interno di enti di ricerca e di piccole e medie imprese che sviluppano sistemi e tecnologie innovative.

Dove studiare Fisica e Ingegneria Fisica?

In Italia ci sono diverse università  molto rinomate per i loro programmi di Fisica. Tra le migliori troviamo l’Università di Pisa, l’Università di Roma “La Sapienza”, l’Università di Padova e l’Università di Trento. Queste istituzioni offrono programmi accademici di alta qualità con una vasta gamma di corsi, laboratori e opportunità di ricerca, oltre a un ambiente accademico stimolante e all’avanguardia. Invece, gli atenei italiani che offrono il corso di laurea in Ingegneria Fisica attualmente sono 3: il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Essendo le uniche, cercano di fornire la preparazione più completa possibile. Si tratta di un corso ancora “nuovo”, sicuramente in futuro sarà disponibile anche in altre università.

Come prepararsi?

Per prepararsi ad un test di ingresso in Fisica, così come ad un test di ingresso in Ingegneria Fisica di tipo TOLC, è importante fare un ripasso di concetti di logica, matematica e statistica, con almeno un’infarinatura generale di fisica e chimica. Chiaramente, il livello di ripasso e di approfondimento di queste materie dipende molto dalle conoscenze e competenze già acquisite dallo studente o dalla studentessa che intende immatricolarsi: se si proviene da un liceo scientifico, si possiedono già pienamente i requisiti per affrontare il test in maniera efficace. Se invece si arriva da un liceo classico, linguistico, artistico o da un istituto tecnico/professionale, va prestata più attenzione, anche sfruttando libri di testo universitari o risorse online, per fare pratica con esercizi e quesiti. Sicuramente, poi, mantenersi aggiornati sulle ultime scoperte e sviluppi nel mondo della fisica attraverso la lettura di riviste scientifiche e la partecipazione a conferenze e seminari può arricchire la preparazione e fornire una prospettiva più ampia.

Cosa differenzia sostanzialmente queste due figure professionali?

Il fisico / la fisica è sicuramente una figura professionale più teorica di un ingegnere / un’ingegnera: a livello universitario si trova ad affrontare materie molto più teoriche, e per qualche verso “filosofiche”, andando ad indagare a fondo i fenomeni fisici di natura.  I fisici cercano di scoprire e spiegare i fenomeni naturali, formulando leggi e teorie che possano descrivere e predire il comportamento del mondo fisico. Chi viene da un percorso in ingegneria fisica, invece, indaga a sua volta i fenomeni fisici, ma con lo scopo di comprenderli e saperli sfruttare al meglio nelle tecnologie più avanzate e di tutti i giorni. Gli ingegneri fisici applicano i principi fisici per progettare e costruire dispositivi, sistemi e tecnologie che possono essere utilizzati in una vasta gamma di settori, come l’ingegneria elettrica, l’ottica, l’ingegneria dei materiali e così via.

Come faccio a capire qual è il percorso più adatto a me?

Nonostante le facoltà siano diventate sempre di più e sia sempre più difficile scegliere quella più adatta, con l’avvento dei social le persone che ne parlano e che aiutano a fare chiarezza sono sempre di più. Su Instagram, TikTok, YouTube si trovano contenuti di ragazzi e ragazze che raccontano la propria esperienza, di studio e di lavoro, aiutando le future matricole a comprendere quale potrebbe essere il percorso più adatto a loro.

In ogni caso un consiglio che viene da dare a chiunque stia per intraprendere una facoltà (scientifica e non) è: siate curiosi!  È dalla curiosità che nascono le migliori scoperte. Non è la facoltà che si sceglie a definire la persona che si diventerà in futuro; non è la laurea in Fisica o in Ingegneria Fisica a determinare il lavoro che si dovrà fare per tutta la vita. Siate curiosi, informatevi, cercate di arricchire il vostro bagaglio culturale non limitandovi ai soli libri e alle sole lezioni universitarie! Oggigiorno siamo circondati di notizie, di informazioni, selezionatele con cura e fatene tesoro. Il futuro è nelle vostre (e nelle nostre) mani.

Le autrici

Mariasole Maglione, nata in una notte stellata del 1997, sono laureata in fisica e specializzata in astrofisica a Padova. Sono autrice e Head of Astro Content di Astrospace.it, magazine online focalizzato sulla narrazione e l’approfondimento del mondo spaziale a 360° pubblicato da Astrospace. Sono una divulgatrice scientifica, socia responsabile del Gruppo Astrofili Vicentini e autrice di diversi romanzi. Contributor per Generazione Stem.

Marianna Ruggeri, studentessa di Ingegneria Fisica al Politecnico di Milano e contributor di Generazione Stem. Testarda e ambiziosa. Da piccola sognavo di raggiungere la luna. Ora cerco la fisica nel mondo che mi circonda.

Rubrica a cura di Generazione Stem

Da “abloom” fino a “zinnia”

Il Gioco degli Alfabeti è un’attività sempre divertente e apprezzata dai bambini. Nella sua semplicità, è un diversivo che può essere sfruttato a scopi didattici in maniera coinvolgente ed efficace, soprattutto quando si tratta di ampliare il vocabolario tanto nella Lingua Materna quanto nella L2.

Bambini, alfabeto e alfabeti

I bambini imparano fin dalla Scuola dell’Infanzia a riconoscere le lettere dell’alfabeto e poi, alla Primaria, quello che prima era un rapporto solo di “curiosità” e una finestra sul mondo dei grandi diventa invece uno “strumento di lavoro” che, per alcuni, purtroppo si trasforma talvolta in un patrimonio faticoso e macchinoso da utilizzare. Pensiamo a tutti quei bambini che, per i più svariati motivi, fanno fatica a riconoscere e memorizzare le lettere, a distinguerle, o a pronunciarle. Giocare con l’alfabeto può essere una chiave per permettere a questi piccoli di modificare la loro percezione di qualcosa che, loro malgrado, vedono come faticoso e macchinoso.

Ancor meglio, prendere l’alfabeto, smontarlo, rimontarlo, ricostruirlo ed esplorarlo è un modo meraviglioso per imparare parole nuove, ampliare il proprio vocabolario, condividere il proprio patrimonio linguistico con gli altri. Se questo non fosse sufficiente, la costruzione di alfabeti tematici – sui più diversi e svariati argomenti – diviene un’occasione unica per fermarsi e riflettere, per ragionare, per guardarsi incontro, per ricercare e condividere con gli altri quali sono le nostre percezioni personali di quei medesimi argomenti. Si ampliano così le potenzialità didattiche dell’attività al campo esperienziale e metacognitivo, aggiungendo uno strato di profondità maggiore al nostro agire didattico. Ma, in buona sostanza, come si usano gli alfabeti tematici nella didattica? Vediamolo insieme.

A come… B come…

Prima di avventurarsi con i bambini nella costruzione vera e propria di alfabeti tematici, è consigliabile procurarsi alcuni albi illustrati che ne propongano alcuni già “confezionati”. A questo proposito si consigliano i numerosi libri in inglese di Greg Paproki, veri e propri volumi di immagini e parole, tematici a tema ABCs. Sfogliare libri di questo tipo è un ottimo modo per entrare nell’ottica dell’attività che si sta per svolgere, avvicinarsi al gioco. L’ideale sarebbe poter proiettare le immagini in grande formato sulla Lim, osservarle nei dettagli, discuterle una ad una, per arrivare solo alla fine ad analizzare la parola a cui si riferiscono, tradurla, copiarla sul quaderno.

Dopo aver osservato un certo quantitativo di esempi, sarà il momento di cominciare a lavorare in prima persona sugli alfabeti personalizzati.

  • Selezionare un tema: le stagioni, le festività, ma anche i sentimenti, e gli argomenti di studio si prestano benissimo a diventare temi alfabetici. Ciascun insegnante può scegliere quello che più degli altri in quel momento interessa ai suoi bambini; alcuni esempi possono essere: la scuola, la famiglia, il mare, la natura…

Per ciascun tema selezionato è bene che l’insegnante abbia preparato in precedenza un elenco di parole da consultare, qualora ai bambini non dovessero venirne in mente.

  • Creare un esempio in Lingua Madre: in grande gruppo, la prima attività è quella di creare un alfabeto sul tema che si è scelto, nella propria lingua. Sul quaderno, i bambini e l’insegnante, compileranno un vero e proprio elenco di parole (o di gruppi di parole) legate all’argomento trattato. Per esempio, se si parlerà di primavera, si potrà scrivere:
  • A come: Alberi, Aria fresca, Api…
  • B come: Boccioli…
  • C come: Calore, Ciliegia…
  • D come:

Nella prima fase di lavoro, che è più un brainstorming che una elaborazione vera e propria, si potranno scrivere più parole per ciascuna lettera. Quello che probabilmente emergerà sarà, talvolta, il disaccordo su alcune parole; questa situazione favorevolissima andrà incoraggiata, e potrà essere un punto di partenza interessante per discussioni di ampio spettro metacognitivo: perché qualcuno considera una certa parola “a tema” e altri no? Che cosa rende una parola “a tema”? Quali diversi ricordi, esperienze, immagini ciascun argomento suscita in persone differenti. In un secondo momento il gruppo potrà decidere quali parole mantenere nell’alfabeto definitivo.

  • Ricercare le parole straniere che già si conoscono: l’insegnante chiederà ai bambini di attingere alle proprie conoscenze pregresse per cercare alcune parole già conosciute che si leghino al tema analizzato. Per restare in tema “Primavera” i bambini potrebbero identificare parole come sun, birds, grass, warmche già fanno parte del loro vocabolario acquisito.
  • Tradurre le parole della Lingua 1 in Lingua 2: dopo aver identificato alcune parole già conosciute, si lavorerà sull’utilizzo del vocabolario, chiedendo ai bambini di tradurre quelle identificate durante la fase di lavoro in Italiano. In questo modo gli studenti lavoreranno da un lato sulla scioltezza nell’utilizzo dello strumento “vocabolario” e al tempo stesso sull’ampliamento lessicale. Queste traduzioni saranno inserite sul quaderno, in ordine alfabetico.
  • Venire in soccorso degli studenti, qualora ce ne fosse bisogno: l’insegnante, che avrà già creato una lista di parole possibili, potrà proporle ai bambini nel caso essi non dovessero trovare nessuna parola che inizi con una determinata lettera.
  • Dare forma grafica al proprio alfabeto: al termine dell’attività di “ricerca” il docente proporrà alla classe la creazione di un colorato elaborato finale che dia visibilità al lavoro svolto. Può trattarsi di un cartellone, di una pagina di quaderno decorata, di un disegno che contenga al suo interno quante più parole tra quelle trovate. L’importante è creare qualcosa di graficamente bello e piacevole!

Perchè è utile?

Lavorare con l’alfabeto è, come si è già detto, un modo divertente per ampliare il proprio vocabolario. Aiuta inoltre a raffinare il linguaggio e a prendere consapevolezza di termini specialistici poco usati – si pensi ad alfabeti come quello della Scienza, o a quello dello Spazio. E’ un’attività che si pone anche come punto di partenza e trampolino di lancio per essere ripetuta più volte, senza essere mai uguale a se stessa: la stessa classe può creare, nel corso dell’anno scolastico, numerosi alfabeti su altrettanti argomenti, riflettendo in questo modo in maniera significativa sulla lingua appresa: quali parole possono appartenere a più alfabeti? Quali argomenti sono particolarmente difficili? Quali invece sono simili su certi aspetti, ma diversi su altri? Quali si accavallano? Se per ogni alfabeto si creerà un poster da appendere in corridoio, alla fine dell’anno sarà possibile vederli tutti, l’uno in fila all’altro e rendersi conto a colpo d’occhio di quante parole nuove si sono imparate!

Fact Checking | Fake news… dal Tardoantico

False notizie scambiate per verità

Tutta la storia è costellata di fake news. Alcune di esse, poi, sono diventate tanto celebri da confondersi con la verità anche a distanza di molto tempo. Non fanno eccezione, in questo senso, le false notizie giunte dall’epoca tardoanticaQuesta età di transizione – che possiamo collocare tra la fine del III secolo e il crollo dell’Impero romano d’Occidente – da un lato mantenne un forte legame con il mondo antico, spesso vagheggiato come periodo di splendore e benessere, dall’altro presentò alcuni elementi di discontinuità, come la crescente importanza assunta dalla religione cristiana, anche in chiave politica.  E furono proprio questi due aspetti a contribuire all’elaborazione di alcune fake news durante l’epoca del tramonto di Roma.

Perché vinse Costantino?

Il primo esempio di false notizie del Tardoantico affonda le proprie radici nella leggenda e ha come protagonista incontrastato Costantino. Si racconta infatti che quest’ultimo, nella battaglia di Ponte Milvio, riuscì a sconfiggere il rivale Massenzio grazie all’aiuto di Dio. La notte precedente lo scontro, Costantino avrebbe avuto una visione del monogramma di Cristo, accompagnato dalla croce e dalle parole: In hoc signo vinces, “Con questo segno vincerai”. Dopo questa apparizione, Costantino si convertì al cristianesimo e l’indomani sbaragliò l’avversario.

In tempi recenti, l’analisi dettagliata della dinamica della battaglia (ricostruita grazie a fonti coeve poco considerate in passato) ha però svelato che a determinare l’esito dello scontro fu la sconsiderata strategia militare messa in atto da Massenzio. Quest’ultimo, prima si asserragliò dentro Roma, poi improvvisamente cambiò tattica e decise di sfidare il nemico in campo aperto. Massenzio, però, dispose le sue truppe troppo vicine al fiume Tevere e, quando Costantino contrattaccò, si trovò in grande difficoltà. Dovette così battere in ritirata con tutti i suoi uomini, imboccando un ponte in legno costruito poco tempo prima. Il ponte, tuttavia, non resse il peso delle truppe e crollò: molti, tra cui Massenzio stesso, morirono affogati.

Quali furono le conseguenze della conversione?

Il racconto della vittoria di Costantino coinvolge anche uno dei temi più dibattuti dalla storiografia: la sua conversione fu un atto di fede o un’abile mossa politica? Se da un lato non è possibile fornire una risposta univoca, dall’altro possiamo comunque affermare che questa scelta ebbe una conseguenza rilevante: Costantino ottenne infatti l’appoggio dei cristiani. Questa parte sempre più numerosa della popolazione romana si mostrò estremamente rispettosa delle leggi dell’impero e si adoperò per portare aiuto ai più poveri e ai bisognosi: due atteggiamenti che garantirono stabilità politica e sociale.

Fu la sete di sangue a portare gli unni in Occidente?

Il secondo esempio di fake news dell’epoca tardoantica è invece riferito agli unni ed ha un’origine evidente: l’atteggiamento degli storici romani nei confronti di questo popolo considerato “barbaro”. Sin dall’inizio, infatti, gli unni vennero dipinti dai latini come feroci e spietati. Si trasmise così l’idea di un popolo (e di un capo, Attila, detto “flagello di Dio”) che si scagliò contro l’Impero d’Occidente solamente per placare la propria sete di sangue. E che così decretò la fine di un mondo.

Per sconfessare questa narrazione, sedimentatasi nei secoli, è servito parecchio tempo. Gli studi più recenti dimostrano che a muovere gli unni verso Occidente non fu la loro spietatezza sanguinaria, bensì il cambiamento climatico. Fu infatti una grande siccità ad alterare profondamente la vita di questa popolazione asiatica, dedita all’agricoltura e all’allevamento, spingendola a migrare verso l’Europa. Del resto, nel corso del IV secolo i capi unni avevano tessuto con pazienza una tela diplomatica con l’Impero romano, fatta di accordi reciproci. Solo un evento “esterno” poteva dunque spingerli a cambiare drasticamente strategia, optando per l’invasione.

Alcuni contributi scientifici hanno evidenziato l’esistenza di questo grande cambiamento climatico. Esaminando gli anelli degli alberi presenti nelle aree in cui erano insediati gli unni, si sono individuati i periodi di siccità, e si è visto come questi coincidessero esattamente con l’epoca delle incursioni unne in Occidente. Non solo: analizzando con il metodo degli isotopi alcuni resti umani ritrovati e riconducibili a questo popolo, si è osservato come gli unni furono persino costretti dal cambiamento climatico a cambiare dieta, che divenne decisamente più povera. La loro migrazione fu dunque dovuta soprattutto al bisogno di trovare nuove risorse alimentari.

Emigrazione, decolonizzazione, alterità: le parole chiave della prossima Biennale di Venezia

«Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere» è il titolo della 60ma edizione della Biennale d’Arte di Venezia che aprirà al pubblico il 20 aprile per protrarsi fino al 24 novembre. La scelta del tema di fondo della manifestazione, mutuata dalle installazioni al neon del collettivo Claire Fontaine, si deve al curatore Adriano Pedrosa, direttore del Museo di Arte di San Paolo (MASP), brasiliano d’origine e apertamente queer. 

Protagonista, stando alle anticipazioni, è lo straniero (altrimenti estraneo, stranger, étranger) incarnato dall’artista immigrato, espatriato, diasporico (ancora una volta), esiliato e rifugiato, seguendo una traiettoria che nuovamente si sposta tra Sud e Nord del mondo, così come avvenuto per la precedente edizione della Biennale Architettura curata dalla ghanese Lesley Lokko. In una realtà globale permeata da crisi multiformi e fenomeni migratori, in cui anche ad ognuno di noi può capitare di sentirsi intrinsecamente straniero, Pedrosa cerca di risarcire la marginalizzazione dell’outsider, l’autodidatta, il folk, e persino l’indigeno invitando ben 332 artisti. 

Parole-chiave e comuni denominatori della 60ma Biennale d’Arte 

Se emigrazione e decolonizzazione possono considerarsi le parole-chiave di questa edizione, i comuni denominatori vedono la forte presenza di artisti provenienti dal sud del mondo e di matrice indigena (come il collettivo brasiliano Mahku che realizzerà un murale sulla facciata del Padiglione Centrale ai Giardini e il collettivo Maataho di Aotearoa/Nuova Zelanda alle Corderie), la prevalenza di nomi presenti alla Biennale per la prima volta, la ricorrenza dell’arte tessile (Dana Awartani, Liz Collins, il collettivo cileno Bordadoras de Isla Negra, Frieda Toranzo-Jaeger, Pacita Abad e Yinka Shonibare) ed esponenti della cultura queer (tra gli altri, Erica Rutherford, Isaac Chong Wai, Elyla, Violeta Quispe, Louis Fratino). 

I contenuti e le sezioni 

Secondo quanto immaginato dal curatore, i contenuti si suddivideranno principalmente in due parti: il Nucleo Contemporaneo, allestito negli spazi delle Corderie, e il Nucleo Storico, al Padiglione Centrale ai Giardini. Nel primo si potranno trovare molti dei comuni denominatori sopra menzionati. Nel secondo troveremo esempi dell’arte del XX secolo di America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia e tre ulteriori sezioni: «Ritratti» (perlopiù sculture e dipinti dal 1905 al 1990), «Astrazioni» e «Diaspora artistica italiana del XX secolo» (con 40 artisti che hanno sviluppato la loro carriera anche in Africa, Asia e America Latina).

Partecipazioni nazionali, Padiglione Italia ed eventi collaterali

Le partecipazioni nazionali sono quest’anno in tutto novanta distribuite, come d’abitudine tra Arsenale, gli storici padiglioni ai Giardini e altre sedi in città (palazzi, fondazioni, istituzioni culturali e non solo). La partecipazione della Santa Sede, ad esempio, troverà collocazione all’interno della casa di reclusione femminile sull’isola della Giudecca.

Il Padiglione Italia (Arsenale, Tese alle Vergini) curato da Luca Cerizza, vede quest’anno, come nel 2022, la partecipazione di un solo artista: Mario Bartolini. Il titolo «Due qui / To Hear» rimanda al tema dell’ascolto (al metaforico tendere l’orecchio verso l’altro) e si traduce in soluzioni scultoree, installative, sonore e performative. Tra le anticipazioni sino ad ora diffuse spicca il dettaglio di due installazioni sonore, tra cui quella del musicista inglese Gavin Bryars e di suo figlio Yuri che musicano il componimento del poeta argentino Roberto Juarroz dal titolo A veces ya no puedo moverme (“Certe volte non riesco più a muovermi”). 

Gli eventi collaterali ufficiali (30 in quest’edizione, da non confondersi con le altre numerose mostre in città) sono quelli che possono fregiarsi del leoncino rosso alato, logo della Biennale. Anch’essi sono distribuiti in diverse sedi culturali come l’Abbazia di San Giorgio Maggiore, le Fondazioni Querini Stampalia e Bevilacqua la Masa, le Procuratie Vecchie, l’Accademia di Belle Arti. Ogni progetto, previo il pagamento di una quota di partecipazione alla Biennale, deve avere l’approvazione del Curatore e allinearsi con il tema dell’edizione in corso.

È comunque fuor di dubbio che la forza attrattiva della città lagunare come vetrina internazionale a cui tutto il mondo dell’arte guarda alla ricerca di un proprio spazio di visibilità è tornata ai livelli di pre pandemia. Sono difatti ben oltre il centinaio le proposte espositive distribuite a Venezia nell’arco temporale dell’apertura della Biennale, ossia tra aprile e novembre.

Per approfondire

In copertina: Claire Fontaine (Founded in Paris, France, 2004 Based in Palermo, Italy) Foreigners Everywhere, Spagna (2007). (Photo by Studio Claire Fontaine © Studio Claire Fontaine Courtesy Claire Fontaine and Mennour, Paris)

L’Intelligenza Artificiale nelle produzioni animali

L’intelligenza artificiale (IA) sta entrando nelle attività quotidiane in diversi settori e sta evolvendo rapidamente anche in ambito zootecnico, sia nella gestione della mandria sia nello svolgimento di tutte le operazioni di routine quotidiana.

L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 2023 ha formulato una precisa definizione di IA (utilizzata anche dall’Unione Europea): Un sistema di intelligenza artificiale è un sistema automatizzato (machine-based system) che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce, dagli input che riceve, come generare output in termini di previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali. I diversi sistemi di intelligenza artificiale variano i loro livelli di autonomia e adattività dopo la loro realizzazione”.

L’IA sfrutta diversi sistemi, i principali sono il Machine Learning (ML) ed il Deep Learning (DL). Il Machine Learning lavora sulla capacità di alcune macchine di apprendere nozioni ed elaborarle in modo autonomo al fine di svolgere delle mansioni precise. Il Deep Learning, invece, viene definito come una “rete neurale” a tutti gli effetti. Questa rete ha un funzionamento simile a quello del sistema di trasmissione degli impulsi umani: elabora gli stimoli esterni e genera una risposta (output) basata sull’interpretazione “pesata” degli stimoli ricevuti.

Quali sono le possibili applicazioni dell’IA nelle produzioni animali?

Attualmente si registrano diversi ambiti di applicazione dell’IA: sistemi di gestione aziendale della mandria (Adriaens I. et al., 2020), sistemi di valutazione e miglioramento genetico (Biffani S., 2023), gestione degli allevamenti estensivi che utilizzano i sistemi di rilevazione come gli UAV (i droni), i satelliti e le immagini fotografiche aeree (A. Müchera et al., 2022). Un esempio interessante di IA applicata in ambito zootecnico è il sistema messo a punto dall’Università del Wisconsin (USA) nel 2022 chiamato Dairy Brain che ha come obiettivo la gestione di un’azienda zootecnica utilizzando le numerose informazioni raccolte (Big Data). 

L’IA è stata inoltre sperimentata per monitorare il mercato dei prezzi delle derrate alimentari destinate alla zootecnia e quindi per migliorare la redditività aziendale (Boggini M. 2023). Boggioni ha evidenziato che le prime sperimentazioni in questo ambito hanno portato a risposte molto rapide ma carenti perché non hanno tenuto conto di diversi fattori come l’andamento della domanda e dell’offerta, il fenomeno delle speculazioni finanziarie e l’attuale crisi della logistica a livello globale. Questa panoramica suggerisce ampie applicazioni pratiche nel settore zootecnico e promette risvolti positivi in termini di miglioramento globale dell’efficienza dei sistemi produttivi.

IA e sostenibilità

In un recente convegno (ottobre 2023), il Dott. A. Rosati dell’EAAP (The European Federation of Animal Science) ha messo in evidenza la definizione di zootecnia sostenibile, ovvero, una produzione efficiente di prodotti animali sicuri dal punto di vista igienico sanitario e di elevati standard qualitativi. L’obiettivo della sostenibilità è quello di proteggere e migliorare l’ambiente naturale, le condizioni sociali ed economiche degli allevatori, dei loro dipendenti e delle comunità locali e del consumatore garantendo la salute e il benessere di tutte le specie allevate.

Lo stesso autore ha anche proiettato come in un futuro prossimo l’IA potrà essere utilizzata per andare incontro alle esigenze globali di zootecnia sostenibile. L’allevamento sostenibile sarà caratterizzato da un insieme di pratiche e principi che daranno priorità al benessere animale, alla responsabilità ambientale, alla sostenibilità economica e al benessere sociale. In sintesi, l’allevamento sostenibile del futuro sarà bilanciato tra le esigenze degli animali, dell’ambiente e della società dando priorità all’uso responsabile delle risorse, minimizzando l’impatto ambientale e garantendo il benessere degli animali, ottenendo così prodotti alimentari sicuri e di alta qualità.

La gestione del suolo

In arboricoltura la gestione del suolo può interessare, generalmente in forma distinta, la fila o l’interfila. La fila è lo spazio sottostante la linea delle piante che in genere ha una larghezza che corrisponde alla proiezione della chioma del filare al suolo. L’interfilare invece è lo spazio fra due file nel quale si transita per l’esecuzione delle comuni pratiche agronomiche. 

Gestione della fila

La gestione del suolo sulla fila viene realizzata principalmente per contenere lo sviluppo di essenze infestanti, preservare la dotazione idrica del terreno e contenere i fenomeni di erosione nei terreni collinari. Il controllo delle infestanti può essere realizzato con le lavorazioni, con varie tecniche di diserbo e con la trinciaturaLa lavorazione è stata la prima soluzione a essere applicata con fresature o scalzatura e rincalzatura a mezzo dischi. La successiva introduzione del diserbo chimico ha decretato la forte riduzione della diffusione della lavorazione a favore di questa tecnica più economica per la sua rapidità e praticità di esecuzione e il modesto numero di interventi richiesti nel corso di una stagione.

Lavorazione lineare esterna al filare

Attrezzatura per il diserbo chimico.

Oggi le crescenti attenzioni ambientali verso l’uso della chimica stanno favorendo la riscoperta delle lavorazioni del terreno lungo la linea del filare; tali lavorazioni hanno anche il vantaggio di interrompere la risalita capillare dell’umidità del terreno preservandone la dotazioni idrica che, in un periodo di forti emergenze climatiche, è sicuramente positivo.

Le macchine oggi disponibili per la lavorazione del filare sono sicuramente molto efficienti e performanti e tali da permettere elevate velocità di lavoro oltre che una sicurezza operativa a salvaguardia dei ceppi delle piante. Generalmente si tratta di macchine interceppo, vale a dire che operano con un movimento di rientro fra una pianta e l’altra; recentemente, tuttavia, si sono molto diffuse macchine che operano in modo lineare esternamente al filare con elevate velocità di lavoro.

La velocità di lavoro dipende anche dal tipo di attrezzo utilizzato; per esempio fresatrici, erpici rotanti e dischi scalzanti sono più lenti rispetto alle lame scalzanti che tuttavia richiedono un maggior numero di passaggi nel corso della stagione. Si distinguono macchine semplici o doppie (dette anche unilaterali o bilaterali), in funzione del fatto che operino solo sul filare di destra, rispetto alla linea di percorrenza della trattrice, o su entrambi i filari.

Meno diffuso è l’impiego di diserbatrici a filo o trinciatrici rientranti; le prime permettono velocità di lavoro più elevate ma entrambe, operando uno sfalcio del cotico erboso, non preservano l’umidità del terreno ma contengono, tuttavia, fenomeni di erosione in terreni collinari. Negli ultimi tempi si stanno sperimentando varie soluzioni di diserbo basate sull’uso di pressione, vapore, fuoco o schiume che, rispetto al diserbo chimico, offrono indubbi vantaggi ambientali anche se sono più complesse da applicare e non preservano l’umidità del terreno.

Coltello scalzante interceppo.

Dischiere scalzanti bilaterali.

 

Stelle rotanti verticali e orizzontali.

Pirodiserbo.

Gestione dell’interfila

La presenza del tappeto erboso interfilare è fondamentale per conferire portanza al terreno, cioè un sostegno al peso dei mezzi meccanici in transito. L’inerbimento interfilare nei territori collinari preserva anche dai fenomeni di erosione. Le macchine per la gestione dell’interfila sono le classiche trinciatrici che possono essere a lame con rotazione orizzontale, più veloci e operanti un taglio più elegante, o a coltelli o mazze a rotazione verticale. Queste ultime sono adatte anche alla triturazione dei residui di potatura in loco che, dopo varie esperienze di recupero ai fini energetici, resta la soluzione agronomicamente ed economicamente più sostenibile. È sempre preferibile che le trinciatrici interfilare abbiano una larghezza che permetta di completare il lavoro in un unico passaggio limitando le percorrenze e quindi i calpestamenti e i costi.

L’inerbimento interfilare assicura portanza
al transito dei mezzi meccanici.

Lavorazione anteriore con coltello scalzante
in combinata con trinciatura interfilare.

 

Fiestas populares de España: la mágica noche de San Juan

En España tenemos muchas fiestas populares que año tras año nos hacen celebrar nuestra cultura y revivir nuestras tradiciones. Descubre una de las fiestas más bonitas: la noche de San Juan.

La fiesta de San Juan tiene lugar entre la noche del 23 de junio y la madrugada del 24, la parte central que acompaña las diferentes celebraciones son las famosas hogueras. En Alicante, por ejemplo, se construyen enormes figuras de cartón para quemarlas como una hoguera mientras siguen las festividades por las calles. Lo que un extranjero se suele preguntar es: ¿Qué pasa con las hogueras? ¿Por qué son el símbolo de esta fiesta? 

Esta festividad mágica suele cautivar a miles de personas en el mundo porque, por más que San Juan fuera uno de los discípulos de Jesús, y aunque hemos asumido que esta fiesta sea una festividad cristiana, en realidad el origen es pagano. Antes de Cristo, diferentes culturas encendían una hoguera como rito para celebrar el solsticio de verano: se pensaba que el fuego fuese purificador y las llamas alejaran los malos espíritus. Con la llegada del cristianismo estas tradiciones se fusionaron con la imagen de San Juan Bautista, nacido el 24 de junio, y dieron origen a esta fiesta en la que se celebra su figura. 

Sin embargo, hoy muchas de las tradiciones españolas alrededor de esta fiesta tienen elementos típicos de los rituales mágicos. En Valencia y Galicia, como símbolo de protección, se suele saltar las llamas de las hogueras 7 o 9 veces. Por otro lado, todos los que viven en la costa se dan el primer baño del año durante la noche de San Juan y piden algunos deseos mientras las olas les golpean en los pies. Si estás en Asturias, el 23 de junio verás mucha gente escribiendo sus deseos en un papelito y echarlos al fuego junto a otros objetos para desprender energías positivas. 

Para darle la bienvenida al verano, los rituales de buena suerte no son la única característica de esta fiesta, también lo es la música: cualquier noche de San Juan que se respete tendrá bailes, canciones y diferentes ritmos por las calles de las ciudades.  En Barcelona se celebra la noche en la playa de la Barceloneta con bailes y espectáculos pirotécnicos, por otro lado en la isla de Menorca jinetes desfilan a caballo bailando la música tradicional. A pesar de las diferentes versiones, esta fiesta es una celebración popular que cada español vive a su manera, festejando en la calle o cenando en casa con sus vecinos, tocando música y encendiendo una pequeña hoguera para poder saltar con los seres queridos. 

La víspera de San Juan mezcla la religión con las tradiciones paganas y se ha mantenido hasta hoy como una de las fiestas españolas más conocidas, particulares y amadas. Si estás planeando un viaje a España este verano, ¡los días de San Juan serán imperdibles!

Educazione Civica: “Giornata Internazionale della Felicità”

Il 20 marzo di ogni anno ricorre la Giornata Internazionale della Felicità, istituita dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 2012. Nelle motivazioni, l’Assemblea indica come la ricerca della felicità sia uno scopo fondamentale dell’umanità, con un’attenzione particolare a un approccio più equo e inclusivo alla crescita economica e alla conseguente eradicazione della povertà in modo da promuovere il benessere e la felicità di ogni individuo.

Nella nota si esortano le istituzioni ma anche i singoli individui a promuovere e festeggiare questa giornata anche attraverso attività educative volte a sostenere la crescita della consapevolezza pubblicaCi siamo quindi interrogate su quali cose rendano i bambini felici; tra le molte cose, forse la più importante per questa fascia d‘età risulta essere l’amicizia degli amici e delle amiche e l’accettazione nel gruppo dei pari.

Abbiamo quindi voluto proporre un’attività che avesse come scopo quello di conoscere meglio i propri compagni di classe in modo da favorire il dialogo e spingere i bambini e le bambine a interagire anche con persone che si frequentano di meno. Quella che andiamo a proporre è una vera e propria “caccia al tesoro umano” dove ciò che scopriamo su compagni e compagne ci permette di avvicinarci, di aprire il dialogo, di farci sentire e far sentire inclusi tutti e tutte. Guardare e ascoltare per davvero una persona è il miglior regalo che possiamo farle.

Il libro che abbiamo scelto questo mese per accompagnare l’azione didattica è “Mostro del cuore” di Rachel Bright edito da Mondadori. Si tratta di un albo illustrato che affronta con delicatezza i temi della diversità, dell’amicizia ed emozioni importanti quali la tristezza e la felicità.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura espressiva della storia;
  • seconda parte: presentazione del lavoro;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il libretto dell’amicizia.

VIDEO

MATERIALI

Scarica i materiali in pdf

LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Riclassificazione dello Stato patrimoniale e del Conto economico, indici di bilancio e report finale

La prova di verifica ha come oggetto l’analisi per indici e consente di accertare alcune fondamentali abilità del programma della classe quinta: redigere lo Stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario, redigere il Conto economico secondo la configurazione a valore aggiunto, calcolare i principali indici per l’analisi patrimoniale, finanziaria, economica, redigere un report di commento dei risultati ottenuti.

 

Essere felici è una competenza

Il 20 marzo sarà la Giornata Mondiale della FelicitàSecondo Zygmunt Bauman la felicità è fonte di un interessante paradosso filosofico. Tutto quello che facciamo nel corso della nostra vita è orientato alla ricerca della felicità, eppure ben pochi, se interrogati, arrivano a definirsi pienamente felici. Colpa di alcune idee assunte come ovvie (competizione, raggiungimento di obiettivi, ricerca dell’indipendenza…) che in realtà allontanano l’individuo da se stesso. Una riflessione sociologica e filosofica, quella di Bauman, che però interroga la scuola in un’ottica di visione generale, ma anche nella pratica quotidiana.

Prima di occuparci degli aspetti tipicamente scolastici, può essere utile aggiungere due distinte riflessioni di un altro filosofo: Salvatore Natoli.

  1. “La felicità consiste nella capacità di superare le difficoltà invece che subirle.”
  2. “L’opposto della felicità non è il dolore ma la noia, quando il mondo non ha più significato per noi, e una delle cause della noia è che siamo sempre attenti a noi stessi, ripiegati in noi stessi.”

L’educazione alla felicità è, quindi, non solo possibile, ma passa per una corretta percezione delle relazioni: con le cose, con le persone, con gli avvenimenti che avvengono intorno a noi. La felicità, cioè, non è solo un’emozione, ma è una competenza. E come per tutte le competenze, occorre lavorare per svilupparla. La felicità sostanzialmente può essere allenata, perchè se è vero che circa il 50% del nostro livello di felicità dipende dai geni e il 10% dal nostro vissuto, il 40% dipende invece dalla nostra mente, dalla nostra consapevolezza. 

E allora, per esempio, le domande che possiamo fare ogni giorno ai nostri alunni e alle nostre alunne sono, dunque:

  • Ti senti felice? (e qui stiamo parlando di emozioni)
  • Cosa puoi fare per essere felice? (e qui parliamo di consapevolezza).

Le azioni che possiamo attivare a scuola sono molte. La felicità ha alla base una corretta educazione da costruire giorno per giorno attraverso un insieme di esperienze ottimali. Questo il nostro compito come insegnanti. Il concetto di esperienza ottimale o “stato di flow” è noto in psicologia grazie al lavoro formulato da Mihaly Csikszentmihalyi a partire dal 1975. In pratica, il flow è “un stato in cui la persona si trova completamente assorta in un’attività per il suo proprio piacere e diletto, durante il quale il tempo vola e le azioni, i pensieri e i movimenti si succedono uno dopo l’altro, senza sosta”.

Si tratta di un momento nel quale i soggetti (bambini, adolescenti o adulti) sono talmente immersi in un compito sfidante da perdere la stessa percezione del tempo. Il modello dell’esperienza ottimale è considerato come teoria di riferimento sul tema della felicità e può essere schematizzabile in alcune componenti date come necessarie.

Le elenchiamo per poi proporre un contesto d’uso utile anche in una pratica didattica.

  • Il risultato proposto deve essere raggiungibile, gli obiettivi concreti. Per obiettivi “sfidanti” non si intendono, quindi, attività particolarmente difficili o inutilmente complicate, ma proposte capaci di stimolare l’impegno.
  • L’ambiente deve consentire la piena concentrazione, per un tempo sufficientemente prolungato. Lo stato di flow difficilmente può essere raggiunto con distrattori o in contesti arricchiti di stimoli non strettamente necessari.
  • Lo sforzo non è percepito come “faticoso”, ma una conseguenza della concentrazione.
  • Tutta l’attenzione è focalizzata sul compito e la situazione è percepita come sotto controllo, anche nel caso di errore, battuta di arresto, sconfitta.
  • Il feedback deve essere chiaro, diretto e immediato. Successi e fallimenti, nel corso dell’attività, sono presentati come ovvi e connaturati a un compito sfidante.

Se questa lista parziale di caratteristiche dovesse essere percepita come eccessiva, può essere sufficiente osservare dei bambini anche piccoli di fronte a un gioco da tavoliere come per esempio gli scacchi. Si tratta sicuramente di un compito sfidante che fa perdere la percezione del tempo, in cui i distrattori sono ridotti al minimo, lo sforzo porta a focalizzare l’attenzione e fa percepire la situazione sotto controllo (anche di fronte a un andamento critico della partita).

Quello della partita a scacchi è solo un esempio, ovviamente, ma è interessante perché si tratta di un’attività di concentrazione facilmente sovrapponibile con attività di tipo didattico. In definitiva, lo stato di flow sopraggiunge quando si produce un equilibrio tra la sfida proposta dal compito o dall’attività che gli alunni stanno affrontando e le abilità di cui dispongono per affrontarlo. Se l’attività proposta risulta troppo facile o troppo complessa rispetto alle abilità dei singoli, l’esperienza ottimale non si verifica e quindi sorge una domanda che possiamo facilmente anticipare: come si può creare un’esperienza di esperienza ottimale se in classe ho 20-27 soggetti con abilità diverse?

La risposta è in un modello inclusivo di progettazione didattica universale, che pone al centro le mille differenze presenti nelle classi, che garantisce spazi di libertà e di crescita consapevole. Come sempre, ci piace poi consigliare delle letture che possono essere molto utili anche in fase di attivazione, oltre che per la conduzione delle diverse unità di lavoro. A partire dai libri di testo, ovviamente, che sono il primo strumento nelle mani di bambine e bambini.

L’inserto sulle emozioni e in particolare sulla felicità presente in “Vola con Bob” (primo ciclo della primaria), Fabbri-Erickson,  per esempio, può rappresentare un primo strumento da utilizzare in classe, insieme a un approccio al monitoraggio costruttivo (“Primi passi”, “Passi sicuri”, “Un passo in più”) che offre l’occasione di inserire, nel discorso “emozioni” e “felicità”, anche la valutazione.

Per il secondo ciclo, un ragionamento simile è stato avviato in “Solo storie belle”, Fabbri-Erickson,  all’interno del quale è inserito uno specifico inserto chiamato “Obiettivo felicità”. Inoltre anche la ricchezza testuale e l’attenzione all’autovalutazione offrono l’occasione di incontrare le diverse sensibilità e potenzialità presenti in classe, alla base per un approccio universale. Eccoci quindi con i nostri suggerimenti, che possono stimolare creativamente infiniti percorsi in classe: 

  • “50 ways to feel happy”, Vanessa King, QED
  • “Ora sono felice”, Antoinette Portis, Terre di Mezzo
  • “Piccolo catalogo degli istanti di felicità”, Roger Olmos, Lewis York, Maria Margherita Bulgarini
  • “La mia vita felice”, Rose Lagercrantz ed Eva Eriksson

Buona Giornata mondiale della felicità!