Il concetto del Giubileo ha radici nell’Antico Testamento, dove il libro del Levitico (25:8-13) descrive un anno di liberazione e grazia, celebrato ogni 50 anni. In quel tempo, i debiti venivano cancellati, gli schiavi liberati e le terre restituite ai proprietari originari. Questo anno aveva un forte significato sociale e spirituale, sottolineando la giustizia e il rinnovamento della comunità.
1300: il Primo Giubileo Cristiano
Nel 1300, papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo della storia cristiana. In un periodo in cui Roma era già un centro importante di pellegrinaggio, papa Bonifacio intuì il potenziale spirituale di una celebrazione su larga scala. Ai pellegrini che visitavano le principali basiliche romane veniva concessa l’indulgenza plenaria. Questa indulgenza non solo prometteva il perdono dei peccati, ma anche la riduzione del tempo trascorso in Purgatorio.
Cambiamenti nel Calendario Giubilare
Dopo il successo del Giubileo del 1300, il ciclo di 100 anni fu considerato troppo lungo. Papa Clemente VI, nel 1343, lo ridusse a 50 anni. Tuttavia, nel 1390, papa Urbano VI abbassò ulteriormente l’intervallo a 33 anni, per riflettere simbolicamente gli anni della vita di Gesù. Infine, nel 1470, papa Paolo II fissò l’attuale cadenza di 25 anni, con l’idea di permettere a ogni generazione di cristiani di vivere almeno un Giubileo.
Giubilei Straordinari e Tematici
Oltre ai Giubilei ordinari, ci sono stati numerosi Giubilei straordinari, indetti in circostanze particolari. Il primo fu nel 1390, durante il periodo di Scisma d’Occidente, per risanare la frattura nella Chiesa. Più recentemente, papa Francesco ha proclamato il Giubileo straordinario della Misericordia (2015-2016), ponendo l’accento sul tema della misericordia e invitando i fedeli a praticare la carità e il perdono.
Il Rituale della Porta Santa
Un elemento chiave di ogni Giubileo è l’apertura della Porta Santa, una porta speciale presente in ciascuna delle quattro principali basiliche di Roma: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore. Questa porta è sigillata con mattoni e aperta solo all’inizio di un Giubileo. Il passaggio attraverso la Porta Santa rappresenta per i pellegrini un cammino di conversione e un’opportunità di riconciliazione con Dio.
Aspetti Sociali e Politici
Il Giubileo, oltre a essere un evento religioso, ha sempre avuto forti implicazioni sociali, politiche ed economiche. Durante il Medioevo e il Rinascimento, i pellegrini che giungevano a Roma per il Giubileo contribuivano all’economia della città, portando ricchezza e favorendo il commercio locale. Le autorità pontificie spesso usavano i Giubilei per rafforzare la loro autorità spirituale e temporale. Ad esempio, nel Giubileo del 1500, papa Alessandro VI non solo indisse l’Anno Santo, ma lo sfruttò anche per consolidare il potere della famiglia Borgia.
Giubilei Moderni
Nel XX e XXI secolo, i Giubilei sono diventati eventi globali, grazie ai progressi nei trasporti e nella comunicazione. Il Giubileo del 2000, celebrato da papa Giovanni Paolo II, fu un evento di portata mondiale, con milioni di pellegrini che si recarono a Roma. Fu anche un’occasione per la Chiesa di riflettere su temi come la pace, il dialogo interreligioso e i diritti umani.
In conclusione, il Giubileo è molto più di una semplice celebrazione religiosa; è un momento di riflessione spirituale, di rinnovamento personale e comunitario, e spesso di cambiamento sociale. Ha plasmato la storia della Chiesa cattolica, lasciando un segno duraturo nelle vite dei credenti e nelle tradizioni culturali di Roma e del mondo.
La centralità della disciplina “Scienza e Cultura dell’Alimentazione” si manifesta nella complessità che si nasconde dietro una domanda apparentemente semplice: “perché mangiamo?”. Il cibo è molto più di un semplice nutrimento. È un ponte tra la biologia e la cultura, un linguaggio universale che racconta storie di popoli, tradizioni e identità. La frase “siamo ciò che mangiamo” non è solo un cliché, ma un’affermazione profonda che invita a una riflessione sui legami tra alimentazione, salute e benessere.
In un Istituto Alberghiero, l’esplorazione del mondo del cibo offre un’opportunità unica per sviluppare competenze sia tecniche che culturali. Comprendere i significati simbolici e le implicazioni sociali dell’alimentazione è fondamentale per formare professionisti in grado di valorizzare la diversità culinaria e di soddisfare le esigenze di una clientela sempre più consapevole. Il cibo, per sua intrinseca natura, è un terreno fertile per l’interdisciplinarietà. Dalla chimica degli alimenti alla storia della gastronomia, passando per l’antropologia e la sociologia, le discipline che convergono sull’alimentazione sono molteplici.
In questo contesto, il compito affidato al docente di Scienza e Cultura dell’Alimentazione è sfidante e affascinante allo stesso tempo, dato che contempla la necessità di stimolare i discenti ad esplorare le diverse sfaccettature del cibo, dalla sua produzione alla sua trasformazione, dal suo utilizzo come fonte di nutrienti alle ragioni per cui è stato selezionato all’interno di una dieta. L’efficacia dell’azione didattica, man mano che ci si avvicinerà all’esame di Stato, sarà tangibile se i discenti riusciranno a scoprire come il cibo sia uno strumento di comunicazione, un elemento di identità e un mezzo per costruire relazioni sociali.
Un primo spunto di riflessione che è possibile offrire agli studenti parte da una semplice constatazione: il cibo e la vita sono così legati tra loro che è difficile separarli. Questa connessione si è sviluppata nel corso della storia dell’umanità. Nel passato, per le persone era molto importante trovare abbastanza cibo per sopravvivere. Per questa ragione, il cibo ha assunto molti significati diversi e ha permeato la cultura delle varie società umane.
Come tutti i fenomeni umani, anche questo rapporto cibo-vita è estremamente dinamico e segue le evoluzioni della società: quando le persone non devono più convivere con la paura della mancanza di cibo, questo assume una molteplicità di significati, più profondi e personali, che per il discente possono diventare passaggi di un percorso di acquisizione di consapevolezza sulle proprie scelte alimentari e, un giorno, professionali. Il cibo, infatti, ci aiuta a definire chi siamo e a farci sentire parte di un gruppo. Associamo spesso il cibo a ricordi, emozioni ed esperienze positive o negative.
In questo contesto, il docente può utilizzare diversi spunti di discussione, che perfettamente si prestano allo sviluppo di interventi didattici multidisciplari (Unità di Apprendimento, gestione delle compresenze) focalizzati sui fattori che influenzano le scelte alimentari di un soggetto. Eccone alcuni:
Fattori biologici: La fame e la sazietà sono i segnali più basilari, ma non gli unici.
Fattori psicologici: Emozioni come tristezza, noia o stress possono spingerci a mangiare anche quando non abbiamo fame.
Fattori culturali: La nostra famiglia, la società in cui viviamo e la nostra cultura influenzano enormemente le nostre scelte alimentari.
Fattori sociali: Il contesto sociale in cui mangiamo, le persone con cui condividiamo il pasto e le occasioni speciali possono influenzare le nostre abitudini alimentari.
Marketing: La pubblicità e le strategie di vendita dei prodotti alimentari sono progettate per stimolare il nostro appetito e indurci a consumare più cibo del necessario.
In conclusione, i percorsi di riflessione che possano contribuire a far crescere tra i banchi di scuola professionisti consapevoli sono molteplici e possono contribuire in maniera efficace a fare cogliere ai discenti la bellezza della complessità intrinseca nell’approccio a “Scienza e Cultura dell’Alimentazione”.
L’autore
Luca La Fauci è laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari e in Scienze della Nutrizione Umana. È stato ricercatore universitario ed è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. È docente di ruolo di Alimentazione presso l’IPSSAR “P. Artusi” di Riolo Terme (RA) e svolge attività professionale di Biologo nutrizionista. È autore di testi scolastici per Rizzoli Education e ha svolto attività come divulgatore scientifico all’interno di diverse trasmissioni televisive RAI.
A Settembre la mente di studenti, docenti e genitori è focalizzata principalmente su una cosa: il rientro a scuola! Negli ultimi anni anche in Italia si è diffusa la terminologia Back to School per indicare tutte le attività, preparazioni, momenti che iniziano ancor prima dell’effettivo inizio della scuola, e culminano con la ripresa delle lezioni.
Come insegnanti di L2 possiamo utilizzare il Back to School come pretesto per reintrodurre i bambini, che già durante l’anno precedente hanno avuto un primo approccio con la lingua target, all’immersione linguistica in maniera giocosa e divertente, facendo leva sui loro gusti, sulle loro preferenze, sui loro interessi. Sfruttare questo aggancio ludico e di sicuro impatto positivo con i nostri studenti ci aiuta a riprendere le fila linguistiche lasciate a Settembre con una nota leggera, gioiosa e personalizzata.
Perché partire dalle preferenze dei bambini?
I gusti personali, le preferenze e le propensioni individuali forniscono moltissimi spunti e agganci per coinvolgere i ragazzi, creando un clima positivo di approccio alla L2. Si tratta di attività altamente significative per vari motivi:
in primo luogo vanno a toccare le corde delle emozioni positive, che, soprattutto quando si parla di L2, una materia non sempre facile per tutti, è importantissimo stimolare. Lavorare su quello “che piace” aiuta a creare una connessione positiva tra i sentimenti e le attività, attivando il transfer emotivo che, sulla lunga distanza, porterà a trasferire le emozioni piacevoli legate al task piacevole, all’apprendimento della materia stessa.
Secondariamente, il lavoro sui gusti personali permette un alto livello di personalizzazione, dando all’insegnante la possibilità di uscire dallo schema delle lezioni preconfezionate e uguali per tutti e permettendo a ciascuno studente di esprimere la propria unicità.
In ultimo, poiché il lavoro sui gusti personali è diverso per ciascuno studente, non esistono risposte giuste e risposte sbagliate. La possibilità di errore è ridotta al minimo, e questo favorisce un approccio più rilassato alla materia, perché viene meno l’ “ansia da prestazione” che si proverebbe se ci fosse una sola risposta giusta a un esercizio preconfezionato presentato allo stesso modo a tutti gli studenti.
Il lavoro concreto in classe
Le attività sulle preferenze e sui gusti sono molte, variegate, altamente personalizzabili e adattabili ai livelli di competenza di ciascuna classe e di ciascun gruppo di studenti. Vediamone alcune.
IN SCHOOL I LIKE: utilizziamo questa attività per ri-abituare i bambini alle routine scolastiche e alla scansione del tempo durante la giornata a scuola, e allo stesso tempo ripassare il vocabolario specifico relativo all’apprendimento. Creiamo insieme un visual (eventualmente anche utilizzando le pecs, per favorire l’integrazione anche degli alunni che traggono beneficio dall’uso della CAA) a dimensione poster in cui, uno dopo l’altro, sono elencati con immagini e parole in L2 i momenti della giornata. Alcuni esempi possono essere “drop off”, “entrance”, “attendance taking”, “lunchime”, “recess”… ciascun insegnante creerà il suo visual con la sua classe, sulla base della sua specifica routine scolastica. Dopo aver creato il display, si chiederà ai bambini di ricrearlo sul proprio quaderno, riportando immagini e parole. A questo punto potrà essere interessante intavolare una discussione, anche molto semplice, durante la quale chiedere agli studenti What do you like in school? oppure What do you like to do in school? O ancora What is your favourite part of the school day? Ciascun bambino, osservando il visual creato insieme, potrà dare la sua risposta senza paura di sbagliare, perché non esistono risposte corrette o errate. Con bambini con una competenza linguistica maggiore si potrà ampliare la discussione chiedendo Why?, o, ad un livello ancora più avanzato, domandare What is your least favourite part of the school day? Why? Con i bambini più piccoli si può chiedere di realizzare un disegno che rappresenti il loro momento preferito, con la scritta in grande IN SCHOOL I LIKE… L’insegnante potrà cogliere l’occasione per ampliare il vocabolario relativo ai verbi e alle azioni che si svolgono in ambiente scolastico, come to write, to read, to draw…
LET ME INTRODUCE MYSELF: con l’inizio dell’anno scolastico è molto probabile che all’interno della scuola, se non sulla classe stessa, arrivino persone nuove, nuovi insegnanti, nuovi collaboratori. L’insegnante può utilizzare questo pretesto per chiedere a bambini di “presentarsi” attraverso le loro preferenze. Utilizzando la scheda allegata, ciascun bambino potrà completare il lavoro inserendo il proprio ritratto e riempiendo i riquadri seguendo i propri gusti del momento. A seconda della classe e del livello di competenza, ciascun quadro potrà essere completato con un disegno, una parola, una semplice frase. I lavori dei bambini potranno poi essere appesi in corridoio, in modo da poter essere visibili a tutti.
MY FAVOURITE BINGO: rivisitare il classico gioco del bingo in chiave esplorativa è sempre una scelta vincente. In questo caso si userà il pretesto della “tombola” per riallacciare i rapporti tra i bambini che, durante l’estate, possono essersi un po’ allentati, e al tempo stesso conoscersi meglio utilizzando la L2. L’insegnante distribuirà agli studenti la scheda allegata e chiederà a ciascuno di completarla in maniera personale, a seconda dei suoi gusti. Vengono richieste cose molto semplici, come il colore preferito, il dolce, il numero… quando i bambini avranno completato ciascuno la propria cartella, comincerà il gioco vero e proprio. In un momento completamente destrutturato tutti gli studenti potranno muoversi liberamente per la classe, cercando altri compagni che abbiano le loro stesse preferenze; lo faranno girando per l’ambiente e chiedendosi l’un l’altro “What’s your favourite…?”.Quando troveranno un altro bambino con un gusto come il loro, entrambi coloreranno la casella corrispondente, scrivendo il nome del compagno, dopodichè torneranno a chiedere e a colorare. Vincerà il gioco chi, per primo, riuscirà a colorare un’intera fila della sua cartella.
MY FAVOURITE THINGS POEM: con i bambini più grandi, o ad un livello di competenza linguistica abbastanza alto, l’insegnante potrà proporre la lettura della seguente poesia
My favorite things are five: the sound of bees around their hive, the yellow roses when they bloom, the white, gigantic, shiny moon. The smell of pie, when it bakes (‘cause I love pies, but also cakes). The ocean, blue as blue is the sky, a gentle, speckled butterfly. The voice of mummy in the morn’, the taste of pizza with popcorn. Oh, wait! All of these things are more than five! Who cares? These things all make me feel alive!
Partendo dal testo della poesia gli studenti potranno lavorare in primo luogo ad un semplice esercizio di traduzione, creando un elenco delle cose che l’autore nomina come le sue preferite. Poi, insieme all’insegnante, potranno elaborare le loro semplici poesie, elencando ciò che ciascuno preferisce e provando ad abbinare gli oggetti elencati dall’intero gruppo classe sulla base delle rime.
Per concludere, si suggerisce la visione, l’ascolto e la lettura del testo della canzone “My favourite things” tratto dal musical “The Sound of Music”. La canzone può essere imparata a memoria come esercizio di pronuncia leggere e spensierato di inizio anno.
Ripartire da dove si è
La ripresa dell’anno scolastico è sempre un momento delicato, talvolta per alcuni studenti difficile, Trasmettere ai bambini il messaggio che ciascuno è importante e benvenuto così com’è, con le sue particolarità e i suoi gusti unici, equivale a dire, per lo meno nell’insegnamento della Lingua 2: “Non mi interessa solo che tu impari a parlare la lingua, ma mi interessa che tu impari a parlare in lingua di qualcosa che ha senso PER TE”. Lavorare partendo dalle preferenze individuali permette un enorme ampliamento proprio a partire dalle diversità e dalle unicità. Il bambino che, unico nella classe, ci ha fatto sapere che il suo sport preferito è il Lacrosse, per esempio, potrebbe spiegarne le regole e raccontare come mai lo conosce; la bambina che preferisce la lettera W potrebbe dirci che è la lettera iniziale di Wendy, la sua cugina preferita… in ogni caso questo approccio aperto e non troppo strutturato permette un’alta personalizzazione e, soprattutto, una grande possibilità di coinvolgimento concreto dei nostri studenti nell’apprendimento della L2 come mezzo reale di comunicazione significativa.
Guy Deutscher in the introduction of his book “Through the language glass” says:
“There are four tongues worthy of the world’s use,” says the Talmud: “Greek for song, Latin for war, Syriac for lamentation, and Hebrew for ordinary speech.” Other authorities have been no less decided in their judgment on what different languages are good for. The Holy Roman Emperor Charles V, king of Spain, archduke of Austria, and master of several European tongues, professed to speaking “Spanish to God, Italian to women, French to men, and German to my horse.” A nation’s language, so we are often told, reflects its culture, psyche, and modes of thought. Peoples in tropical climes are so laid-back it’s no wonder they let most of their consonants fall by the wayside. And one need only compare the mellow sounds of Portuguese with the harshness of Spanish to understand the quintessential difference between these two neighboring cultures. The grammar of some languages is simply not logical enough to express complex ideas. German, on the other hand, is an ideal vehicle for formulating the most precise philosophical profundities, as it is a particularly orderly language, which is why the Germans have such orderly minds. (But can one not hear the goose step in its gauche, humorless sounds?) Some languages don’t even have a future tense, so their speakers naturally have no grasp of the future. The Babylonians would have been hard-pressed to understand Crime and Punishment, because their language used one and the same word to describe both of these concepts. The craggy fjords are audible in the precipitous intonation of Norwegian, and you can hear the dark I’s of Russian in Tchaikovsky’s lugubrious tunes. French is not only a Romance language but the language of romance par excellence. English is an adaptable, even promiscuous language, and Italian-ah, Italian! Many a dinner table conversation is embellished by such vignettes, for few subjects lend themselves more readily to disquisition than the character of different languages and their speakers. And yet should these lofty observations be carried away from the conviviality of the dining room to the chill of the study, they would quickly collapse like a souffle of airy anecdote-at best amusing and meaningless, at worst bigoted and absurd. Most foreigners cannot hear the difference between rugged Norwegian and the endless plains of Swedish. The industrious Protestant Danes have dropped more consonants onto their icy windswept soil than any indolent tropical tribe. And if Germans do have systematic minds, this is just as likely to be because their exceedingly erratic mother tongue has exhausted their brains’ capacity to cope with any further irregularity. English speakers can hold lengthy conversations about forthcoming events wholly in the present tense (I’m flying to Vancouver next week … ) without any detectable loosening in their grip on the concepts of futurity. No language-not even that of the most “primitive” tribes-is inherently unsuitable for expressing the most complex ideas. Any shortcomings in a language’s ability to philosophize simply boil down to the lack of some specialized abstract vocabulary and perhaps a few syntactic constructions, but these can easily be borrowed, just as all European languages pinched their verbal philosophical tool kit from Latin, which in turn lifted it wholesale from Greek. […] Philosophers of all persuasions and nationalities have lined up to proclaim that each language reflects the qualities of the nation that speaks it. In the seventeenth century, the Englishman Francis Bacon explained that one can infer “significant marks of the genius and manners of people and nations from their languages.” “Everything confirms,” agreed the Frenchman Etienne de Condillac a century later, “that each language expresses the character of the people who speak it.” His younger contemporary, the German Johann Gottfried Herder, concurred that “the intellect and the character of every nation are stamped in its language.” Industrious nations, he said, “have an abundance of moods in their verbs, while more refined nations have a large amount of nouns that have been exalted to abstract notions.” In short, “the genius of a nation is nowhere better revealed than in the physiognomy of its speech.” The American Ralph Waldo Emerson summed it all up in 1844: “We infer the spirit of the nation in great measure from the language, which is a sort of monument to which each forcible individual in a course of many hundred years has contributed a stone.” The only problem with this impressive international unanimity is that it breaks down as soon as thinkers move on from the general principles to reflect on the particular qualities (or otherwise) of particular languages, and about what these linguistic qualities can tell about the qualities (or otherwise) of particular nations.
The truth is that language is what makes us human and the peculiarities of our languages are what make us unique. That’s the main idea behind the European Day of Languages. Every language counts and every language can cast a different light on everyday life events.
The European Day of Languages
The European Day of Languages (EDL) was first celebrated in 2001 during the European Year of Languages. At the end of this campaign the Council of Europe’s Committee of Ministers decided to make EDL an annual event, to be celebrated each 26 September. Every year, millions of people in the Council’s member states and elsewhere organise or take part in activities to promote linguistic diversity and the ability to speak other languages.
The general aim is to draw attention to Europe’s rich linguistic and cultural diversity, which has to be encouraged and maintained, but also to extend the range of languages that people learn throughout their lives in order to develop their plurilingual skills and reinforce intercultural understanding. EDL is an opportunity to celebrate all of Europe’s languages, including those that are less widely spoken and the languages of migrants. (see)
Celebrating languages in class
ACTIVITY 1 – LANGUAGES FOR… Create a poster illustrating a specific topic in various languages.
Nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di seguire i Giochi Olimpici e Paralimpici e di ammirare la costanza, l’impegno, la dedizione e la bravura degli atleti di tutto il mondo. In spiaggia, si potevano osservare bambini e bambine che emulavano i campioni organizzando delle gare di corsa con tanto di podio. Vedendo tanto coinvolgimento abbiamo pensato che a settembre i nostri alunni e alunne arriveranno a scuola pieni di questo entusiasmo, con negli occhi ancora le gesta di questi campioni: uomini e donne normali che hanno compiuto cose straordinarie superando i propri limiti.
I Giochi Olimpici sono un evento che vede coinvolti gli atleti di tutto il mondo e che affonda le origini nell’antica Grecia, dove oltre ad essere un evento in cui si metteva in mostra l’abilità fisica, erano previsti anche dei momenti di celebrazione culturale e religiosa. Anche oggi le Olimpiadi continuano a incarnare questi valori, promuovendo non solo la competizione, ma anche l’unione tra i popoli e l’ideale del fair play.
Il fair play, o gioco leale, è un principio fondamentale nello sport, che va oltre il semplice rispetto delle regole: implica integrità, rispetto per gli avversari, e la volontà di competere in modo onesto. Durante le Olimpiadi, gli atleti sono chiamati a dimostrare non solo la loro abilità fisica, ma anche il loro carattere morale, accettando la vittoria con umiltà e la sconfitta con dignità. Questo atteggiamento riflette l’essenza dello spirito olimpico, dove la partecipazione e lo sforzo vengono valorizzati tanto quanto il risultato finale.
Il fair play deve essere osservato non solo dai giocatori in campo, ma anche dai tifosi e prevede una serie di principi fondamentali:
rispettare le regole del gioco;
rispettare i compagni di squadra, gli avversari, gli arbitri e gli spettatori;
aiutare gli altri a resistere nelle difficoltà;
rifiutare qualsiasi tipo di scorrettezza (doping, razzismo, violenza e corruzione);
giocare per divertirsi;
giocare con lealtà;
accettare la sconfitta con dignità.
Nella Dichiarazione del Comitato Internazionale “Fair Play” si legge: “Non possiamo comprendere il fair play se non lo colleghiamo a valori morali come lo spirito di giustizia, equità e dignità umana”. Si tratta quindi di principi che, se insegnati a scuola, possono aiutare i bambini e le bambine a migliorare la propria capacità di stare insieme e di prendersi cura del gruppo.
Ma non solo! Possiamo traslare questi principi anche nello studio: a scuola, il fair play può manifestarsi attraverso il rispetto per insegnanti e compagni, la collaborazione durante i progetti di gruppo, e l’onestà negli esami. Gli studenti che praticano il fair play sviluppano un forte senso di responsabilità e giustizia, imparando a riconoscere il valore del lavoro di squadra e dell’impegno personale.
Nello studio, il fair play si traduce nell’integrità accademica. Copiare, plagiare o cercare scorciatoie per ottenere risultati migliori sono comportamenti che minano il valore dell’istruzione. Al contrario, gli studenti che si impegnano a raggiungere i propri obiettivi con onestà, anche quando ciò richiede sacrificio e fatica, costruiscono una base solida per il loro futuro.
In conclusione, il fair play, sebbene originato nel contesto sportivo, ha una rilevanza che si estende ben oltre il campo di gioco. Applicato a scuola e nello studio, esso promuove valori di rispetto, onestà e collaborazione, che sono essenziali per il successo non solo accademico, ma anche nella vita. Come le Olimpiadi ci insegnano, ciò che conta veramente è lo sforzo, l’integrità e il rispetto per gli altri, principi che dovrebbero guidare ogni aspetto della nostra esistenza.Lo stesso PierreDe Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne, pronunciò una frase che divenne motto non ufficiale dei giochi e che racchiude i principi del fair play: “L’importante non è vincere ma partecipare”.
Per introdurre quindi una riflessione sul fair play a scuola abbiamo pensato di partire da una storia nota: “La lepre e la tartaruga” di Esopo, nella versione tratta dal nostro manuale “Didattica per competenze con i lapbook” edito da Centro Studi Erickson.
Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:
prima parte: lettura espressiva della storia;
seconda parte: presentazione del lavoro;
terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il template “Fair play”.
Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.
Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.
Nell’immaginario collettivo le piramidi dell’antico Egitto vengono accostate agli schiavi. E chi altro, se non una moltitudine di prigionieri sottomessi avrebbe potuto erigere edifici così imponenti?
A dire il vero, tuttavia, la notizia dell’impiego di schiavi per costruire le piramidi non proviene da fonti dirette. Ed è quanto meno discutibile. Essa infatti è giunta fino a noi grazie allo storico greco Erodoto, che però – fatto tutt’altro che trascurabile – visse nel V secolo a.C., cioè circa duemila anni dopo!
Al termine della sua visita nella piana di Giza, Erodoto elaborò questa interpretazione (destinata a una grande fortuna), e la raccontò nelle sue Storie. Del resto, per un greco come lui, era del tutto verosimile che le opere pubbliche venissero realizzate grazie alla manodopera di schiavi.
Una diversa versione dei fatti
Da alcuni decenni la storiografia ha messo in dubbio la parola di Erodoto, sostenendo che i costruttori delle piramidi furono operai specializzati, liberi e ben pagati.
Per farlo, ci si è basati su nuovi e attendibili elementi, come quelli ricavati dagli scavi compiuti nel 2010 nella piana di Giza. Nei pressi delle piramidi di Cheope e Chefren, sono state infatti riportate alla luce alcune tombe, risalenti a 4500 anni fa e appartenenti ai costruttori delle piramidi stesse. Gli archeologi hanno subito fatto notare che se questi costruttori fossero stati schiavi, le loro tombe non sarebbero state di certo collocate accanto a quelle dei faraoni.
Non solo: analizzando altre fonti dirette, si è scoperto che durante i lavori le famiglie più ricche e potenti dell’Alto Egitto inviavano ogni giorno decine di vitelli e di montoni per sfamare i costruttori delle piramidi. Un trattamento un po’ troppo favorevole per degli schiavi!
Il bisogno di manodopera specializzata
La storiografia più recente mette in dubbio anche le cifre ipotizzate da Erodoto, che parlava di centomila schiavi impiegati a Giza. Secondo i dati reperiti, a realizzare le piramidi della piana furono al massimodiecimila persone. Ma come sarebbe stato possibile costruire questi enormi monumenti con un numero sì consistente, ma non smisurato di persone?
Un po’ come accade oggi, per realizzare opere grandi e sofisticate non basta poter disporre di manodopera generica: occorre personale qualificato, con competenze e mansioni specifiche. Pensiamo anche al modo in cui le piramidi furono realizzate: gli enormi blocchi di pietra che le componevano venivano sollevati attraverso ingegnosi sistemi di rampe, abbinati a leve, funi e spessori di legno inclinati. Operazioni, queste, che comportavano conoscenze ingegneristiche in fase di progettazione, un’accurata direzione dei lavori, ma anche una manodopera decisamente specializzata.
Il 12 luglio 2024 è morto di Alzheimer l’artista statunitense Bill Viola, uno dei grandi pionieri nella ricerca e nella produzione di videoarte, il linguaggio artistico che si basa sulla creazione e riproduzione di immagini in movimento attraverso strumentazioni video.
Nato a New York nel 1951, Bill Viola realizza in 50 anni di carriera installazioni e ambienti visionari, video immersivi e paesaggi sonori, esplorando i grandi temi dell’esperienza umana: la nascita, la coscienza, l’amore, le relazioni, la morte.
Dopo aver lavorato ed esposto negli Stati Uniti durante gli anni Ottanta, Bill Viola viene scoperto dal pubblico europeo negli anni Novanta, quando viene scelto per rappresentare il padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1995. Da lì il suo percorso artistico è scandito da mostre importanti, molto amate dal grande pubblico: da quella al Whitney Museum di New York (poi presentata a Los Angeles, Amsterdam, Francoforte, San Francisco e Chicago, 1997-2000) all’antologica Rinascimento elettronico del 2017 di Firenze, fino alla celebre esposizione del febbraio-giugno 2023 al Palazzo Reale di Milano.
Il talento di unire arte e tecnologia, passato e presente
Definito il “Caravaggio della videoarte”, Viola è stato un artista geniale e visionario, capace di contaminare e armonizzare in sintesi perfetta arte e tecnologia, passato e presente.
Michelangelo, Pontormo, Leonardo, Mantegna, Rembrandt sono gli artisti che più di altri lo hanno influenzato. Alcune delle sue opere più riuscite sono proprio la trasformazione teatrale e digitale di capolavori del passato, rivisitati attraverso il suo occhio attento ai dettagli, alla luce, alle dinamiche tra le persone. Nelle interviste raccontava di “utilizzare la tecnologia più recente per suscitare le emozioni più antiche”.
Bill Viola ha saputo insegnare agli artisti della sua generazione e a quelli che sono venuti dopo che arte e tecnologia possono andare d’accordo: era apprezzatissimo per la sua capacità di ripresa, registrazione e montaggio e i suoi video hanno rivoluzionato la storia dell’arte per la resa estetica, i colori, gli effetti sonori.
Il binomio arte-intelligenza artificiale
Arte e sperimentazione si sono sempre intrecciate.
Oggi è l’Intelligenza Artificiale generativa a rivoluzionare il processo di progettazione creativa e artistica. I computer possono infatti imparare da grandi insiemi di dati e creare nuovi dati che assomigliano a modelli appresi. Questo significa che l’intelligenza artificiale generativa può creare nuovi testi, nuove immagini, nuova musica.
In questo senso può supportare artisti e designer nel creare opere nuove e innovative che superano i confini delle forme d’arte tradizionalioltre che generare contenuti unici e coinvolgenti per i social media, la pubblicità, i siti web e altre piattaforme digitali.
Il discorso è lungo e articolato, perché anche nell’arte e nella creatività l’AI porta con sé grandi opportunità, ma anche rischi e qualche inquietudine.
Artisti di spicco che utilizzano l’intelligenza artificiale
Rimane un dato di partenza: AI e arte possono creare un legame sorprendente e sempre più artisti stanno adottando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie per esplorare nuovi territori creativi.
Qualche nome di spicco?
Mario Klingemann (1970, Bassa Sassonia)
La mente analitica di un programmatore, il fervore creativo di un artista e l’audacia di uno scienziato: questo il suo profilo. Con lo pseudonimo di Quasimondo crea opere d’arte generative concentrando la sua attenzione su aspetti legati all’identità e alla percezione visiva.
Artista digitale esposto anche al Moma, pioniere nell’uso di algoritmi crea opere che esplorano il concetto di memoria e la relazione tra il mondo digitale e quello fisico.
Artista e cineasta digitale noto per le sue opere d’arte dinamiche e interattive che coinvolgono gli spettatori. Cheng usa tecniche di programmazione informatica per creare ‘ambienti viventi’ definiti dalla capacità di mutare ed evolvere incessantemente.
L’impatto dell’intelligenza artificiale sull’arte riguarda tutti noi
L’impatto dell’AI sul mondo dell’arte e della creatività non si limita ormai ai singoli artisti, ma coinvolge un pubblico generalista; coinvolge, per certi versi, tutti noi, tutti coloro che hanno le competenze e la curiosità per usare sistemi di AI nel generare immagini. Con conseguenze ancora tutte da esplorare in termini di ridefinizione e tutela di ciò che è arte, artista, diritto d’autore.
Ma la strada è segnata: una dimostrazione l’abbiamo avuta a Bologna, all’ultima edizione di WMF-We Make Future,che ha avuto grande successo con Call for AI Artist, il concorso indetto per supportare i giovani talenti che fanno uso artistico e sociale dell’intelligenza artificiale generativa. Un palcoscenico per dare visibilità ai tanti creativi, artisti e designer impegnati nella promozione dell’inclusione, dell’impegno sociale e della sostenibilità ambientale proprio attraverso la produzione di contenuti artistici generati con AI. Scopri di più
Cosa ci aspetta? L’artista Vincent Smadja, conosciuto come If Only, sembra non avere dubbi: «L’introduzione dell’intelligenza artificiale in ambito artistico e creativo non è una semplice innovazione, è una rivoluzione. Porterà nuove pratiche, ma anche un nuovo mindset soprattutto tra le generazioni più giovani. Ci aspetta un nuovo modo di creare e consumare l’arte».
Per approfondire
Intelligenza artificiale e mercato dell’arte: Vi consigliamo la lettura di questo articolo di Laura Cocciolillo uscito su Artribune: Quanto vale l’AI Art? L’intelligenza artificiale nel mercato dell’arte. L’intelligenza artificiale ha già rivoluzionato il mondo dell’arte. Ma il mercato saprà stare al passo? Alcuni casi studio. Leggi l’articolo
Suggestioni e sviluppi futuri sull’ergomento: Per restare informati e approfondire le opinioni degli esperti e vari punti di vista sull’IA leggi anche il numero È ora di ripensare l’IA di Think Magazine.
Un LMS come Moodle è senz’altro uno strumento irrinunciabile per la progettazione, la realizzazione e la fruizione di corsi on-line e blended. Per ottenere un corso efficace dal punto di vista della didattica, non basta però conoscere le tecniche per l’implementazione delle molte funzionalità di Moodle, è anche e soprattutto necessario esplorare le metodologie che presiedono all’organizzazione delle informazioni, in modo che siano adeguate all’esperienza formativa che vogliamo proporre.
Quindi bisogna avere qualche cognizione delle neuroscienze applicate al processo di apprendimento, per capire, anche dal punto di vista biologico, in quale modo l’individuo impara e quali possano essere le tecniche per facilitare e rendere duratura l’assimilazione dei contenuti. Per rendere produttiva la fruizione di corsi online è diventato anche irrinunciabile conoscere e saper applicare i metodi dell’e-learning design e trovare strategie efficaci per utilizzare le metodologie didattiche in modo accattivante e stimolante.
A questo proposito può essere utile la ricerca di Massimiliano Fiorelli (e-Learning Design [1]) che, tenendo conto dei moderni concetti delle teorie dell’apprendimento, propone un’efficace metodologia per strutturare un corso in e-learning.
In questo articolo quindi vengono esplorate velocemente le ultime scoperte delle neuroscienze in fatto di apprendimento e si vedono alcuni modelli per la realizzazione di corsi online e, come esercizio di applicazione, viene introdotto un corso Moodle sull’Intelligenza artificiale, che è stato realmente erogato ad una classe quinta del liceo scientifico delle scienze applicate.
Per rendere un percorso didattico efficace non è sufficiente la preparazione del docente, che deve conoscere indubbiamente molto bene i contenuti che va a esporre, ma è altresì importante che il percorso sia progettato con criteri adeguati alla modalità di distribuzione del corso e alla tipologia di studenti che vogliamo raggiungere.
È soprattutto importante l’approccio che si usa: in tempi passati sembrava fosse sufficiente mettere insieme i contenuti in modo chiaro e secondo una cronologia corretta; a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, invece, si è pensato fosse meglio avvalersi di un approccio incentrato sulla persona.
Quindi occorre, come prima cosa, individuare quali siano i bisogni dello studente. A questo proposito Maslow, nella sua opera del 1943 “A theory of human motivation” [2] , ha disegnato una “Piramide dei bisogni” per schematizzare la gerarchia delle esigenze umane. Possiamo riadattare la piramide dei bisogni di Maslow alla Learning Experience di Stephen Anderson [3] in questo modo:
Figura 1 – Piramide dei bisogni del discente
Questo significa che il nostro percorso di apprendimento deve essere soprattutto funzionale, affidabile e usabile, ma il valore aggiunto lo danno le caratteristiche di praticità, di piacevolezza e soprattutto il fatto che sia significativo; queste ultime sono le caratteristiche che vanno oltre la soglia “dell’esperienza”.
Se si rimane sotto la soglia dell’esperienza non ci si concentra sui meccanismi per attivare l’attenzione e l’interesse, né sullo stimolo della memoria che facilita la permanenza delle informazioni. La memoria è un complesso sistema in grado di garantire la conservazione e il recupero delle informazioni nel tempo. Nell’organizzazione dei contenuti di un corso e nella progettazione delle sue attività dobbiamo tener conto dei meccanismi che stimolano e favoriscono la memorizzazione, la comprensione e l’apprendimento.
1.1 Il ruolo delle neuroscienze
Il campo delle neuroscienze è relativamente nuovo, si tratta di una materia multidisciplinare che si occupa delle ricerche sul sistema nervoso e sulle sue funzioni, il suo obiettivo è quello di studiare l’architettura, la funzione e l’evoluzione del sistema nervoso e il suo ruolo nel controllo del comportamento e del pensiero. Dal punto di vista delle neuroscienze, uno degli elementi fondamentali per agevolare l’apprendimento è costituito dalle emozioni, l’emozione consente di associare ad una specifica situazione uno stato emotivo, che rinforza le capacità cognitive.
Un altro elemento fondamentale per stimolare la memorizzazione e la comprensione è l’utilizzo delle immagini, della rappresentazione grafica dei concetti e degli schemi concettuali. Gli schemi attivano i meccanismi della categorizzazione potenziando le capacità cognitive. Si è inoltre compreso che il nostro cervello ha la tendenza a risparmiare energia dove il carico cognitivo sia troppo oneroso, quindi, nella progettazione del percorso formativo, occorre che ogni attività educativa sia adeguata alle possibilità del discente.
Ci si riferisce alla “teoria del carico cognitivo” di John Sweller del 1988 [4], che sostiene che la memoria di lavoro dell’essere umano abbia una capacità limitata; le informazioni che vogliamo trasmettere devono quindi essere esposte nel modo più chiaro e sintetico possibile, senza elementi estranei non essenziali. Inoltre, bisogna essere consapevoli che esiste un limite di “unità di informazione” (chunk) che la nostra memoria breve può processare in un’unica attività formativa; si tratta del “numero magico 7±2” introdotto da Miller nel 1956 [5], che con questa teoria ha sintetizzato le teorie empiriche precedenti. Quindi i “concetti di base” che vogliamo comunicare in una lezione devono essere in media sette.
Figura 2 – Fattori che favoriscono l’apprendimento
E’ inoltre importante che il processo di apprendimento passi attraverso degli esercizi di applicazione i cui risultati vengano discussi con lo studente, o quanto meno, lo studente possa avere sempre dei riscontri, dei feedback, sui risultati raggiunti, specialmente quando compie degli errori.
La persistenza delle informazioni nella memoria è inoltre aiutata dalla ripetizione, è vero che le attività online rimangono sempre a disposizione dello studente e quindi sono naturalmente predisposte per essere eventualmente ripetute, ma è più efficace se lo stesso concetto viene proposto con modalità diverse.
In ultimo, ma nel caso dell’informatica è certamente uno degli aspetti più importanti, si apprende in modo molto più efficace facendo esperienza dei concetti teorici che si stanno studiando; per questo motivo nella progettazione del percorso di apprendimento occorre studiare degli esercizi che permettano di fissare le informazioni attraverso l’esperienza diretta.
1.2 La definizione di intelligenza
Non è facile dare una definizione all’intelligenza, tanto che fino al secolo scorso si poteva pensare che l’intelligenza fosse una capacità con caratteristiche omogenee in tutta la popolazione e che potesse essere misurata con standard uniformi. Howard Gardner, nel libro “Frames of the Mind” del 1983 [6], sostiene che non sia possibile misurare e catalogare l’intelligenza con regole omogenee, bensì che esistano diverse forme di intelligenza o “forme di rappresentazione mentale” che dipendono le une dalle altre.
Nella sua prima stesura Gardner elenca addirittura sette diversi domini di abilità specifiche per specifiche funzioni cognitive, definendo così la sua “teoria delle intelligenze multiple”, che ha avuto anche molte critiche, ma che ha il pregio di aver attivato il dibattito sulla personalizzazione dell’apprendimento. Gardner ha osservato che i test per misurare l’intelligenza si occupavano solo dell’intelligenza linguistica e dell’intelligenza logico-matematica: dove per intelligenza linguistica si intende la sensibilità per il significato delle parole e per le funzioni proprie del linguaggio, mentre l’intelligenza logico-matematica è la capacità di condurre ragionamenti, mantenendo la logica nei loro diversi passaggi.
Secondo la teoria delle “intelligenze multiple” esistono però altri 5 tipi intelligenza:
L’intelligenza spaziale che è specifica per coloro che hanno un buon senso dell’orientamento e realizzano di preferenza mappe e diagrammi.
L’intelligenza musicale che caratterizza gli individui che sanno distinguere e riprodurre le proprietà musicali della voce e della musica.
L’intelligenza cinestetica o procedurale, cioè la capacità di manipolare oggetti, di governare il proprio equilibrio e di autocontrollo posturale.
L’intelligenza interpersonale, cioè la caratteristica che porta gli individui ad essere più o meno empatici con i propri simili.
L’intelligenza intrapersonale, quindi la capacità di conoscere se stessi e la consapevolezza di sé che viene utilizzata per poter compiere delle scelte che possano soddisfare i propri interessi.
Figura 3 – Le intelligenze multiple
1.3 Stili di apprendimento
Se vogliamo essere attenti ai bisogni del discente, dobbiamo quindi essere consapevoli dei diversi stili di apprendimento e progettare gli interventi formativi differenziando le attività, in modo da assecondare ciascuna di queste peculiarità per sfruttare al meglio le potenzialità intellettive di ciascuno. Nell’intervista sostenuta a Torino il 10 aprile 1997 Gardner afferma:
“… Dalla mia prospettiva, la più grande promessa della tecnologia è quella di individualizzare l’educazione. Se un insegnante ha 30 o 40 studenti e non ha a disposizione alcuna tecnologia, non ha molta scelta: lui o lei deve leggere o dare a tutti lo stesso compito. Ma se, per esempio, un insegnante ha 30 o 40 studenti, ma ciascuno studente possiede il proprio computer con il CD ROM o il video disk player, allora, l’insegnante può insegnare le frazioni in un modo ad uno studente e in un altro modo ad un altro studente, e può altresì offrire allo studente vari modi di mostrare ciò che capisce.
Così la tecnologia mantiene la promessa di personalizzare ed individualizzare l’educazione molto più che nel passato. Perché questo è importante? Tradizionalmente, l’educazione è stata un segno di selezione. A chi pensa in un certo modo, a chi può passare per la cruna di un ago, per usare una metafora, noi daremo un riconoscimento, e tutti gli altri saranno messi da parte perché non sono in grado di fare le cose in quel modo. Se noi individualizziamo o personalizziamo l’educazione, invece di avere un test che ciascuno deve superare, possiamo avere dei test appropriati per ciascuno in considerazione della sua intelligenza. Questo significa che ognuno può essere avvantaggiato in base alle proprie potenzialità, e non si forzeranno tutti ad essere come un certo prototipo, e se non si può essere come quel prototipo allora non si ha alcuna opportunità.“
Si può essere d’accordo o meno con la teoria delle intelligenze multiple di Gardner ma si dovrebbe concordare sul fatto che l’apprendimento passa attraverso canali sensoriali che sono diversi da individuo a individuo, inoltre anche lo stesso individuo potrebbe non usare lo stesso canale se posto in contesti diversi. Le diverse strategie che si mettono in atto nella fase di apprendimento sono state studiate e modellizzate in passato, i due principali modelli che definiscono i diversi stili di apprendimento sono il modello VAK e il modello Felder-Silverman.
Il modello VAK (Visivo, Auditivo, Cinestesico) rappresenta uno dei modi più comuni per comprendere e categorizzare i diversi stili di apprendimento. Tale modello è stato introdotto per la prima volta da Walter Burke Barbe e dai suoi collaboratori nel 1979 [7], poi è stato integrato da Neil D. Fleming e Coleen E. Mills nel 1992 [8] con l’aggiunta dello stile Lettura/Scrittura.
Visivo: Le persone che imparano in modo visivo preferiscono utilizzare immagini, diagrammi e mappe mentali per assimilare nuove informazioni. Queste persone apprendono meglio quando vedono le informazioni.
Auditivo: Le persone di tipo auditivo imparano meglio attraverso l’ascolto. Preferiscono le spiegazioni verbali, le discussioni e gli audio rispetto alle informazioni visive.
Lettura/Scrittura: Le persone che imparano attraverso la lettura/scrittura preferiscono leggere, studiare sui libri e prendere appunti.
Cinestesico: Le persone di tipo cinestesico apprendono attraverso l’esperienza pratica e l’azione. Hanno bisogno di fare, toccare, muoversi e interagire con il loro ambiente per comprendere appieno le informazioni.
È importante notare che la validità scientifica del modello VAK, e anche del VARK, è stata messa in discussione, e molti educatori e psicologi dell’educazione preferiscono adottare approcci più complessi e basati sulla ricerca per personalizzare l’insegnamento, per esempio il modello Felder-Silverman [9]. Questo modello identifica quattro dimensioni principali degli stili di apprendimento ed è diventato uno degli approcci più noti per comprendere e valutare le modalità di assimilazione dei concetti, soprattutto nel contesto dell’istruzione ingegneristica e tecnica.
Attivo/Riflessivo: Le persone con un orientamento attivo preferiscono imparare facendo, sono spesso orientate all’azione e apprendono meglio quando possono sperimentare direttamente. Al contrario, le persone con un orientamento riflessivo preferiscono riflettere sulle informazioni, pensare attentamente prima di agire e considerare diverse prospettive prima di arrivare ad una conclusione.
Sensoriale/Intuitivo: Le persone orientate al sensoriale preferiscono informazioni concrete e dettagliate. Al contrario, le persone orientate all’intuizione preferiscono informazioni astratte.
Visivo/Verbale: Le persone orientate al visivo imparano meglio attraverso diagrammi, grafici, mappe concettuali e altre rappresentazioni visuali delle informazioni. Le persone orientate al verbale, invece, preferiscono spiegazioni scritte o verbali e apprendono meglio attraverso le parole e la lettura.
Sequenziale/Globale: Le persone orientate alla sequenza preferiscono apprendere passo dopo passo, seguendo una sequenza logica e affrontando un compito una parte alla volta. Sono attenti ai dettagli e preferiscono una struttura chiara e lineare. Le persone orientate al globale, invece, preferiscono vedere il quadro generale e comprendere i concetti nel loro contesto. Sono bravi a fare connessioni tra le diverse informazioni e vedono il grande quadro anziché i dettagli specifici.
Figura 4 – Il modello Felder-Silverman
2. Progettare ad hoc per l’e-learning con particolare attenzione verso l’informatica
Tenendo conto di tutto quello che abbiamo detto fino a questo momento, progettare un percorso di apprendimento significa anche aver chiaro quali debbano essere i passaggi fondamentali dell’intervento didattico. Indipendentemente da quale stile di apprendimento vogliamo stimolare, la nostra lezione in presenza o online deve attraversare dei momenti chiave che ci possano agevolare nella presentazione dei contenuti; anche su questo argomento possiamo riferirci a studi e teorie formulate in passato.
Robert Gagnè (padre dell’Instructional Design), già nel 1965 [10], crea un processo suddiviso in fasi, che possono essere reinterpretate in chiave moderna per essere adattate anche ad un attività formativa in e-learning.
Figura 5 – Le 9 fasi del processo formativo
La successione delle fasi può essere applicata al corso nella sua totalità o replicata in ogni singola lezione, Se ci riferiamo all’intero corso o argomento, ottenere l’attenzione può corrispondere ad allertare il gruppo classe sull’inizio di un nuovo tema. Informare sugli obiettivi è fondamentale: occorre descrivere brevemente cosa ci si aspetta di imparare nelle lezioni successive, anche come standard minimi e criteri di valutazione, poi dobbiamo inquadrare l’argomento richiamando alla memoria i concetti che già si conoscono, da cui si vuole partire o che vengono coinvolti anche più avanti nel processo di apprendimento.
La presentazione dei contenuti, la dotazione dei materiali di supporto, l’assegnazione di un’attività pratica sulla quale dare feedback, la somministrazione di test in più momenti e il riferimento a problemi di realtà che coinvolgano l’argomento trattato sono tutte fasi che sono naturalmente caratteristiche di ciascuna lezione e sono diverse le metodologie con le quali possono essere erogate. Per esempio, soprattutto se parliamo di didattica dell’informatica, può essere molto produttivo se ci riferiamo al costruttivismo, secondo il quale occorre creare ambienti per l’apprendimento in cui la conoscenza si acquisisca anche attraverso la costruzione delle cose e delle idee.
Le caratteristiche percettive e strutturali dell’apprendimento, così come le descrivono le teorie costruttiviste, sono infatti perfette per la didattica dell’Informatica, in particolare nel coding, dove, nelle attività di problem solving, è indispensabile la maturazione di un pensiero creativo computazionale. Utilizzando una piattaforma Moodle, sono automaticamente disponibili una serie di strumenti che possono essere utilizzati al servizio di una didattica che segua tali teorie.
Andrea Varani scrive nel suo articolo: Didattica costruttivista e Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione: una sinergia potente [11]: “Una didattica costruttivista deve essere caratterizzata dalla costruzione e non dalla riproduzione di conoscenza, una costruzione inevitabilmente caratterizzata dallo stile cognitivo e dal tipo di intelligenza prevalente del discente (Gardner 1994). Una didattica che non deve semplificare ma rendere invece visibile la complessità della realtà e le sue multiprospettiche rappresentazioni, sviluppando situazioni di apprendimento basate su casi reali.”
3. Il corso sull’intelligenza artificiale
Sulla base di queste raccomandazioni è stato realizzato un mini-corso Moodle (“Reti neurali e identificazione dei pattern per quanto riguarda le immagini”) costituito da una serie di lezioni sull’Intelligenza Artificiale.
In particolare ci si è concentrati sulle seguenti competenze:
saper discutere le potenzialità e i limiti dell’intelligenza artificiale
conoscere le possibilità di acquisizione dei dati in materia di immagini
conoscere il funzionamento di una rete neurale anche dal punto di vista della codifica di un programma (cenni su alcune funzionalità della libreria TensorFlow di Python)
Figura 6 – Le lezioni del corso
Gli studenti a cui si indirizzano le 9 lezioni possono essere studenti di quarta o di quinta di un istituto di secondo grado, Le lezioni si inseriscono in un percorso sull’Intelligenza artificiale già avviato, quindi si intende che gli studenti abbiano già affrontato almeno in modo generico alcuni concetti dell’AI:
Big Data nei suoi aspetti di significato, modalità di raccolta, problemi nella standardizzazione
Machine Learning: tipi diversi di Machine Learning (supervisionato, non supervisionato, esempi di algoritmi: KNN, Naive Bayes, decision tree)
Poiché i contenuti del corso toccano concetti di Storia, Biologia, Matematica, Filosofia e Diritto per alcune parti del corso sarebbe auspicabile poter collaborare con i docenti di queste materie. Seguendo le fasi del processo formativo di Richard Gagnè, durante la prima lezione dobbiamo richiamare i requisiti, presentare gli obiettivi, l’argomento in generale e, per ottenere l’attenzione e creare aspettativa, l’idea è quella di proporre un’attività pratica coinvolgente.
L’obiettivo generale è quello di dare a ciascuno studente una valutazione parziale per ogni lezione, in modo da dare un feedback sul livello di preparazione e di completamento del percorso. A questo proposito il corso Moodle deve essere impostato in modo che gli studenti possano vedere il tracciamento del completamento di ciascuna attività. Nel corso della progettazione delle lezioni si sono identificate quali competenze del docente siano state utilizzate tra quelle del framework europeo DigCompEdu che si vede in figura (la figura è tratta dalla traduzione Italiana del documento DigCompEdu Il quadro di riferimento europeo sulle competenze digitali dei docenti e dei formatori [12])
Figura 7- Sintesi del quadro delle competenze DigCompEdu
Come si può vedere l’argomento e la conformazione del corso implicano naturalmente lo sviluppo di tutte e sei le competenze del DigCompEdu. Nella scelta delle attività assegnate nelle nove lezioni si è fatto attenzione a privilegiare quelle che potessero valorizzare le abilità di soft skills degli studenti:
Comunicazione: attività di debate (lezione 5 e 6) e presentazione (lezione 1)
Lavoro di squadra, leadership e empatia: realizzazione di un video in gruppo (lezione1), applicazione in altro contesto delle tecniche apprese per la risoluzione di uno specifico problema (lezione 5, 6, 8 e 9).
Gestione del tempo: l’assegnazione di tutte le attività pratiche hanno avuto vincoli temporali per la consegna.
Risoluzione dei problemi: applicazione in altro contesto delle tecniche apprese per la risoluzione di uno specifico problema (lezione 4 e 8) e “gioco” di escape room (lezione 9).
Riferimenti bibliografici
[1]
M. Fiorelli, «e-Learning Design,» 2021.
[2]
A. Maslow, «A theory of human motivation,» 1943.
[3]
S. Anderson, «Seductive Interaction Design,» 2015.
[4]
J. Sweller, «Cognitive Load Theory, Learning Difficulty, and Instructional Design,» Learning and Instruction, 1988.
[5]
G. A. Miller, «The Magical Number Seven, Plus or Minus Two: Some Limits on Our Capacity for Processing Information,» Psychological Review, 1956.
[6]
H. Gardner, Frames of the Mind”, 1983.
[7]
W. B. Barbe, R. H. Swassing e J. Michael N. Milone, Teaching Through Modality Strengths: Concepts and Practices, 1979.
[8]
C. E. M. Neil D. Fleming, «Not Another Inventory, Rather a Catalyst for Reflection,» To Improve the Academy, 1992.
[9]
R. M. F. e. L. K. Silverman, «Learning and Teaching Styles In Engineering Education,» Engineering Education, 1988.
[10]
R. Gagné, The Conditions of Learning, 1965.
[11]
A. Varani, «Didattica costruttivista e Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione: una sinergia potente,» Bibliotec@swif.
[12]
J. E. S. P. Stefania Bocconi, Versione Italiana del “DigCompEdu. Il quadro di riferimento europeo sulle competenze digitali dei docenti e dei formatori”, 2017.
Alla fine di ottobre di quest’anno ricorre il primo centenario dalla nascita di un maestro – italiano e internazionale – ingiustamente sottratto alla manualistica scolastica: Enrico Baj(Milano, 31 ottobre 1924 – Vergiate, 16 giugno 2003).
Protagonista della neoavanguardia internazionale, ha attraversato il secondo Novecento con l’ironia e la dissacrazione, oltre che con lo sperimentalismo linguistico e le contaminazioni letterarie, delle sue opere.
Enrico Baj, Parata a sei, 1964
olio e collage su stoffa, 190x480cm, Archivio Enrico Baj, Vergiate
Eclettico, stravagante, imprevedibile, dissacrante, ironico… sono molti gli aggettivi che si potrebbero usare per definire, senza riuscirvi, la figura e l’arte di Enrico Baj, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita.
Milanese per nascita e per studi, strettamente inserito nel contesto culturale e artistico della città meneghina, Baj ha subito fortemente il fascino internazionale del Surrealismo e dei linguaggi eversivi di Dada, si è bagnato nelle acque dell’Informale e ha stretto contatti con le esperienze del gruppo Co.Br.A. Stretti contatti con Breton e Duchamp favorirono lo svilupparsi della sua naturale vena ironica e dissacrante, oltre a un incessante sperimentalismo nella scelta di materiali a volte imprevedibili e sorprendenti, come i mattoncini LEGO® o i moduli del Meccano, a volte desueti e apparentemente fuori moda, come le passamanerie e le carte da parati.
Enrico Baj, Berenice, 1960
olio e collage su tela, 92x73cm
Archivio Enrico Baj, Vergiate
La ricerca linguistica, giocosa e apparentemente surreale, dà voce a contenuti che sono invece strettamente connessi al qui e all’ora del dibattito culturale e politico del secondo Novecento italiano, attraversato dai fremiti della ricostruzione e del boom economico, dai sogni (e dai timori) della corsa verso lo spazio – altra faccia della medaglia della guerra fredda che divideva in due il mondo conosciuto -, dal conflitto politico interno al paese e alle sue manifestazioni eversive e violente.
Il personaggio chiave del percorso artistico di Baj, l’ultracorpo, che attraverso molteplici metamorfosi compare in tutta la produzione, da alieno gommoso e informe a sagoma militaresca digrignante, fino a creatura boschiana e apocalittica, incarna, nelle sue diverse manifestazioni, quanto opprime l’uomo non solo e non tanto nella sua dimensione spirituale o piscologica, quanto nella sua vita sociale e culturale, in sintesi politica.
Enrico Baj, Generale, 1961
collage su tavola, 146x114cm
foto di Gianni Ummarino
Fondazione Marconi, Milano
E Baj è un artista politico, nell’accezione più ampia e completa del termine, pienamente vivo nel milieu culturale della sua Milano, con le amicizie di intellettuali e artisti, ma soprattutto letterati e poeti da cui si lascia ispirare e con i quali condivide tangenti di pensiero, mosso “tra anarchia e ‘Patafisica’, antagonismo e surrealtà, gioco e impegno”.
Enrico Baj, La Neva, 2002
collage su tavola, 130x100cm
Archivio Enrico Baj, Vergiate
L’omaggio di Milano
Milano ha progettato, in questo centenario, delle belle iniziative tese a ricordare lo spessore artistico e l’indomita, ironica immaginazione di Enrico Baj: pensiamo alla ghiotta rassegna di suoi libri d’autore, conclusa a luglio, alla Braidense di Milano, “Baj. Libri in libertà”, coronata da un importante lascito da parte della vedova dell’artista, Roberta Cerini Baj, che ha donato quattro delle opere esposte al patrimonio della Biblioteca Nazionale Braidense. Visita il sito della mostra
“BAJ. Baj chez Baj”è il titolo dell’ampia retrospettiva, che si inaugurerà l’8 ottobre, promossa dal Comune di Milano – Cultura, prodotta da Palazzo Reale con Electa e curata da Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj che presenterà quasi cinquanta opere, realizzate dall’artista dai primi anni Cinquanta fino all’alba del Duemila. Nella Sala delle Cariatidi di palazzo Reale, l’iconica, gigantesca opera I Funerali dell’anarchico Pinelli per la prima volta sarà integrata in un percorso antologico e in un dialogo puntuale con altri lavori del maestro. Visita il sito della mostra Dedicato ai docenti e alle docenti delle scuole italiane un video in cui le curatrici e Ad Artem presentano in anteprima la mostra nell’allestimento suggestivo di palazzo reale e le opportunità di approfondimento per le classi di tutti gli ordini di scuola. Guarda il video
Lo stesso 8 ottobre il Museo della Ceramica di Savona e il MuDA – Museo Diffuso Albisola di Albissola Marina, ospiteranno sempre sotto il titolo di “BAJ. Baj chez Baj”, a cura di Luca Bochicchio e dei curatori dei musei, un’esposizione incentrata sull’opera ceramica di Baj nel suo sviluppo storico e cronologico. Visita il sito della mostra
In attesa di questa duplice, ampia retrospettiva, è possibile visitare presso il Museo di Storia Naturale di corso Venezia a Milano l’esposizione dal titolo “Enrico Baj. Zoologia fantastica e altre nature” che raccoglie 22 tavole divise fra il Manuale di zoologia fantastica, il Paradiso perduto, la cartella I Fiori (con la sua botanica visionaria), oltre alle acqueforti del celebre De Rerum Natura del 1958, omaggio (reinventato) al poema latino di Lucrezio. Visita il sito della mostra
Per approfondire
Per una biografia dettagliata dell’artista guarda il documento allegato qui.
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