La questione abitativa

“Dove andremo ad abitare?” s’interroga il Sole 24 Ore titolando un articolo a firma di Alba Solaro del 2 dicembre che interpella Carlo Ratti (futuro curatore della Biennale Architettura 2025), l’architetto e scrittore Gianni Biondillo e l’artista tedesca Ursula von Brandeburg. Il tema: la sfida di progettare nell’era dell’Antropocene soluzioni che rispondano ad “un futuro via via più incerto e inospitale” tenendo conto di cambiamenti climatici e dello sviluppo di città che alimentano sempre più le disuguaglianze.

La trattazione esula dal tema sociale abbracciando una prospettiva più ampia e articolata, figlia del nostro tempo. 

Eppure il titolo, di primo acchito, potrebbe anche prestarsi ad affrontare un’analisi spinosa ed altrettanto attuale: quella dell’emergenza abitativa. Perché pur nell’era del nomadismo digitale il divario sociale tra chi una casa (o più d’una) l’ha sempre avuta (magari per semplice eredità), chi se la può ancora permettere e chi invece non potrà permettersela mai è sempre più ampio. E mentre social e riviste patinate ci ripropongono modelli sempre più irraggiungibili (dalle declinazioni dei vari boschi verticali a puntuali interventi di interior design nelle principali capitali europee), l’ultimo rapporto CENSIS – Cida 2024 colloca il ceto medio in un’attuale fase di deriva “caratterizzata dall’erosione delle condizioni economiche e sociali, segnata dalla perdita del reale potere d’acquisto”.

In principio furono gli IACP 

La legge n. 251 del 31.05.1903 istituì, per iniziativa dell’Onorevole Luigi Luzzatti, di fatto, quelli che un tempo erano gli Istituti Autonomi per le Case Popolari (IACP). Si trattava di enti a livello territoriale (comunale e provinciale) aventi lo scopo di realizzare e gestire “un’edilizia pubblica destinata ai meno abbienti con canoni di locazione calmierati”. Città precorritrici furono Trieste (allora ancora sotto l’Impero austro – ungarico e dove già dal 1902 esisteva un Istituto Comunale per le Abitazioni Minime) e Roma. L’effetto anche sul piano dello sviluppo urbanistico porterà a interventi che man mano cominceranno a rientrare a pieno titolo nella storia dell’architettura novecentesca. 

Il piano INA-Casa: 1949-1963

Nell’immediato dopoguerra si pose il problema non soltanto di una rapida ricostruzione ma anche di cominciare a porre rimedio a condizioni abitative ancora connotate da uno status di miseria e da una correlata disoccupazione. Nel 1949 il Parlamento italiano approvò così il progetto di legge Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, “agevolando la costruzione di case per lavoratori ossia il cosiddetto piano INA-Casa”. Una manovra, come scrive Paola di Biagi nella scheda dedicata al tema all’interno dell’Enciclopedia Treccani online orientata a rilanciare l’economia e l’occupazione, costruendo case economiche, ma anche come un dispositivo di ‘carità istituzionalizzata’ su scala nazionale, di partecipazione solidaristica di tutte le componenti sociali verso i bisogni dei più poveri.

Un piano finanziato attraverso un sistema misto che vide la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti.  

335.000 alloggi in tutto costruiti in 14 anni, distribuiti sull’intero territorio nazionale.

ATER e Social Housing oggi 

Oggi i nuovi enti territoriali (ATER, Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) hanno preso il posto degli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP), ma la situazione non è rosea. Come osserva Guido Montanari in un articolo de Il Giornale dell’Architettura sono gli stessi enti a dover trovare in autonomia i finanziamenti per le ristrutturazioni e per le nuove costruzioni. L’esito è l’aumento dei canoni di affitto, l’abbandono al degrado e la svendita di una cospicua parte del patrimonio immobiliare pubblico. Nonostante non esista una banca dati nazionale sul numero complessivo di alloggi popolari, si stima che gli alloggi ERP (edilizia residenziale pubblica) costituiscano circa il 4% dello stock abitativo complessivo del nostro Paese. Una percentuale che pone l’Italia agli ultimi posti in Europa”.

In questo quadro è necessario inoltre un distinguo tra edilizia popolare e Social Housing che “consiste nell’offerta di alloggi e servizi abitativi a prezzi contenuti destinati ai cittadini con reddito medio basso e che allo stesso tempo non hanno i requisiti per accedere all’edilizia pubblica popolare”. Le categorie destinate ad aver accesso a queste soluzioni (sviluppate perlopiù da soggetti privati, banche e fondazioni) sono giovani, studenti, lavoratori precari, anziani, disabili, immigrati.

Oggi la parabola evolutiva dell’immediato futuro sembra destinata ad un progressivo allargamento del divario sociale in assenza però di quegli interventi su larga scala che come ricordato, hanno segnato la storia del Novecento. E mentre le cronache recenti riportano dell’ennesimo sgombero delle Vele di Scampia (il complesso di edilizia popolare realizzato alla periferia di Napoli tra il 1962 e il 1975 su progetto di Franz Di Salvo), molte altre storie, seppur non connotate dalla stessa drammatica emergenza sociale, rimangono nella fascia grigia di un crescente disagio che sembra non fare più notizia. 

Per approfondire

Janvier en France, entre traditions et nouveaux départs

Janvier approche et avec lui un nouveau départ pour l’année ! Entre traditions culinaires et bonnes résolutions, ce mois nous offre de nombreuses pistes pédagogiques pour stimuler la curiosité de nos élèves tout en explorant la culture française.

Commençons par une tradition gourmande : la Galette des Rois ! Les origines de cette tradition sont assez floues en réalité Épiphanie : d’où vient la tradition de la galette des rois ? | National Geographic mais d’ordinaire on les associe à une fête païenne remontant à l’époque romaine et en particulier à la célébration du solstice d’hiver, pendant les saturnales. La coutume nous invite à nous réunir le jour de l’Epiphanie et à partager cette délicieuse galette tiède, fourrée à la frangipane, en autant de parts que de convives. Souvent on prévoit une portion supplémentaire, symbolisant la part que l’on pourrait réserver et offrir à une personne dans le besoin. La galette des rois est une tradition familiale.

La coutume romaine est toujours respectée : le plus jeune des invités distribue, sans les voir, les parts à chaque membre de la famille et celui qui trouvera la fève cachée dans son morceau deviendra le Roi ou la Reine et pourra s’ orner de la belle couronne dorée. Tout savoir sur la galette des rois – Edélices Et si, comme tout français, vous voulez ajouter votre touche personnelle à la tradition, imaginez une variante ! Quel ingrédient choisirez-vous à la place de la frangipane ? Invitez vos élèves à rédiger une recette simplifiée Recette Galette des Rois facile – L’atelier de Juliette, créative, révisez l’impératif et…n’hésitez pas à gouter les résultats ! L’ élève qui trouvera la fève Comment fabriquer une fève pour la galette des rois ? | Tête à modeler deviendra “roi ou reine” et pourra décider d’une règle pour la classe ce jour-là !

Nostalgiques des cartes postales et des cartes de vœux écrites à la main ? Saisissons cette nouvelle opportunité linguistique qui s’offre à nous : travaillez des expressions comme “Je vous souhaite », « j’espère que cette nouvelle année… ».Pensons à une activité de ce type : chaque élève rédige une carte de vœux en français pour un camarade, en y ajoutant un dessin ou une photo Cartes de Vœux Fantastiques à Faire Soi-Même || Cartes de Vœux Faites-Main. L’enseignant aussi peut participer en formulant une série de vœux pour la classe ! Mais en janvier, on ne se limite pas seulement à souhaiter le meilleur pour les mois à venir. On se décide, on s’engage : il est temps de parler de nos bonnes résolutions ! Vous manquez d’inspiration ? Jetez un coup d’œil à ses propositions : Bonnes résolutions pour enfants – Conseils persos – Jeux 2 Filles En général, la liste est moins longue que celle écrite à l’intention du Père Noel mais nous y mettons toute notre bonne volonté… Révisons le futur proche pour formuler nos désirs de changements, nos prises de décisions “En 2024, je vais essayer de … ! » Les élèves peuvent partager leurs bonnes résolutions et voter pour celles qu’ils pensent être les plus intéressantes, drôles ou originales.

Pour les fans de shopping, janvier, c’est aussi le mois des soldes d’hiver, très attendues en France. Profitons-en pour revoir du lexique comme “réduction”, “rabais”, “prix cassé”… « file d’attente » ! Après vous être exercés Video Quiz: Edito 4 Les soldes, c’est parti ! (fle – co – co achats), pourquoi ne pas organiser un jeu de rôle : un vendeur, un client, un caissier , un/une amie qui nous conseille et c’est parti pour une négociation en français !

Janvier est un mois parfait pour combiner apprentissage linguistique et découverte culturelle. Alors, prêts à commencer l’année en beauté ?

Il dark side dei social: la polarizzazione del pensiero e l’incomunicabilità interpersonale

Hai mai avvertito un senso di incomunicabilità o la sensazione di avere visioni diametralmente opposte rispetto ad altre persone, tanto da chiederti se venissero da un pianeta distante millemila km dal tuo?

Il fenomeno è abbastanza frequente e, fino ad un certo punto, non ha nulla di preoccupante: il fatto di catalogare concetti o ideali in macro categorie sommarie, creando una visione di “o dentro o fuori” è insita nella natura umana e ci permette di creare una rappresentazione del mondo circostante in modo semplice. Infatti, questo meccanismo dicotomico serve al cervello per processare le informazioni più velocemente, disegnando delle linee di demarcazione immaginarie.

In qualche modo, l’evoluzione ha portato ad un compromesso: perdere di vista le sfumature e la complessità dei problemi, in virtù di un vantaggio in termini di risparmio di risorse mentali. Tuttavia, secondo alcuni studi, negli ultimi anni questo fenomeno è stato acuito dall’uso dei social network. Quando reperiamo informazioni sui social, infatti, intervengono alcune distorsioni: uno di questi è il bias di conferma, ma anche fenomeni chiamati echo chambers e filter bubble. Vediamo in cosa consistono.

Cos’è il bias di conferma? Il bias di conferma è quella deformazione cognitiva che fa sì che il cervello dia maggior peso, e quindi rilevanza, alle informazioni che confermano le proprie credenze pregresse riguardo ad un certo argomento. Questo principio di funzionamento si basa su una sorta di “economia cognitiva”: la mente impiega meno energia nel confermare una credenza, piuttosto che sfatarla per costruire nuove visioni della realtà e produrre nuova conoscenza.

Il risultato è quel fenomeno per cui tendiamo a dare più rilevanza a fatti o persone che ci danno ragione, sottostimando o ignorando le informazioni che potrebbero mettere in discussione il nostro sistema di credenze. In sostanza, al cervello piace aver ragione, e noi non lo biasimiamo. Questo tipo di distorsione si potrebbe inquadrare all’interno di un errore sistematico che si insinua naturalmente nella mente di chiunque e, in una certa misura, è inevitabile! Un altro fattore rilevante, su cui potenzialmente abbiamo più controllo a condizione di averne consapevolezza, deriva dalla natura intrinseca degli algoritmi dei social network. Ma andiamo per gradi.

Come funzionano gli algoritmi dei social media? 

Il sistema di raccomandazione dei social network altro non fa che raccogliere dati sulle le nostre interazioni (i mi piace, le condivisioni dei post, i commenti, il tempo passato su ogni contenuto, i profili con cui interagiamo), immagazzinando tutte le informazioni per creare un profilo virtuale con le nostre preferenze. Grazie a tale profilazione, verranno suggeriti contenuti che hanno un alto grado di associazione con i nostri gusti (che è probabile che ci piacciano), sulla base di un principio di somiglianza con gli utenti che hanno preferenze simili alle nostre.

Se esiste un simpatico effetto collaterale di tutto ciò, è il seguente: ti piacciono i gattini? L’algoritmo ti proporrà gattini. Ti piace la pasta? Eccola servita, pasta a non finire. Tutto ciò appare innocuo finché si limita a fissazioni gastronomiche o passioni leggere, ma il problema si pone quando tocca temi più profondi come visioni politiche, traumi o questioni irrisolte. In questi casi, l’algoritmo diventa una potente cassa di risonanza (echo chamber, Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, 2016), amplificando la tua prospettiva e facendoti credere che tutti la pensino come te. Questo avviene perché l’algoritmo è progettato per mostrarti quella porzione di internet che rispecchia le tue idee, creando quella che Pariser (2011) definisce una filter bubble, una bolla.

Questo fenomeno si manifesta senz’altro nei dibattiti online, dove prevale il principio: “O la pensi come me, o sei contro di me, e con te non posso dialogare.” È il motivo per cui, sotto contenuti che trattano temi divisivi, i commenti mostrano opinioni così polarizzate e inconciliabili da impedire una immedesimazione con altri punti di vista, come se l’altro venisse disumanizzato. Non a caso, visioni complottiste come la teoria della Terra piatta o la negazione dello sbarco sulla Luna trovano terreno fertile: chi vi crede è stato esposto continuamente a tali informazioni. E come puoi cambiare idea, se il mondo che abiti ti dà ragione?

Se ciascuno di noi fa parte di una nicchia specifica, con ideali e visioni proprie, la ritrosia a cambiare idea potrebbe essere alimentata dalla paura dell’esclusione sociale dalla nostra comunità, reale o virtuale che sia. Ne parla la teoria Spiral of Silence di Elisabeth Noelle-Neumann (1974). Il che potrebbe creare, in caso di esposizione parziale ad un punto di vista diverso dal nostro, addirittura ad una radicalizzazione ulteriore, un meccanismo di difesa per proteggere il proprio sistema di credenze e non essere percepiti come “sbagliati”. 

Ma come fanno i social ad essere così impattanti nella nostra vita?

Il concetto di mente estesa, introdotto da Andy Clark e David Chalmers nel 1998, suggerisce che strumenti come i social network, gli smartphone e persino le calcolatrici possano rappresentare un’estensione del nostro cervello. Questi strumenti, che percepiamo come esterni a noi, potrebbero in realtà funzionare come una copia o un amplificatore di ciò che già abbiamo nella mente.

Questo fenomeno rappresenta una sorta di mente che guarda se stessa, con il rischio di intrappolarci in un loop autoreferenziale. In questo scenario, interrogando i social, otterremmo le stesse risposte che darebbe la nostra mente. Con il risultato che, non solo continueremmo a porci le stesse domande, ma finiremmo anche per ottenere le stesse risposte. Ci offre ciò che vogliamo, non necessariamente ciò di cui abbiamo bisogno.

Pertanto, non si tratta di inneggiare al complottismo o demonizzare i social network: l’amplificazione delle convinzioni è probabilmente un effetto collaterale indesiderato, non una strategia deliberata. L’algoritmo ha come obiettivo unicamente mantenerci sulle piattaforme: il tempo che spendiamo sui social rappresenta la vera moneta di scambio per il loro uso. 

D’altra parte, anche i mezzi di comunicazione tradizionali, come la televisione, la radio o i giornali, adattandosi alla visione dominante su determinati argomenti o alle sue opposizioni, partecipano anch’essi all’amplificazione e alla polarizzazione del pensiero. In tal senso, il web, con la sua varietà di fonti, potrebbe, almeno in principio, addirittura creare luoghi di dibattito democratici e favorire la diffusione di nuove prospettive, riducendo potenzialmente il rischio di polarizzazione.

In definitiva, come se ne esce? La consapevolezza senz’altro permette di sfruttare il lato buono dei social, senza farci dominare da quello negativo. Continuare a creare spazi di incontro reali, in cui dibattere e scambiare esperienze ed opinioni, rimane probabilmente il modo più sano per costruire una propria idea e, talvolta cambiarla: è più facile mettersi in ascolto con un essere umano in carne ed ossa, piuttosto che con una figurina su un social network, in modo da toccare con mano che la ragione non appartiene in assoluto ad una fazione o ad un’altra, ma ad un lento convergere verso un punto comune che, se non riesce a condividere la visione dell’altro, possa almeno comprenderla. Solo così possiamo aprirci alla possibilità di cambiare idea, e ancora, renderci conto della nostra limitatezza come persone, ma complementarietà come collettività. 

Se la ragione sta solo da una parte, allora ha torto (mia cit.)

Rubrica a cura di Generazione Stem

L’autrice

Maura Coniglione, statistica economica e dottoranda in Computational Mathematics, scrivo da sempre, appassionata di psicologia e di scienze sociali; collaboro con Generazione Stem, community che si occupa di divulgazione scientifica e di diffondere la cultura di genere.

Fonti

Les 10 ans de l’attentat contre Charlie Hebdo

“Cabu, Elsa Cayat, Charb, Honoré, Bernard Maris, Mustapha Ourrad, Tignous, Wolinski, nous manquent. On nous les a enlevés, un matin de janvier 2015. Ils étaient dessinateurs, journaliste psychanalyste, correcteur et universitaire.”

Riss, dessinateur et directeur de la publication de “Charlie Hebdo”

Les 10 ans de l’attentat contre Charlie Hebdo : entre mémoire, héritage et défis contemporains

Comme les nombreux titres de Presse nous le rappellent, le 7 janvier 2025 marquera le 10ème  anniversaire de l’attentat contre Charlie Hebdo, une attaque qui a bouleversé la France et le monde entier. Ancrée dans la mémoire collective, cette page de l’histoire symbolise à la fois une attaque contre la liberté d’expression et un moment de mobilisation nationale autour des valeurs républicaines. À l’occasion de cette commémoration, la France se prépare non seulement à rendre hommage aux victimes mais aussi s’engage à réfléchir concernant l’héritage de cet événement. “Le mot qui les retient tous c’est le mot liberté” Riss | France Bleu

Une reconstruction marquante : c’était le 7 janvier 2015.

En début d’après-midi, les frères Kouachi pénètrent dans les locaux de Charlie Hebdo, armés et déterminés à « venger le prophète ». Rappelons-le, l’attaque a fait 12 morts, dont huit membres de la rédaction : les dessinateurs Cabu, Charb, Honoré, Tignous et Wolinski, la psychiatre et psychanalyste Elsa Cayat, l’économiste Bernard Maris et le correcteur Mustapha Ourrad.  L’onde de choc est immédiate. Chacun d’entre nous se souvient encore de l’incrédulité ressentie et de la forte émotion éprouvée. Trois jours plus tard, une France sidérée décide de se mobiliser et la marche républicaine du 11 janvier rassemble près de 4 millions de personnes unies autour du slogan devenu universel : « Je suis Charlie ». Contre le terrorisme, la plus grande manifestation jamais recensée en France.

Les commémorations de 2025 : entre mémoire et transmission

Pour ce 10ème anniversaire, plusieurs initiatives sont prévues à travers le pays. Plusieurs Cérémonies officielles, des hommages, sont attendus à Paris, notamment sur les lieux des attaques, avec des dépôts de gerbes et des moments de recueillement. Côté littérature, paru le 5 décembre dernier, aux éditions Les Echappés, l’ouvrage publié par Charlie Hebdo Charlie Liberté, le journal de leur vie”  nous invite à parcourir une sélection de dessins, de textes et de témoignages sur plus de 200 pages. Les dernières sont dédiées à l’ancien webmaster de l’hebdomadaire, Simon Fieschi, grièvement blessé en 2015 et décédé en octobre dernier à l’âge de 40 ans, une semaine avant que l’ouvrage ne parte à l’impression. 10 ans après l’attentat, Charlie Hebdo rend hommage à ses disparus – Image – CB News Rappelons aussi le lancement de projets éducatifs comme par exemple l’initiative proposée per la région Grand Est, en partenariat avec Charlie Hebdo, qui consiste à impliquer des lycéens dans la publication d’ un journal spécial sur la liberté de la presse. 10 ans de l’attentat de Charlie Hebdo: des lycéens du Grand Est participent à la conception d’un numéro spécial Il est stimulant de voir un tel engagement autour de ce type d’initiatives qui visent à sensibiliser les jeunes générations à l’importance de la liberté d’expression. Enfin, n’oublions pas les expositions culturelles comme celle de la Duduchothèque, espace dédié à Cabu Duduchothèque Cabu | Expositions, qui proposera une exposition spéciale sur le dessin de presse : entre humour et réflexion sur les libertés fondamentales.

Il est intéressant de voir que, dix ans après l’attentat, le débat sur la liberté d’expression et ses limites, reste vif. Si Charlie Hebdo continue à publier des caricatures provocantes, le contexte sociétal a évolué. Nous pourrions citer des changements sociétaux : l’attaque a exacerbé les tensions autour du thème de la laïcité ( en 2025, le calendrier  indiquera les 120 ans de la loi de 1905) et des rapports entre les différentes religions, tout en renforçant la lutte contre l’extrémisme. Cet héritage est un héritage complexe, entre fractures et résilience. Les débats sur l’islamophobie et la satire demeurent sensibles et les opinions concernant la laïcité divergent, surtout chez les jeunes. 

 

Si nous analysons la question sous un aspect législatif, il convient de souligner que les mesures sécuritaires ont été renforcées depuis 2015, mais certaines, comme l’état d’urgence prolongé, ont suscité des critiques sur le respect des libertés individuelles. Liberté individuelle et responsabilité collective s’exercent bien, comme l’affirmait Sartre, sous la forme d’une symbiose. Malgré les divisions, des initiatives culturelles et éducatives montrent une volonté de transmettre l’esprit de Charlie Hebdo aux jeunes générations, comme un rempart contre l’obscurantisme et renforcer ainsi la résilience collective .

Ce 10ème anniversaire est un moment clé pour honorer la mémoire des victimes tout en réfléchissant aux défis contemporains. Si nous voulons saisir cette occasion pour construire un regard vers l’avenir, face aux nouvelles menaces pesant sur la liberté d’expression,  l’enjeu à prendre en compte semblerait être le maintien de l’ équilibre entre sécurité, cohésion sociale et défense des valeurs républicaines. Un débat intéressant à lancer dans nos classes serait celui de comprendre comment préserver ces libertés fondamentales dans un monde de plus en plus polarisé . Car, comme nous l’avons documenté, en 2025, l’héritage de Charlie Hebdo ne sera pas seulement un rappel de la tragédie, mais aussi un appel à la vigilance et à la transmission des valeurs universelles.

En guise de conclusion, nous pourrions imaginer une session thématique à développer en classe autour de ce sujet “Liberté d’expression et satire : un défi éducatif”. Voici ci-dessous quelques idées qui pourraient se révéler engageantes et pertinentes. Commencez par comprendre ensemble pourquoi parler de Charlie Hebdo en classe de FLE, en insistant sur l’importance de ce thème dans la culture française an tant que pilier de la démocratie, partie intégrante de l’identité culturelle française. 

Ensuite, il serait intéressant de proposer un débat à la suite de l’ analyse d’une sélection d’ articles ou de caricatures publiés par Charlie Hebdo ou d’autres journaux satiriques français. L’ objectif pourrait être de travailler la compréhension d’articles sur la liberté de la presse tout en enrichissant le vocabulaire des élèves sur les thèmes des médias, de la politique, et des valeurs qu’ils reconnaissent comme importantes aujourd’hui. « La satire doit-elle avoir des limites ? », voici la question-clé pour stimuler les échanges d’opinion. 

Puis à travers un atelier d’analyse en groupe, la classe pourrait observer des caricatures célèbres françaises (celles de Cabu, Wolinski, ou Daumier, par exemple) et discuter de leur rôle dans l’histoire et dans l’actualité. Serait-il possible de situer Charlie Hebdo dans le contexte des Lumières et de l’héritage de Voltaire ou des révolutions françaises ? 

Ce type de session pédagogique pose les bases pour un prolongement interdisciplinaire, à travers le développement d’ une réflexion critique tout en analysant des éléments visuels et textuels authentiques. Si vous souhaitez intégrer le domaine des arts, pensez à analyser des chansons, des poèmes ou des œuvres visuelles qui défendent la liberté d’expression comme la Liberté Liberté, poème de Paul Eluard – poetica.fr de Paul Éluard par exemple “Liberté” poème d’amour devenu hymne de la Résistance | France Culture. Et concernant le numérique, une bonne piste pourrait être d’inviter vos élèves réfléchir sur la manière dont les réseaux sociaux influencent la liberté d’expression aujourd’hui.

Registrazione in P.D. delle operazioni di costituzione, acquisto e vendite da un’impresa individuale

Parole, alfabeti e liste di Natale

Il periodo natalizio è un tempo colmo di magia, di quel sapore che si può avere solo una volta all’anno: i bambini lo sanno, sono i primi a sentire quell’aria frizzante, di festa, di luci, di stupore. A Natale, gli occhi dei bambini si accendono come le luci dell’albero, e ogni cosa sembra vista dai loro occhi per la prima volta. 

Il nostro compito è proprio quello di accogliere questo entusiasmo e usarlo all’interno delle attività che proponiamo, per rendere questo periodo ancor più speciale.  Le attività che si possono fare sono davvero infinite, ma scegliendo di concentrarci su quelle che hanno a che fare con le parole del Natale, possiamo partire da alcuni spunti:

Alfabeti delle feste

I bambini e le bambine possono essere coinvolti nella creazione di alfabeti che contengano parole del Natale, in piccoli gruppi oppure in autonomia. Sarebbe bello anche creare un alfabeto di classe da appendere e continuare a riempire. Si può partire anche da una canzone, come quelle reperibili nel web. L’esercizio diventa creativo, ma anche di consolidamento dell’ordine delle lettere. 

Liste di parole 

L’esercizio di scrittura di liste è molto funzionale e anche molto divertente per bambini e bambine. Si potrebbero dare loro incipit come “Cosa serve per una festa di Natale”, oppure “Elenco di personaggi o figure legate al Natale”, “Il menù del pranzo di Natale”, “Regali per Babbo Natale”

Parole e giochi linguistici

Altri giochi possibili riguardano le attività orali e più veloci da fare, come il gioco dell’elfo alfabetico (i bambini, a turno, dicono una parola natalizia che inizia con una lettera successiva dell’alfabeto) o la catena di parole (iniziare con una parola natalizia, ad esempio “regalo” e farne seguire altre collegate dall’ultima sillaba, oppure concettualmente).

Un albo illustrato 

Tra gli scaffali delle librerie, tra le ultime uscite, troviamo un libro molto interessante: il Dizionario di Babbo Natale. A partire dalle pagine del libro, si può prendere ispirazione e invitare la classe a creare qualcosa di simile, lasciandosi ispirare dalle immagini gancio. Con i più piccoli si può completare direttamente il box accanto all’illustrazione, mentre con i più grandi è possibile far ritagliare le immagini e nel quaderno dopo averle incollate, far scrivere. Un’altra possibilità è quella invece di dare una lista di parole: a questo punto davvero servirà tanta fantasia per creare un dizionario davvero straordinario! In allegato trovate la scheda da poter utilizzare per il lavoro ispirato a questo spassosissimo libro.

il Natale porta con sé una magia speciale, una luce che si riflette negli occhi dei bambini e che accende in loro la meraviglia per il mondo. È un momento unico per trasformare la didattica in un viaggio fatto di stupore, creatività e condivisione. Coltivare lo stupore significa regalare ai bambini la capacità di meravigliarsi, di scoprire il piacere di imparare attraverso il gioco, le emozioni e l’immaginazione.

Inserire la magia del Natale nella pratica quotidiana non è solo un modo per rendere l’apprendimento più coinvolgente, ma anche per condividere sensazioni, pensieri, desideri. Che questo periodo sia per voi e per i vostri alunni e alunne, un’occasione per scoprire insieme che la vera meraviglia sta nel vivere appieno il momento, nell’imparare con gioia e nel crescere insieme.

Buon Natale e buon lavoro!

Natale è anche un viaggio tra storia e antropologia

Il Natale è una delle festività più amate e celebrate nel mondo. Nella scuola primaria assume una rilevanza particolare, poiché rappresenta un’occasione educativa per avvicinare bambine e bambini a tradizioni culturali, valori sociali e conoscenze storiche. Questo periodo non è solo un momento di festa, ma anche un’opportunità per esplorare le radici storiche della celebrazione e il suo significato antropologico.

La celebrazione del Natale, intesa come ricorrenza della nascita di Gesù Cristo, risale al IV secolo d.C., quando la Chiesa cristiana fissò la data del 25 dicembre. Questa data non fu scelta a caso: coincideva con festività già esistenti nell’Impero Romano, in particolare i Saturnalia.

I Saturnalia erano una delle festività più popolari dell’antica Roma, dedicate a Saturno, il dio dell’agricoltura e del tempo. Celebrati originariamente il 17 dicembre e poi estesi fino al 23 dicembre, i Saturnalia rappresentavano un periodo di gioia, festeggiamenti e inversione sociale. Durante questi giorni, le gerarchie venivano temporaneamente sospese: i padroni servivano i loro schiavi, si scambiavano doni e si indulgeva in banchetti e giochi. Uno degli elementi chiave dei Saturnalia era il senso di libertà e uguaglianza temporanea. Le case venivano decorate con piante verdi e luci, e i romani si scambiavano piccoli regali, come candele e statuette di terracotta. Queste tradizioni hanno influenzato profondamente alcune delle usanze natalizie che conosciamo oggi, come lo scambio di doni e le decorazioni luminose.

La Chiesa cristiana, cercando di integrare e cristianizzare le celebrazioni pagane, adottò molte di queste pratiche nei festeggiamenti del Natale, trasformando i Saturnalia in un’occasione per celebrare la nascita di Gesù. In questo modo, una festa profondamente radicata nella cultura romana si adattò al nuovo contesto religioso, diventando parte integrante della tradizione natalizia.

Includere i Saturnalia nella narrazione del Natale nella scuola primaria offre un’occasione unica per spiegare ai bambini come le festività si siano evolute nel corso della storia. Attraverso racconti e attività, gli insegnanti possono mostrare come il Natale sia una fusione di tradizioni cristiane e pagane, sottolineando che molte delle nostre usanze attuali hanno radici antiche. Ad esempio, si possono proporre attività che ricreano i Saturnalia, come lo scambio di piccoli doni simbolici o giochi di ruolo che rappresentano l’inversione delle gerarchie sociali. Queste attività aiutano i bambini a comprendere che la storia è fatta di continuità e cambiamento, e che molte tradizioni moderne sono il risultato di influenze culturali diverse.

Dal punto di vista antropologico, i Saturnalia offrono un esempio di come le festività siano state utilizzate dalle società per rafforzare i legami sociali e celebrare il ciclo della vita. Nella scuola primaria, questa prospettiva può essere esplorata attraverso attività che confrontano i Saturnalia con altre festività invernali, come lo Yule nordico o il Sol Invictus romano. Questi confronti mostrano ai bambini e alle bambine che, nonostante le differenze culturali, molte civiltà hanno celebrato la fine dell’anno come un momento di speranza, rinnovamento e comunità. Le decorazioni verdi e luminose dei Saturnalia, ad esempio, erano simboli di prosperità e vita eterna, temi che ritroviamo anche nel Natale cristiano.

Per rendere la storia del Natale e dei Saturnalia più coinvolgente, a scuola, come in fondo facciamo sempre, possiamo organizzare laboratori creativi. Si possono creare decorazioni ispirate alle antiche tradizioni romane, come corone di alloro e candele simboliche, oppure partecipare a giochi che riproducono le attività tipiche dei Saturnalia. Un’altra idea è quella di organizzare una “giornata dei Saturnalia”, durante la quale i bambini possano scambiarsi piccoli doni simbolici e partecipare a banchetti simbolici in classe. Attraverso queste attività, gli alunni e le alunne possono sperimentare in prima persona l’atmosfera gioiosa e inclusiva di questa antica festa, rafforzando il loro interesse per la storia e le tradizioni.

Inserire i Saturnalia nel contesto del Natale consente di insegnare l’importanza delle influenze culturali e del dialogo tra passato e presente. Attraverso il racconto di questa festa romana, le classi apprendono che le tradizioni si trasformano nel tempo, mantenendo però un nucleo di valori universali, come la condivisione, la solidarietà e la speranza. Questa prospettiva aiuta anche a sviluppare un senso critico e inclusivo, riconoscendo che le celebrazioni moderne sono il risultato di una lunga evoluzione storica che ha coinvolto molte culture e religioni.

In conclusione, l’inclusione dei Saturnalia nella narrazione del Natale nella scuola primaria arricchisce il racconto storico e antropologico di questa festività. Attraverso racconti, laboratori e attività creative, i bambini e le bambine imparano a conoscere le radici antiche del Natale, scoprendo come tradizioni diverse si siano intrecciate per dar vita alla celebrazione che conosciamo oggi. Questo approccio non solo rafforza la loro conoscenza storica, ma li aiuta anche a sviluppare una maggiore consapevolezza culturale e un profondo rispetto per le diversità.

In fondo, lo spirito del Natale è proprio questo!

“Hai studiato ingegneria spaziale, quindi vuoi fare l’astronauta?”

Penso di aver perso il conto del numero di volte in cui mi è stata fatta questa domanda. Di solito sorrido e scuoto la testa. Subito dopo mi fermo a riflettere e a chiedermi se forse avrei dovuto spendere due parole in più per spiegare, cosa vuol dire essere un’ingegnera spaziale. Da brava ingegnera, numeri alla mano, posso dire con certezza che meno del 0.1% di chi lavora nel campo spaziale è astronauta, e quasi nessuno di loro ha una laurea in ingegneria spaziale. 

Ma allora in cosa consiste il settore spaziale?

In questo campo ci si occupa soprattutto di progettazione, sviluppo, test, lancio e attività di satelliti artificiali. La maggior parte di questi satelliti sono fondamentali per la vita di tutti i giorni e ce ne serviamo giornalmente a partire dal navigatore che troviamo sul nostro cellulare. Ovviamente in orbita ci sono anche satelliti che si occupano di scienza, che osservano la terra e, ad esempio, ci permettono di avere dati meteo per poter rendere le previsioni sempre più accurate, oppure satelliti che hanno l’obiettivo di scoprire di più sull’universo o sul sistema solare.

Il settore spaziale si occupa di tutto ciò: dalla componente più piccola a bordo, che può anche essere una batteria, al satellite nella sua interezza. Come si può intuire si tratta di un ambito piuttosto ampio. Con una laurea in ingegneria spaziale puoi lavorare sia nel pubblico che nel privato. Quando si parla di pubblico ci si riferisce soprattutto alle agenzie spaziali come l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) o quella Italiana (ASI), ma non solo: quasi ogni paese europeo ne ha una (se non di più).

L’ambito privato però è quello più ampio e ci sono centinaia di industrie che si occupano di progettazione, costruzione, lancio e operazioni dei satelliti. Come in molti altri casi c’è anche la possibilità di scegliere la strada della ricerca sia in ambito universitario (con un dottorato o un postdoc) o anche nelle aziende o agenzie, aiutando e promuovendo lo sviluppo di nuove tecnologie o di nuove metodologie.

Ma quali sono quindi le professioni che si possono esercitare con una laurea in ingegneria spaziale?

Eccone alcune aree di lavoro: 

  • Analisi di missione e dinamica di volo: si tratta della progettazione e del mantenimento delle orbite dei satelliti, insieme alla loro orientazione nello spazio. Richiede una grande conoscenza della meccanica orbitale, della fisica-matematica e della programmazione.
  • Progettazione: questo lavoro spazia dallo studio di fattibilità di una missione spaziale alla progettazione di tutti i suoi sottosistemi (come ad esempio quello elettrico, di controllo di assetto, propulsivo, termico, telecomunicativo).
  • Sviluppo/mantenimento software: l’ambito di applicazione può essere molto vario. Si va infatti dai software relativi alla progettazione (del satellite, delle orbite), a quelli usati per controllare le missioni e le antenne di terra (usate per comunicare col satellite). Si arriva fino a quelli utilizzati per pianificare le attività da portare avanti all’ intelligenza artificiale (ora sempre più utilizzata). 
  • Operazioni: tutto ciò che riguarda i satelliti dopo il loro lancio. Questa fase va dai test iniziali, fatti giusto dopo il lancio per assicurarsi che tutti i sottosistemi funzionino alla perfezione, alle attività giornaliere, includendo la risoluzione di anomalie. 
  • Processo dati: molte missioni, soprattutto quelle scientifiche, forniscono un’enorme quantità di dati che vanno appunto gestiti ed archiviati. 
  • Mantenimento e progettazione delle antenne di terra: queste vengono utilizzate per comunicare col satellite, sia per ricevere dati che per dare istruzioni.
  • Integrazione e test: costruzione vera e propria del satellite con relativi test per assicurarsi che sopravviva al lancio e ad un ambiente ostico come può essere lo spazio.

Ma solo studiando ingegneria spaziale si può lavorare in questo settore? 

La maggior parte delle persone che lavora in questo ambito ha una laurea in ingegneria (spaziale, ma anche meccanica, telecomunicazioni, informatica, etc), in Fisica, in Matematica, ma non solo. C’è anche chi è laureato/a in Biologia, Medicina, Comunicazione e Giurisprudenza, questo solo per menzionarne qualcuna. Per alcuni tipi di lavori è sufficiente la laurea triennale, ma per la maggior parte è richiesta una magistrale, soprattutto se si ambisce a lavori con maggiore responsabilità. Il dottorato, invece, non è richiesto.

Avrete capito che si tratta di un settore in continua espansione, stimolante ed innovativo, dove le opportunità sono molteplici se si sa dove cercare. Lo spazio aspetta solo di essere esplorato. Ogni scoperta, ogni innovazione, ogni passo in avanti ci avvicina a un futuro dove le stelle non sono più solo un sogno, ma una destinazione. Siete pronti a far parte di questa avventura?

A cura di Generazione Stem

Greta De Marco è laureata in ingegneria aerospaziale (triennale) ed aerospaziale (magistrale) al Politecnico di Milano e alla Universidad Politecinca de Madrid (erasmus) dal 2012 al 2018. 

Inizia la sua carriera lavorativa facendo un interniship nella sede di Madrid dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA/ESAC). Si trasferisce poi nel cuore della Germania per iniziare a lavorare nel settore delle operazioni spaziali: inizia dal settore privato, sviluppando il concetto di operazioni per un satellite dell’agenzia spaziale tedesca con obiettivo di testare nuova technologia per le telecommunicazioni. Nel 2021 entra nell’Agenzia Spaziale Europea che ha sede in Germania (ESA/ESOC), prima come contractor e dal 2024 come staff lavorando sui telescopi spaziali INTEGRAL e XMM-Newton.

Las Campanadas y la Nochevieja en España

La Nochevieja en España es una de las celebraciones más esperadas y emocionantes del año, y lo que la hace realmente especial es la tradición de las 12 campanadas. A medianoche, el sonido de las campanas de la Puerta del Sol de Madrid marca la llegada del Año Nuevo y da inicio a una de las costumbres más singulares y fascinantes del país.

Cada campanada, que señala el comienzo de cada mes del nuevo año, se acompaña de un gesto simbólico que trae buena suerte: comer una uva por cada campanada. Esta tradición, que se originó a finales del siglo XIX, se conoce como “Las doce uvas de la suerte”. Se dice que comer una uva con cada campanada trae buena fortuna, prosperidad y felicidad para el año que comienza.

La tradición tiene un significado profundo: cada uva representa un deseo o una esperanza para los meses venideros, y la hazaña de comérselas todas antes de que suene la última campanada se convierte en un ritual colectivo en el que participan millones de personas en toda España. A pesar de la dificultad de comer una uva por campanada, el desafío se enfrenta siempre con entusiasmo y risas, creando un ambiente de alegría y esperanza.

La Nochevieja en España también es un momento de fiesta y convivencia, donde toda la familia se reúne para celebrarlo juntos. La tradición de las 12 campanadas se sigue no solo en las grandes ciudades como Madrid, sino también en las plazas de los pequeños pueblos, donde el sonido de las campanas resuena en el corazón de la comunidad.

Otro aspecto interesante de la celebración es el uso de ropa elegante y una copa de cava, que acompaña el brindis a medianoche. Nuevamente, la tradición se celebra con una buena dosis de optimismo y alegría, listos para dar el primer paso hacia un nuevo año.

Si estás en España durante Nochevieja, no te pierdas la oportunidad de unirte a esta tradición tan especial: prepara un plato con 12 uvas y, con la esperanza de buena suerte, déjate llevar por la magia del momento. Comerlas una a una, con la última uva marcando el inicio de un nuevo capítulo, es una de las experiencias más memorables del Año Nuevo español.

L’autrice

Alba di Egness, madrelingua spagnola, laureata in economia e con un master in marketing, si trasferisce in Italia nel 2016 e si specializza nell’insegnamento dello spagnolo per studenti di madrelingua italiana. Content creator e Fondatrice dell’Accademia Egness, la prima scuola online di spagnolo per italiani.

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