L’agenda 2030 continua a darci innumerevoli spunti per le nostre lezioni. In questo articolo vi proporremo alcuni brani di letteratura messi in relazione con gli obiettivi del programma delle Nazione Unite.

L’agenda 2030 continua a darci innumerevoli spunti per le nostre lezioni. In questo articolo vi proporremo alcuni brani di letteratura messi in relazione con gli obiettivi del programma delle Nazione Unite.
Secondaria di 2° grado Secondaria di secondo grado Discipline economico aziendali Esame di Stato
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Cara lettrice, caro lettore,
con questo articolo concludiamo la nostra carrellata sulle tecniche di computazione alternative alle macchine di Turing. A febbraio abbiamo parlato del quantum computing e a marzo del machine learning. In questo articolo ci occuperemo di DNA computing e bioinformatica, nate dall’incontro tra informatica e biologia.
Il DNA è la molecola alla base della vita. È composta da quattro acidi nucleici: Adenina, Citosina, Guanina e Timina. Possiamo rappresentare le quattro basi azotate mediante le loro iniziali A, C, G e T. Potremmo, quindi, introdurre un modello di calcolo basato non sui bit, che possono assumere i valori 0 e 1, ma sugli acidi nucleici. In questo caso avremmo quattro possibili valori: A, C, G, e T. Potremmo usarli per codificare ogni tipo di dato in modo analogo alla codifica binaria e costruire un computer basato su DNA.
Che vantaggio trarremmo da un ipotetico computer basato sul DNA? Il nostro organismo sa risolvere molto velocemente il problema di determinare a partire da una catena di amminoacidi la struttura tridimensionale della proteina che essi codificano. Nell’articolo di gennaio abbiamo visto che, invece, per le macchine di Turing questo è un problema difficile. Quindi un ipotetico computer basato sul DNA saprebbe risolvere in tempi brevi almeno alcuni problemi difficili che siano riconducibili al folding delle proteine. Fantascienza? No, già nel 1994 l’informatico americano Adleman ha risolto uno di questi problemi grazie a una tecnica di DNA computing.
I legami tra informatica e biologia vanno oltre il DNA computing. Infatti, i calcolatori attuali sono già in grado di supportare la ricerca in ambito biologico e biomedico, per esempio per la lotta alle malattie o per la medicina personalizzata (ovvero lo sviluppo di terapie su misura per uno specifico individuo e per una sua specifica patologia). L’informatica infatti permette di gestire con facilità l’enorme quantità di dati che deriva dalle analisi biologiche. Essa permette, per esempio, il confronto tra sequenze di DNA in organismi diversi per cercare somiglianze e differenze, lo studio della funzione di geni ignoti grazie al confronto con geni già studiati, la simulazione di sistemi biologico complessi per capire come essi si comportino al variare delle condizioni ambientali. L’interazione tra biologia e informatica ha dato origine alla bioinformatica, un ambito di ricerca in continua evoluzione. L’esempio più recente è quello dei vaccini contro il COVID-19, che sono stati ottenuti a partire da analisi bioinformatiche sull’RNA del virus.
Questa attività è volta ad accompagnare i bambini a riflettere sul concetto di pregiudizio e sul valore dell’inclusione. Rientra principalmente nelle discipline di italiano e di educazione civica. Indicativamente la durata di questo laboratorio è di due ore; i destinatari sono i bambini e le bambine dalla classe quarta.
Leggere con i bambini – in modo drammatizzato – la lettura (che potete scaricare qui), avendo cura di assegnare a ciascuno la propria parte. Invitare ad imitare con il corpo i gesti e i movimenti dei personaggi.
Si tratta di una storia scritta da Bruno Ferrero, tratta dal libro “Nuove storie per la scuola e la catechesi”. Racconta di un mostro all’apparenza pauroso e che suscita disgusto e ribrezzo, affetto da un tremendo raffreddore. Gli abitanti del ridente paesino Dolceacqua lo temono e vorrebbero trovare il modo per cacciarlo. Un bel giorno si recano presso la caverna nera dove si è rifugiato con l’intento di allontanarlo a colpi di mattoni, ma la vicenda non si evolve come previsto e il mostro abbatte tutti i pregiudizi sul suo conto.
Dopo aver letto e drammatizzato il racconto, i bambini disegnano un mostro al centro della pagina del quaderno e, attorno ad esso, scrivono tutte le parole che tale storia ha suscitato in loro. L’insegnante li sollecita a motivare la scelta di ogni termine.
Il docente – se ancora non è emerso – introduce il concetto di pregiudizio. Con gli alunni analizza la parola e insieme si costruisce il significato.
A questo punto chiede di scrivere una breve riflessione attorno a questo interrogativo: “Ti è mai capitato di avere pregiudizi su qualcuno o di essere a tua volta vittima di pregiudizi?”
Dopo aver raccolto le riflessioni dei bambini, l’insegnante chiede loro di ipotizzare da cosa ha origine un pregiudizio. L’intento è portarli a capire che ignoranza e paura alimentano conoscenze scorrette e comportamenti di esclusione verso l’altro.
Se l’insegnante lo ritiene opportuno, può ora accompagnare i bambini a ragionare sulle paure più comuni, a condividerle e a rappresentarle in un’opera astratta, magari realizzata ricorrendo a diversi materiali.
Gloria Ragni – Insegnante di scuola primaria, promotrice del “fare per apprendere” e sostenitrice dell’utilizzo integrato del digitale nella didattica.
Ha un blog didattico https://maestraglo.altervista.org e condivide su Instagram le sue avventure da maestra (la trovate come @maestraglo).
Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno. Come ogni anno scolastico, è il momento in cui in molti team si inizia a mettere ordine nelle verifiche, proporre le ultime prove dell’anno, cominciare a fare mente locale sulle valutazioni.
Ormai possiamo dare per acquisito il superamento dei voti in decimi: non si tratta più di una novità e in pratica non ne discute più nessuno.
Non possiamo, però, dare per pienamente raggiunto il vero cambiamento nel processo di valutazione proposto dall’Ordinanza Ministeriale 172 del 2020, ovvero le quattro dimensioni attraverso le quali possiamo descrivere l’apprendimento.
Le ricordiamo velocemente:
Queste quattro dimensioni rischiano di restare lettera morta, se le prove di verifica proposte in classe non subiscono alcun cambiamento rispetto al passato.
E’ evidente che, se le prove continuano a basarsi su quiz a risposta multipla o domande a cui rispondere, magari per restituire l’appreso, è difficile che si possa indagare la dimensione delle diverse tipologie della situazione.
Sarà necessario, quindi, predisporre prove di verifica complesse (che non vuol dire difficili), nelle quali i bambini e le bambine abbiano un sufficiente margine di manovra e possibilità di iniziativa. Allo stesso modo, per verificare la capacità di mobilitare le risorse per risolvere una situazione problematica, la classe dovrebbe avere la ovvia possibilità di reperire in modo autonomo le informazioni necessarie e delle risorse utili. In particolare, quest’ultima osservazione dovrebbe portare con sè una riflessione sull’accesso a Internet e sull’uso dei device durante le prove di verifica.
Le prove dovrebbero poi avere una caratteristica imprenscindibile: l’apertura. L’apertura nella consegna, anzitutto: è importante che i bambini e le bambine abbiano chiaro il compito che devono portare avanti o il prodotto che dovranno realizzare, ma dovrebbe essere libera la possibilità di scegliere come procedere, di scegliere quali risorse utilizzare, come presentare il compito o il prodotto e così via. In questo modo, ciascuno/a troverà la strada più adatta a sé per muoversi nel compito assegnato. E tutti/e riusciranno a produrre qualcosa. Che cosa c’è di più inclusivo? Non solo. Con le prove aperte a diverse soluzioni, sarà più naturale per noi osservare le quattro dimensioni che nella valutazione definiscono i livelli (da in via di prima acquisizione ad avanzato). Non meno importante, infine, solo con consegne aperte possiamo lasciare spazio alle soluzioni creative dei nostri alunni e delle nostre alunne. Le prove che proponiamo dovrebbero avere il carattere del problem solving, che necessita anche del pensiero creativo. La creatività, in fondo, è intelligenza in azione.
Tra le caratteristiche delle prove per la valutazione è importante non dimenticare la novità. Se ci dobbiamo muovere anche in “situazioni non note”, va da sé che dobbiamo creare occasioni per la classe di agire in compiti che pongono elementi di novità. Anche questo ci obbliga a ripensare le classiche verifiche, e a utilizzarle in modo completamente nuovo.
A proposito di novità, adesso che nessuno discute più nel merito del “passaggio dai voti in decimi ai giudizi descrittivi”, forse è arrivato il momento di riflettere davvero sulle novità introdotte dalla recente normativa sulla valutazione.
Novità, queste, che hanno un impatto considerevole sulla didattica e sul fare scuola quotidiano.
Buon lavoro a tutte e a tutti.
Il 7 e 8 aprile si festeggia la seconda Giornata Mondiale della Lingua Latina, promossa dalla Presidenza nazionale dell’Associazione Italiana di Cultura Classica (AICC) e patrocinata dall’Unesco, dal Ministero dei Beni culturali. La giornata è nata per avvicinare alla lingua latina gli studenti delle scuole superiori, per conoscere autori antichi che sono ancora oggi immortali per le opere che ci hanno lasciato, ma anche per parlare di una lingua che è tuttora viva nella sua eredità.
Ma questo latino studiato, amato, ma spesso anche odiato ha ancora qualcosa da offrire a noi, uomini e donne del terzo millennio? Studiare a scuola la lingua e la letteratura latina ha ancora senso? Proviamo a rispondere a queste domande attraverso le parole dei nostri autori che ci guidano in un viaggio tra passato e presente, tra lingua e cultura.
Il nostro viaggio si apre con il prof. Mario Lentano che ci racconta perché il latino può suscitare ancora interesse. Tanti i motivi: il latino è il bacino da cui sono nate molte lingue che si parlano in Europa, prima fra tutte l’italiano; la conoscenza di questa lingua ci permette di accedere, in originale, ad opere di autori del passato che è sempre più bello “guardare” con i propri occhi e non solo attraverso il filtro di una traduzione; la lingua latina ci racconta di un popolo e ci permette di decodificare una civiltà che fanno parte della nostra nostra storia e le cui tracce troviamo, tante e di tanti tipi, ovunque in Italia e in tutto il bacino del Mediterraneo.
Tutte motivazioni interessanti, ma il messaggio più importante che il professore ci lascia in chiusura del suo intervento è che non tutto quello che si studia a scuola deve essere utile per un motivo pratico, alcune cose sono “solo” belle ed è bello conoscerle.
Come mai il latino suscita ancora interesse?
Con Andrea Marcolongo scopriremo alcune parole partendo dalla loro etimologia perché, come ci spiega lei stessa, l’etimologia è una delle scienze più rivoluzionarie che esistano: permette a tutti di noi di risalire alle fonti del mondo che viviamo. Le parole scelte ci guidano in un percorso che parte dall’antichità ma ci riconduce all’attualità: parleremo infatti di ecologia perché la Terra è l’unico pianeta che abbiamo e dobbiamo salvaguardarlo; di femminile che è la capacità di mettere a frutto e di utilizzare al meglio il proprio talento; e di politica ed elezione perché essere cittadini consapevoli e in grado di saper scegliere ci rende liberi.
Con il professor Carlo Campanini si sondano i vari aspetti di un insegnamento, quello del latino e del greco, spesso portato avanti da una stessa persona, fatto non irrilevante e senza dubbio storicamente fondato. Anche il recente Esame di Stato sancisce questa compresenza e sinergia didattica. Ci sono infatti delle indubbie somiglianze: latino e greco sono per esempio entrambe due lingue flessionali. In entrambe c’è inoltre una massiccia presenza di radici indoeuropee. E via dicendo. Non c’è però soltanto armonia. Ci sono anche differenze strutturali, come la presenza in greco dell’articolo come elemento chiave della sostantivazione e anche come elemento d’ordine all’interno della frase. Non ultima differenza anche il sistema verbale: quello greco presenta il genere medio, il latino non ha qualcosa di paragonabile. In quello greco inoltre l’attenzione alla qualità dell’azione (v. differenze congiuntivo vs. aoristo) è assolutamente centrale. Piccole e grandi differenze che non impediscono assolutamente un percorso comune ma che vanno collegate alle diversità di due mondi anche linguisticamente diversi. La classicità greco-latina è quindi un mondo sì armonico ma non unitario.
Latino e greco: un mondo culturale armonico
Latino e greco: linguisticamente non solo armonia
Con la professoressa Anna Flocchini conosceremo i cosiddetti anglolatinismi, entrati, o per meglio dire, tornati nell’italiano attraverso l’inglese, con un significato in parte o del tutto diverso da quello del termine latino originario. Media, plus, tutor, iunior: sono alcuni esempi di espressioni latine, usate in italiano, che spesso vengono percepite, da chi non conosce il latino, come inglesi. Con la prof.ssa scopriremo anche la pronuncia di queste espressioni che spesso oscilla fra quella latina e quella inglese, come nel caso di plus o media. Fra gli anglolatinismi si trovano anche numerosi neologismi nati in ambiti diversi, come internet o computer, e alcuni inglesorum, come audit e summit, ampiamente utilizzati nel lessico quotidiano in alternativa a espressioni italiane.
Tutti questi discorsi sugli anglolatinismi ci portano a una riflessione: il fatto che il latino continui ad alimentare i linguaggi moderni, generando neologismi anche all’interno di lingue non neolatine come l’inglese, non può bastare per liberarlo da quella brutta definizione di “lingua morta”?
Il latino che parliamo: anglolatinismi e inglesorum di Anna Flocchini
Infine, la professoressa Ilaria Torzi ci proporrà un modo accattivante di lavorare in classe con gli imperatori romani, fra latino e storia. La professoressa ci fa vedere infatti come creare una galleria di immagini dei principes con delle didascalie in latino. Si parte da alcune sequenze tratte dal Breviarium ab Urbe condita di Eutropio, un testo con una lingua abbordabile a studenti del primo biennio, che illustrano le caratteristiche e le gesta principali di Traiano, Adriano, Antonino Pio, Lucio Vero e Marco Aurelio e di Commodo: attraverso questi imperatori, le loro storie e le immagini, scopriamo un’epoca fulgida della storia romana, il II secolo d.C., ma che presenta in nuce già gli elementi che la porteranno allo sfascio.
Si può raggiungere il risultato della “Galleria degli Imperatori” anche attraverso un modulo di didattica integrata, storia-latino ed eventualmente educazione civica, che si può visionare nel pdf scaricabile
La parola alle statue.
La parola alle statue
Di seguito una selezione di materiali utili per fare lezione, anche in modalità flipped.
Trovate qui una selezione di video e una serie di Lesson Plan, ovvero di proposte di lezioni tematiche da affrontare con le vostre classi.
I grandi autori
Video di Maurizio Bettini, autore Rizzoli Education di letterature latine.
Lesson Plan
Per organizzare le tue lezioni sui grandi autori della letteratura latina
I generi
I pdf che trovi in questa sezione sono organizzati per anno, tratti dal corso di letteratura latina
HOMO SUM CIVIS SUM di Maurizio Bettini.
Terzo anno
Quarto anno
Quinto anno
Chiarezza, semplicità geometrica, sobrietà, eleganza, raffinatezza, bizzarria ed equilibrio sono i termini con i quali i critici italiani di inizio Novecento identificano lo stile di Josef Hoffmann. Uno stile così connotato e innovatore che muovendo da una radicale interpretazione secessionista del Modernismo, a differenza di quanto avviene in Italia, si metamorfizza e, coraggiosamente, si arricchisce di elementi classici, a partire dagli anni Dieci, e, soprattutto nel primo dopoguerra, di citazioni dalla storia, assumendo di fatto il ruolo di modello di riferimento per gli architetti e i designer italiani negli anni Venti e Trenta.
Il rapporto di Hoffmann con la cultura italiana è un rapporto di dare ed avere iniziato negli anni della formazione e accentuatosi a partire dagli anni Dieci, momento dal quale si confronterà sempre con il “modello italiano”. Evocando il viaggio in Italia compiuto nel 1895-1896, l’architetto viennese scrive: «Tutte le meraviglie che vidi a Roma mi impressionarono enormemente […]. Ma la scuola di Otto Wagner ci aveva messi in guardia nel cadere in una cieca imitazione degli stili […] e fu così che la semplicità tipicamente italiana del modo di costruire soprattutto nelle campagne, al di fuori della monumentale architettura ufficiale, finì col toccarmi più profondamente, poiché aveva molto più da comunicare alla nostra aspirazione di produrre forme rispondenti alla funzione ed ai materiali» (1).
Il suo rapporto con l’Italia si rinnova nel 1911 in occasione della progettazione del padiglione austriaco all’esposizione di Roma e ancora nel 1933 quando viene organizzata una sua personale nel palazzo della Triennale di Milano e l’anno successivo per l’ammodernamento del padiglione austriaco alla Biennale veneziana. Tuttavia, le novità del suo linguaggio architettonico/decorativo, così come le originalissime proposte della Secessione viennese, non conoscono un immediato e sincronico impatto sugli architetti, sugli artisti e sui designer italiani operanti all’inizio del Novecento, poiché essi ne rielaborano la lezione solamente tra la fine degli anni Dieci e gli anni Venti, facendo di Hoffman, e della linea secessionista viennese, una delle fonti d’ispirazione della declinazione italiana del gusto déco e del primo, acerbo novecentismo, fino a nutrire e ad innervare il nitore razionalista ed elegantissimo di Carlo Scarpa (2). Lo stile di Josef Hoffmann e la produzione delle Wiener Werkstätte, infatti, non incidono in Italia, o per lo meno in un modo esplicito e riconoscibile, nel momento di massima espansione del Liberty, coincidente con l’Esposizione Internazionale di arti decorative e industriali organizzata a Torino nel 1902, anche se una speciale attenzione nei confronti di Hoffmann e della linea viennese, almeno tra gli intellettuali più avveduti e coinvolti nel dibattito sul gusto moderno e sui valori del nuovo stile, si ritrova negli articoli usciti intorno a quell’anno.
Per esempio, Vittorio Pica scrive: «[…] la novissima decorazione interna austriaca, specie per le scuole, redazioni di giornali e mostre d’arte, si appalesa di così raffinata leggiadria e di così ingegnosa eleganza che l’occhio del buongustaio ne rimane di prim’acchito sedotto. Infatti, nell’esposizione mondiale di Parigi del 1900, coloro che non avevano visto già le periodiche mostre dei secessionisti viennesi dal 1897 in poi, rimanevano oltremodo sorpresi e compiaciuti dalla novità squisita e gioconda che presentava l’addobbo complessivo delle sale della sezione austriaca di belle arti […] L’insieme era davvero di rara vaghezza nel sapiente accordo del verde e dell’oro col bianco e col nero e nel sobrio risalto d’ogni arabesco e d’ogni stilizzato motivo figurativo od arboreo sulle pareti di una sola tinta assai tenera. È quindi da deplorarsi grandemente l’assenza dalla mostra torinese di Josef Hoffmann, di colui cioè che ideò, disegnò e fece eseguire quelle bellissime sale e che è, senza contrasto, il più sagace, il più razionale ed il più originale maestro di ornamentazione interna […] Egli avrebbe dato agio al pubblico italiano di apprezzare al giusto suo valore uno degli aspetti più interessanti e caratteristici dell’odierna rinascenza decorativa dell’Austria e gli avrebbe fatto comprendere che quelle medesime linee spezzate a mo’ di colpi di frusta e quei medesimi mascheroni con le lunghe fettucce spioventi, i quali, esagerati nelle dimensioni […] riescono abbastanza uggiosi all’esterno degli edifici, possono invece sembrare graziosi all’interno di una sala, se adattati con buon gusto e con retto discernimento» (3).
Risulta, dunque, evidente una piena consapevolezza delle novità austriache e del ruolo magistrale degli architetti viennesi. Enrico Thovez, uno dei più vivaci sostenitori della necessità italiana di dotarsi di uno stile moderno, pubblica nel 1903, nella rivista “L’Arte decorativa moderna”, il lungo articolo L’Arte decorativa austriaca nel quale, rievocando l’esposizione di Parigi del 1900, afferma «Per genialità di concezione, freschezza d’invenzione, abilità ed armonia di forme, squisitezza di gusto elegante, gli ambienti arredati dall’Austria superarono di assai quelli di tutte le altre nazioni» (4), inoltre ricorda «La raccolta della Rivista di architettura “Der Architekt”, i volumi pubblicati col titolo Aus der Wagner Schule ne hanno reso noti fra noi i nomi e le opere. Emersero fra tutti Joseph Maria Olbrich e Joseph Hoffmann» (5), e ancora «I mobili austriaci che compaiono nelle nostre illustrazioni rispondono al tipo commerciale assunto dalle case viennesi. Esso non è il prodotto di una concezione particolare com’è il caso negli arredamenti dell’Olbrich, dell’Hoffmann, del Bauer e degli altri secessionisti: è semplicemente il mobile inglese, ma elaborato, irrobustito, più pratico […]. Il loro successo all’Esposizione di Torino del 1902 è del resto la miglior prova della loro accessibilità al gusto anche del grande pubblico» (6).
Ciò conferma che da parte degli italiani la consapevolezza e l’interesse per la coerente sintassi architettonico/decorativa di Hoffmann sono immediati, ma i risultati in termini di ricaduta sulle arti italiane sono tardivi, anche se una declinazione astratto-geometrica all’interno del variegato panorama del Liberty si riconosce in alcuni artisti italiani che, in quanto sudditi dell’impero austro-ungarico, si formano nell’influenza della cultura viennese, quali Pietro Marussig, Ugo Zovetti, Adolfo Levier, Carlo Crampa, Vittore Zanetti Zilla, Alfeo Argentieri e Luigi Bonazza. Tuttavia essa, spesso e volentieri, risulta compromessa da cedimenti verso il florealismo, l’ornamento naturalistico oppure verso evocazioni eclettico/storiciste, poiché in Italia non si raggiunge mai uno stile unitario in termini modernisti, ma piuttosto si assiste ad un’interpretazione nostrana della modernità che risulta spesso costituita da eccellenze individuali, sia di artigiani e artisti sia di architetti, condizionate dalle diverse tradizioni regionali di appartenenza: insomma un’interpretazione spuria del modernismo rispetto al rigore della Secessione.
Tuttavia qualche segnale c’è: un orientamento in senso hoffmaniano si riconosce, per esempio, nell’allestimento della sala da musica voluta dal noto gallerista milanese Alberto Grubicy per la propria figlia (e rimasta integra fino al 1922, data della morte del gallerista). Gaetano Previati dipinge su commissione di Grubicy, tra il 1907 e il 1908, un ciclo di sei tele dedicate al tema della musica per il villino in via Ravizza a Milano, oggi non più esistente e una fotografia del 1908 presenta la sala allestita con una serie di arredi contemporanei chiaramente influenzati dalle invenzioni secessioniste [Fig. 1]. La boiserie che incornicia le tele previatesche e scandisce lo spazio della sala, i pannelli che separano lo spazio con i pianoforti dalla sala vera e propria, i mobili a parallelepipedo con le maniglie rettangolari a scomparsa, le sedute basse e quadrangolari, il tavolino a base pieghevole, il tutto scandito dal motivo ornamentale “ad quadratum” (cinque quadrati bianchi intarsiati su un legno ebanizzato): tutto rimanda a Hoffmann e a Vienna, anche se gli arredi furono realizzati, con ogni probabilità, a Milano, forse dalla ditta “Quarti” o da “Ceruti” (7).
Fig. 1. Sala da musica nell’abitazione di Alberto Grubicy in via Ravizza a Milano, 1908. Archivio eredi Alberto Previati.
Bisogna attendere il 1910, con la notissima monografica di ventidue dipinti di Gustav Klimt, allestita dall’architetto Eduard Josef Wimmer alla Biennale di Venezia, perché prenda il via l’innamoramento italiano per la Secessione viennese, specificatamente nell’ambito pittorico e decorativo, testimoniato dalle invenzioni di Galileo Chini e Vittorio Zecchin. Klimt, nel frattempo, riafferma il proprio successo italiano a Roma nel 1911, all’Esposizione Internazionale di Belle Arti per il cinquantenario del Regno d’Italia, e Josef Hoffmann progetta il padiglione austriaco nella Vigna Cartoni, ora non più esistente, in cui è ospitata la sua monografica con dodici dipinti [Fig. 2]. L’edificio, articolato ad U intorno ad un cortile, rilegge le forme classiche in una declinazione raffinata e semplificata riconoscibili nell’alta zoccolatura liscia, nei monumentali finestroni con le strombature geometriche, nel porticato scandito da essenziali pilastrini scanalati, così come nello spazio interno, percepito come sacrale, inondato di luce, bianco, aperto e la cui unica decorazione è data dal ripetersi ritmico della linea, del rombo, degli spigoli vivi: tutti elementi che nutrono la codificazione del fraseggio déco e che trova esplicite applicazioni nella Milano degli anni Venti nei progetti di Giovanni Muzio, Gio Ponti, Emilio Lancia, Tomaso Buzzi e Giovanni Greppi.
Fig. 2. Josef Hoffmann, Padiglione austriaco, Roma 1911.
L’edificio in via Statuto 12 a Milano [Fig. 3], realizzato da Greppi nel 1919, rivela, nelle strombature rettangolari delle finestre al piano terra, nel rigore geometrico delle aperture e nel taglio a T della porta d’ingresso, riferimenti all’opera di Hoffmann, compreso l’utilizzo del bow-window triangolare a spigolo vivo; elemento che Greppi riprende, ma già nel 1928, alla Fiera Campionaria di Milano nel padiglione dell’Irpinia (Avellino) [Fig. 4], pur accompagnato da citazioni classiche, come le colonne tuscaniche, le sfere e i vasi cornucopia. Il Déco milanese gioca le proprie carte proprio nella fusione intelligente del modulo “ad quadratum” e del taglio lineare di Hoffmann con raffinate citazioni storiche, dal manierismo al neoclassicismo. Come nella cosiddetta “Ca’ Brüta” di Giovanni Muzio (1919-1923), nella casa di Gio Ponti in via Randaccio (1924-1926), in palazzo Borletti in via San Vittore, sempre di Ponti, del 1928, e nella sede della Banca Popolare di Milano, realizzata da Giovanni Greppi tra il 1928 e il 1930, nella quale i riferimenti neoclassici si sposano con la ripresa puntuale delle colonne giganti in marmo cipollino e architravate della Looshaus di Vienna, concepita da Adolf Loos tra il 1909 e il 1911.
Fig. 3. Giovanni Greppi, Casa già in via Statuto 12, Milano, 1919.
Fig. 4. Giovanni Greppi, Padiglione Irpinia, Milano, Fiera Campionaria 1928.
Elaborata, finalmente, una declinazione italiana della modernità che sembra voler abbandonare qualunque compromissione con il naturalismo, lo storicismo e l’eclettismo, Hoffmann diviene un modello riconosciuto, specialmente in riferimento all’impresa Stoclet e alle invenzioni per le Wiener Werkstätte, quando immette nel proprio repertorio, pur virandoli in una semplificazione lineare, elementi squisitamente barocchi e rococò, così come accade nel padiglione austriaco per Parigi 1925: «È un’architettura da mobili ispirata a movenze di sagome barocche; un’architettura d’eccezione, frutto di un gusto raffinato e perciò interessante come gioco d’eleganza» (8).
Si deve a Roberto Papini un’icastica definizione di come le invenzioni di Hoffmann e dei viennesi vengano percepite in Italia: «L’Austria è stata da un trentennio all’avanguardia […] lavora i metalli e le gemme, il legno e il vetro, il filo e la ceramica con una perizia straordinaria; ogni capriccio le è permesso perché sempre è contenuto nei limiti di una logica rigorosa, anche se non apparente. Gli ambienti creati da Hoffmann, da Strnad e da Gorge nella sezione austriaca sono un compromesso molto attirante fra bizzarria ed equilibrio. Guai a coloro che, non possedendo il gusto espertissimo degli architetti e dei decoratori austriaci si ponessero ad imitarli: cadrebbero subito nel goffo e nel grottesco» (9). Il riconoscimento della magistrale genialità di Hoffmann anche nelle arti decorative viene ulteriormente sottolineata da Papini: «Pochi creatori e quasi tutti gli architetti, con Josef Hoffmann alla testa, danno a quello stile l’impronta […]. La chiarezza e la semplicità geometrica delle sagome dominano indiscutibilmente la produzione austriaca; la parsimonia massima degli adornamenti accompagna docilmente la semplificazione della forma. La materia è resa preziosa, anche quando non è oro né argento, dal modo com’è trattata, dalla martellatura evidente, dalla cura e dalla perizia con cui sono ottenuti i rilievi, gli sbalzi, le superfici lisce e le scabre, le sagome perfette, le curve armoniose. Un naturale senso d’eleganza e di raffinatezza guida artefici così padroni dei loro mezzi, così esperti d’ogni accorgimento. Vi sono cose che possono urtare contro il nostro gusto italico, ostile agli eccessi anche nella raffinatezza; ma non v’è nulla di volgare o sciatto, nulla che non rientri nelle generali tendenze del gusto d’oggi» (10).
In Le arti d’oggi. Architettura e arti decorative in Europa, edito a Milano nel 1930, vera e propria sintesi del déco italiano e internazionale, Papini cita spesso Hoffmann affiancandolo, nel ricchissimo repertorio fotografico, a Ponti e a Lancia, avendo come obiettivo di dimostrare quanto l’architettura e le arti decorative italiane, pur nella loro specificità, abbiano raggiunto i livelli dei modelli austriaci. Papini conclude il visionario e onirico racconto che precede il repertorio fotografico e dedicato alla vita ad Universa, una metropoli nata sulle rovine di una guerra, con un’esaltazione della “nuova classicità” in antitesi con il Modernismo: «[…] I giovani d’Universa non provano vergogna a confessare d’essere in un periodo arcaico. È l’epoca in cui si ricomincia. È l’epoca che ha qualche importante analogia, sia detto per gli innamorati dell’esemplificazione storica, con quel sesto secolo avanti Gesù Cristo quando il senso della vita intensa nella politica, nella ginnastica sportiva, nell’indagine fisica e metafisica, dettava ai greci le forme dell’arte nuova e, dopo le geometrie prette del Dipylon, vedeva affermarsi il puro ritmo dorico e gli schietti valori plastici della scultura arcaica e i rabeschi essenziali dei meandri, delle palmette, delle onde. Anche allora dominava l’architettura, anche allora era sentito fin nel profondo un bisogno imperioso d’armonia fra le ragioni pratiche e quelle ideali della vita, un desiderio ansioso di ritmica compostezza, di musicale semplicità. Fondare una nuova classicità significa tornare all’ordine, alla misura, alla composizione, allo stile» (11). Queste sono state le parole d’ordine del Déco italiano capeggiato da Muzio, Greppi, Ponti, Buzzi, Lancia, Portaluppi [Fig. 5], Andloviz, Zecchin, Martinuzzi, Chini, il primo Scarpa, sia in architettura, sia nelle arti decorative e la cui stella polare è la sintassi della Secessione, Hoffmann in primis.
Fig. 5. Piero Portaluppi, Interno della Fagianaia, 1928-1930, Monza, parco della villa Reale, sede del Golf Club.
In copertina: Amedeo Bocchi, Sala del Consiglio, 1917, Parma, Sede centrale della Cassa di Risparmio di Parma.
Fin dall’infanzia il gioco rappresenta uno strumento privilegiato per l’apprendimento. Attraverso il gioco, infatti, il bambino crea un rapporto con la realtà, la conosce e la elabora. Il gioco può, quindi, rappresentare un utile strumento didattico anche in matematica, una disciplina spesso percepita come noiosa e frustrante.
Situazioni didattiche legate al gioco permettono di allontanare l’idea della matematica come una serie di regole da imparare a memoria e mettono in luce tutte quelle caratteristiche, quali per esempio la creatività e l’intuizione, che contribuiscono a renderla gradevole e avvincente.
Il gioco consente ai docenti di porre i ragazzi in situazioni nuove e stimolanti: vere e proprie attività di problem solving, funzionali alla capacità di elaborare strategie e di liberare potenzialità di cui a volte gli alunni non hanno consapevolezza e che difficilmente sono messe in luce in situazioni standardizzate.
Le ricadute sono osservabili su più piani:
Quali sono i giochi che possono essere utilizzati a scuola? Le possibilità sono molte e le abbiamo raggruppate in cinque grandi categorie.
Anche in Tangram è possibile trovare:
SCOPRI L’OPERA
Gli antichi la chiamavano “filosofia naturale” ed è considerata la regina delle scienze e la madre del metodo scientifico. Grazie a esso, efficace filtro per setacciare i fenomeni, l’uomo è in grado di elaborare modelli della realtà sempre più sofisticati, allo scopo di spiegarne i meccanismi e prevederne l’evoluzione. Per questi motivi, la fisica è forse la Scienza nella sua più alta e rigorosa incarnazione: intrecciata con la matematica sin dalle sue origini e fino ai giorni nostri, non ha però mai perso quell’indispensabile ancoraggio alla realtà che è incarnato da un passaggio cruciale: l’esperimento.
Il diagramma che riassume il processo dietro al metodo scientifico, tratto da Tra le dita – Scienza da esplorare.
Ma come la insegnamo? Che cosa arriva di Sua Maestà, la fisica, tra i banchi di scuola?
Il metodo finisce spesso per essere solo un diagramma sulle pagine di un libro di testo, da recitare a memoria. Un meccanismo idealizzato, semplificato, banalizzato dall’immagine imperante dello scienziato come folle genio che sforna teorie già fatte e finite al grido di “Eureka!”. Una figura, questa, impoverita della forte componente umana e che invece ha spesso a che fare con una costellazione di utili fallimenti nell’elaborazione di un modello astratto.
Quanto agli esperimenti: finiscono per schiacciarsi su noiose procedure a senso unico, da seguire spegnendo il cervello; oppure costituiscono delle sorta di giochi dagli esiti sorprendenti, di cui però in troppi casi sfugge il senso profondo. In queste circostanze, quel che resta agli studenti è purtroppo molto poco.
Talvolta, forse, finiamo per scordarci quanto sia istruttivo e coinvolgente fare la scienza. La conquista dei modelli, la loro comprensione profonda, la comprensione di un’equazione fondamentale, ecc. sono esperienze umane, in un qualche senso emozionali, che portano con sé il piacere della scoperta. Vale dunque la pena sporcarsi le mani e dare un senso a quelle procedure e a quelle formule, imparando a riconoscerle nel mondo che ci circonda e – soprattutto – a “vederne” il significato. Abbiamo già scritto in passato dei benefici didattici legati alle attività di modellistica matematica e coding (si veda l’articolo “Modelli e scuola”).
Le simulazioni al calcolatore di un sistema fisico si possono sviluppare in quella cornice, effettuando eventualmente una leggera inversione del meccanismo modellistico per “mettere alla prova” una teoria, la consistenza dei risultati che può produrre e i suoi limiti. Una simulazione diventa allora un buon complemento virtuale all’esperimento, che – per essere completamente compreso e gestito in tutte le sue componenti – costringe ad arrivare al succo delle questioni.
Uno dei temi sviluppati nelle programmazioni di scienze della scuola secondaria di primo grado è quello dei moti uniformemente accelerati, con particolare riferimento a quello dei corpi dotati di massa che subiscono gli effetti dell’attrazione gravitazionale.
In quel caso, può essere sensato confrontare la teoria in situazioni diverse, per testarne le previsioni e la tenuta. Ecco quindi che si può pensare a un semplice programma Scratch! che applichi le equazioni del moto uniformemente accelerato per simulare la caduta di un grave, magari mettendo a confronto i tempi di caduta su due pianeti distinti (come la Terra e Giove). Oppure si può pensare a un’implementazione del moto parabolico, in cui il programma determina la gittata, il tempo trascorso e la massima altitudine raggiunta.
Programmi più sofisticati possono prevedere l’implementazione di problemi tutt’oggi irrisolvibili esattamente (si veda per esempio il problema dei tre corpi) o comunque risolvibili solo con strumenti matematici fuori dalla portata degli studenti. Per essi si possono comunque fornire utili approssimazioni.
Un utilizzo intelligente e divertente di questi applicativi potrebbe anche prevedere l’investigazione di situazioni curiose e insolite, come per esempio la risposta alla domanda: “Che cosa succederebbe se la gravità terrestre agisse in verso contrario, dal basso verso l’alto?” (vale a dire: “Che cosa accadrebbe se gli oggetti potessero cadere all’insù”).
Un’attività non banale potrebbe prevedere la realizzazione di un videogioco in cui le leggi della fisica sono diverse da quelle del mondo reale.
Un blocco di codice Scratch! per simulare la caduta di un oggetto sulla Terra
La caduta di un oggetto sulla Terra e dello stesso oggetto su Giove a confronto
Insomma, Scratch! offre molte chance di approfondimento ed esplorazione di tematiche centrali nei curricola di scienze. L’implementazione di situazioni che si riferiscano rigorosamente a queste tematiche può favorire uno scatto di livello alla loro comprensione. Non ci resta che esplorare questo mare di possibilità!
Live streaming:
Esempi di simulazioni di fisica con Scratch!:
Altre simulazioni con Scratch!:
Fonti e letture:
Il termine sostenibilità è entrato nell’uso comune e riguarda sempre più le nostre vite e l’educazione.
Il nuovo assetto della Costituzione italiana, con le recenti integrazioni degli articoli 9 e 41, ha rafforzato il principio della sostenibilità dal punto di vista normativo, introducendo nella Carta costituzionale “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
Una serie di misure legislative, in primis la transizione ecologica con un ministero dedicato, sono state messe in campo per favorire la trasformazione del nostro sistema socio-economico, attraverso l’incremento delle fonti energetiche rinnovabili, una mobilità a zero emissioni di carbonio, lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile, la salvaguardia della biodiversità. L’educazione allo sviluppo sostenibile è esplicitamente riconosciuta nell’obiettivo 4 dell’Agenda 2030: “Entro il 2030, assicurarsi che tutti gli studenti acquisiscano le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso, tra l’altro, l’educazione per lo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, …”.
Che cosa si può fare concretamente per integrare queste tematiche nel curricolo delle materie scientifiche collegandole ai contenuti disciplinari? Una delle novità che caratterizza il libro di testo “Tra le dita- Scienze da esplorare” è proprio l’inserimento di temi che riguardano la tutela dell’ambiente e la sostenibilità. Non si tratta di approfondimenti aggiunti alle varie lezioni ma è proprio l’impostazione degli argomenti curricolari delle unità fortemente ispirata alla necessità di educare le nuove generazioni a una visione rispettosa dell’ambiente in cui vivono.
Nel libro di testo abbiamo dedicato le pagine di apertura e chiusura di tutte le unità a uno o più obiettivi dell’Agenda 2030: domande mirate, evocate da un’immagine suggestiva, invitano a riflettere su situazioni problematiche che riguardano la vita quotidiana. Attraverso le attività proposte, gli studenti sviluppano il pensiero critico, imparano a prendere decisioni, a fare le proprie scelte e a motivarle. Inoltre si favorisce la realizzazione di attività collaborative e si rafforza il rapporto con l’ambiente e con il proprio territorio, non perdendo mai di vista una visione globale.
Si riportano solo alcuni esempi.
L’unità A3 – Temperatura e calore – presenta gli argomenti in stretto collegamento con il problema dei cambiamenti climatici (Fig. 1).
Fig. 1
L’unità A4 – Miscugli e soluzioni – mette in relazione le modalità di separazione di miscugli e soluzioni con il ruolo di filtraggio delle zone umide che vanno assolutamente tutelate per l’equilibrio degli ecosistemi (Fig. 2).
Fig. 2
Così l’unità A6 – Trasformazioni chimiche – introduce alunne e alunni alle reazioni chimiche dannose per l’ambiente, in particolare all’acidificazione degli oceani e delle precipitazioni (Fig. 3).
Fig. 3
L’unità A11 – Onde meccaniche e suono – introduce l’argomento invitando alunne e alunni alla scoperta dell’ambiente acustico in cui vivono (il paesaggio sonoro dell’ecologia acustica) stimolando una riflessione sui problemi dell’inquinamento sonoro, ma anche sottolineando l’importanza di saper ascoltare chi ci sta accanto (Fig. 4)
Fig. 4
Di seguito un esempio dettagliato nel campo della biologia.L’elenco può continuare per tutte le unità perché, come si scriveva, l’impostazione del testo è strettamente collegata a problemi ambientali e di sostenibilità.
Il problema nel suo contesto: l’evoluzione, come si sa, è difficile da osservare e documentare perché avviene in tempi molto lunghi. Nei batteri, però, è apprezzabile su una scala temporale breve, nell’arco di alcuni anni o pochi decenni; la pressione selettiva esercitata sulle popolazioni microbiche dall’abuso degli antibiotici ha accelerato la resistenza a questi farmaci, tanto che l’OMS considera la farmaco-resistenza una delle più gravi minacce globali per la salute pubblica dei nostri tempi.
L’argomento è connesso all’obiettivo 3.Salute e benessere dell’Agenda ONU 2030 (fig. 5).
Fig. 5
Proposte per affrontare e risolvere il problema: per entrare in argomento, si riporta sinteticamente la storia del DDT, un insetticida che ha avuto una larga diffusione nel dopoguerra, fino agli anni ’60 del secolo scorso, poi ritirato dal mercato per la sua tossicità; lo si irrorava nei campi, nelle abitazioni e addirittura sulle persone per uccidere mosche, zanzare, pidocchi e pulci (Fig. 6). Il DDT con il passare del tempo perse la sua efficacia e venne utilizzato in dosi via via crescenti, perché in pochi anni si erano selezionate popolazioni di insetti resistenti all’insetticida.
Successivamente, attraverso un’infografica, gli studenti analizzano il meccanismo dell’antibiotico- resistenza (AMR- dall’acronimo inglese AntiMicrobial Resistance) (Fig. 7). Si osserva che, prima dell’assunzione dell’antibiotico, i batteri resistenti sono pochissimi; nel corso del trattamento, per una mutazione casuale e spontanea, alcuni batteri diventano insensibili all’antibiotico; quindi, sopravvivono e trasmettono questo carattere alla progenie, che sarà totalmente resistente. L’antibiotico perde di efficacia e si dovrà ricorrere a un altro tipo di antibiotico, ammesso che lo si trovi. Infatti alcuni batteri possono acquisire più di una resistenza, come i batteri MDR (multi-drug resistance) o superbugs.
Fig. 6
Fig.7
Il problema non riguarda solo il personale sanitario, ma ci coinvolge direttamente come cittadini: tutti possiamo e dobbiamo contribuire a ridurre il rischio dell’antibiotico-resistenza. Spesso le persone, senza consultare il medico, decidono la tipologia di antibiotico, la dose e il tempo di assunzione, utilizzando un farmaco spesso non appropriato per l’infezione in corso, in dosi non idonee e per tempi che sono generalmente inferiori rispetto a quelli necessari.
Gli studenti sono invitati a leggere le raccomandazioni del Ministero della Salute per un corretto uso degli antibiotici e a rappresentarle attraverso vignette. Il volantino potrà essere diffuso nelle famiglie, in altre classi, tramite il sito della scuola.
Contribuire a formare cittadini attivi, informati e responsabili è una delle finalità a cui deve tendere l’educazione civica.
Matescienze Live, L’Agenda 2030 nel curricolo di scienze, Vincenzo Boccardi e Giulia Forni