Far sentire la voce dei bambini

Le parole dei bambini sono preziose: a volte sono leggere, altre volte profondissime, capaci di rivelare un mondo interiore che aspetta solo di essere ascoltato. Come insegnanti, il nostro compito non è solo quello di insegnare loro a scrivere correttamente, ma soprattutto di aiutarli a scoprire la loro voce, a dare forma ai pensieri e alle emozioni che portano dentro.

Un modo per farlo è attraverso gli albi illustrati, strumenti potenti che intrecciano immagini e parole, lasciando spazio all’interpretazione, all’immaginazione e all’espressione personale.

Ascoltare le voci dei bambini

Scrivere è proprio un modo per far sentire la propria voce: non attraverso sterili esercizi, ma immergendosi in attività più profonde e vere. Per scrivere poi bisogna prima sentirsi accolti, in uno spazio dove ci sia modo di parlare e di esprimersi. E chi meglio della comunità di lettori e scrittori della classe e degli albi illustrati può darci questa possibilità? Quando leggiamo un albo in classe, non stiamo solo raccontando una storia: stiamo aprendo un dialogo, stiamo dicendo ai bambini che anche loro hanno qualcosa da dire, che il loro pensiero merita spazio.

Dopo la lettura, il silenzio è il primo segnale che qualcosa si sta muovendo: è proprio il momento in cui i bambini elaborano, interiorizzano. Poi arrivano i commenti, le osservazioni spontanee, quelle che spesso sorprendono, perché ci fanno vedere la storia con occhi diversi. È qui che nasce la scrittura: dall’ascolto autentico di ciò che i bambini pensano, sentono e vogliono dire, e soprattutto dall’ascolto reciproco della comunità di lettori e scrittori, che arricchisce tutti e ciascuno.

Il ricalco di scrittura: un ponte tra lettura e voce personale

Un buon modo per accompagnare i bambini a trovare la loro voce è il ricalco di scrittura. Non si tratta di copiare, ma di partire da un modello per trasformarlo in qualcosa di proprio. L’albo illustrato offre una struttura rassicurante: i bambini possono ricalcare lo stile, la sequenza, alcune espressioni, ma inserire il loro vissuto, i loro pensieri, i loro colori.

Come fare nella pratica?

  1. Leggere un albo insieme: non limitarsi a una lettura veloce, ma lasciare spazio alle osservazioni, ai dettagli, alle emozioni che emergono.
  2. Chiedere ai bambini di dire o scrivere una lista di cosa li ha colpiti: può essere una frase, un’immagine, una parola, un sentimento che la storia ha suscitato in loro.
  3. Scrivere ricalcando: si può partire riscrivendo un pezzo della storia cambiando qualche elemento, oppure trasformando una scena con il proprio punto di vista. 
  4. Dare valore alle parole dei bambini: ogni bambino scrive con il proprio stile, con le proprie idee. Non dobbiamo correggere in modo rigido, ma accogliere il loro modo di esprimersi e guidarli nella padronanza della scrittura.

Scrivere per raccontarsi

Il ricalco di scrittura non è solo un esercizio: è un modo per aiutare i bambini a raccontare sé stessi. Spesso non sanno da dove iniziare, hanno paura della pagina bianca. Ma se gli offriamo una guida, un punto di partenza, le loro parole troveranno il coraggio di uscire.

Quando un bambino scrive, ci sta affidando qualcosa di suo. Un pensiero, un frammento di mondo interiore. Sta dicendo: “Questa è la mia voce”. E il nostro compito, come insegnanti, è far sì che quella voce si senta forte e chiara.

Per approfondire scrittura e albi illustrati:

 

Queste riflessioni hanno guidato la scelta di inserire nei libri Magica Matilde un percorso per ogni classe che prenda spunto da un albo illustrato, dove bambini e bambine sono invitati a dire la loro sulle storie lette e condivise con insegnanti e compagni.

 

 

 

 

 

La moda a partire dal 2000: cambiamenti e nuovi modelli del fashion system

Nel primo ventennio del XXI secolo, si sono succeduti rapidi cambiamenti sotto l’aspetto della creazione, della produzione, della distribuzione e anche delle modalità di diffusione e di fruizione della moda stessa. Cambiamenti radicali, in particolare sotto il profilo della produzione, e una nuova consapevolezza sociale, politica e culturale, sono stati causati dall’avanzamento tecnologico e dalla globalizzazione. 

Uno degli aspetti più rilevanti dei cambiamenti sopraggiunti all’inizio del Duemila, riguarda da una parte la nascita di aziende che offrono prodotti di abbigliamento con forte contenuto moda a prezzi molto competitivi (fast fashion o low cost), dall’altro il fenomeno delle acquisizioni di numerosi brand storici della moda da parte dei grandi gruppi del lusso. 

In questa modifica ha comportato la sostituzione della figura dello stilista con quello del “direttore creativo” (un esperto del settore messo a capo di un team che coordina la collezione la quale, pur dovendo innovare, deve rispettare la tradizione del marchio senza perdere di vista la competizione sul mercato).

Il nuovo modo di produrre dà maggiore importanza al concetto di heritage (cioè dell’eredità culturale del brand), che si impone a scapito delle capacità di innovazione e di ricerca autonoma del fashion designer

Nell’impostazione produttiva delle holding del lusso finalizzata ad un rapido aumento dei profitti, il marketing prevale sulla fase di ideazione. Tutto ciò comporta che i direttori creativi siano sostituiti frequentemente, non soltanto se il fatturato non risponde alle aspettative dei finanziatori ma anche per evitare che lo “stile personale” prevalga sull’immagine “storica” della griffe.

La produzione di moda, attualmente, affronta tematiche quali le problematiche di genere, di inclusione e diversità, di sostenibilità ambientale e di equità. 

La pervasiva presenza dei social e della tecnologia, che ha raggiunto traguardi impensabili all’inizio del XXI secolo, coinvolge direttamente anche l’abbigliamento.

In questo quadro, un aspetto che ha assunto molta importanza è il fenomeno dello storytelling, che punta alla narrazione dei valori delle griffe, ora produttrici di simboli e status symbol grazie a film, video d’arte e performance. Lo storytelling è capace di trasformare ogni oggetto in racconto e, per traslazione, ogni racconto diventa uno strumento di legittimazione del brand. Che la comunicazione nel fashion system abbia ormai assunto un’importanza strategica, lo testimonia la sfilata A/I 2024/25  organizzata da Glenn Martens per Diesel, che ha messo in scena una sorta di “Truman show”, affinché tutti si sentano parte della community del brand.  Nell’invito alla sfilata, infatti, figura un QR code tramite il quale 1000 fan di Diesel da tutto il mondo hanno avuto libero accesso alle fasi di preparazione della sfilata: tre giorni di live stream durante i quali hanno potuto assistere e interagire virtualmente. 

Oggi la società è “ibrida”, “fluida”, cioè meno definita, e i giovani tendono a utilizzare elementi di diverse sottoculture che vengono condivisi non solo nelle strade o in luoghi di ritrovo fisici, ma principalmente sui social network. Molto spesso oggi coloro che lanciano nuove tendenze sono gli influencer: giovani con una grande cerchia di follower, o personaggi famosi.


Nuove tecnologie

Parlare di moda contemporanea oggi, significa parlare di wearable technology e di virtual fashion. In questo settore, l’interesse per i nuovi traguardi scientifici procede con le sperimentazioni e le ibridazioni sui materiali e sulle tecnologie indossabili applicabili agli indumenti, su cui tuttora si lavora ampiamente, fino ad arrivare alla produzione di proposte esclusivamente virtuali.

La virtual fashion rappresenta la connessione fra realtà virtuale e sartoria. La moda digitale, con la sua elaborazione tecnica, si avvicina molto a essere considerata una forma d’arte, poiché nel mondo reale questi abiti, completamente costituiti da pixel, non esistono.

L’azienda norvegese Carling, nel 2018, ha creato la sua prima collezione “Neo-Ex” costituita da diciannove capi digitali facendo il tutto esaurito in una settimana. “Neo-Ex”, nell’intenzione dei produttori, ha anche lo scopo di ridurre gli sprechi.

Il primo contatto del prêt-à-porter di livello alto con la moda virtuale si concretizza nel 2019 con la progettazione di abiti ispirati a personaggi del videogame “League of Legends”, progettati da Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton, tramite una partnership con la società di sviluppo americana Riot Games.

Nello stesso anno, Jeremy Scott, direttore creativo di Moschino, disegna una capsule collection per il videogame “The Sims” La capsule, oltre ai disegni pixelati e ai classici motivi “The Sims”, comprende accessori e abiti indossabili, una limited edition composta da otto capi disponibili nelle boutique della maison in tutto il mondo a partire da aprile 2019 e sul sito web.

L’haute couture si mostra sensibile alle novità tecnologiche con la fashion designer olandese Iris van Herpen, La designer presenta il suo primo abito stampato in 3D nella collezione P/E 2011, chiamata “Crystallization” distinguendosi per l’uso di nuove forme e nuovi metodi che ibridano l’alta sartoria con la tecnologia.

 

Altri argomenti che approfondiscono il complesso mondo della produzione e fruizione della moda, si possono rintracciare nel volume Storia della Moda e del Costume.

 

 

 

 

 

 

“Acqua in bocca…” anzi no! Meglio dirlo a tutti!

Il 22 marzo si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua, un’iniziativa nata nel 1992 durante la Conferenza di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite. L’evento nasce con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’acqua e promuovere una gestione responsabile delle risorse idriche di acqua dolce.

Tale tema è inoltre presente nell’AGENDA 2030 con il goal 6: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

Come si legge sul sito di WWF, la quantità di acqua dolce sul pianeta è circa il 3% delle risorse idriche, metà della quale è immagazzinata nei ghiacciai, ciò implica la necessità di educare ad un utilizzo responsabile delle risorse idriche, promuovendo una cultura del risparmio consapevole di questo bene prezioso.

Nelle nuove linee guida per l’insegnamento dell’Educazione Civica un percorso sull’acqua trova la sua collocazione nel traguardo per lo sviluppo della competenza n.7 “maturare scelte e condotte di tutela dei beni materiali e immateriali” del nucleo concettuale “Sviluppo economico e sostenibilità” dove si legge: “Riconoscere, con riferimento all’esperienza, che alcune risorse naturali (acqua, alimenti…) sono limitate e ipotizzare comportamenti di uso responsabile, mettendo in atto quelli alla propria portata.

 

Per parlare di questa giornata abbiamo pensato di partire da una panoramica sull’acqua, il ciclo dell’acqua e la necessità di preservare questo bene prezioso, per poi proporre delle attività che possano essere più centrate sul tema di educazione civica, oppure che possano essere collegate per tema e significato a questo argomento; infatti, la parola acqua ci permette di lavorare su aspetti differenti collegati alla lingua:

  • acqua come difficoltà ortografica
  • le parole della famiglia acqua 
  • il campo semantico della parola acqua.

MATERIALI

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LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

Le applicazioni dell’IA nel settore spaziale e dell’aviazione

Introduzione

Negli ultimi anni, l’Intelligenza Artificiale ha dimostrato un potenziale straordinario in numerosi settori, tra cui quello spaziale e dell’aviazione. La crescente domanda di spostamenti in aereo porta ad un aumento significativo dell’interesse nei confronti dello sviluppo dei velivoli e della loro manutenzione. Questo presupposto implica l’esigenza di ottimizzare le strategie legate alle operazioni di volo, servendosi anche di soluzioni tecnologiche attraverso l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. 

Inoltre, anche l’esplorazione spaziale sta assumendo un’importanza sempre crescente ed è fondamentale ottimizzare processi, missioni e sicurezza per assicurare un avanzamento tecnologico sempre più veloce ma allo stesso tempo efficiente

Vediamo insieme quali sono le migliori applicazioni dell’AI in questo settore!

Progettazione e sviluppo dei velivoli

Attraverso il “Machine Learning“, gli ingegneri sono in grado di sfruttare dei programmi che, partendo da dati iniziali, migliorino nel tempo le prestazioni di componenti meccanici, aumentando resistenza, rigidità ed efficienza. In questo modo, è possibile esaminare migliaia di configurazioni strutturali per ridurre peso e resistenza aerodinamica di un velivolo, migliorando allo stesso tempo la sicurezza.

Inoltre, questi programmi rendono possibile prevedere le caratteristiche di materiali compositi innovativi, partendo da alcuni dati relativi alle proprietà di materiali già esistenti, accelerando il processo di sviluppo.

Manutenzione predittiva

La manutenzione è senza dubbio un fattore cruciale nell’industria aerospaziale per evitare disastri strutturali e assicurare la massima sicurezza. Con “manutenzione predittiva” intendiamo l’analisi di dati mediante sensori installati su macchine e impianti, che permettono di identificare potenziali guasti prima che si verifichino. I sensori forniscono una comprensione più approfondita delle cause e delle raccomandazioni specifiche da seguire, che permettono di evitare attività di manutenzione non necessarie che comportano costi e tempi di inattività.

Automazione e controllo dei voli

Tra le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale, il volo autonomo è quella che, indubbiamente, suscita il maggior interesse. Lo scopo è quello di ridurre la dipendenza dai piloti umani senza tuttavia sacrificare i livelli di sicurezza che, al contrario, risultano sempre più elevati. Lo sviluppo di aerei commerciali completamente autonomi è ritenuto possibile dopo il 2035 per via dei numerosi anni di studio e analisi che precedono l’effettiva realizzazione di questo ambizioso progetto.

Attualmente, uno degli aerei autonomi ed ecosostenibili più famosi al mondo è sicuramente Odysseus, il cui collaudo si è svolto nel 2019, dopo circa un decennio di sviluppo. La struttura di Odysseus è realizzata principalmente in carbonio, caratteristica che lo rende leggero e resistente. È equipaggiato con motori elettrici alimentati esclusivamente da pannelli solari posizionati sulle ali e sulla fusoliera. Durante la notte, quando i pannelli non ricevono luce, l’aereo utilizza batterie che immagazzinano energia sufficiente durante il giorno. Grazie a questo sistema ecologico, l’aereo non necessita di ulteriori fonti di energia ed è in grado di volare indefinitamente. 

Esplorazione spaziale: Curiosity e Perseverance

L’interesse per l’esplorazione dello spazio sta crescendo, ed è proprio per questo motivo che, per rispondere a questa esigenza, c’è la necessità di applicare l’Intelligenza Artificiale a veicoli spaziali e satelliti. Essa è fondamentale per pianificare missioni di esplorazione planetaria, analizzare enormi quantità di dati e prevenire i rischi.

Una delle applicazioni più interessanti ed innovative è la navigazione autonoma dei rover Perseverance e Curiosity, che su Marte utilizzano complessi algoritmi per navigare in maniera indipendente su terreni sconnessi, evitando gli ostacoli. Perseverance possiede un sistema molto avanzato, che include una serie di telecamere ad alta risoluzione e sensori che permettono di creare mappe tridimensionali del terreno, permettendo al rover di orientarsi autonomamente ed evitare ostacoli in tempo reale. Inoltre, il rover è dotato di strumenti avanzati come lo SHERLOC, che utilizza algoritmi per analizzare i campioni di roccia più promettenti, riducendo il carico di lavoro umano. Negli anni, lo sviluppo di tale sistema è stato notevole, partendo, con Curiosity, da una velocità massima sul terreno di 20 metri all’ora fino ad arrivare, con Perseverance, ad una velocità massima di 120 metri all’ora.

Scoperta di nuovi esopianeti

Una delle missioni fondamentali della NASA che ha permesso la scoperta di tantissimi esopianeti è stata la missione del telescopio spaziale Kepler, il cui scopo era la ricerca e conferma di pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle diverse dal Sole.

I ricercatori hanno utilizzato algoritmi di Machine Learning per analizzare i dati forniti dal telescopio. Osservare pianeti così distanti è impossibile, proprio per questo Kepler non li osserva direttamente, ma rileva le variazioni nella luminosità delle stelle dovute al passaggio dei pianeti davanti a loro. Quando un pianeta transita davanti alla sua stella, porta a una momentanea riduzione della luminosità apparente per chi la sta osservando a distanza: misurando l’intensità e la frequenza della variazione della luce, Kepler può determinare se il cambiamento è dovuto al passaggio del pianeta in esame o al comportamento della stella, grazie all’addestramento dei computer da parte dei ricercatori e delle ricercatrici.

Questo metodo consente anche di ipotizzare dimensioni e caratteristiche dei pianeti scoperti. L’Intelligenza Artificiale ha dimostrato di essere in grado di confermare la presenza effettiva di un pianeta con un’accuratezza del 96%. 

Falcon 9: i sistemi di atterraggio di SpaceX

Falcon 9 è un razzo riutilizzabile a due stadi progettato e prodotto da SpaceX per il trasporto di persone e carichi utili nell’orbita terrestre e oltre. La riutilizzabilità consente a SpaceX di rilanciare le parti più costose del razzo, il che a sua volta riduce il costo dell’accesso allo spazio. Questo razzo utilizza un sistema di guida, navigazione e controllo basato su sensori avanzati, GPS e algoritmi ad apprendimento automatico che forniscono al razzo la sua posizione esatta durante la fase di rientro e la traiettoria ottimale basandosi su atterraggi effettuati in passato.

Il primo stadio è in grado tornare sulla Terra in modo indipendente e atterrare verticalmente su una piattaforma predeterminata, in acqua o sulla terraferma. Per rendere ottimali le manovre, è inoltre necessario utilizzare delle telecamere ed analizzare i dati metereologici per far sì che il razzo possa adattarsi a condizioni avverse come onde e vento.

Conclusioni

L’Intelligenza Artificiale, come abbiamo visto, sta rivoluzionando il settore aeronautico e spaziale, migliorando la sicurezza, l’efficienza e l’affidabilità delle missioni. Grazie a sistemi avanzati di analisi dati e apprendimento automatico, gli ingegneri possono prendere decisioni più rapide e precise, riducendo i rischi e massimizzando le risorse disponibili.

Con il continuo sviluppo di tecnologie intelligenti, il futuro dell’aerospazio vedrà una crescente integrazione dell’IA. La sua evoluzione non solo renderà lo spazio più accessibile, ma potrebbe anche rappresentare un passo fondamentale verso l’esplorazione interplanetaria e la colonizzazione di nuovi mondi.

Biografia Autrice

Ilaria Sanna è attualmente una studentessa al terzo anno di Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Milano. Nata a Roma ma cresciuta tra Modena e Bologna, ha frequentato un Liceo Linguistico Quadriennale per poi appassionarsi alle materie scientifiche, più nello specifico in ambito spaziale e dell’aviazione.

Attualmente è parte dell’associazione studentesca Skyward Experimental Rocketry del Politecnico di Milano, che ha come ambizioso progetto annuale la progettazione e la costruzione di un razzo-sonda sperimentale. Le piace riempire il tempo libero dedicandosi al volontariato e all’attività fisica, oltre che contribuire al progetto di Generazione Stem. 

Sitografia e approfondimento

Aviazione

Spazio

A voce alta. La Giornata della Voce: dare spazio all’espressione orale in classe

La Giornata Mondiale della Voce (World Voice Day) è stata istituita nel 1999 in Brasile, con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione verso il corretto uso di questo strumento, soprattutto tra coloro che lo usano in modo professionale: insegnanti, cantanti, attori e oratori.

Una ricorrenza poco nota ma che merita di essere posta al centro di una riflessione, anche in considerazione del fatto che proprio attraverso la voce i bambini, come gli adulti, esprimono emozioni, raccontano storie, costruiscono relazioni. 

Il 16 aprile, Giornata Mondiale della voce, può essere quindi un’occasione preziosa per riflettere sull’importanza dell’espressione orale nella scuola primaria e per proporre attività che aiutino i bambini a usare la propria voce in modo efficace, consapevole e creativo.

Perché lavorare sulla voce con i bambini?

L’oralità è alla base di ogni apprendimento. Parlare bene significa pensare meglio, ascoltare in modo più attivo e sviluppare fiducia in se stessi. Un bambino che sa esprimersi con chiarezza e sicurezza sarà più pronto ad affrontare le sfide scolastiche e sociali. Come sappiamo, la scuola ha tradizionalmente concentrato la sua attenzione sulla scrittura, la lettura viene proposta soprattutto come attività silenziosa e spesso le occasioni legate al parlato sono strutturate e confinate  a momenti specifici della giornata. Verrebbe  da domandarsi, quindi: quale spazio dedico a questo aspetto, nella mia didattica? 

Un buon punto di partenza può essere l’utilizzo di strumenti che accompagnano i bambini e le bambine alla scoperta delle proprie potenzialità espressive, ma su questo faremo un focus specifico al termine dell’articolo.

Attività pratiche per valorizzare la voce in classe

Per celebrare la Giornata della Voce e per integrare l’educazione all’oralità nella routine scolastica, ecco alcune proposte operative adatte alla scuola primaria.

1. Il gioco delle emozioni

Obiettivo: modulare la voce per esprimere stati d’animo diversi.

  • Scrivere su bigliettini diverse emozioni (gioia, paura, rabbia, sorpresa, tristezza…).
  • Un bambino pesca un bigliettino e deve pronunciare una frase assegnata dall’insegnante con l’emozione indicata (es. “Oggi c’è il sole” detto con tristezza).
  • Gli altri compagni provano a indovinare l’emozione.
  • Variante: usare filastrocche o brevi testi narrativi.

2. Il microfono immaginario

Obiettivo: favorire la sicurezza nel parlare in pubblico.

  • Creare un “microfono immaginario” (o usarne uno finto) per far esprimere i bambini davanti alla classe su argomenti semplici (es. “Parla del tuo animale preferito” o “Racconta una cosa divertente che ti è successa”).
  • Incoraggiare la varietà di tono, ritmo e volume.
  • Premiare l’originalità e la capacità di coinvolgere il pubblico.

3.  Parole in movimento

Obiettivo: esplorare il legame tra voce e corpo.

  • Scegliere parole evocative (es. “vento”, “fulmine”, “mare calmo”, “allegria”).
  • I bambini devono pronunciarle e accompagnarle con un movimento che ne esprima il significato.
  • Variante: creare una sequenza di parole per costruire una piccola performance vocale e gestuale.

5. Sussurra, parla, grida

Obiettivo: modulare il volume della voce.

  • L’insegnante dice una frase e i bambini devono ripeterla in tre modalità: sussurrando, parlando normalmente e gridando (senza esagerare).
  • Si riflette insieme su quando è più appropriato usare ciascuna modalità nella vita quotidiana.

Un alleato per dare voce ai bambini

L’educazione alla voce e all’espressione orale non dovrebbe essere relegata a un solo giorno all’anno, ma far parte integrante della proposta didattica di ogni insegnante. Per questo, all’interno del sussidiario dei linguaggi “Le storie di Gea”, abbiamo inserito una novità assoluta in ambito editoriale: il  “Taccuino per esprimersi”. 

Per scrivere, sì, ma anche per parlare, come recita il sottotitolo, nel taccuino i bambini e le bambine hanno la possibilità di mettersi alla prova con attività specifiche per organizzare l’espressione orale  in forma laboratoriale: dall’organizzazione di un discorso alla difesa del proprio punto di vista. 

In questa Giornata della Voce, dunque, celebriamo l’importanza di dare spazio ai bambini per raccontarsi, giocare con le parole e scoprire la potenza della loro espressione. Perché una voce allenata che sa come esprimersi è una mente che pensa e riesce ad affrontare le mille sfide quotidiane a cui va incontro.

Veleni cromatici: quando il colore può uccidere

Difficilmente contemplando un bel dipinto pensiamo ad una scia di morte che dura da secoli o addirittura da millenni. Eppure, soprattutto un tempo, avere a che fare con il colore significava correre dei rischi per la salute non indifferenti, spesso mortali. Dal piombo al mercurio, passando per l’arsenico e il cianuro, la storia dell’arte e della moda è punteggiata di pigmenti che contengono elementi chimici potenzialmente letali. Eppure, senza questi elementi tossici non avremmo mai avuto la maggior parte delle opere d’arte che oggi conserviamo nei musei e che hanno ispirato l’umanità. Alcuni di questi colori hanno avvelenato lentamente generazioni di pittori e tintori, altri hanno tinto gli abiti e decorato per anni le pareti delle case e di chi voleva essere alla moda. Analizziamo i principali. 

Rosso: Il fascino color sangue del cinabro e del minio

Il rosso è il colore della passione, del potere e… dell’intossicazione da mercurio. Il cinabro, noto anche come vermiglione, è un minerale rosso brillante costituito da solfuro di mercurio (HgS) è tanto bello e ipnotico, quanto velenoso. I minatori che lo estraevano vivevano poco, i pittori che lo maneggiavano poco di più. Durante l’epoca romana, le miniere di cinabro erano considerate luoghi estremamente pericolosi. Schiavi e prigionieri erano spesso costretti a lavorarvi, affrontando le esalazioni letali di mercurio. Questa pratica era talmente rischiosa che equivaleva senza possibilità di scampo a una condanna a morte. Le prime tracce dell’uso del cinabro risalgono al Neolitico, con ritrovamenti a Çatalhöyük, in Anatolia, datati tra l’VIII e il VII millennio a.C. In Cina, già nel 1500 a.C., il cinabro veniva impiegato sia come pigmento che in pratiche alchemiche. Nell’antica Roma, era apprezzato per la sua tonalità vivida, nonostante la ci fosse già la consapevolezza dei rischi associati alla sua manipolazione. Questo non impediva alle matrone di impiegarlo per arrossare le guance o come rossetto: serviva a dare al viso un tono rosato “sano”, passando sopra ai possibili rischi in nome della bellezza. Il cinabro offre una tonalità di rosso senza eguali, se si è disposti ad ignorare la tossicità del mercurio. La polvere di cinabro, se inalata o ingerita, può causare gravi avvelenamenti da mercurio. Nonostante ciò, la sua popolarità è perdurata nei secoli, spesso a scapito della salute di artisti e artigiani. Fu utilizzato anche in Messico e Perù già in epoca pre-colombiana e anche in India, dove veniva impiegato anche come medicinale. Si utilizzò per tutto il medioevo (ce ne parla anche Cennino Cennini) e lo ritroviamo fino all’età moderna, dove venne gradualmente sostituito dal vermiglio, meno caro e sicuramente meno tossico. Scomparve dalle tavolozze, ma rimase negli armadietti dei medici: veniva infatti impiegato come farmaco per la sifilide, fino al divieto del suo uso nel XIX secolo. 

Anche il minio è un minerale presente in natura e si tratta di un ossido misto di piombo(II) e piombo(IV). Il suo nome deriva dal latino minium, probabilmente collegato al fiume Miño in Spagna, vicino al suo luogo di estrazione più famoso. Questo pigmento era ampiamente usato fin dall’antichità per affreschi, manoscritti miniati (da cui il termine miniatura) e decorazioni architettoniche. Nel Rinascimento, il minio venne impiegato anche nella pittura a olio, sebbene la sua forte tendenza a scurire nel tempo ne abbia limitato l’uso. Tra le opere che ne conservano traccia troviamo gli sfondi e le vesti di alcune icone medievali e i dettagli architettonici in affreschi romani di Pompei. La sua tossicità, dovuta alla presenza di piombo, ha portato nel tempo al suo abbandono, ma anche in questo caso il suo ruolo nella storia dell’arte resta innegabile. Restava uno dei pochi modi insieme al tossico realgar (a base di arsenico) per ottenere l’arancione fino alla scoperta dei composti del cromo. 

Verde: C’è dell’arsenico sulle mie pareti

Un altro pigmento altrettanto affascinante quanto pericoloso è il verde di Scheele, un composto a base di arsenico scoperto nel 1775 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele. Questo verde brillante trovò rapidamente applicazione nella pittura e nella decorazione, ma la sua instabilità e la sua tendenza a scurire ne limitarono l’uso artistico. Per risolvere questi problemi, venne sviluppato il verde di Parigi (o verde di Vienna), una variante più resistente alla luce e dal colore ancora più intenso. Questo nuovo pigmento, una polvere cristallina di un verde straordinariamente brillante, trovò impiego non solo nella pittura, ma anche in ambiti molto meno prevedibili.

Il nome verde di Parigi deriva dal suo utilizzo nell’Ottocento per derattizzare le fogne della capitale francese. Tuttavia, la sua diffusione andò ben oltre la lotta ai topi: questo verde straordinariamente attraente finì per colorare di tutto, dai gilet alle scarpe, dai guanti ai pantaloni, dalle candele alla vernice. Persino le decorazioni per dolci e i giocattoli per bambini contenevano questa polvere velenosa. L’impiego più diffuso e letale fu probabilmente nelle carte da parati. Sul finire del XIX secolo, più della metà delle carte da parati conteneva pigmenti a base di arsenico, compresi il verde di Scheele e il verde di Parigi. Questi colori risultavano estremamente economici da produrre e garantivano una resa estetica straordinaria, ma nascondevano un insidioso pericolo. Nonostante le evidenze scientifiche sulla pericolosità dell’arsenico, ci fu per molto tempo un forte scetticismo. Questo elemento era infatti utilizzato in ambito medico e cosmetico: nel periodo vittoriano, era assunto come integratore per migliorare la carnagione, con il risultato di ottenere una pelle bluastra e traslucida. L’arsenico veniva prescritto per l’asma, il tifo, la malaria, i dolori mestruali e persino la sifilide. Ancora oggi si conservano pubblicità dell’epoca che promuovono cialde e saponi a base di arsenico, considerati miracolosi per la bellezza della pelle. Tuttavia, sembra che la quantità di composti tossici emessi dalla carta da parati non fosse sufficiente a uccidere direttamente.

Ciò non ha impedito a qualcuno di ipotizzare che una morte illustre fosse legata a questa sostanza. Nel 1961, l’analisi di un campione di capelli di Napoleone Bonaparte rivelò una concentrazione di arsenico molto elevata, mettendo in discussione la sua presunta morte per cause naturali. I sintomi mostrati dall’imperatore nelle ultime settimane di vita erano compatibili con un avvelenamento da arsenico, e si sapeva che le pareti della sua residenza sull’Isola di Sant’Elena erano rivestite con carta da parati colorata con pigmenti tossici. Per decenni, la teoria dell’avvelenamento tenne banco, fino a quando uno studio del 2011 escluse definitivamente questa ipotesi. Verso la metà dell’Ottocento, il verde cadde progressivamente in disgrazia, soprattutto nell’arredamento. Qualche dama audace continuò a indossarlo, ma la sua reputazione era ormai compromessa. Si racconta che la Regina Vittoria avesse sviluppato una vera e propria fobia per questo colore, temendo per la sua salute e quella della sua famiglia.

Giallo: Il Traditore al Piombo

Il giallo di Napoli, noto anche come giallo antimonio-piombo, ha una storia affascinante e pericolosa. I Romani lo usavano per decorare le loro ville, gli Egizi lo mescolavano nelle pitture tombali e nel Rinascimento era tra i colori prediletti per le tele dei grandi maestri. Tuttavia, oltre a dare luminosità ai dipinti, aveva anche la fastidiosa caratteristica di avvelenare chi lo maneggiava con troppa leggerezza. Il giallo di Napoli era una miscela di piombo e antimonio, due elementi che oggi sappiamo non sia saggio spalmare sulle pareti di casa nostra o, peggio, sulle dita mentre dipingiamo. Ma nei secoli passati, la consapevolezza del rischio era piuttosto labile: se un pigmento era bello, perché preoccuparsi se faceva venire strane febbri e ulcere cutanee?

Anche l’’adorato giallo di Van Gogh, il cromato di piombo, era tanto luminoso quanto letale. Più lo si manipolava, più il rischio di avvelenamento aumentava. Ma il pittore olandese non fu l’unico a innamorarsi di questa tinta pericolosa.Non meno pericoloso era il giallo di cadmio, scoperto nel XIX secolo e ampiamente utilizzato dagli impressionisti. Questo giallo brillante e intenso aveva una resistenza superiore rispetto ai suoi predecessori e conquistò immediatamente gli artisti. Tuttavia, il cadmio non è esattamente un toccasana per la salute: inalare le sue polveri poteva causare seri problemi ai polmoni e, in alcuni casi, avvelenamenti letali. Eppure, pittori come Monet, Matisse e Picasso non se ne preoccupavano troppo: la ricerca della luce perfetta da fissare nei loro dipinti valeva qualche rischio per la salute.

Arancione: Tubetti radioattivi

Un tempo i modi per ottenere l’arancione non erano molti. L’arancione di realgar, un solfuro di arsenico, garantiva almeno qualche visita al cerusico locale. Poi, come abbiamo visto, c’era il minio, un ossido di piombo ross-arancio che ha decorato affreschi e manoscritti per secoli, avvelenando impietosamente chi lo usava senza precauzioni. Ma quando si dice che l’arancione è un colore caldo…a volte lo si intende in senso letterale, soprattutto quando parliamo di colori radioattivi. Questo pigmento, derivato dai sali di uranio, conobbe il suo momento di gloria nel XX secolo, quando venne impiegato per smalti ceramici, vetri decorativi e perfino quadranti di orologi. Il più famoso tra questi materiali fu il Fiestaware, una linea di ceramiche prodotta negli Stati Uniti a partire dagli anni ’30, caratterizzata da un acceso arancione ottenuto grazie all’ossido di uranio.

L’entusiasmo per i materiali di questo tipo raggiunse il suo apice negli anni 30’ e durò fino agli anni 50’. Ancora oggi possiamo trovare piatti arancione radioattivi nei mercatini vintage, basta essere equipaggiati con un contatore Geiger per scovarli. 

Bianco: Il Fantasma letale del piombo

Tra tutti i pigmenti bianchi della storia, la biacca, o bianco di piombo, è stata senza dubbio la più celebre e la più letale. Utilizzata sin dall’antichità, questa sostanza a base di carbonato basico di piombo garantiva una copertura perfetta e una luminosità senza pari. I pittori fiamminghi e rinascimentali la adoravano per la sua capacità di conferire profondità e volume alle carnagioni, donando una lucentezza quasi tridimensionale. Tuttavia, a fronte di tanta bellezza, c’era un problema non trascurabile: la biacca è altamente tossica.

La sua produzione, che prevedeva l’esposizione del piombo a vapori di aceto in camere sigillate, era un processo tanto ingegnoso quanto pericoloso per gli artigiani che la maneggiavano. Già gli antichi Romani ne conoscevano gli effetti nocivi, eppure il fascino di questo pigmento persistette per secoli. Famosi artisti come Rembrandt, Tiziano e Velázquez ne fecero largo uso, ignari o forse noncuranti dei danni che il piombo poteva causare al loro organismo. Il problema non riguardava solo i pittori: la biacca era anche un ingrediente nei cosmetici, con risultati devastanti per la salute di chi ne faceva uso.

Nel XIX secolo, con l’avvento di alternative meno pericolose come il bianco di zinco e il bianco di titanio, la biacca iniziò a perdere popolarità, sebbene continuasse a essere usata per la sua ineguagliabile resa pittorica. Oggi è vietata nella maggior parte dei paesi, ma i restauratori e alcuni artisti tradizionalisti ancora la impiegano con cautela. L’arte, si sa, pretende sacrifici—anche se, fortunatamente, sempre meno letali.

Blu: Bello e Maledetto

Il blu sembra un colore rassicurante, ma non sempre è così. ll blu, colore dell’infinito e associato alla calma, ha avuto una storia tutt’altro che serena quando si tratta di pigmenti. Alcuni dei blu più iconici della storia dell’arte sono stati, in realtà, tra i più tossici e insidiosi mai utilizzati. Tra questi, il Blu di Prussia e il Blu di Cobalto si distinguono per bellezza… e pericolosità.

Scoperto per caso nei primi anni del XVIII secolo, il Blu di Prussia (ferrocianuro ferrico) permise di ottenere un blu intenso e stabile: il solo vero blu affidabile, prima, era il lapislazzuli macinato, noto come blu oltremare, che costava quanto l’oro. Il Blu di Prussia divenne dunque una rivoluzione per gli artisti, rendendo il blu accessibile. Si diffuse rapidamente nelle tavolozze di tutta Europa.

Ma, come spesso accade, la sua formula nascondeva un lato oscuro. Il nome ferrocianuro potrebbe far suonare qualche campanello d’allarme, e a ragione: il pigmento può rilasciare acido cianidrico, una delle sostanze più tossiche conosciute, se riscaldato o mescolato con acidi forti. Insomma, una splendida tonalità di blu con il potenziale di trasformarsi in qualcosa di pericoloso.

Paradossalmente, il Blu di Prussia è anche un antidoto per l’avvelenamento da tallio. Grazie alla sua struttura chimica, questo pigmento è in grado di legarsi ai metalli pesanti nell’organismo e facilitarne l’espulsione. Un altro protagonista nella saga dei colori tossici è il Blu di Cobalto, una tonalità straordinariamente vibrante amata da artisti come Van Gogh e Monet. Scoperto alla fine del XVIII secolo, questo pigmento venne salutato come un’alternativa più stabile al Blu di Prussia e all’oltremare naturale. Luminoso, resistente e perfetto per cieli e ombre profonde, il Blu di Cobalto divenne una presenza fissa nelle tavolozze dell’arte moderna.

Tuttavia, il cobalto non è esattamente un ingrediente da maneggiare con leggerezza. L’inalazione prolungata delle sue polveri può causare avvelenamento cronico, problemi respiratori e disturbi neurologici. Inoltre, il cobalto veniva utilizzato anche per smalti e ceramiche, e chiunque abbia lavorato con questi materiali senza precauzioni si esponeva a rischi non trascurabili. Il fascino del Blu di Cobalto era così irresistibile che venne impiegato perfino nei cosmetici e nei coloranti per vetro, senza troppe preoccupazioni per le sue conseguenze sulla salute. Anche oggi è ancora in uso nella pittura artistica, ma con precauzioni maggiori rispetto al passato.

Oggi i colori tossici sono quasi tutti sostituiti da versioni più sicure, ma il fascino della loro storia a tratti sinistra rimane. Ogni pennellata del passato era un rischio e poteva avvicinare di un passo alla tomba. Forse oggi non rischiamo più di intossicarci dipingendo un tramonto, ma possiamo ancora ammirare la bellezza di quei gialli letali sulle tele dei grandi maestri, consapevoli del prezzo che alcuni artisti hanno pagato per regalarci la loro arte.

Puoi scoprire di più sui grandi maestri del passato e sulle loro opere nella Novità 2025 Chimica per l’arte di Edizione Calderini.

 

 

 

 

 

 

Primi giorni in… Prima

Trasformare la classe in laboratorio per aiutare i bambini e le bambine ad ambientarsi, a conoscersi e a prendere confidenza con l’ambiente scolastico attraverso l’uso del quaderno dell’accoglienza.

Partiamo dall’idea che il quaderno non deve ridursi a mero strumento di intrattenimento o a un semplice pretesto per un’attività pratica; attraverso le indicazioni dell’insegnante lo scopo è la sensibilizzazione del bambino/a (e dell’adulto che lo accompagna) verso l’oggetto-libro, verso l’ascolto attivo, l’osservazione e la curiosità che il quaderno riesce a suscitare.

Le attività pratiche che il quaderno contiene mirano a rafforzare la conoscenza attivando vari sensi, rielaborando le immagini osservate, tagliando e costruendo con i propri strumenti: le mani. La carta, la colla, i pastelli, le forbici, il movimento, il gioco di ruolo… dipende dall’attività proposta.

I suggerimenti, le idee e gli esempi offriranno diversi strumenti tra cui scegliere in base alle proprie attitudini, dando libertà sul soggetto da realizzare e sulla modalità di farlo.

Lo scopo principale è rafforzare l’armonia di gruppo e la conoscenza reciproca. Vogliamo che i bambini  e le bambine apprendano con una tecnica artistica e creativa, che imparino giocando e divertendosi fin dal prino giorno. Scegliamo le illustrazioni da far realizzare. Seguiamo gli esempi  forniti e offriamo loro tutto il necessario per sperimentare e fare propria quella tecnica, che diventerà un’ulteriore risorsa per esprimersi e raccontarsi e … apprendere passo dopo passo.

Nell’articolo proposto si trovano le diverse attività da proporre ai piccoli durante la prima settimana di frequenza della scuola primaria; possono essere spunti utili per tutti e tutte le insegnanti alle prese con una prima.

Ma perché no,  anche per i genitori che desiderino accompagnare il lavoro delle insegnanti e incoraggiare i propri bimbi e bimbe con attività adatte allo scopo.

Buon lavoro!

 

Buon lavoro a tutti i bambini e a tutte le bambine con Magica Matilde.

 

 

 

 

 

 

 

Rischi naturali e gestione delle risorse minerarie: con una laurea in geologia puoi fare molto per il nostro pianeta!

Se pensi che la geologia sia solo lo studio delle rocce sappi che ti sei fatta/o un’idea completamente sbagliata e che le cose non potrebbero essere più diverse di così. Diventare geologi, infatti, significa contribuire alle sfide attuali e future relative agli scenari del cambiamento climatico e della transizione energetica. 

RISCHI NATURALI: Non solo prevenzione ma anche innovazione

L’Italia è un territorio geologicamente giovane, variegato nelle litologie e attivo sia dal punto di vista tettonico che vulcanico. Sebbene abbia delle dimensioni modeste in confronto ad altri paesi, presenta una variabilità morfoclimatica enorme, oltre a collocarsi all’interno di un’area, quella del Mediterraneo, che ormai da tempo sappiamo essere laboratorio di osservazione per gli eventi estremi del cambiamento climatico. Insomma, l’Italia ha tutte le carte in regola per essere esposta a qualsiasi tipo di rischio naturale. 

La buona conoscenza geologica di fenomeni quali frane, alluvioni e terremoti è pertanto essenziale, ma insufficiente. Ecco perché il/la geoscienziato/a moderno/a è chiamato/a a studiare il territorio non solo per valutare la pericolosità di questi eventi ma anche per proporre soluzioni efficaci per la sicurezza di infrastrutture e in generale degli insediamenti umani.

Oggi il/la geologo/a non opera più solo guardando alla sfera naturale dei processi, ma li contestualizza in quello che è un territorio sempre più urbanizzato che porta su di sé il peso di scelte di pianificazioni territoriali errate avvenute nei decenni successivi al secondo dopoguerra. 

Ok, ma in che modo svolge questo tipo di analisi?

Immagini satellitari, software, linguaggi di programmazione e strumenti di GeoAI (Geospatial Artificial Intelligence) oggi, per molti/e geologi e geologhe, sostituiscono bussola e martello, richiedendo si, un approccio multidisciplinare e uno sforzo di comprensione che verte sulle sfere dell’informatica e della statistica ma che in mano ad un/a professionista del settore rappresentano la cassetta degli attrezzi che da qui ai prossimi anni si rivelerà sempre più essenziale!

 

Dalla roccia, ai minerali fino all’interruttore della luce di casa nostra: ecco come la geologia entra nelle nostre case.

Ma quindi il/la geologo/a non studia più le rocce? 

Certo che sì, ma il suo ruolo è estremamente variegato ed ha anche a che fare con la nostra quotidianità e la sicurezza del nostro territorio. Ad esempio, oggi più che mai dipendiamo dall’energia e ne abbiamo bisogno per qualsiasi cosa. Dall’uso semplice e quotidiano dei dispositivi elettronici, passando per l’intero sostegno della rete dei trasporti, fino al monitoraggio del territorio. Insomma, garantirci energia continua e pulita è una questione anche di sicurezza nazionale. 

Eppure, non esiste una singola fonte energetica che non abbia a che fare in qualche maniera con il settore geologico. Forse non li vedi all’interno degli impianti energetici, ma i geologi sono il primo tassello alla base del sistema che passa dal reperimento della fonte energetica al suo arrivo nelle nostre case. Se fino ad oggi hai pensato che tale professionista fosse solo coinvolto/a nella ricerca del petrolio ti sbagliavi. Garantire energia pulita sempre e costantemente è la grande sfida della transizione energetica e vede in prima linea nel dietro le quinte proprio questi/e scienziati/e.

In particolar modo è la ricerca di materiali critici come litio, nichel, cobalto e terre rare, necessari per la produzione di dispositivi elettronici e fonti rinnovabili, ad essere affidata proprio ai/alle geoscienziati/e. 

Ma cosa c’entrano questi elementi chimici con le fonti di energia pulita? 

Vengono utilizzati, per esempio, per produrre le batterie dei veicoli elettrici, per la costruzione degli accumulatori richiesti per modulare la produzione discontinua della maggior parte delle fonti rinnovabili o per la produzione di magneti permanenti per le turbine eoliche.

In sintesi, sono indispensabili per l’elettrificazione dei trasporti, lo sviluppo delle energie rinnovabili e il miglioramento dei sistemi di accumulo, contribuendo direttamente alla decarbonizzazione e alla lotta contro il cambiamento climatico. In questo contesto, però, l’attento sfruttamento di queste risorse è essenziale per non rischiare contaminazioni ambientali ed esporre la popolazione a rischi per la salute umana. Ecco, quindi, che i/la geologi/he rivelano, anche in questo settore, la loro importanza identificando giacimenti, valutando la sostenibilità delle estrazioni e proponendo alternative per ridurne l’impatto ambientale. 

Scegliere di studiare geologia significa entrare a far parte di una comunità di esperti ed esperte che, con conoscenza e responsabilità, contribuisce a costruire un futuro più sicuro, sostenibile e rispettoso.

 

Rubrica a cura di Generazione Stem

 

Fonti e approfondimenti 

Rischi geologici: conoscere per capire, capire per mitigare

Il ruolo delle geoscienze nella transizione energetica

Tecnologie per le smart city

 

Biografia autrice 

Silvia Ilacqua è Geologa e Dottoranda presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, specializzata nell’uso del GIS e del Remote Sensing per lo studio e la gestione dei paesaggi costieri. Svolge da anni l’attività di Divulgatrice Scientifica sia sul campo che online sensibilizzando i giovani ai temi geologici e ambientali e avvicinando il pubblico alla figura del geologo.