L’energia fa girare il mondo

L’energia è un concetto fondante che coinvolge diversi ambiti disciplinari. Come trattarlo nella scuola secondaria di primo grado?

Nel libro di testo Tra le dita – Scienze da esplorare, l’Unità che studia l’energia è introdotta da un’immagine suggestiva – lampadine a forma di fiore (vedi fig.1 – in copertina)  – accompagnata da un testo che invita a riflettere sulla dipendenza dell’umanità dall’energia, il cui approvvigionamento crea conflitti sociali e politici.

La produzione e il consumo di energia hanno un costo elevatissimo per l’ambiente in termini di sfruttamento di risorse e di inquinamento. Si sottolinea l’urgenza di ridurre gli sprechi e di incentivare la diffusione di forme di energia poco inquinanti e poco impattanti, anche in previsione dell’esaurimento dei combustibili fossili. Attualmente è in atto una fase di transizione dalla cosiddetta energia “nera”, prodotta dai combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), verso l’energia “verde”, come quella solare o eolica, prodotta da fonti rinnovabili. Per completare tale processo sarà però necessario un periodo abbastanza lungo, dell’ordine di alcuni decenni, anche perché occorrerà contemporaneamente sostituire un gran numero di tecnologie e infrastrutture che utilizzano le fonti tradizionali. Servirà inoltre una grande attenzione alle tematiche ambientali: per una energia sostenibile occorre infatti pensare a una forma di sviluppo economico che consideri anche la salvaguardia dell’ambiente per le future generazioni. 

Nella doppia pagina che chiude l’Unità sull’energia, si approfondisce il tema dell’importanza dell’energia per la vita sulla Terra; si mette altresì in evidenza come le tappe più importanti del progresso dell’umanità siano legate alle scoperte di fonti di energia e di tecnologie per il loro uso, a partire dalla scoperta del fuoco.

Il termine energia dal punto di vista etimologico indica un’azione (εν “dentro, in” e  έργον “lavoro, azione”), esprime ciò che si deve spendere per trasformare qualcosa, ad esempio riscaldare, spostare, sciogliere.  

Nel libro Tra le dita abbiamo ritenuto opportuno introdurre il concetto di energia proprio a partire dalle sue trasformazioni fornendone una iniziale definizione intuitiva come la capacità di un corpo o di un sistema di produrre cambiamenti; l’energia non è qualcosa che si può vedere, toccare o sentire, essa si manifesta ovunque intorno a noi attraverso gli effetti dovuti al suo trasferimento da un corpo a un altro”. 

Secondo l’approccio IBSE, su cui è impostato il testo Tra le dita, la lezione che riguarda l’energia parte da un esempio emblematico e spettacolare di conversione dell’energia: le montagne russe. I carrelli della giostra solo inizialmente vengono portati nel punto più alto del percorso da una catena azionata da un motore; successivamente essi continuano la loro corsa senza bisogno che ci sia un motore a fornire energia. Come è possibile? 

Attraverso un Kahoot che viene lanciato in classe, e precede il momento della spiegazione, i ragazzi – individualmente o a squadre – rispondono ad alcune domande che aiutano l’insegnante a capire le idee e le probabili misconoscenze di studenti e studentesse su questo argomento (figura  2A). La ricerca didattica ha messo in evidenza che il concetto di energia è spesso confuso con quello di forza, potenza e, a volte, anche con lo stesso movimento. L’energia è per alcuni come un “ingrediente” che può essere usato quando se ne ha bisogno.  Attraverso una discussione, si conduce quindi la classe alla definizione intuitiva di energia precedentemente enunciata. A fine unità la classe sarà in grado di rispondere alle domande poste inizialmente e di completare il testo dell’esercizio (figura 2B).

Fig. 2A Fig. 2B 

 

L’energia è un tema ricorrente e fondamentale anche in biologia: un esempio è quello dell’endotermia che, pur essendo molto dispendiosa dal punto di vista energetico, nel corso dell’evoluzione animale si è affermata perché ha portato enormi vantaggi, come la possibilità di vivere in ambienti dal clima freddo dove molti ectotermi non potrebbero sopravvivere. La temperatura corporea degli animali endotermi, uomo compreso, viene regolata attraverso meccanismi di dissipazione e conservazione del calore come la sudorazione, i brividi, l’innalzamento del metabolismo legato a un maggior consumo di cibo; tutti complessi meccanismi, in gran parte automatici, che compensano l’aumento o la diminuzione della temperatura esterna.
Per facilitare la comprensione dei meccanismi omeostatici, il libro di testo Tra le dita propone una riflessione sul funzionamento del ferro da stiro o di qualsiasi altro apparecchio dotato di termostato con spia luminosa (figura 3).

 
Fig. 3

 

I vincoli energetici hanno influenzato numerosi percorsi evolutivi come l’incremento delle dimensioni e della complessità dell’encefalo durante il processo di ominazione, che ha comportato un aumento del consumo dell’energia metabolica, che si aggira intorno al 20% delle calorie introdotte. Per compensare l’enorme dispendio di un cervello così affamato di energia (come di tutte le strutture altamente specializzate), la specie umana ha alleggerito rispetto agli altri mammiferi il costo energetico di altre funzioni, come la digestione, anche grazie alla pratica di cuocere i cibi. In termini di sopravvivenza i vantaggi di un cervello sviluppato sono evidenti: lo sviluppo delle capacità cognitive, della comunicazione attraverso il linguaggio e del comportamento sociale sono alla base della straordinaria evoluzione biologica e culturale dell’uomo moderno (figura 4). 

 
Fig. 4 . Gli studenti confrontano i crani di alcuni ominidi. Il cervello di un australopiteco, nostro antenato estinto, era grande poco più di quello di uno scimpanzé, facendo ipotizzare capacità cognitive analoghe a quelle delle scimmie viventi; la fronte era sfuggente, mentre la mascella era sporgente. Nel corso dell’evoluzione, aumenta progressivamente il volume del cervello, il cranio diventa rotondeggiante e la fronte più ampia, mentre la mascella si riduce. 

Per approfondire

Scopri l’opera

  • Tra le dita – Scienze da esplorare, di A. Alfano, V. Boccardi, E. De Masi, G. Forni – Fabbri Editore – Rizzoli Education, 2022 – Testo di scienze per la scuola secondaria di primo grado

Corazones despechados

En la radio y en las discotecas campea la canción Bzrp Music Sessions #53 de Shakira, en la que la colombiana dispara certeramente contra su expareja. Todos hablan del “efecto Shakira” y del nuevo filón musical abierto. Sin embargo, este fenómeno no es nuevo. En pasado, muchos cantantes dejaron patente su despecho con mayor o menor sutiliza por el final traumático de un amor.

Algunos artistas que, como Shakira, en el momento más álgido del dolor, echaron en cara a sus parejas todo su desprecio por sus infidelidades (Rata de dos patas de Paquita la del Barrio y Ese hombre de Rocío Jurado), dejándoles claro que para ellos no había posibilidad de vuelta atrás y que regresaran por dónde han venido (Olvídame y pega la vuelta de Pimpinela).

Otros, todavía con la herida abierta, recriminaron a sus exparejas su nueva vida (Hawái de Maluma), diciéndoles que nadie los amaría como ellos y que según ellos se arrepentirían; o decepcionados les acusaron de destruir los proyectos y los sueños que ambos tenían (Qué hiciste de Jennifer López).

En cambio, cuando el dolor ya se había suavizado y ya se estaba elaborando la ruptura, hay canta-autores, como Julio Iglesias (Hey!) y José Luis Perales (¿Y cómo es él?), que lograron exponer su posición con elegancia y suavidad. Sin embargo, hay quiénes como Rosalía (Despechá) optó por cantar – con un descarado empoderamiento femenino y mucha ironía – que ella andaba “despechá”, “alocá” y que salía con su “baby de la disco coroná’”, pidiendo a Dios que la libre de volver a su lado. 

En resumidas cuentas, las rupturas nunca son ni bonitas ni sencillas, lo importante es saber canalizar el dolor. Yo, por mi parte, les agradezco a todos ellos sus temas porque me permiten enriquecer el vocabulario y las estructuras de mis alumnos de forma simpática y amena.

Incontrare il patrimonio, trovare se stessi

Ne parliamo con Simona Bodo, Silvia Mascheroni e Maria Grazia Panigada, co-fondatrici di Patrimonio di Storie

D: Dottoressa Bodo, prima di tutto, può presentarci Patrimonio di Storie: quando nasce, quale l’ambito di azione, la sua specificità?

SB: Patrimonio di Storie è un gruppo di lavoro cui Maria Grazia, Silvia Mascheroni ed io abbiamo dato vita nel 2011. Il nostro è un lavoro di mediazione del patrimonio culturale in chiave narrativa, che nel corso del tempo ci ha portato ad affinare un metodo al cui cuore vi è una forte convinzione: quella che il patrimonio debba essere reso “prossimo”, fatto risuonare con la vita delle persone; riteniamo sia questa la condizione necessaria non solo per salvaguardarlo e trasmetterlo alle generazioni future, ma per renderlo vivo e attuale agli occhi delle persone che lo incontrano oggi, in particolar modo i giovani.

Credo sia importante fermarsi a riflettere sul modo in cui percepiamo il patrimonio, chiedendoci se per noi sia solo un’eredità ricevuta, preziosa ma inerte, oppure un’opera aperta, in costante divenire, che possiamo interrogare e intrecciare ai nostri vissuti non solo per acquisire conoscenze, ma anche per attivare nuove riflessioni, consapevolezze, memorie, emozioni, relazioni.

Questa è la domanda al cuore del nostro lavoro, e questo è quanto abbiamo toccato con mano in questi 12 anni, a prescindere dalle persone con cui di volta in volta abbiamo lavorato (“nuovi cittadini”, giovani in età scolare o meno, anziani, volontari, detenuti, operatori museali, cittadini): stare insieme davanti a un’opera d’arte, dentro a una chiesa, in mezzo a una piazza, darsi tempo perché il patrimonio ci parli di sé e ci solleciti a parlare di noi, apre spazi inattesi e profondi di espressione di sé, di incontro e condivisione tra le persone, di riflessione sulla realtà che ci circonda.

È come se il patrimonio ci facesse da specchio, ci invitasse a intrecciare la nostra storia con la sua. Abbiamo lavorato in contesti diversi come le Gallerie degli Uffizi e la Pinacoteca di Brera, il Sistema museale del Chianti e del Valdarno Fiorentino e la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, il Museo Popoli e Culture del PIME a Milano, il patrimonio diffuso in terra bergamasca, la città di Cesenatico, e la cosa straordinaria, riscontrata in ogni esperienza da noi vissuta, è che qualsiasi patrimonio ci interroga con la stessa ricchezza e intensità, se a nostra volta siamo disposti a interrogarlo, anziché limitarci a uno sguardo distratto. 

D: Dottoressa Panigada, quali sono le peculiarità della narrazione in chiave autobiografica, anche rispetto allo “storytelling” di cui tanto si parla? Come si applica nella relazione con il patrimonio culturale museale e diffuso?

MGP: Il nostro metodo di lavoro – questa è la peculiarità che ci contraddistingue – attinge alla grande tradizione del teatro di narrazione italiano. È dall’intreccio tra quest’ultimo e gli altrettanto preziosi saperi dell’educazione al patrimonio che nasce una visione della narrazione non come atto performativo, bensì come atto quotidiano ed elemento fondamentale della relazione umana: si narra per il desiderio e l’urgenza di comunicare, di condividere i propri vissuti, i propri pensieri, i propri sogni, facendo appello non tanto a tecniche oratorie, quanto piuttosto ad abilità espressive ed emotive. Questa esperienza attraversa la storia umana nei tempi e alle latitudini più diverse.

Il linguaggio della narrazione, in altre parole, è universale. 

Non solo: a differenza del linguaggio di una tradizionale visita guidata, ci interpella in prima persona (non come un pubblico indistinto), mettendo in moto quelle risonanze che l’incontro con un’opera d’arte, un oggetto o una qualsiasi testimonianza patrimoniale (anche intangibile) suscita nell’esperienza e nel vissuto personale di ognuno, se ci diamo il tempo per guardarle in profondità.

Ed è qui che entra in gioco un altro elemento fondamentale del nostro lavoro: il potenziamento dell’ascolto e dello sguardo. 

La prima fase dei nostri progetti ha sempre luogo in uno spazio “neutro”, e consiste in un laboratorio di narrazione dove le capacità di osservazione, descrizione e ascolto (un buon narratore, non dimentichiamolo, è innanzitutto un buon ascoltatore) delle persone con cui lavoriamo sono progressivamente dilatate attraverso esercitazioni intorno a luoghi, oggetti e memorie personali.

Una volta “in presenza” del patrimonio culturale, queste capacità aiuteranno il “narratore” a lasciarsi interpellare e sollecitare da ciò che guarda senza filtri e preconcetti: individuati gli elementi (ricordi, esperienze, tracce di vita…) su cui concentrare l’attenzione, il nostro compito è quello di accompagnare le persone nello sviluppo di narrazioni dove l’imprescindibile contenuto conoscitivo si intreccia alla dimensione del racconto.

Tutto questo avviene con il sostegno del gruppo, che fa da cassa di risonanza: la narrazione del patrimonio ha un risvolto relazionale importantissimo, e questo è un aspetto che nei nostri progetti rivolti a ragazzi in età scolare ha sempre assunto un significato particolare.

D: Dottoressa Mascheroni, la narrazione in chiave autobiografica può essere una risorsa per i saperi disciplinari e per promuovere anche l’espressione di sé? 

SM: Ogni disciplina si caratterizza per i suoi saperi esperti, i concetti chiave, le acquisizioni inerenti alla metodologia della ricerca, che sono imprescindibili nell’azione di insegnamento-apprendimento. Possono essere vivificati grazie all’utilizzo della narrazione in un duplice senso: con l’evidenza delle note salienti della biografia dell’autrice, dell’autore e di ogni testimonianza del patrimonio culturale (che appartenga all’ambito storico-artistico, che sia un testo della letteratura italiana o straniera, una composizione musicale…), promuovendo l’interpretazione da parte delle allieve, degli allievi, che danno voce al loro personale vissuto.

La narrazione sollecita e fa esercitare alcune competenze-chiave del cittadino in formazione.

Saper osservare in modo puntuale, oltre alla superficialità e all’“attenzione distratta”, concedendosi il tempo (e il silenzio) di una dimensione poco praticata; è un saper fare applicabile e trasferibile in ogni contesto di apprendimento.

La messa alla prova del pensiero critico: per narrare devo interrogarmi riguardo a ciò che è essenziale, prioritario, irrinunciabile, e dunque essere capace di selezionare. 

Sapersi esprimere: per narrare devo scegliere parole e immagini precise, capaci di veicolare il cuore del mio racconto e gettare un ponte verso chi ascolta.

Custodire pensieri e sguardi diversi dal proprio, nell’ospitare l’alterità: un saper essere prezioso per il vivere in comunità.

Esercitare la riflessione condivisa, che nasce e si alimenta dall’ascolto, supera il pregiudizio, è nemica dello stigma e alleata del riconoscimento della diversità.

Sappiamo bene quanto la stagione pandemica, la forzata sospensione di relazioni tra pari, dello stare e del fare insieme hanno provocato, soprattutto nei giovani, turbamenti, disagi, paure, e in alcuni casi, afasie dei propri sentimenti. Il metodo narrativo in chiave autobiografica ci invita a trovare “le parole per dirlo” e dunque sollecita e alimenta il saper individuare e selezionare quelle parole ed espressioni, superando un esperanto generazionale, omologato e sincopato. Ma, soprattutto, facendo fiorire la consapevolezza che nel narrare e nel narrarsi si può dare voce alla propria fragilità, aiuta a riconoscerla e ad accoglierla, intesa quale essenza di sensibilità e di delicatezza, dando spazio agli stati d’animo e alle emozioni.

La narrazione sollecita la memoria individuale e collettiva, dà voce a una collettività viva e vibrante, come agorà di spazio vissuto, contrapposto all’agorà fluida e manipolabile dei social.

D: Può raccontarci sinteticamente l’esperienza del corso di aggiornamento per insegnanti “Il museo narrativo: un laboratorio per la formazione di nuove cittadinanze culturali”?

SM: Nel 2017, grazie a Laura Colombo, docente di storia dell’arte e Rappresentante Provinciale della Sezione milanese di ANISA, abbiamo ideato e realizzato il corso, al quale hanno partecipato quindici docenti di storia dell’arte, di italiano e una docente di sostegno del Liceo artistico “Boccioni” di Milano.

Il corso si proponeva di far conoscere i concetti chiave e le acquisizioni più recenti nell’ambito dell’educazione al patrimonio in chiave interculturale, ma, soprattutto, le linee guida e gli strumenti operativi per l’utilizzo del metodo narrativo applicato ai patrimoni culturali da utilizzare nella didattica d’aula, in relazione con i saperi disciplinari.

Oltre ad alcuni interventi formativi, i partecipanti hanno seguito in “presa diretta” diversi percorsi narrati da noi curati in collaborazione con la GAMeC Bergamo e il Museo Popoli e Culture del PIME. Le narrazioni, condotte da mediatrici e mediatori di origine immigrata, erano tese non tanto alla trasmissione di nozioni o alla conoscenza delle diversità culturali, quanto all’apertura di spazi dialogici di contaminazione, di ascolto e di apprendimento reciproco, di costruzione e condivisione di significati.

Ai partecipanti del corso è stato affidato un compito di realtà da realizzare in piccoli gruppi: interrogare un patrimonio culturale (museale o diffuso) da loro individuato secondo le linee guida e i criteri del metodo narrativo, mettendone in rilievo le componenti immateriali (le storie, le funzioni d’uso attualizzate, la ritualità…). Per noi, la fase di progettazione alla fine del percorso formativo è sempre molto importante, perché richiede ai partecipanti di concentrarsi sulla trasferibilità del lavoro svolto in un contesto di didattica d’aula per/con i loro allievi. 

D: Ci sono progetti di Patrimonio di Storie rivolti ai giovani in formazione che ritenete particolarmente rilevanti e generativi? 

MGP: Un’esperienza per noi molto significativa è stata “My Place / My Texts” (2016), un progetto della GAMeC di Bergamo volto a trasformare il museo in luogo di appartenenza, in cui i giovani si possano riconoscere grazie all’attivazione di un processo di lettura delle collezioni permanenti che li chiama a mettersi in gioco con coraggio, in un contesto di ascolto e valorizzazione di ciascuno.

Attraverso il canale delle scuole superiori e di docenti che avevano già collaborato con il museo, sono state coinvolte diciassette ragazze di “seconda generazione”, che dopo una prima fase di conoscenza della collezione permanente hanno lavorato insieme a me per costruire brevi narrazioni da far confluire in un catalogo “alternativo” della GAMeC, rivolto alle scuole secondarie di secondo grado di Bergamo e provincia, e più in generale al pubblico giovane del museo.

Il percorso si è sempre svolto negli spazi espositivi. In una prima fase abbiamo lavorato sull’osservazione: le ragazze, suddivise in piccoli gruppi di ascolto, hanno descritto singolarmente le opere da loro scelte nei minimi particolari e da diversi punti di vista, se si trattava di una scultura. La libertà di osservazione ha permesso loro di scegliere modalità di approccio alle opere molto varie, dando vita a schede di catalogo piacevoli e interessanti alla lettura, che invitano anche a un approccio diversificato alle collezioni: in alcuni casi l’artista si rivolge al visitatore, in altri è la narratrice che esplicitamente accompagna lo sguardo di chi legge; la scheda invita a osservare alcuni dettagli dell’opera, oppure si articola in una serie di domande aperte che invitano alla riflessione personale.

Una volta steso un canovaccio di lavoro, si è passati alla scrittura individuale. Sebbene i testi siano stati poi rivisti, letti e ricalibrati insieme davanti alle opere, mi preme sottolineare che le autrici del catalogo sono le ragazze: in quanto esperta di narrazione, ho semplicemente lavorato in modo maieutico nel fare emergere e valorizzare le scelte compiute da ciascuna. Ne è nata una pubblicazione in grado di veicolare non solo informazioni storico-artistiche, ma anche suggestioni legate alla sfera emotiva e relazionale; queste ultime consentono ai fruitori del museo di apprendere una nuova modalità esperienziale di confronto con il patrimonio culturale, mettendosi in gioco in prima persona.

SB:  Un’altra esperienza esemplare è il workshop “In viaggio attraverso i Sette Palazzi celesti” (2019). A differenza di altri progetti da noi curati, che di solito richiedono mesi di lavoro, questo è stato un percorso intensivo di pochi giorni, ideato e realizzato nell’ambito del progetto europeo “YEAD – Young European (Cultural) Audience Development”. 

Fondazione ISMU – Iniziative e Studi sulla Multietnicità ci ha chiesto di accompagnare in un percorso di scoperta dell’installazione permanente di Anselm Kiefer in HangarBicocca (Milano) un gruppo eterogeneo composto da 8 giovani: studenti liceali e universitari con diversi background culturali e due minori stranieri non accompagnati. Oltre a creare un’occasione di incontro, confronto e scambio tra i ragazzi, valorizzandone le appartenenze linguistiche e culturali diverse, il workshop ha attivato un dialogo profondo con le opere di Kiefer attraverso il linguaggio della narrazione. Ne sono nate 8 brevi racconti scritti e una video-testimonianza, da cui emerge come nel corso delle due intense giornate in HangarBicocca (precedute, come di consueto nel nostro lavoro, da un laboratorio di narrazione), i ragazzi abbiano vissuto l’esperienza non come visita tradizionale e preconfezionata a un luogo della cultura, ma come opportunità di espressione, di creazione, di esercizio del pensiero critico; compreso che le istituzioni culturali possono essere dei luoghi straordinari di conversazione, ancor prima che di conservazione (luoghi dove ciò che fa la differenza non è tanto acquisire nozioni, quanto avere occhi, mente e cuore aperti); toccato con mano quanto l’ascolto partecipe, lo sguardo attento che si ferma, si allarga, scende in profondità, possano diventare storia e atto creativo.

LE AUTRICI

Simona Bodo, ricercatrice e consulente in tematiche legate al ruolo sociale dei musei, all’educazione al patrimonio in chiave interculturale e alla promozione della partecipazione culturale di tutti i cittadini.

Silvia Mascheroni, docente al Master “Servizi educativi del patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive”, Università Cattolica di Milano; Scuola di Specializzazione in Beni storico-artistici, Università di Pisa.

Maria Grazia Panigada, esperta di teatro di narrazione, è direttore artistico della prosa del Teatro Donizetti e del Teatro Sociale di Bergamo dal 2015, e dal 2022 del festival “Voci Umane. Musei e teatro di narrazione”.

Insieme, le tre autrici hanno fondato il gruppo di lavoro Patrimonio di Storie.

Fake news scientifiche su YouTube

Le piattaforme di condivisione possono essere una grande opportunità per la didattica, in particolar modo YouTube. La possibilità per chiunque di condividere filmati, animazioni, conferenze e registrazioni di qualsiasi tipo amplifica notevolmente le possibilità di diversificare la didattica quotidiana, richiamando anche competenze multidisciplinari da parte degli alunni. Il rovescio della medaglia, però, è la possibilità di trovare anche qualcosa di antiscientifico e di ingannevole per un navigatore poco attento. Per evitare l’inganno è sufficiente un po’ di attenzione e la comprensione di alcune semplici leggi chimico/fisiche. 

Il moto perpetuo

Nella serie tv “Snowpiercer”  un treno si muove grazie a un motore a moto perpetuo. Il moto perpetuo era ipotizzato in due forme: nella prima specie si aveva un dispositivo che produce più energia di quella ricevuta e nella seconda specie un dispositivo capace di riconvertire tutta l’energia iniziale in una forma finale senza alcuna perdita. In entrambi i casi si otterrebbero situazioni paradossali come la creazione di energia dal nulla (in violazione del primo principio della termodinamica) o con trasformazioni energetiche senza alcuna perdita (in contraddizione con il secondo principio). Per dirla con le parole di Max Planck: È impossibile ottenere il moto perpetuo per via meccanica, termica, chimica, o qualsiasi altro metodo, ossia è impossibile costruire un motore che lavori continuamente e produca dal nulla lavoro o energia cinetica”

L’imbuto di Boyle e la Ruota di Leonardo

Il primo ingrediente per una buona fake è un titolo accattivante, meglio se associato ad un nome più o meno noto. Ad esempio il modello della ruota a ballotte di Leonardo, magari in versione moderna, realizzata con bottiglie di plastica e ruota da bicicletta. Va precisato che Leonardo stesso arrivò alla conclusione che il moto perpetuo era impossibile. I trucchi utilizzati per far sembrare perpetua questa ruota possono essere molteplici. Il più comune è quello del ventilatore nascosto che crea un flusso d’aria. L’imbuto di Boyle, invece, è un circuito idraulico con una strozzatura che sembra far girare l’acqua all’infinito in una fontana. Boyle non realizzò mai un simile dispositivo, che può funzionare solo aggiungendo un serbatoio posto in alto (fuori inquadratura) e con tubi aggiuntivi nascosti nel basamento oppure con una piccola pompa elettrica anch’essa nascosta. Ovviamente, tali trucchi vengono installati dopo aver più volte fatto vedere il dispositivo da tutte le direzioni possibili, nonostante in un filmato si riesca a intravederne uno nascosto non troppo bene dall’autore.  

Energia elettrica dal nulla

Un buon magnete attira il ferro e a volte anche gli ingenui. In rete, numerosissimi sono i filmati che producono energia elettrica con magneti e bobine. Per qualcuno può sembrare plausibile dato che una dinamo da bicicletta è costruita con questi componenti. Tuttavia, non è possibile estrarre energia se non si creano variazioni nel flusso del campo magnetico come con un movimento relativo bobina/magnete  (è il meccanismo della dinamo) o con fluttuazione del campo (è il caso dei trasformatori). Solitamente come espediente si nascondono delle pile o dei fili e si fornisce corrente, oppure si tiene nelle vicinanze un generatore di campi magnetici variabili (può essere un caricatore wireless per cellulari) magari nascosto sotto al tavolo su cui si effettua la presentazione, consumando così molta più energia di quella che si sembra aver prodotto.

Basta una patata per risolvere il problema energetico ?

Interessanti sono anche i filmati dove si accendono lampadine usando patate, limoni ecc. In effetti è vero che si può ricavare energia inserendo due punte di metalli diversi in questi ortaggi, è il principio delle pile a setto poroso. Tuttavia si ottiene un voltaggio molto basso (come previsto dall’equazione di Nernst) e una corrente erogata altrettanto debole. Basti pensare che usando un chiodo di rame e uno di ferro (3 grammi) la tensione prodotta sarebbe meno di un volt e l’energia totale  ottenuta dopo l’intera corrosione del ferro sarebbe di circa 3600 J (formula dell’energia libera delle pile).  Se si considera il tempo in giorni necessario per tale corrosione, la potenza istantanea in watt sarebbe  particolarmente bassa. Per accendere una lampada a 230 V – 11 W occorrerebbe creare una batteria in serie/parallelo formata da oltre un migliaio di patate. L’unico modo di accendere una lampada avvitandola in una patata è quello di nascondere bene i fili o una pila/LED all’interno del bulbo traslucido della lampadina stessa

E infine…

La conoscenza dei principi della termodinamica e di semplici leggi chimiche, anche solo sommariamente,  costituisce un buon antidoto contro le bufale on line di questo genere.  Tutto ciò, però, non implica che siano completamente inutili dal punto di vista didattico. Potrebbero essere, infatti, sfruttati per far riflettere sulle leggi e sui possibili trucchi, anche se  finiremmo col fare un piacere a questi “faker”, poiché il loro scopo non è tanto quello di creare energia dal nulla ma di incrementare le visualizzazioni su YouTube…. basandosi sul nulla. 

Figura 1 Pseudo produzione di energia con magneti fissi, che potrebbe funzionare solo con un generatore di campi magnetici variabili nascosto, in grado di indurre una corrente nelle bobine poste in basso.  

Figura 2: “Imbuto di Boyle” , il movimento “perpetuo” dell’acqua può avvenire solo grazie ad una pompa, che potrebbe essere nascosta all’interno del vaso stesso o dietro la mano sinistra dell’operatore

Figura 3: Particolare di un filmato che mostra uno dei possibili trucchi dell’imbuto di Boyle

Figura 4: Esempio di ruota perpetua. Nel filmato da cui è preso il fotogramma, è mostrato il trucco utilizzato, un ventilatore nascosto

Figura 5: Trucco della lampada collegata ad una patata: voltaggio e corrente prodotti non sarebbero sufficienti per l’accensione di una lampada di questo tipo

Miglioramento genetico della razza Frisona

ANAFIBJ è l’acronimo di Associazione Nazionale Allevatori di Razza Frisona Italiana, Bruna e Jersey ed è l’organismo che gestisce i libri genealogici delle 3 razze elencate. L’associazione è guidata dalla Commissione Tecnica Centrale (CTC), l’organo decisionale in cui vengono stabiliti i criteri e gli obiettivi da raggiungere in termini di miglioramento genetico del patrimonio zootecnico della razza Frisona allevata in Italia. La razza Frisona Italiana attualmente conta 1 130 734 capi iscritti al Libro genealogico distribuiti in 9.952 aziende zootecniche (ANAFI, 2021).

Tutti i soggetti iscritti vengono sottoposti ai controlli funzionali della produttività (gestiti da AIA – Associazione Italiana Allevatori) durante i quali avviene la raccolta dei dati fenotipici al fine di elaborare ed aggiornare gli indici genetici stimati (EBV) dei riproduttori e dei candidati riproduttori. Oltre alla rilevazione del fenotipo, a partire dal dicembre 2011, a tutti i riproduttori e candidati riproduttori, viene effettuato il test genomico per determinare l’indice genomico diretto (DGV). L’indice genetico finale che viene pubblicato è il GEBV ovvero il risultato del DGV combinato con l’indice tradizionale EBV. Questo aumenta l’attendibilità del dato pubblicato e favorisce un maggior progresso genetico, riducendo l’intervallo di generazione.

La pubblicazione degli indici genetici avviene periodicamente tre volte l’anno e, nello specifico, l’uscita dei dati aggiornati è nei mesi di aprile, agosto e dicembre. Le classifiche dei migliori riproduttori del ceppo italiano della Frisona sono pubblicate in ordine decrescente di PFT. Il PFT è l’indice unico di selezione della razza Frisona Italiana; letteralmente PFT significa indice genomico di Produttività, Funzionalità e TipoIl PFT mescola, con diversi pesi, i caratteri rilevati oggetto di selezione. Per esempio, per la produzione, è importante la quantità di proteina prodotta per lattazione (PRTkg), con un peso selettivo molto alto, pari al 33%, e che, da solo, vale ⅓ del PFT. Gli indici morfologici sono rappresentati dall’indice Tipo, formato da caratteri che descrivono la struttura generale dell’animale, l’Indice Arti e Piedi (IAP) e l’Indice Composto Mammella (ICM). IAP e ICM combinano caratteri legati alla morfologia degli arti e degli unghioni posteriori e alla morfologia della porzione secernente della mammella e dei capezzoli.

A completare la valutazione di un riproduttore ci sono anche due importanti indici economici:

  • l’Indice Economico Salute (IES);
  • l’Indice Caseificazione e Sostenibilità Parmigiano Reggiano (ICS-PR).

L’indice IES si basa su una stima di costi e ricavi che si affrontano nell’arco dell’intera carriera produttiva di una bovina. Gli indicatori utilizzati per il calcolo di questo indice sono i ricavi derivati dalla vendita del latte e i costi legati all’intera carriera delle bovine (alimentazione, cure sanitarie, fattori fisiologici legati alla salute e al benessere). L’indice viene espresso in euro (€) dove, il valore attribuito al riproduttore, riporta l’utile netto medio per l’intera carriera produttiva delle figlie del riproduttore rispetto alla media di popolazione.

L’ICS-PR, invece, è un indice studiato per quegli animali che producono latte destinato alla caseificazione di formaggi a pasta dura a lunga stagionatura (per esempio Parmigiano Reggiano e Grana Padano). Questo indice, a differenza del precedente, prende in considerazione caratteri produttivi (kg di proteina), caratteri funzionali (per esempio fertilità, cellule somatiche, longevità) e caratteri morfologici (legati alla morfologia della mammella e alla locomozione). Anche questo indice viene espresso in euro (€) di utile netto relativo all’intera carriera produttiva delle figlie del riproduttore in positivo o negativo rispetto alla media di popolazione.

L’attenzione della selezione per il miglioramento genetico degli animali da reddito, è sempre più orientata a rendere i sistemi produttivi più efficienti e rispettosi del benessere animale e dell’ambiente. Lo conferma il fatto che sono stati elaborati nuovi indici, pubblicati a dicembre 2022, quali l’Indice Benessere, l’Indice Efficienza Azotata, l’Indice Età al Primo Parto e l’Indice Lunghezza della Gestazione (Fabris et al., 2022).

In conclusione, la vera sfida del futuro, è quella di ottenere animali che siano integrati in un sistema produttivo sostenibile, in quanto attori principali di un flusso circolare di biomasse non commestibili per l’uomo. Gli allevamenti zootecnici sono essenziali per mantenere attivo il delicato agro-ecosistema esistente e produrre, nel contempo, alimenti ad altissimo valore biologico (Cassandro, 2022). Si stima, infatti, che un drastico calo del numero di animali allevati, possa causare problemi ambientali su larga scala. 

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Lunedì 6 – giovedì 9 marzo 2023 – Bologna

…Still rocking at 60!

Bologna Children’s Book Fair si prepara ad accogliere la comunità editoriale internazionale dal 6 al 9 marzo 2023 per la sua sessantesima edizione. E per un compleanno tutto da festeggiare ha voluto invitare, riunendoli da ogni parte del mondo, i più grandi nomi dell’illustrazione e dell’editoria per bambini e ragazzi che hanno segnato, con il loro lavoro, la loro presenza e il loro contributo, questi primi sessant’anni di attività. Attesi in fiera, tra gli altri: Albertine Zullo, Beatrice Alemagna, Rotraut Susanne Berner, Marc Boutavant, Rebecca Dautremer, Laura Carlin, Suzy Lee, Nicholas Jubber, Katsumi Komagata, David Levithan, Leonard Marcus, Manuel Marsol, Sarah Mazzetti, Hasan Mousavi, Fabian Negrin, Roger Mello, Elena Odriozola, Martin Salisbury, Alessandro Sanna, Axel Scheffler, Susanna Tamaro, Klaas Verplancke.

Per maggiori informazioni, consultate la pagina https://www.bolognachildrensbookfair.com/about/anteprima-bcbf2023/9677.html.

LA VALLATA DEI LIBRI BAMBINI

Giovedì 23 marzo – mercoledì 5 aprile 2023 – Vartova (Bergamo)

Amici miei

Il festival nazionale di letteratura La vallata dei libri bambini compirà, nel marzo 2023, dieci anni di vita. “Stasera tornano tutti gli amici miei” canta una nota canzone di Roberto Vecchioni e “Amici miei” sarà il titolo della 10ª edizione del Festival, che si svolgerà dal 23 marzo al 5 aprile 2023 tra eventi, laboratori, spettacoli e incontri.

Per maggiori informazioni, consultate la pagina
https://www.vallatadeilibribambini.it/festival/.

UN PRATO DI LIBRI

Venerdì 31 marzo – domenica 2 aprile 2023 – Prato e provincia

Tessere la tela delle relazioni

L’undicesima edizione del progetto e festival della lettura per bambini e ragazzi under 18 si svolgerà nei sette comuni della provincia di Prato a partire dal mese di settembre 2022 con la formazione di docenti e studenti, proseguirà durante i mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio e giugno 2023 con gli incontri con le scrittrici e scrittori e avrà i suoi giorni centrali il 31 marzo, 1 e 2 aprile 2023.

Il progetto prevede di coinvolgere le classi della provincia di Prato attraverso progetti, workshop, concorsi, letture in classe, incontri con autori e autrici e culminerà con una serie di incontri ed eventi tra il 31 marzo e il 2 aprile 2023.

Per maggiori informazioni, consultate la pagina
https://unpratodilibri.com/2022/08/31/lettera-alle-scuole-della-provincia-di-prato-per-la-undicesima-edizione-2023/.

FESTIVAL DELLE SCUOLE

Marzo-maggio 2023 – San Lazzaro di Savena (Bologna) e provincia

Una caleidoscopica rassegna di teatro che coinvolge bambini, bambine e adolescenti dai 3 ai 18 anni.

 Ogni anno, da gennaio a maggio, l’ITC Teatro dell’Argine ospita grandi e piccini provenienti da tante scuole del territorio e non solo. Si inizia con i saggi delle scuole per l’infanzia, si prosegue con le scuole primarie, scuole secondarie di I grado, i gruppi dei laboratori dell’ITC Studio, fino ad arrivare, a maggio, al concorso di teatro riservato alle scuole secondarie di II grado. A giudicare gli spettacoli è una giovane giuria di adolescenti che decreterà il vincitore.

Per maggiori informazioni, consultate la pagina
https://teatrodellargine.org/progetti/cat/educazione/festival-delle-scuole#322.

“Latin” Lovers | Quousque tandem, LATINE, abutere patientia nostra…?

In una delle mie aule campeggia Quousque tandem, LATINE, abutere patientia nostra…?, ma non è merito mio: gli autori risalgono a qualche anno fa e dimostrano sicuramente di aver fatto proprio lo studio di Cicerone, anche se forse non lo hanno “amato alla follia”. Certo le orazioni ciceroniane e il resto della sua abbondantissima produzione sono un punto fermo di qualsiasi programmazione, ma sono anche, come dicono i ragazzi, “tanta roba”, da intendersi non proprio come un complimento. Vogliamo provare a rendere il tutto un po’ più digeribile?

In questo percorso si parte proprio dall’incipit della prima Catilinaria, presente credo su qualunque manuale, e si cerca di analizzarlo proprio in base ai principi della retorica ed ai procedimenti utilizzati, per mettere a nudo, grazie alla letteratura tecnica contemporanea o non molto posteriore a Cicerone, i “trucchi del mestiere”.

I materiali di lavoro

I materiali di lavoro forniscono inoltre svariati spunti; per esempio, il personaggio di Catilina ed il momento storico offrono senz’altro un confronto con l’altra opera fondamentale sulla congiura, il Bellum Catilinae di Sallustio. Come sempre lo sviluppo del testo iniziale favorisce la trattazione anche di altri aspetti del pensiero Ciceroniano, quali l’immagine di sé stesso come console e la sua visione politico-sociale. 

Non mancano cenni alle istituzioni romane nell’ambito delle quali si svolge la vicenda, si ha quindi modo di parlare del senatus consultum ultimum e della provocatio ad populum, ma soprattutto, per “svecchiare” l’argomento, si cerca di paragonare le strategie persuasive di Cicerone nelle Catilinarie alla Rhetoric of Terror dei discorsi di Bush all’indomani dell’attacco alle Torri gemelle, cosa per cui, sicuramente, sarebbe utile una collaborazione dell’insegnante d’inglese. A prescindere dal caso specifico, il percorso può favorire comunque un parallelo dell’antica ars dicendi con il moderno public speaking.

Anche questa volta, come spin off, si propone una presentazione che sintetizza gli aspetti principali dell’ars rhetorica, i diversi genera, le partes e le virtutes elocutionis.

Obiettivi

  • Nell’ambito delle competenze di latino: approfondimento di un autore e di un’opera di età tardorepubblicana, nonché cenni alla letteratura tecnica con esame di passi tratti, ad esempio, da Quintiliano o dalla Rhetorica ad Herennium.
  • Nell’ambito delle conoscenze della civiltà romana (ed eventualmente dell’educazione civica): cenni sul senatus consultum ultimum e sulla provocatio ad populum; excursus sui progetti politici di Cicerone dalla concordia ordinum al consensus omnium bonorum.
  • In un contesto di didattica integrata: la pratica della retorica a Roma ed il confronto con almeno parte delle tecniche dell’attuale public speaking.
  • Competenze digitali: uso appropriato dei database specifici della classicità per il reperimento di passi mirati; reperimento e utilizzo delle immagini nel rispetto del copyright.

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