I Giusti tra le nazioni

Il 27 gennaio di ogni anno ricorre l’anniversario del Giorno della Memoria, una giornata dedicata a non dimenticare quanto successo durante la Seconda Guerra Mondiale. Quest’anno abbiamo deciso di affrontare l’argomento ricordando tutte quelle persone che nel loro piccolo si sono prodigate per salvare gli altri, nello specifico ci riferiamo ai Giusti tra le nazioni. Questo termine è stato utilizzato a partire dal secondo dopoguerra per indicare tutte quelle persone di origine non-ebrea che, senza trarre nessun guadagno personale, hanno messo a rischio la propria vita per salvare almeno un ebreo dal genocidio nazista.

Dal 1962 l’Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, ha utilizzato questo termine per conferire un’onorificenza ufficiale a tutti coloro che hanno salvato gli ebrei conferendo una medaglia, un certificato d’onore e l’iscrizione del nome del Giusto all’interno del Giardino dei Giusti del museo dell’Yad Vashem a Gerusalemme. Il 1° gennaio 2022 l’Yad Vashem ha riconosciuto 28.217 Giusti fra le nazioni provenienti da 51 diversi paesi del mondo. Tra questi, 766 sono gli italiani che sono stati insigniti di questa onorificenza.

Ma cosa fa di una persona un eroe? Con questa domanda Peter Sís, autore del libro Nicky & Vera, si è interrogato su quali siano i valori che rendono una persona un vero eroe. In un suo viaggio a Praga scopre la figura di Nicholas Winton, un uomo inglese di origini ebree (Nicholas Winton per le sue origini non è inserito nella lista dei Giusti tra le nazioni) che nel 1938, quando i Sudeti vennero invasi dalle truppe naziste, cercò un modo per salvare il più alto numero di persone possibili.

Il suo sforzo si concentrò sull’esportazione dei bambini in quanto il governo inglese permetteva la migrazione dei minorenni sul suo territorio purché ci fosse una famiglia inglese disposta ad accoglierli e che i bambini avessero la disponibilità economica (cinquanta sterline) per poter tornare nel loro paese di origine una volta terminata la guerra. Nicholas Winton cominciò a viaggiare tra la Cecoslovacchia e l’Inghilterra per trovare famiglie affidatarie e per preparare i documenti necessari che spesso si trovò a falsificare.

Prima dell’invasione totale della Cecoslovacchia e della chiusura dei confini Winton riuscì a salvare 669 bambini. Winton non raccontò mai a nessuno quanto aveva fatto. Negli anni ‘80 quando sua moglie trovò in soffitta la documentazione che attestava quanto aveva fatto, organizzò un incontro tra Winton e i bambini sopravvissuti. Questo evento è immortalato in un coinvolgente video della BBC Peter Sís nel suo libro Nicky & Vera riesce a raccontare con estrema delicatezza il viaggio di un eroe che, come tanti altri, si è adoperato per salvare le persone in difficoltà.

Nel 2003 la onlus italiana Gariwo la foresta dei Giusti ha inaugurato il Giardino dei Giusti di tutto il mondo dove poter ricordare tutti gli uomini e le donne che hanno avuto a che fare con ogni tipo di genocidio e non solo quello della Shoah. Un luogo quindi per ricordare tutti coloro che si sono battuti per le ingiustizie e i crimini contro l’umanità. 

Oggi con questo progetto vorremmo ricordare tutti i Giusti del mondo.

Il video qui proposto è suddiviso in tre parti:

  • prima parte: lettura espressiva della storia;
  • seconda parte: presentazione del lavoro;
  • terza parte: video tutorial con i passaggi per realizzare il pop-up del Giardino dei Giusti.

Video

MATERIALI AGGIUNTIVI

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LE AUTRICI

Ginevra G. Gottardi
Esperta di attività storico -artistiche, insieme a Giuditta Gottardi ha fondato il centro di formazione Laboratorio Interattivo Manuale, un atelier dove creatività e didattica si incontrano.

Giuditta Gottardi
Insegnante di scuola primaria, insieme a Ginevra Gottardi ha creato il sito Laboratorio Interattivo Manuale, una piattaforma digitale di incontro e discussione sulla didattica attiva per migliaia di insegnanti.

Entrambe sono autrici Fabbri–Erickson.

A passi leggeri

Il dibattito

Ogni anno, quando si avvicina la data del 27 gennaio gli insegnanti si chiedono quale sia la giusta via per parlare in classe della Giornata della Memoria, soprattutto con i più piccoli. Da una parte si sente la necessità di far ricordare, di coltivare nei bambini e nelle bambine un pensiero critico che sappia fare la differenza, senza ripetere gli errori del passato. Dall’altra parte però spaventa sempre affrontare questi temi così profondi e toccanti e non ci si sente mai abbastanza preparati a farlo.

Delicatezza 

Nell’affrontare queste tematiche è necessario che, qualsiasi tipo di attività si progetti, il tutto sia accompagnato da una grandissima delicatezza. Per coltivare il rispetto è necessario anche mostrare rispetto, senza banalizzare o utilizzare materiali poco significativi.

Dialogo e ricerca

Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, davanti al tema della Shoah si pongono e ci pongono tante domande. È fondamentale che l’insegnante sia preparato, abbia fatto ricerca sulle tematiche storiche e sappia inquadrare la situazione in una cornice ampia e non riduttiva rispetto alle “vittime”. È infatti fondamentale dare alle classi anche informazioni più ampie sulle vicende, dando la possibilità di allargare lo sguardo e provare a capire la storia delle persone. Non bastano i numeri delle vittime, dobbiamo avvicinare i nostri alunni e le nostre alunne alle vite di chi ha vissuto in quel periodo.

Lo sguardo 

Spesso si è portati a dare un’impronta pessimistica alle attività della Giornata della Memoria, concentrandosi sulla strage e sulle vittime. Certamente è fondamentale raccontare con delicatezza la drammaticità, ma altrettanto importare è far vedere la speranza, raccontando come nel buio più totale ci sia stato qualcuno capace di accendere una piccola luce. 

Percorsi possibili con gli albi illustrati 

Le storie, se scelte con consapevolezza e per la giusta età, sanno parlare ai bambini meglio di noi, sanno raccontare storie difficili con parole semplici, dando spunti per il dialogo e lasciando una traccia vivida.

Albi illustrati sull’accettazione della diversità

  • Vietato agli elefanti. Lisa Mantchev. Giunti
  • Intrusi. Alfredo Soderguit. Terre di mezzo.
  • La cosa più importante. Antonella Abbatiello. Fatatrac

Albi delicati sulla guerra

  • Flon-Flon e Musetta. Elzbieta. Edizioni Aer
  • Perché? Nikolai Popov. Nord-Sud Edizioni
  • Il soldatino. Cristina Bellemo, Andrea Antinori. Zoolibri

Albi illustrati sul potere, sulle regole ingiuste

  • Il piccolo ghirighiri. Babalibri
  • E la regina disse. Bellemo, Brillo. Fatatrac.
  • Il muro. Macrì, Zanotti. Nuinui

Albi illustrati sui Giusti tra le nazioni

  • Il cavaliere delle stelle. La storia di Giorgio Perlasca. Cognolato Luca, Del Francia Silvia. Lapis
  • Il gelataio Tirelli. Tamar Meir. Gallucci

Albi illustrati sulla Shoah

  • Il volo di Sara. Farina, Possentini. Fatatrac
  • La bambina del treno. Farina, Simoncelli. Edizioni Paoline
  • Rosa Bianca. Innocenti. La margherita
  • Otto. Autobiografia di un orsacchiotto. Tomi Ungerer. Mondadori
  • Tutte le mamme di Renata Piatkowska, Giuntina

Albi illustrati sulla speranza nella Shoah

  • La città che sussurrò. Elvgren, Santomauro. Giuntina
  • L’inizio. Carballeira. Danowski. Kalandraka

Un libro particolarmente interessante e che apre percorsi interdisciplinari molto validi è Friedl e i bambini di Terezín che racconta la storia di Friedl Dicker-Brandeis, artista ebrea che attraverso l’arte cercò di migliorare la vita dei bambini deportati. I disegni dei bambini sono ancora oggi disponibili al Museo di Praga e in rete è possibile recuperarli per mostrarli alla classe. 

Una parola non vale l’altra | Esiste davvero la generazione “20 parole”?

Dare i numeri

Questa storia dei giovani che sanno sempre meno vocaboli è ciclica. Della “generazione 20 parole” se ne parla ormai da molti anni, non senza pochi allarmismi riguardo al presunto impoverimento lessicale e all’uso ridotto delle forme linguistiche più complesse. Ma davvero è tutta colpa del digitale? Quanti termini dovrebbe possedere uno studente o una studentessa della scuola secondaria di secondo grado? In principio fu un articolo de la Repubblica del 2010, intitolato proprio “La generazione venti parole”, dedicato a una ricerca condotta da Tony McEmery, un linguista dell’Università di Lancaster, che, dopo aver analizzato il linguaggio dei ragazzi sul web, è giunto alla conclusione che i giovani del tempo, ovvero i Millennial (nati e nate tra il 1980 e il 1996), utilizzano solo 800 vocaboli «di cui appena 20 monopolizzano un terzo delle conversazioni».

La questione è così cara a lettori e lettrici da essersi trasformata nel tempo in un appuntamento fisso per fare il punto della situazione con le nuove adolescenze, in particolare con la Generazione Z, relativa ai nati e alle nate tra il 1996 e il 2010. Vi dice qualcosa la ricerca di Tullio De Mauro condotta negli anni Settanta? In rete circola una vera e propria bufala secondo cui il linguista avrebbe affermato che già al tempo gli adolescenti fossero poverissimi di lessico e conoscessero dalle 600 alle 700 parole. Dichiarazione smentita. La ricerca, infatti, non esiste, ed è lui stesso a ricordarlo nel saggio L’educazione linguistica democratica (Laterza, 2022): «600 parole è il patrimonio lessicale minimo di un bambino treenne». Cosa ci insegna tutto ciò? Ogni nuova generazione è additata dal mondo degli adulti come “responsabile” di un decadimento linguistico. 

Chi ha paura dello slang?

Se è vero che si perdono molte parole (nell’uso), è altrettanto vero che se ne acquisiscono molte altre. La lingua, poi, cambia nel tempo. Pensiamo solo ai neologismi, ai calchi e ai prestiti linguistici che la rete ha contribuito a diffondere e che, talvolta, sono finiti nel “retino” del gergo generazionale: lo slang. Dobbiamo averne paura? Infetterà la lingua italiana? Nient’affatto. Ai giovani, allo slang stesso, non interessa proprio avere un contatto con la lingua nel senso che comunemente gli attribuiamo, ovvero “quella dei dizionari”. Intanto, i linguaggi giovanili (che sono tanti, non uno solo) sono una varietà dell’italiano, quindi un sottogruppo con precise caratteristiche sociolinguistiche che riguarda soprattutto − ma non esclusivamente − la fascia anagrafica giovanile.

In altre parole, fanno parte del sistema lingua, esattamente come i linguaggi specialistici, l’italiano aulico o quello burocratico. Lo slang, dunque, abita da sempre il nostro sistema di comunicazione, anche e soprattutto perché ha una funzione ben precisa: la formazione dell’identità di una comunità, quella degli adolescenti. La maggior parte delle innovazioni linguistiche dello slang rimane interna allo slang stesso, anche se può accadere che qualche elemento di un gergo vada a finire nella lingua comune, ma non senza un’attenta osservazione e archiviazione delle occorrenze da parte di un comitato scientifico. Lo slang arricchisce prima di tutto sé stesso e poi eventualmente la lingua. Avete ancora paura?

Spunti didattici

Per stimolare ragazze e ragazzi ad approfondire l’evoluzione della lingua oggi e le caratteristiche della comunicazione onlife, ti suggeriamo un’attività da proporre in classe, ispirata ai contenuti trattati nel capitolo 8 del saggio di Vera Gheno dal titolo L’antidoto (Longanesi, 2023).

  • Avvia un dibattito a partire da questa domanda: “Che lingua usiamo online?”.
  • A questo punto, prepara 6-7 affermazioni di giudizio, ad esempio “La lingua che usiamo in rete è semplificata” oppure “La lingua che usiamo in rete è povera lessicalmente”. Per ciascuna affermazione chiedi alla classe di riportare almeno un esempio tratto da un social network, come un commento o una didascalia. 
  • Gli studenti e le studentesse, in gruppetti di 3, si posizionano vicino a uno dei giudizi scritti sulla LIM ed esprimono il loro giudizio sull’affermazione. Possono essere d’accordo oppure no, l’importante è spiegare il perché. Dopo 6/8 minuti di discussione si cambia postazione e quindi muta anche il contenuto delle argomentazioni.

L’uso della lingua dei segni nella didattica dell’inglese

Negli ultimi anni sempre più ricerche hanno evidenziato i numerosissimi benefici dell’apprendimento e utilizzo della Lingua dei Segni da parte di tutti, a partire dai bambini fin da piccoli, per i quali la Lingua dei Segni di riferimento può essere affiancata alla lingua parlata. Sebbene storicamente questa forma espressiva sia associata con la comunità sorda, in realtà il suo utilizzo si è andato nel tempo allargando anche a chi sordo non è, grazie ai notevoli aspetti positivi che questa lingua può apportare all’esperienza comunicativa di tutti

La Lingua dei Segni e i suoi numerosi vantaggi

Concretamente, quali possono essere i vantaggi di conoscerla e usarla per chi sente e parla? Ecco un elenco solo parziale di alcuni, suddivisi in tre categorie: vantaggi per i bambini piccoli, vantaggi per tutti sulla lunga distanza, vantaggi per chi sta imparando una seconda lingua.

Vantaggi per i bambini piccoli (non ancora in grado di parlare):

  • permette ai bambini di esprimere i propri bisogni ancora prima di riuscire ad articolare le parole;
  • migliora la relazione adulto/bambino, proprio perché permette una maggiore comprensione reciproca;
  • diminuisce vistosamente il numero di comportamenti problematici, perché fornisce al bambino un mezzo di espressione;
  • velocizza l’acquisizione del linguaggio orale;
  • migliora la coordinazione oculo-manuale;
  • aiuta lo sviluppo della motricità fine.

 

Vantaggi sulla lunga distanza per tutti:

 

  • aumenta la consapevolezza e l’accettazione della diversità e favorisce l’inclusione come atteggiamento generale;
  • permette di comunicare con gente nuova;
  • permette di conoscere e comprendere meglio una comunità (quella sorda) che è spesso sottovalutata, isolata o oggetto di pregiudizi, e di venire in contatto con realtà culturali ricche e articolate;
  • migliora la visione periferica; 
  • previene l’artrite;
  • tiene allenato il cervello;
  • permette di comunicare anche quando non si può parlare.

 

Vantaggi per chi sta imparando una seconda lingua:

 

  • favorisce lo stile di apprendimento cinestetico;
  • facilita la memorizzazione perché stimola diversi canali sensoriali;
  • permette di legare l’apprendimento a modalità mnemoniche diverse;
  • aumenta il vocabolario in L2 in maniera più veloce e duratura.

Soprattutto quest’ultimo aspetto è particolarmente interessante per i docenti di L2, che possono trovare nella Lingua dei Segni un potente alleato al loro operare didattico.

Quale Lingua dei Segni?

Non tutti sono consapevoli che le Lingue dei Segni sono tante, e diverse tra loro, quanto lo sono le lingue orali. Ciascun Paese ha la propria Lingua dei Segni, con movimenti, espressioni, grammatica e sintassi diverse. Non soltanto, non è assolutamente detto che la Lingua dei Segni in uso in una Nazione segua le stesse convenzioni grammaticali della lingua orale ivi parlata. Quale Lingua dei Segni scegliere allora, per affiancarla all’insegnamento della L2? Poiché si tratta di sistemi completamente diversi e non legati l’uno all’altro, la scelta può essere lasciata libera all’insegnante. Il docente di Inglese può tranquillamente segnare in LIS quando presenta il nuovo vocabolario ai suoi studenti, perché non c’è nessuna connessione che leghi l’inglese parlato, per esempio, alla ASL (American Sign Language), dal momento che anche in quel caso si tratta di due lingue completamente diverse.

Alcuni suggerimenti pratici

L’affiancamento della Lingua dei Segni all’insegnamento dell’Inglese – e piu’ in generale della L2 – e’ uno stratagemma efficace, pratico e di successo per favorire un apprendimento piu’ rapido e duraturo del vocabolario di base. Tutti i docenti sanno che, più canali sensoriali si riescono a stimolare quando si insegna, più facile sarà l’apprendimento da parte dei bambini. Per questo motivo la L2, fin da subito, non deve essere solo una lingua ORALE. E’ importantissimo sovrapporre i canali sensoriali per facilitare l’apprendimento e la memorizzazione: alla parola orale bisogna il più possibile abbinare i supporti visivi e, ancora meglio, quelli motori. Vediamo come.

La Musica Segnata

 

 

L’utilizzo della musica nella didattica della L2 è un elemento importante e imprescindibile. Se, oltre alle note e alla melodia, le parole delle canzoni che vengono proposte ai bambini vengono segnate in Lingua dei Segni, sarà molto più facile che esse siano ricordate con facilità. Non si tratta solo di “gesti” di accompagnamento a fine estetico, ma di reale vocabolario segnato, di vere parole in Lingua dei Segni. Questi stessi segni dovrebbero essere riprodotti anche ogni volta che la parola viene pronunciata al di fuori del contesto musicale, per favorire la generalizzazione.

Alcune canzoni in inglese che si prestano molto bene ad essere segnate sono:

  • Ol’ MacDonald had a farm – animali della fattoria
  • The Wheels on the Bus – vocabolario della famiglia e dei mezzi di trasporto
  • This is my Happy Face – emozioni

Esistono poi alcuni programmi musicali specifici per insegnare ai bambini la Lingua dei Segni abbinandola a canzoni, ma spesso sono pensati per un pubblico anglofono e utilizzano  la ASL come sistema comunicativo. Sono però pur sempre utilissimi perché realizzati a fini didattici, e quindi particolarmente curati dal punto di vista dell’insegnante e, poiché in Inglese, efficaci per l’apprendimento della L2 in maniera naturale. In particolare, segnaliamo Signing Time di Rachael Coleman, nello specifico le seguenti canzoni:

  • Silly Pizza Song – cibo
  • What are you feeling? – sentimenti ed emozioni
  • When I get dressed – abbigliamento e daily routines

 

Le Routine Segnate

 

I momenti routinari sono essenziali nella vita di classe, e ancora di più stabiliscono una struttura e un importante quadro di riferimento nella L2. Imparare a segnare le parole chiave delle routine quotidiane aiuta a sedimentarne il significato. Parole come “Clean up”, “Potty time”, “Wash your hands”, “Line up!” sono molto più facili da memorizzare se, oltre ad essere sentite, vengono viste in azione. Ricordarsi di segnare le routine che si annunciano a voce velocizza la comprensione, facilita la ritenzione, rende più probabile la ripetizione corretta.

 

La Lingua dei Segni come Prompt Iniziale Parziale

 

Quando un bambino non ricorda una parola nella lingua straniera che sta imparando, a volte introdurre un segno, anche se incompleto e parziale, aiuta a far scattare la molla del ricordo. La memoria cinestetica si sovrappone a quella meramente uditiva e fornisce a chi sta imparando un ulteriore toolbox da cui attingere per riportare alla mente quanto imparato. Mostrare un oggetto, chiedendone il nome in Inglese, può a volte non essere sufficiente, ma se alla vista dell’oggetto si aggiunge una bozza del segno corrispondente, con approssimazione decrescente nel passare del tempo, la possibilità di avere una risposta corretta sono molto maggiori.

Meglio uno strumento in più, che uno in meno

Se da un lato sono numerose le ricerche e le sperimentazioni empiriche che supportano l’utilizzo della Lingua dei Segni anche in situazioni di apprendimento in cui non sono presenti i bambini sordi o con difficoltà uditive, dall’altro nessuno studio è ancora riuscito a dimostrare che questo approccio sia controproducente. Pertanto è sempre preferibile poter aggiungere agli strumenti di lavoro dell’insegnante la possibilità di utilizzare diversi canali comunicativi e sensoriali. La Lingua dei Sensi, in questo contesto, tanto aggiunge e nulla toglie, ed è quindi altamente consigliata come strumento compensativo aggiuntivo in grado di raggiungere un ampio numero di bambini con stili di apprendimento cognitivi differenti, facilitandone l’apprendimento.

Prepariamoci alla Giornata della Memoria

Tutti gli anni, la Giornata della Memoria ci  pone davanti a un bivio che mette insieme interrogativi didattici, culturali e psicopedagogici. Se da una parte è piuttosto condivisa la necessità di “praticare” la memoria, di ricordare il passato per analizzarne gli errori, dall’altra il tema della Shoah lascia aperti molti quesiti, soprattutto nella scuola primaria.

Affrontare esplicitamente l’argomento, infatti, l’orrore e le violenze, le camere a gas, senza risparmiare i dettagli raccapriccianti può portare a conseguenze poco auspicabili:

  • incomprensione: perché si fa riferimento a una brutalità fortunatamente lontana e difficile da rappresentare mentalmente da parte di un bambino o di una bambina di 6-11 anni;
  • trauma: perché rischia di essere un racconto poco rispettoso della sensibilità e del vissuto degli stessi bambini e delle stesse bambine.

A questo proposito, Matteo Corradini (in “Tu sei memoria”, Erickson 2022) riporta le linee guida dell’Holocaust Educational Trust che possono fornire informazioni utili su come impostare le attività in vista del 27 gennaio 2024. 

  • Creare un ambiente di apprendimento positivo, incentrato sullo studente, e dedicare tempo e spazio adeguati alla riflessione. 
  • Raccontare la lunga storia e il ricco patrimonio culturale delle comunità ebraiche europee prima della guerra, poiché senza una comprensione della vita ebraica non è possibile aspettarsi la comprensione della perdita causata dalla Shoah. Non permettere che l’ebraismo venga definito dallo sterminio.
  • Comprendere che l’identità ebraica non è esclusivamente definita in termini religiosi.
  • Concentrarsi sulle storie e sulle esperienze personali degli ebrei. Le statistiche sono impersonali e solitamente difficili, se non impossibili da comprendere. Avvicinarsi alle storie individuali rende gli eventi umanamente più vicini.
  • Scegliere le risorse con attenzione, con sensibilità verso gli studenti, le vittime e i sopravvissuti. Evitare l’uso di immagini raccapriccianti che turbano e desensibilizzano gli studenti e disumanizzano le vittime.
  • Assicurarsi che le testimonianze siano adatte all’età dei fruitori.
  • Non presentare gli ebrei solo come vittime. Assicurarsi di considerare il libero arbitrio e l’ingegno di coloro che provarono a rimanere, a nascondersi, a fuggire, a opporre resistenza in modi diversi.
  • Evitare le attività di gioco di ruolo. Una cosa è stimolare l’empatia verso le vittime del nazismo, un’altra è aspettarsi che gli studenti provino personalmente gli eventi drammatici della Shoah. La cosa espone a sconvolgimenti inutili o banalizza l’esperienza delle vittime.
  • Rendere significative le attività. Lo studio della Shoah genera impegno personale e di gruppo, e porta a considerare quanto gli eventi del passato abbiano una rilevanza ancora oggi.

A questi suggerimenti, mai come quest’anno così devastato dalle guerre, ci sentiamo di aggiungere un invito alla sensibilità e al dialogo sui temi della conoscenza storica e della riflessione critica. A tutto questo aggiungiamo, come sempre, alcuni consigli di lettura: la narrazione, infatti, è sempre il veicolo migliore e più potente per far arrivare emozioni, per sviluppare empatia, per suscitare domande e cercare qualche risposta. 

Quest’anno vi consigliamo tre titoli, tutti incentrati sulla narrazione del Bene, sulla narrazione di storie (vere) di chi ha provato a fare la differenza insieme agli altri e alle altre: storie di comunità intere che hanno saputo compiere una scelta di umanità. 

Un albo per tutti: La città che sussurrò, di Jennifer Elvgren, Giuntina
Un romanzo per i più grandi (dai 10 ai 100 anni): 40 cappotti e un bottone, di Ivan Sciapeconi, Piemme.
Un saggio per adulti: Il popolo che disse no, di Bo Lidegaard, Garzanti

La Cattedrale di Santa Maria del Fiore

La Cattedrale di Santa Maria del Fiore, conosciuta anche come il Duomo di Firenze, è uno dei monumenti più iconici non solo della città, ma dell’intera Italia. Questo capolavoro dell’architettura risale al Rinascimento italiano ed è una meraviglia sia estetica sia storica. L’imponente cupola, progettata da Filippo Brunelleschi, è una delle caratteristiche più distintive della cattedrale. La sua costruzione rappresentò un vero e proprio trionfo ingegneristico dell’epoca. È un simbolo di ingegnosità e genialità artistica. Camminare all’interno della cattedrale è come fare un viaggio nel tempo. Le sue maestose colonne, le vetrate colorate e le opere d’arte che adornano gli interni raccontano la storia e la grandezza della città di Firenze.

Il campanile di Giotto, un’altra parte significativa del complesso della cattedrale, è un esempio sublime dell’arte gotica italiana. La maestosa torre campanaria è situata accanto al Duomo. Progettata da Giotto di Bondone, la costruzione iniziò nel 1334 e continuò dopo la sua morte sotto la guida di altri artisti. La struttura è rinomata per la sua bellezza e per la decorazione delle facciate con marmi bianchi, verdi e rossi, oltre a raffinate decorazioni scolpite. La vista dalla cima offre uno spettacolare panorama su Firenze e i suoi dintorni.

E non si può dimenticare la bellezza della facciata principale, progettata da Arnolfo di Cambio nel XIV secolo, è caratterizzata da marmi policromi, sculture e decorazioni intricate. L’elemento centrale è il maestoso portale principale, arricchito da rilievi scolpiti e statue, tra cui la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Lorenzo. La facciata è arricchita da diverse fasce marmoree di colore bianco, verde e rosso, che creano motivi geometrici e decorazioni floreali. Tra il 1871 e il 1887, la facciata fu completata seguendo il progetto originale di Arnolfo di Cambio, portando a termine la decorazione delle parti superiori e l’aggiunta di statue e dettagli architettonici che arricchiscono ulteriormente questa straordinaria opera d’arte.

Ma oltre alla sua bellezza esteriore, Santa Maria del Fiore ha un significato culturale profondo per Firenze e per l’intera Italia. È un simbolo di fede, di ingegno umano e di perseveranza. Il suo impatto culturale e storico è davvero straordinario. È un luogo che affascina sia i locali che i visitatori da tutto il mondo, offrendo loro una connessione con il passato e un’esperienza estetica senza pari. La magnificenza di Santa Maria del Fiore è un omaggio all’arte, alla storia e alla maestria umana, che continua a ispirare e affascinare le persone di ogni generazione.

Per approfondimenti, vai alla rubrica Luoghi dello Spirito della rivista Raggi di Luce.

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Obiettivo Maturità

Mancano una manciata di mesi all’inizio della maturità. Per questo motivo oggi vi presentiamo una lista di possibili collegamenti tra alcune opere letterarie e gli obiettivi dell’agenda 2030. Sia che abbiate già affrontato l’opera sia che la dobbiate ancora spiegare in classe, qui di seguito troverete utili spunti da condividere e percorrere con i vostri studenti in vista del colloquio d’esame. Per la maggior parte degli spunti presentati, vi vengono offerti lezioni pronte, podcast, video ed esercizi dal materiale Rizzoli Education.

Inglese

NO POVERTY

Dickens, Oliver Twist, Oliver is taken to the Workhouse 

ZERO HUNGER

  • Dickens, Oliver Twist, I want some more

GOOD HEALTH AND WELL-BEING

QUALITY EDUCATION

GENDER EQUALITY

DECENT WORK AND ECONOMIC GROWTH

  • Blake, The chimney sweeper
  • Dickens, Oliver Twist

INDUSTRY, INNOVATION AND INFRASTRUCTURE

  • Dickens, Hard Times, Coketown

REDUCED INEQUALITIES

SUSTAINABLE CITIES AND COMMUNITIES

  • Blake, London

RESPONSIBLE CONSUMPTION

  • Coleridge, The rime of the ancient mariner

CLIMATE ACTION

  • Foer, We Are the Weather: Saving the Planet Begins at Breakfast
  • Coleridge, The rime of the ancient mariner

LIFE ON LAND

  • Wordsworth, I wandered lonely as a cloud
  • Coleridge, The rime of the ancient mariner
  • Gilbert, The signature of all things

PEACE, JUSTICE AND STRONG INSTITUTIONS

PARTNERSHIP

Spagnolo

OBIETTIVO TITOLO AUTORE
1 Fin de la pobreza Lazarillo de Tormes Autor desconocido
4 Educación de calidad La lengua de las mariposas Manuel Rivas
5 Igualdad de género La casa de Bernarda Alba Federico García Lorca
8 Trabajo decente y crecimiento económico Poeta en Nueva York Federico García Lorca
10 Reducción de las desigualdades Romancero gitano Federico García Lorca
11 Ciudades y comunidades sostenibles Cien años de soledad Gabriel García Márquez
13 Acción por el clima Historia de una gaviota y del gato que le enseñó a volar Luis Sepúlveda
14 Vida submarina Mundo del fin del mundo Luis Sepúlveda
15 Vida de escosistemas terrestres Historia de un caracol que descubrió la importancia de la lentitud Luis Sepúlveda
16 Paz, justicia e instituciones solidas El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha Miguel de Cervantes
17 Alianzas para lograr los objetivos Fuente Ovejuna Lope de Vega

Novità in materia di redazione dei report di sostenibilità

Incontrare la letteratura

«Come facciamo con la letteratura?». «Come si può progettare un Reading Workshop con la letteratura, quando i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di alcuni saperi essenziali?». «Forse il Writing and Reading Workshop non è la strada giusta per l’approccio al testo letterario».

Queste sono alcune affermazioni o domande che sintetizzano ciò che molti che praticano Writing and Reading Workshop si sono posti di fronte alla sfida della letteratura all’interno del Laboratorio. Con questo contributo, vogliamo provare a identificare e ad approfondire alcuni aspetti nodali per la progettazione di percorsi di Reading Workshop dedicati all’incontro con la letteratura. Lo sottolineiamo bene: incontro con la letteratura. 

Cinema e cultura della memoria a scuola

Se l’occhio non si esercita, non vede.
Se la pelle non tocca, non sa.
Se l’uomo non immagina, si spegne
D. Dolci

Quando si affronta il tema dell’insegnamento della storia a scuola una delle questioni più impellenti è quella relativa al come farla apprezzare, e ciò sia per la storia più generale sia per quella “minore”, intesa come quella legata più alle persone singole, che nel bene e nel male l’hanno “messa in scena”, determinata, rappresentata, interpretata. E’ costante la domanda del come insegnare alle e ai più giovani a interrogare, a vedere, a ricostruire gli eventi storici e sociali, anche i più terribili, risvegliando in loro l’immaginario e la “compassione”, verso le tante storie del passato (anche recente), dalle più vaste alle più piccole e locali, fino alle famigliari… In altre parole, come fare accostare in modo autentico ed efficace le studentesse e gli studenti a ciò che è stato, in modo che non risulti per loro qualcosa di astratto, estraneo, lontano, che non li riguardi? 

L’uso del linguaggio visuale

Perché è incontestabile quanto sia importante suscitare un coinvolgimento emotivo ed inclusivo nell’apprendimento della storia, che, accanto alla vigilanza metodologica, possa portare i ragazzi ad individuarvi quei valori universali, che perdurano nel presente. Trovo che l’uso del linguaggio visuale possa venirci in aiuto: negli anni come INDIRE abbiamo sviluppato un’attività sperimentale “La scuola allo schermo” che ha permesso di monitorare svariate esperienze in aula in cui storia e cinema si sono sapute incontrare in modo efficace, dando un contributo nella direzione di quell’istruzione di qualità di cui si parla quale base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile, soprattutto nelle aree difficili del nostro territorio, caratterizzate dallo spopolamento e dall’isolamento, laddove è più forte il bisogno di una rinnovata narrazione: dialogica, iconica, multimediale, tecnologica, filmica. 

Il processo di digitalizzazione e il cinema come fonte

Certo nell’uso in classe delle fonti fotografiche, filmiche e audiovisive viene in aiuto il processo di digitalizzazione che le ha rese ormai più agevolmente accessibili on line. Ci si riferisce innanzitutto a siti e portali di istituti culturali, di archivi, ma anche di biblioteche, nonché di istituzioni e progetti nazionali ed europei, che hanno rendono oggi possibile la consultazione nel web di cospicui giacimenti documentari digitalizzati, descritti, contestualizzati, con percorsi didattici che, soprattutto oggi, costituiscono un’offerta proficua, senza precedenti, accanto a quella dei manuali e di altri strumenti didattici.                                                                                                                                                                                   

Fare cinema riunendo le discipline

Se si guarda, invece, non tanto al cinema come “fonte”, ma al “fare” cinema in classe nel quadro dell’insegnamento – apprendimento della storia: emerge un elemento, ovvero come il raccontare attraverso un’immagine o narrare per immagini sia un’attività che determina la discesa in campo di molte abilità, che sono alla base di un laboratorio di storia attivo e partecipativo, che prescinde dalla sola storia in senso stretto e che integra molte altre competenze, svelate proprio dai linguaggi visivi. 

E se il cinema è un linguaggio, uno strumento con cui tutte le persone possono esprimersi allora a scuola può diventare uno strumento che favorisce l’insegnamento della storia, che consente una sua riattualizzazione e che, al contempo, unisce le discipline, riuscendo a far emergere conoscenze e competenze con carattere di trasversalità e, soprattutto, a favorire l’inclusione e a supportare talune fragilità. 

The Lexi Cinema, Chamberlayne Road, NW10 – Mike Quinn – Wikimedia Commons

Un linguaggio inclusivo

Infatti, dagli esercizi allo sguardo più immaginifici si riesce a dare una forma ai pensieri e la cultura audiovisiva diviene, a tutti gli effetti, un linguaggio inclusivo che trasforma in attiva tutta l’applicazione metodologica. L’audiovisivo, inoltre, non è composto solo di immagini, ma di suoni, di  sensazioni, di sinestesie, di lunghe emozioni tattili. Dunque, questa narrazione si configura come pluri-sensoriale. Questa dimensione in riferimento all’inclusione scolastica, può permetterci finalmente di parlare di didattica inclusiva: quest’ultima, oggi, può essere qualificata come una “didattica di qualità per tutti” ed ha smesso di essere considerata come una corsia d’accesso solo per studenti con disabilità o bisogni educativi speciali.  Così anche nell’insegnamento della storia, l’audiovisivo diventa il terzo spazio mediale: un nuovo ambiente di apprendimento dove chi non riesce a comunicare convenzionalmente può creare

La dimensione territoriale

La scuola si trova in una rete di relazioni che sono in primo luogo quelle del suo territorio, della comunità che vi abita e lavora e della loro storia. Per quanto il confine tra la dimensione locale e quella globale sia oggi più sfumato rispetto al passato, solo la dimensione territoriale è depositaria degli usi, dei costumi, dell’immaginario collettivo che dà forma all’identità personale e comunitaria, assegnando agli oggetti (naturali e artificiali) uno specifico significato. Questo processo di significazione costruisce il patrimonio della collettività, come ci ricorda l’articolo 2 della Convenzione di Faro, uno dei recenti documenti europei con maggiori e evidenti aspetti formativi.

Partendo da questo presupposto, che mette al centro del patrimonio culturale i soggetti e le loro volontà, la dimensione territoriale dell’azione educativa assume un valore crucialeIn tale prospettiva “fare storia” può coincidere anche con il raccontare il quotidiano, l’usuale, un luogo, una montagna, una periferia, narrando una vicenda “banale” come fosse un’epica, raccontando per non dimenticare, poiché raccontare è un esercizio della memoria.              

Due esperienze nel territorio

Nelle due esperienze che potete scaricare qui sotto – sia in quella sviluppata in Abruzzo nella contingenza pandemica, sia in quella Toscana sui sentieri dei pellegrini – cinema, memoria e territori, compongono una grande narrazione corale, quasi un’epica, una mitologia dei luoghi e degli eventi. In queste due esperienze, la disciplina storica, attuata attraverso il fare cinema, si configura come elemento centrale per rafforzare il legame tra abitanti e i loro territori: l’attività svolta ha permesso di far emergere le voci dei territori, rispondendo all’intento di offrire alla comunità locale e pure a quella più ampia uno spazio ulteriore per raccontarsi nelle sue dimensioni storico culturali materiali e immateriali, valorizzando vicende, luoghi e personaggi dei territori extraurbani attraverso una narrazione che metta in luce aspetti significativi, talvolta inediti, che meritano di essere scoperti e approfonditi. 

Alimentare, grazie al linguaggio cinematografico, il rapporto tra memoria, territorio e scuola ha significato ripensare alla prossimità non solo in termini di vicinanza fisica ma anche, e soprattutto, in termini di senso di appartenenza ai luoghi e di legami culturali identitari: si è trattato di valorizzare il patrimonio materiale e immateriale del territorio col fine precipuo di proteggere anche l’identità culturale delle comunità che in esso si riconoscono.

In copertina: Cinema Auditorium – Jorge Simonet – Wikimedia Commons

Per approfondire