Mi ami? Ma quanto mi ami?

Una delle discriminanti più evidenti tra chi padroneggia una lingua con scioltezza e chi la sta ancora apprendendo è l’ampiezza del vocabolario. La varietà e l’ampiezza del vocabolario sono due parametri decisivi per distinguere il parlante esperto dal principiante.

Quando si insegna una L2, in particolare quando ci si occupa di Inglese alla scuola primaria, è facile incappare nell’errore di fornire “grandi categorie di significato” facilmente spendibili, vocaboli generici e utilizzabili fin da subito, che danno al parlante l’impressione – reale – di essere in grado di comunicare immediatamente, ma che, se non vengono nel corso di apprendimenti successivi “raffinate” e articolate, possono portare ad una conoscenza della lingua superficiale, vaga e ad una comunicazione così basilare da risultare quasi banale. 

Le emozioni e i verbi: un universo di possibilità

Pensiamo, solo per citare alcuni esempi, al vocabolario relativo alle emozioni. Ovviamente i primi vocaboli che gli insegnanti presentano ai bambini sono generici e rappresentano categorie ampie e poco definite: happy, sad, angry… queste macro-espressioni vanno benissimo per il parlante alle prime armi, ma persino i bambini più piccoli si rendono benissimo conto che c’e’ una bella differenza tra la felicità che si prova scoprendo che un grande ci ha preparato una torta, e la felicità che prova chi ha vinto un grosso premio alla lotteria, solo per fare un esempio. Se da un lato il primo sarà pleased, delighted o glad, il secondo sarà invece overjoyed o exultant. Allo stesso modo, a seconda del grado di sete, avremo chi, lentamente, sips, chi gulps quasi senza prendere fiato, chi, semplicemente, drinks, senza connotazioni di sorta. 

Verbi ed aggettivi – soprattutto quelli legati alle emozioni -, tanto nella Lingua madre quanto nella L2, sono categorie grammaticali perfette per lavorare non solo sull’ampliamento del vocabolario, ma anche sulla percezione dei vissuti, sulla riflessione sui propri sentimenti, sull’articolazione elaborata e precisa del proprio pensiero. Vediamo come.

 

Ragionare sulla Lingua Madre come punto di partenza

Senza voler scomodare una L2, la conoscenza della propria lingua da parte dei bambini e’ talvolta poco profonda e variegata. Il primo passo per parlare e scrivere meglio è conoscere e usare tanti vocaboli che rappresentino diverse sfumature dello stesso significato. Ecco alcuni esempi di verbi – sicuramente non completi, ma per rendere l’idea:

  • MANGIARE: assaggiare, piluccare, sbocconcellare, divorare, rimpinzarsi…
  • PIANGERE: piagnucolare, frignare, singhiozzare, gemere…
  • CAMMINARE: vagabondare, trascinarsi, procedere, marciare, incedere…
  • DORMIRE: sonnecchiare, appisolarsi, assopirsi, ronfare…
  • GUARDARE: sbirciare, avvistare, squadrare, contemplare, fissare…

Queste sono solo alcune possibilita’ da cui partire per lavorare. L’insegnante potra’:

  • Fornire ai bambini alcune “liste” di esempio, chiedendo loro di discutere in piccoli gruppi sulle differenze di significato tra i vari elementi della lista;
  • Chiedere ai bambini di ampliare le liste presentate, aggiungendo altri sinonimi che loro stessi conoscono;
  • Offrire a ciascun gruppo un particolare verbo da utilizzare per creare una nuova lista, introducendo l’uso del dizionario dei sinonimi e contrari;
  • Chiedere a ciascun bambino di creare una frase per ciascuna delle variazioni presenti sulla sua lista, in modo che le frasi stesse mettano in evidenza le sfumature di significato.

 

Riconoscere l’esistenza delle sfumature di significato nella L2

Dopo aver lavorato sulla L1, il passaggio alla L2 dovrebbe essere abbastanza naturale. Usando un vocabolario a doppia entrata, l’insegnante potrà lavorare per insegnare ai bambini a cercare le traduzioni dei verbi e degli aggettivi identificati nella prima fase del lavoro. Ciascun bambino passerà poi a creare sul proprio quaderno una pagina per ciascun parola in cui, ponendo il vocabolo di riferimento al centro, si disegnerà intorno uno schema a ragnatela all’interno del quale saranno inseriti tutti i sinonimi trovati, aggiungendo dei disegni che li rappresentino, e magari una frase in L2. In questo modo si creeranno delle vere e proprie pagine di vocabolario personalizzato che, poiché uniscono la parola all’immagine, saranno molto più facili da memorizzare.

 

Creare le carte delle “gradazioni di parole”

Usando degli schemi che ricordano i campioni di colori di vernice presenti nei colorifici, l’insegnante inviterà i bambini a disporre i sinonimi di verbi ed aggettivi che hanno trovato in ordine di intensità. Come già detto sopra, abbuffarsi è molto diverso da piluccare, ed è ancora diverso da saziarsi, e imparare a distinguere tra i diversi gradi di profondità delle parole aiuta a diventare parlanti esperti sia nella L1 sia nella L2. Come classe, o in gruppi, i bambini coloreranno gli schemi (allegati) con diverse gradazioni di colore, dopodiché li riempiranno con le parole che hanno tradotto nell’attività precedente. Ogni schema può essere ritagliato su misura, poiché non tutte le parole hanno lo stesso numero di possibili sinonimi. Questi “arcobaleni di significato” potranno essere poi appesi in classe e restare sempre a disposizione come riferimenti lessicali.

 

Costruire un mazzo di “sinonimi visivi”

Utilizzando i bambini come modelli, il docente potrà realizzare, con un semplice strumento fotografico, dei mazzi di carte che rappresentino visivamente le variazioni di significato di ciascuna parola. A mensa, per esempio, si potrà fotografare qualcuno che sbocconcella, qualcuno che si abbuffa, qualcuno che assaggia. In palestra alcuni bambini saranno fotografati mentre marciano, altri mentre si trascinano altri ancora mentre gironzolano… Tutte queste carte potranno essere poi usate per il ripasso del vocabolario, estratte a caso, utilizzate come quiz veloci, o come giochi per creare semplici storie, magari estraendone due o tre in ordine sparso e chiedendo agli studenti di utilizzare i vocaboli pescati per creare semplici situazioni narrative.

Sfumature di significato a San Valentino

La ricorrenza di San Valentino si presta molto bene a introdurre il lavoro fin qui presentato sulle gradazioni di significato. Riprendendo l’adagio (foro noto più agli insegnanti che ai bambini) “Mi ami? Ma quanto mi ami?” è possibile selezionare un vocabolario specifico e coinvolgente da cui partire a lavorare:

  • TO LOVE: to care, ro enjoy, to be crazy about, to admire, to venerate…
  • TO HUG: to cuddle, to squeeze, tu clasp, to hold…
  • HAPPY: cheerful, merry, joyous, satisfied, overjoyed…
  • BEAUTIFUL: pretty, good-looking, charming, gorgeous, stunning…

Le possibilità sono infinite, così come le circostanze. Quello che però non cambia è l’importanza di fornire ai bambini un vocabolario il più ampio e specifico possibile, per permettere loro di esprimersi realmente secondo le necessità e intenzioni del loro pensiero, a prescindere da quale lingua essi decidano di utilizzare.

Una parola non vale l’altra | Natalia Ginzburg

La lingua e la storia: oltre la cifra stilistica c’è di più

Ogni lingua è la storia che si porta dentro. Nella letteratura non sono poche le voci femminili di poetesse e scrittrici che trovano un spazio di sperimentazione linguistica durante il periodo della Resistenza, caratterizzato da un clima vivace di ricostruzione culturale. Giocano con la lingua per raccontare la guerra, l’emancipazione delle donne e gli ideali antifascisti. Un po’ come fanno i loro colleghi. Pensiamo, per esempio, a Beppe Fenoglio, che ne Il partigiano Johnny (1968) utilizza l’inglese, lingua stigmatizzata e bandita durante il Ventennio, per arricchire l’italiano e creare una “nuova lingua letteraria”. Tra le autrici innovative e originali del tempo, Natalia Ginzburg si insinua con forza nella ricerca letteraria grazie alle nuove modalità comunicative che colorano le conversazioni domestiche di Lessico famigliare (1963), un romanzo esplicitamente incentrato sulla memoria autobiografica in cui racconta la vita quotidiana della propria famiglia d’origine dal 1925 ai primi anni Cinquanta. 

Neologismi, dialetto e storpiature

Lessico famigliare: il titolo del romanzo svela come l’autrice assegni un ruolo fondamentale al linguaggio usato dalla sua famiglia, cui attribuisce un valore al tempo stesso narrativo, evocativo e sociale. Per questo, nella sua prosa semplice e autentica, inserisce tic verbali, storpiature, neologismi ed espressioni dialettali. «Negrigure», «potacci», «sbrodeghezzi» sono solo alcune delle parole inventate dal padre Giuseppe Levi. La lingua inedita di Ginzburg diventa così un simbolo, uno strumento per contrapporsi alla situazione linguistica del Paese e per affermare il potenziale del linguaggio parlato. «Era necessario tornare a scegliere le parole, a scrutarle per sentire se erano false o vere, se avevano o non vere radici in noi». Le parole alle quali si riferisce Natalia Ginzburg sono quelle che hanno plasmato non solo la sua famiglia ma anche l’intera collettività. Ogni nucleo, in fondo, in quei dialoghi un po’ si rispecchia. L’autrice si chiede così se sia possibile impiegarle − quelle parole − per rivendicare la realtà, l’esistenza di una forma autentica di comunità dopo la dittatura fascista. In questo senso, la parola è fonte di vita. Di storia e di memoria.

Spunti didattici

Per stimolare ragazze e ragazzi ad approfondire il valore letterario della lingua di Lessico famigliare suggeriamo due spunti di attività da proporre in classe.

L’autrice e il suo romanzo
Proponi alla classe come materiale di studio il video di Chiara Tagliaferri dedicato a Natalia Ginzburg condividendo questo link. Successivamente, apri un dibattito a partire dalle seguenti domande:

  • Come comunicavano le persone in Italia nel periodo che rappresenta Natalia Ginzburg nel suo romanzo?
  • Che cosa intende Chiara Tagliaferri quando parla di “linguaggio semplice e sublime”?
  • «Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole»: cosa vuole comunicare Ginzburg al lettore o alla lettrice?

Dialogare con il presente

L’uso di soprannomi e di un lessico particolare, condiviso all’interno del gruppo ma difficilmente comprensibile agli esterni, caratterizza anche comunità diverse da quelle familiari. Proponi come esercizio di scrittura argomentativa una riflessione sul lessico (1000 battute) che le nuove generazioni utilizzano quotidianamente con amici e amiche e su quanto questo crei un senso di comunità.

In copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Natalia_Ginzburg#/media/File:Natalia_Ginzburg.jpg

Il Museo Egizio di Torino si rinnova nel segno dell’inclusione

Oltre un milione di visitatori nel 2023 (inclusi eventi istituzionali e privati) e una collezione di circa 40.000 reperti di cui 3.300 esposti nelle sale museali e circa 12.000 nelle Gallerie della Cultura Materiale. Sono i numeri del Museo Egizio di Torino che quest’anno si appresta a festeggiare i suoi 200 anni di vita.

Meta irrinunciabile per chi visiti la città sabauda, il museo nacque nel 1824 nella sede dell’Accademia delle Scienze all’interno del secentesco palazzo del Collegio dei Nobili ed ora, in occasione di questo peculiare compleanno, l’istituzione sta per dare il via a un progetto che la trasformerà in un “luogo d’incontro, scambio, cultura, trasparente ed inclusivo”. L’avvio dei lavori è previsto per la metà di aprile e si dovrà concludere entro il 2024. Ancora in fase di valutazione la parziale o temporanea chiusura dell’istituzione. 

Il bando e il progetto 

Nel 2022 è stato bandito dalla Fondazione Compagnia di San Paolo un concorso internazionale di idee vinto dallo studio olandese OMA (Office for Metropolitan Architecture, David Gianotten e Andreas Karavanas) in collaborazione con gli architetti locali Andrea Tabocchini Architecture, T-Studio e con la consulenza di Andrea Longhi. 

Fulcro del rinnovamento: la rifunzionalizzazione della corte interna per trasformarla in un nuovo spazio pubblico insieme al riallestimento della Galleria dei Re e del Tempio di EllesijaLa nuova agorà rinominata Piazza Egizia, che implicherà anche l’apertura di nuovi accessi, si presenta come un’area su due livelli coperta da una trasparente struttura in vetro e acciaio, accessibile liberamente anche oltre l’orario d’apertura del museo. 

A caratterizzare il progetto sono il cosiddetto giardino egizio con tanto di palmizi, una sala immersiva (a cura dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova), una nuova area conferenze e spazi espositivi temporanei nonché l’accesso gratuito e diretto al tempio di Ellesija, il più antico tempio rupestre della Nubia. Il tempio, in seguito alla costruzione della diga di Assuan, rischiava di venire sommerso dalle acque del bacino artificiale del lago Nasser e il Governo egiziano decise di donarlo al Governo italiano. Così nel 1966 venne trasferito e ricomposto a Torino. 

Il riallestimento della Galleria dei Re

Un’altra tappa fondamentale della metamorfosi dell’Egizio è da considerarsi il riallestimento della Galleria dei Re in sostituzione di quello attuale a firma dello scenografo Dante Ferretti e realizzato in occasione delle Olimpiadi Invernali del 2006. Attualmente sono in corso i restauri delle statue raffiguranti Faraoni e divinità provenienti da Karnak a Tebe. A breve si attende l’affidamento d’incarico per i lavori che comporteranno una redistribuzione delle statue secondo il loro assetto originario, così come dovevano trovarsi all’interno di un tempio egizio e, soprattutto, la riapertura delle finestre che consentirà all’ambiente di essere nuovamente illuminato dalla luce naturale. 

Una nuova visione di Museo 

«Celebrare i 200 anni del Museo, non è solo un esercizio di memoria, ma significa anche programmare il futuro» hanno dichiarato il Direttore Christian Greco e la presidente del Museo, Evelina Christillin. «Il progetto architettonico di Oma nasce sulla scorta di nuova visione di Museo, più articolato e multiforme: ente di ricerca, luogo inclusivo, spazio in cui, come recita l’articolo 3.2 della Costituzione italiana, si lavora per abbattere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo armonico della persona. Dopo la trasformazione del 2015 il Museo si è aperto al mondo, ha cambiato costantemente la sua offerta espositiva, ha studiato nuove strade e ricette per raccontare non solo la cultura materiale ma anche la storia nascosta dei reperti e della civiltà dell’antico Egitto. Per il bicentenario abbiamo deciso di riflettere sul ruolo dell’Egizio: è un luogo di conservazione o di distruzione? Cosa gli manca a 200 anni dalla fondazione? È a partire da questi interrogativi che vedrà la luce il nuovo Museo». 

Per approfondire

In copertina: Museo Egizio, Torino. Rendering della Piazza Egizia. Copy OMA

Fact Checking | Le fake news della storia antica

False notizie… sedimentate nel tempo

Le fake news? Di sicuro non sono un’invenzione della nostra epoca! Anzi, se ne possono scovare diverse persino nell’antichità. Certo, a quei tempi non si poteva disporre dei raffinati algoritmi dell’Intelligenza artificiale, ma le notizie false – soprattutto attorno ai personaggi più rilevanti – non mancarono di circolare.

A crearle furono i contemporanei e, allora come ora, lo scopo era quello di trasmettere una determinata visione degli eventi, arrivando a condizionare l’opinione pubblica, per usare un’espressione decisamente moderna. Molto spesso queste fake news furono poi raccolte e amplificate dalla storiografia di epoche successive, dando origine a false credenze, a vulgate intriganti capaci di cristallizzarsi nel tempo. E che gli storici, in tempi recenti, hanno dovuto smascherare con non poche difficoltà.

Alla ricerca di fake news

Per smascherare le false notizie più antiche occorre un’attenta e laboriosa attività di fact checking, cioè di controllo della veridicità delle informazioni, sottoponendo alla “prova dei fatti” la versione della storia che ci è stata trasmessa. Nel campo della storiografia, il fact checking si deve fondare su alcuni passaggi imprescindibili, come l’analisi e il confronto tra più fonti; la conoscenza approfondita del contesto storico-sociale-culturale in cui si sono verificati i fatti; l’individuazione di informazioni e dati il più possibile verificati; l’impiego delle tecniche e degli studi più recenti. Vediamo ora due celebri esempi di false notizie del mondo antico.

Alessandro Magno fu assassinato?

La figura di Alessandro Magno alimentò moltissime leggende e false notizie. Dai cronisti dell’epoca (come Callistene e Aristobulo), agli storici di epoche successive (da Arriano a Plutarco), fino ad arrivare al cosiddetto Romanzo di Alessandro (un’opera medievale falsamente attribuita a Callistene): tutti contribuirono a creare un alone di mito attorno al sovrano macedone.  In particolare sulla morte di Alessandro, improvvisa e prematura, iniziarono presto a circolare false notizie: in molti sostennero che fu un assassinio, a opera di uno dei suoi numerosi nemici o di qualche suo generale, ostile alla piega filo-orientale assunta dal sovrano. Ma di questo presunto assassinio non esistono prove. 

La causa più plausibile della morte di Alessandro resta la malattia. A lungo si è pensato che si trattasse di malaria: del resto, è probabile che la sua lunga marcia lo avesse esposto al contagio. L’ultima ipotesi sulla morte del sovrano arriva però dall’Università di Otago, in Nuova Zelanda. Secondo la ricerca, Alessandro fu ucciso da un disturbo neurologico chiamato sindrome di Guillain-Barré, provocato da un’infezione al tratto digerente, che lo lasciò paralizzato per sei giorni, fino ad impedirgli di respirare. Questa ipotesi, tra l’altro, collima con un dettaglio narrato dalla tradizione: quando i medici videro il re immobile, lo dichiararono morto, ma ancora sei giorni dopo il presunto decesso osservarono che il corpo non mostrava segni di decomposizione. Per i seguaci di Alessandro ciò costituiva la conferma definitiva della sua origine divina…

Augusto lasciò una città di marmo?

«Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo». Con queste parole, secondo Svetonio, Augusto in punto di morte volle celebrare la sua opera di trasformazione di Roma. Ma si tratta di verità o di uno slogan riconducibile alla propaganda augustea? L’Università della California a Los Angeles, basandosi su una grande quantità di informazioni e dati raccolti, ha elaborato recentemente alcuni modelli tridimensionali per mostrare i cambiamenti urbanistici di Roma tra l’anno dell’assassinio di Cesare (44 a.C.) e quello della morte di Augusto (14 d.C.). Il risultato è che la capitale non cambiò poi di tanto: con l’eccezione di alcune aree pubbliche in cui le strade furono lastricate o in cui vennero realizzati grandi edifici in marmo, Roma rimase molto simile alla città dell’epoca di Cesare.

La propaganda del principe presentò la capitale come una sorta di città ideale, ma la realtà era un’altra. Roma, che già per la propria conformazione naturale presentava problemi di tipo logistico non indifferenti, visse in questi decenni una crescita esponenziale della popolazione, con l’afflusso di grandi masse di poveri. La capitale divenne negli anni un groviglio urbanistico, in cui emersero le difficoltà legate alla convivenza di un grande numero di persone: quartieri sovraffollati, scarsa igiene, cattivi odori, violenze e malattie diffuse. Augusto su questo aspetto riuscì a fare ben poco. 

Il fact checking come metodo didattico

Una riflessione finale riguarda il fact checking come metodologia didattica. Insegnare a ragazze e ragazzi a guardare in modo attento al passato, o meglio a ciò che del passato ci è stato raccontato, può aiutare a suscitare un maggior interesse per la disciplina storica, favorendo il coinvolgimento e, quindi, l’apprendimento. Non solo: l’abitudine a vagliare le informazioni costituisce il primo passo per lo sviluppo di una soft skill sempre più necessaria nel mondo di oggi, costellato da fake news: quella del pensiero critico.

Che cos’è l’IA e come si usa?

Ogni giorno di più, l’intelligenza artificiale (IA) entra dirompente nelle nostre vite. Tutti ne facciamo uso ormai, consapevolmente o meno. Ma cosa si nasconde veramente dietro un’IA? 

Macchine e dati

Partiamo col definirla come un campo multidisciplinare dell’informatica e della matematica che crea macchine intelligenti in grado di replicare o superare l’intelligenza umana. Siamo bombardati da termini come machine learning, deep learning e intelligenza artificiale, spesso confusi tra loro. In realtà, si tratta di concetti diversi, seppur dai confini indefiniti. Il machine learning (ML) è, infatti, un sottoinsieme dell’IA che consente alle macchine di automatizzare e migliorare le proprie prestazioni addestrando dei modelli basati su dati. Per capire meglio di cosa si tratta, prova a immaginare il sistema che distingue tra le e-mail “spam” e “non spam” in modo automatico. 

Come nasce un’IA?

Anche se ci sembra recente, il primo utilizzo del termine IA risale al 1956, quando fu creato il primo sistema intelligente: il Logic Theorist, in grado di risolvere problemi matematici. Successivamente, fu sviluppata la prima e più semplice forma di rete neurale (un modello molto potente), il Percettrone, da cui negli anni si è sviluppata una sottocategoria, chiamata deep learning.

Le IA intorno a noi

Sono molteplici i campi dove l’intelligenza artificiale viene utilizzata: dalla sorveglianza alla diagnostica medica, alla guida autonoma, all’analisi e revisione di documenti, al marketing, agli stessi socialIl processing del linguaggio naturale (NLP) è uno degli ambiti in cui l’IA eccelle, consentendo alle macchine di comprendere, interpretare e addirittura generare linguaggio umano. Si pensi a chat gpt, assistenti vocali e traduttori automatici. 

Anche la sanità è stata rivoluzionata dall’IA, grazie, ad esempio, a modelli in grado di diagnosticare malattie in modo precoce. Nei veicoli, ancora, l’IA è fondamentale per la guida automatizzata, grazie alla costante elaborazione di informazioni provenienti da sensori per prendere decisioni in tempo reale. In ognuno di questi ambiti, algoritmi intelligenti, sono in grado di imparare automaticamente a riconoscere e prevedere situazioni complesse.

Chi progetta l’IA?

Per quanto, queste macchine ci sembrino così potenti e indipendenti, chi raccoglie, fornisce dati e progetta gli algoritmi è l’essere umanoL’evoluzione dell’IA è in continua crescita, così come i timori annessi ad ogni progresso scientifico dove grandi benefici sono sempre accompagnati da rischi che solo la regolamentazione e la conoscenza possono controllare. 

Rubrica a cura di Generazione Stem

Febrero, un mes corto pero lleno de curiosidades

Febrero es mucho más que el mes más corto del año, el mes al que se le añade un día cada cuatro años o el mes de los enamorados. Sigue leyendo este artículo y descubrirás algunas de las muchas peculiaridades de febrero. 

Origen del nombre

El término “febrero” proviene del latín februare y significa “limpiarse”. Se le denomina así porque los romanos realizaban ciertos ritos religiosos de purificación dedicados a Plutón.

La palabra “febrero” puede ser usada como un insulto

Además de un excelente dramaturgo, Shakespeare era un genio creando insultos, y el mes de febrero le parecía perfecto para indicar que alguien era feo.

« Tienes un rostro de febrero, lleno de escarcha, tormentas y nubosidad. »

                                                      Shakespeare, Mucho ruido y pocas nueces (1598-1599)

 

En principio tenía 29 días

Cuando los astrónomos romanos, por orden de Julio César, crearon el año de 365 días, con un día adicional cada cierto número de años dando lugar al año bisiesto, febrero normalmente tenía 29 días y cuando era bisiesto 30. Se cuenta que fue cuando Augusto salió al poder que para poder tener un mes en su honor (agosto), febrero perdió un día.

En los años bisiestos las mujeres podían proponer matrimonio

En Gran Bretaña, durante muchos años, las mujeres podían proponer matrimonio a sus pretendientes solo los 29 de febrero. Hay dos leyendas que explican el origen de este hecho. La primera y más antigua cuenta que, allá por el siglo X, Santa Brígida se quejó ante San Patricio de que las mujeres debían esperar demasiado a que sus pretendientes se decidieran a pedirles matrimonio y este les concedió la posibilidad de que el 29 de febrero fueran ellas quienes se lo propusieran. La segunda leyenda afirma que la reina Margarita de Escocia emitió una ley en 1288 que daba a las mujeres solteras la libertad de proponer matrimonio durante un año bisiesto.

Una fiesta de cumpleaños gratis 

¿Te imaginas poder festejar tu cumpleaños solo cada cuatro años o que tuvieras que hacer la fiesta en otro día? Triste, ¿no? Esto es lo que le pasa a quienes nacen el 29 de febrero. Muchos lo celebran el 28 de febrero. Por eso, en Anthony (Texas, EE.UU.), todas las personas que nacieron el 29 pueden tener una fiesta gratis. Nada mal, ¿verdad? 

Un mes de muchas fiestas

En muchos calendarios de todo el mundo, febrero es el segundo mes, después de diciembre, con más celebraciones, entre las que destacan: el Carnaval, San Valentín (14 de febrero) o el día de la Marmota (2 de febrero). 

En España, los Carnavales son los grandes protagonistas de este mes: en esos días las calles se llenan de música, se celebran desfiles y la gente se disfraza. Los más conocidos son el Carnaval de Santa Cruz de Tenerife, el de Cádiz, el de Verín, el de Xinzo de Limia o el Carnaval de Águilas, pero hay muchos más.

Puede no haber luna llena

El mes de febrero es el único en el que puede que no haya luna llena. 

Y tú ¿conoces alguna curiosidad más del mes de febrero?

Il santuario di San Francesco di Paola

Tra i santi più celebrati dalla tradizione cristiana, risalta la figura di San Francesco di Paola, la cui vita è stata caratterizzata da una profonda dedizione alla preghiera, alla penitenza e alla carità. Nato nel marzo del 1416 a Paola, in Calabria, Italia, da genitori devoti e religiosi, dimostrò sin dalla giovane età una particolare inclinazione alla spiritualità e alla vita ascetica. Intorno all’età di 13 anni, Francesco si ritirò in una grotta per condurre una vita di preghiera, digiuno e penitenza. Questo periodo di ritiro durò diversi anni, durante i quali il santo sviluppò una profonda intimità con Dio e una forte sensibilità verso i bisogni degli altri.

Nel 1435, all’età di 19 anni, Francesco ricevette un’apparizione della Madonna, che gli chiese di fondare un nuovo ordine religioso dedicato alla povertà e alla carità. Questo ordine divenne noto come l’Ordine dei Minimi. Francesco ricevette l’approvazione ufficiale per l’ordine nel 1474 da papa Sisto IV. A san Francesco di Paola sono attribuiti numerosi miracoli, tra cui la capacità di camminare sulle acque e la profezia di eventi futuri. Dopo aver trascorso gli ultimi anni in serena solitudine, morì in Francia a Plessis-lez-Tours il 2 aprile 1507, un Venerdì Santo, a ben 91 anni, età più che ragguardevole per l’epoca.

Il santuario di San Francesco da Paola sorge nella parte alta e collinare della cittadina di Paola, località di nascita di san Francesco, in una valle costeggiata da un torrente e ricca di vegetazione. È meta di pellegrinaggio da tutto il sud Italia, specialmente dalla Calabria, di cui san Francesco è patrono. Custodisce parte delle spoglie del santo, mentre le restanti si trovano a Tours in Francia. Nell’ottobre 1921 papa Benedetto XV ha elevato il santuario al rango di basilica minore. L’edificio presenta una facciata in pietra tufacea divisa in due ordini di colonne. Al di sopra in una nicchia è posta la statua del Santo con lo stemma dell’ordine monastico da lui fondato. Tale stemma consiste in uno scudo con al centro la scritta “Charitas”, gli fu indicato in una apparizione dallo stesso San Michele Arcangelo. 

L’interno della chiesa antica si presenta spoglio, con al lato destro solo una navata nella quale si affacciano cinque cappelle delle quali le prime quattro sono affrescate con episodi della vita di Francesco e l’ultima, la più sontuosa, ne custodisce alcune reliquie. Sull’altare si ammira un dittico raffigurante i due Santi: San Francesco di Paola e San Francesco d’Assisi, mentre le pareti del presbiterio mostrano un affresco della Madonna degli Angeli. Dal pronao si accede all’antico romitorio e al chiostro nelle cui pareti un affresco presenta Francesco che galleggia sulle acque rifacendosi al miracolo da lui compiuto allorché fu invitato a recarsi a Messina per edificarvi un convento. Anche per questo episodio della sua vita il Santo, oltre che essere considerato patrono della Calabria, è pure stimato patrono della gente di mare.

Per approfondimenti, vai alla rubrica Luoghi dello Spirito della rivista Raggi di Luce.

A lume di candela

Il 16 febbraio è la Giornata Internazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili: un’occasione importante per riflettere anche a scuola sull’importanza dei comportamenti individuali in materia di ecologia e sostenibilità. La scelta del 16 febbraio risale al 2005, data dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto: l’accordo tra 184 Paesi contro il surriscaldamento globale. L’Italia è uno di questi.

La Giornata internazionale del risparmio energetico è nata quindi con lo scopo di sensibilizzare la popolazione mondiale verso quei comportamenti – anche piccoli – che possono contribuire a contrastare il cambiamento climatico e a preservare la flora e la fauna del Pianeta. Quest’anno, inoltre, ricorre la XX edizione di M’illumino di meno, un’iniziativa della trasmissione di Radio 2, “Caterpillar”, che da sempre si occupa anche di temi ambientali. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha invitato le scuole di ogni ordine e grado ad aderire con iniziative e idee. E sono davvero molte le scuole che da anni si attivano e partecipano.

Ma che cosa possiamo fare? Il decalogo di M’illumino di meno 

Ecco dieci idee facili facili da promuovere a scuola: potrai scegliere quelle più fattibili in base alle esigenze della tua classe.

    1. Spegni e fai spegnere le luci
      Organizza per la giornata del 16 febbraio attività che possono essere svolte anche a luci spente. 
    2. Cena a lume di candela
      Invita la tua classe a proporre una cena anti spreco con ricette svuota-frigo e alimenti a basso impatto ambientale
    3. Rinuncia all’auto
      Chiedi alla tua classe di optare per mezzi pubblici, piedi, bici o trasporto condiviso.
    4. Organizza attività di sensibilizzazione
      Organizza volantini (scritti a mano) e cartelloni da appendere fuori dalla scuola per richiamare l’attenzione sul risparmio energetico.
    5. Pianta qualcosa
      Fiori, piantine… piante! Oltre a far crescere un essere vivente, darai un contributo alla coscienza ecologica di bambine e bambini.
    6. Fai economia circolare
      Organizza una festa del riuso: scambio di oggetti scolastici, giochi, libri…
    7. Condividi
      Chiedi alla tua classe di diffondere l’appuntamento del 16 febbraio.
    8. Condividi un evento non energivoro
      La fantasia non ha limiti: dall’osservazione del cielo stellato a un coro a scuola senza alcuna amplificazione.
    9. Fai efficientamento energetico
      Fai conoscere alla tua classe le piccole azioni che possono aiutare a risparmiare energia: dallo sbrinamento del frigorifero al rompigetto da applicare ai rubinetti.
    10. Abbassa il riscaldamento
      La bellezza di indossare un maglione!

Non ti sarà sfuggito il fatto che molte delle proposte che hai appena letto sono degli spunti per progettare con la classe degli stimolanti compiti di realtà, ne siamo certi.

Per la Giornata Internazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili non può mancare poi un buon libro. Il nostro consiglio è partire da un testo ormai diventato un classico: “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, edito da Salani. La storia, scritta in forma di autobiografia, narra l’incontro tra Gono ed Elzéard Bouffier, l’uomo che piantava gli alberi a cui si deve il titolo. Elzéard Bouffier ha l’abitudine di piantare ogni giorno 100 ghiande ben selezionate, per decine di chilometri e per decine d’anni. Il suo obiettivo è riportare la vita dove la vita (vegetale, animale, umana) non c’è più.

Un libro delicato ed essenziale su un uomo che può fare la differenza per se stesso, per le persone che gli vivono accanto, per il resto del pianeta. L’uomo che piantava gli alberi” è un piccolo libro di appena 64 pagine, pubblicato per la prima volta nel 1953, ma che continua da anni a far parte della collana degli Istrici (Salani). Tante edizioni diverse per una storia che ancora oggi parla a tutte le generazioni.

Buon risparmio energetico a tutti noi!

Busta paga 2024: le novità introdotte dalla legge di bilancio e dalla riforma dell’IRPEF

Con l’approvazione della legge di bilancio 2024 e del decreto legislativo di attuazione del primo modulo di riforma dell’IRPEF viene confermato per il 2024 l’esonero parziale dei contributi INPS e si riducono a tre gli scaglioni di reddito IRPEF. Nell’articolo si illustrano queste novità, si presentano alcuni esempi di calcolo e compilazione del foglio paga e si propongono degli esercizi da svolgere in classe o da assegnare come compito a casa per gli studenti.

 

La Dea Roma e l’Altare della Patria

Al centro di Roma, in piazza Venezia, nella Sala Zanardelli del Vittoriano è aperta al pubblico sino al 25 febbraio 2024 la mostra La Dea Roma e l’Altare della Patria. Angelo Zanelli e l’invenzione dei simboli dell’Italia unita, curata da Valerio Terraroli, che celebra la conclusione della campagna di restauro del fregio dell’Altare della Patria, realizzato dallo scultore bresciano Angelo Zanelli (San Felice di Scovolo, Brescia 1879 –Roma, 1942) tra il 1910 e il 1925, voluta e diretta dalla direttrice del ViVe Vittoriano-Palazzo Venezia, Edith Gabrielli, e condotto da Susanna Sarmati.

La strategica collocazione nel cuore pulsante della storia di Roma fa del Monumento a Vittorio Emanuele II, comunemente noto come Vittoriano, un nodo nevralgico e ineludibile non solo della città, ma anche del nostro concetto di monumento, e ancor più di monumento celebrativo, che nel corso del suo secolo e poco più di vita ha subito alterne fortune: dalle esaltazioni retoriche più insopportabili alle critiche più feroci, fino ad una sorta di damnatio memoriae che arrivò ad auspicarne il trasferimento in un altro luogo o, addirittura, la demolizione parziale e la sua trasformazione in una sorta di nostalgica rovina, in analogia con i vicini Fori imperiali.

Con la distanza temporale e culturale che ci separa dagli eventi che concorsero alla sua nascita e al suo sviluppo, ma anche dalle diverse attribuzioni di valore di cui il complesso monumentale è stato oggetto, oggi possiamo ragionare criticamente sul significato di quel manufatto attraverso una ricostruzione storica delle diverse vicende che lo hanno prodotto, contestualizzandolo nel momento in cui fu ideato, ma anche chiederci che cosa è nella realtà contemporanea il senso di quella gigantesca struttura che rappresenta non solo il più grande museo all’aperto della scultura italiana tra Ottocento e Novecento, ma che per merito dei Presidenti della repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella ha riacquistato il ruolo di rappresentare i valori di unità, di libertà e di uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione.

Tale riappropriazione del monumento, dal quale per altro si ha la più ampia e spettacolare veduta di Roma e dei Fori imperiali, da parte di un larghissimo pubblico (3.800.000 visitatori nel 2023) è ancor più significativa oggi in occasione del restauro di quello che correttamente viene individuato come l’Altare della Patria: sintesi simbolica della nazione nata dalle Guerre d’Indipendenza, ulteriormente sacralizzato dalla collocazione della salma del Milite Ignoto al disotto della figura della Dea Roma che è il vero e proprio perno iconico e significante dell’intero complesso monumentale del Vittoriano.

Protagonista e autore di quell’invenzione fu Angelo Zanelli, un giovane scultore di origine bresciana, dal notevole talento, perfezionato e indirizzato nel corso degli studi nella scuola di arti e mestieri Moretto di Brescia, poi, attraverso borse di studio, nell’Accademia di belle arti di Firenze e in quella di Roma, che vinse nel 1909 il concorso nazionale del 1908 per la decorazione plastica dello spazio sottostante la statua equestre del Re. La mostra propone, quindi, un percorso che, presentando sia agli esordi veristi dello scultore sia la sua fase simbolista, punta l’attenzione sia sulla questione del fregio monumentale e dei valori allegorici che questa tipologia scultorea porta con sé, a partire dalla tradizione classica fino all’età moderna, sia sulla definizione dell’iconografia della Dea Roma, che divenne a sua volta un modello nel corso degli anni Venti e Trenta, per seguire l’evoluzione del linguaggio dell’artista in ordine al tema del monumento celebrativo con le imprese scultoree per il Campidoglio di Cuba (1925-1930) e di Tolentino (1935-1940).

Angelo Zanelli, La Dea Roma in Botticino nel cantiere di Porta Maggiore, 1924-1925 (Brescia Musei Civici, lascito Zanelli).
La decisione finale della Commissione Reale di mettere a confronto l’invenzione più dichiaratamente storicista ed eclettica di Dazzi con quella compiutamente simbolista e allegorica di Zanelli, restituisce la temperatura del dibattito sulla questione del fregio del sotto-basamento: da un lato, si sentiva il dovere di concludere armonicamente l’apparato decorativo del monumento secondo ciò che si riteneva l’originario progetto sacconiano, ossia entro la cornice di un grandioso classicismo eclettico, ma dall’altro si sentiva l’improcrastinabile necessità di dar vita a un’immagine forte, contemporanea, nuova, delle fondamenta valoriali dello stato nato dall’epopea risorgimentale, spostando l’obiettivo dal racconto storico ad un’invenzione allegorica senza tempo, appunto eterna. Nei due anni successivi i due bozzetti vennero tradotti in scala 1:1 e gli altorilievi in gesso risultarono finiti il 20 dicembre 1910. 

Angelo Zanelli e i suoi collaboratori davanti al modello definitivo in creta del Valor patrio che pugna e vince (lato destro dell’Altare), 1913 circa (Brescia Musei Civici, lascito Zanelli).
Si decise, quindi, di montarli su appositi binari a ridosso del muro del sotto-basamento del Vittoriano per renderli, alternativamente, visibili al pubblico in quello che sarebbe stato, per ognuno dei due progetti, il contesto architettonico definitivo. Il 1911 era un anno cruciale poiché fervevano i preparativi per le celebrazioni del cinquantenario del Regno d’Italia che, il 4 giugno, avrebbero avuto come acme l’inaugurazione del Vittoriano da parte di re Vittorio Emanuele II e della regina Elena dando vita ad un rito collettivo, un momento catartico in cui, al di là degli aspetti cerimoniali e retorici, la nazione si sarebbe identificata nei propri simboli: dal disvelamento della statua equestre del Re, raffigurato in modo realistico mentre incede, trionfalmente, nella Città, alla presentazione del fregio sottostante con i cortei del Valor Patrio che pugna e vince (a destra) e del Lavoro che vivifica e feconda (a sinistra) che omaggiavano la figura stante di una Roma moderna”, contemporaneamente Athena Parthenos e Italia personificata.

Fra il 1913 e il 1919, essendoci di mezzo anche la guerra, le due ali del fregio realizzate in marmo di Botticino andarono via via a sostituire il modello in gesso ormai illeggibile, ma rispetto al quale lo scultore dimostra di aver scelto definitivamente la strada del neomichelangiolismo sostenuta dal vecchio Rodin, ma asciugato da qualsivoglia effetto pittorico, materico, in favore di definizioni anatomiche risentite, non naturalistiche certo, ma caratterizzate da quel linearismo arcaico, classico e primitivo insieme, che si riconosce nelle contemporanee opere di Émile-Antoine Bourdelle, di Aristide Maillol e, soprattutto, di Ivan Meštrović, ma depurati da qualsiasi declinazione espressionista. Anzi, nei dettagli dei volti, dagli occhi sgusciati, vagamente orientaleggianti e dai tagli netti dei profili, e nell’euritmia delle silhouettes sovrapponibili di figure, di cavalli e di trombe trionfali, si percepisce in modo chiaro la metamorfosi dalla grammatica secessionista al fraseggio déco: ancora una volta le variazioni del gusto contemporaneo occhieggiano in sottotraccia nella modellazione zanelliana. 

Angelo Zanelli, La maternità, particolare del Lavoro che vivifica e feconda, dopo i restauri, 2023 (foto V. Terraroli).

Angelo Zanelli, Le teste dei cavalli, particolare del Lavoro che vivifica e feconda, dopo i restauri, 2023 (foto V.Terraroli).

Nel frattempo, l’Altare si fregiava di un nuovo simbolo, condiviso con le altre nazioni coinvolte nel conflitto mondiale: la tomba del Milite Ignoto. Il 28 ottobre 1921, davanti alla basilica di Aquileia tra undici salme di soldati sconosciuti ne fu scelta una. Il convoglio funebre ci mise giorni a percorre il tratto ferroviario fino a Roma e divenne a sua volta, come le cronache e le immagini d’epoca testimoniano, un rito collettivo del dolore e della memoria. Il 4 novembre 1921 il Milite Ignoto venne tumulato nella tomba ricavata ai piedi della statua di Roma, non ancora collocata, che da quel momento assunse anche il ruolo di custode e protettrice della memoria comune e dei valori di pace e fratellanza.

Nel 1925 il lungo percorso della decorazione si concluse con la collocazione nella nicchia centrale della Dea Roma, con in mano la lancia e la Vittoria alata in argento, divenendo, in sostanza, l’atto conclusivo dell’allestimento decorativo e simbolico dell’Altare della Patria la cui iconografia, evocante l’Athena Parthenos di Fidia, rappresentava il mito antico passato attraverso la Secessione, ma qui fattosi aspro e sontuoso nel preziosismo decadente dei dettagli e della maschera sfingetica, e quindi riconquistato a una solennità che neutralizzava l’estetismo della scelta per l’imponenza religiosa del suo presentarsi. Quell’opera, nell’esecuzione finale, ristabiliva il nesso con la cultura contemporanea, attraverso torniture plastiche più decise e un prepotente, quanto titanico, classicismo, annuncianti le modalità espressive del Novecentismo.

Per approfondire

Sull’arte a Roma e in Italia negli anni che videro l’edificazione del Vittoriano, puoi consultare: Valerio Terraroli, Con gli occhi dell’arte, volume 5, Sansoni per la Scuola

Visita il sito della mostra: