L’intelligenza artificiale come strumento per l’insegnante

In questo articolo suggerisco alcune applicazioni di Intelligenza artificiale utili al lavoro dell’insegnanteInnanzitutto, spendiamo qualche parola riguardo alle questioni etiche sullo sviluppo dell’AI: sono questioni molto delicate che meritano senz’altro di essere dibattute, ed è proprio per sottolinearne l’importanza e la centralità che voglio fare almeno un accenno al documento intitolato ‘The UNESCO Recommendation on The Ethics of AI: Shaping the Future of Our Societies’ datato maggio 2023. La Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco ne  ha curato la traduzione in italiano: “L’etica dell’IA: modellare il futuro delle nostre società”, in questa brochure possiamo trovare molti spunti per stimolare un dibattito con i nostri colleghi e con i nostri studenti.

AI generativa

Nel nostro lavoro possono essere molto utili gli strumenti di AI generativa: l’Intelligenza Artificiale generativa è una categoria di AI che si occupa della creazione autonoma di contenuti, come testi, immagini o suoni. Questi sistemi utilizzano modelli complessi di apprendimento automatico per generare output originali basati sui dati con cui sono stati addestrati. Possiamo chiedere all’AI generativa di creare testi (ChatGPT, Gemini) oppure immagini a partire da descrizioni testuali (DALL-E di “Bing image creator”).

Naturalmente, come con tutti gli strumenti di intelligenza artificiale, il prodotto va controllato e ricontrollato, non si può considerare acriticamente la risposta di un’AI, perché non parte da dati certi, viene addestrata con dati non controllati e dunque può dare risposte non corrette. L’aiuto dell’AI può migliorare la nostra produttività come insegnanti, ma non può sostituire la nostra funzione di esperti della nostra materia, in grado di rilevare gli errori dell’AI. Per questo non si possono dare in mano questi strumenti agli studenti senza renderli consapevoli dei rischi o senza il filtro di una persona qualificata. 

L’importanza di progettare bene il prompt

Per poter avere le risposte giuste da una App di AI occorre però fare la domanda giusta, facciamo quindi qualche riflessione su come formulare la richiesta, detta “prompt”. La tecnica con la quale comporre un prompt è ormai diventata argomento di studio , qui metto il link a un articolo molto interessante sull’ingegneria dei prompt, scritto dal Prof. Alessandro Fiori del Politecnico di Torino. In sostanza quello che mi interessa qui sottolineare è che in un prompt dobbiamo specificare il comando che diamo all’AI, il contesto nel quale siamo coinvolti, i dati di input che possiamo fornire per facilitare la risposta, il formato nel quale vogliamo che ci venga data la risposta.

Non è facile centrare subito il prompt giusto, molto spesso dovremo riformulare la richiesta più volte prima che venga data la risposta che vogliamo ottenere. Per esempio, un prompt efficace potrebbe essere quello in figura. Ho provato questo prompt con chatGPT (trattandosi di un’AI generativa possiamo ottenere una risposta diversa ogni volta) e la prima volta non mi aveva dato gli esercizi di esempio, in chat GPT però possiamo specificare la richiesta a partire da una risposta già ottenuta, e quindi ho specificato il prompt, come si vede nella seconda figura. Ogni conversazione che si ha con ChatGPT può essere condivisa, in particolare questa la si può trovare a questo link.

Come può l’AI aiutare un insegnante.

Ma perché dovrebbe essere più utile dirottare le nostre richieste verso Gemini o ChatGPT (ad esempio) invece che interrogare un motore di ricerca? Ecco alcune situazioni di esempio, per ciascuna c’è il link alla relativa chat.

1. Rappresentano una fonte di informazioni più ricca di un motore di ricerca

Ho provato con Gemini:

Quando viene esiliato Dante Alighieri?
Che ho poi specificato in: quali fonti hai usato per questa risposta?

La risposta è stata molto esaustiva, rispetto a consultare il motore di ricerca è già stata fatta una sintesi delle fonti per fornire una risposta puntuale.

2. Si possono usare per ottenere molti buoni esempi su quello che vogliamo spiegare

Ho provato con ChatGPT:

Dammi degli esempi di fotosintesi clorofilliana
Naturalmente gli esempi forniti vanno verificati.

3. Si possono usare per rielaborare i lavori degli studenti oppure si possono “sottoporre” ad un’AI gli elaborati degli studenti per ottenerne un feedback o addirittura una valutazione

Ho provato a dare a ChatGPT la risposta di uno studente ad un quiz CLIL:

  1. Explain how the Domain Name System works

  2. It’s composed by four sets of numbers, where in each set the value can change from 0 to 255 (2^8 combinations for each set); recently it has been changed in the v6 version, vhich features six sets of numbers in esadecimal notation.

Rielabora la risposta.

L’AI ha commentato in modo corretto il fatto che la risposta non fosse esatta e ne ha dato una versione corretta.

4. Si possono richiedere le definizioni di specifici concetti a vari livelli (base, intermedio, avanzato)

Ho chiesto a Gemini

Definisci il concetto di integrale a livello di base, poi intermedio e poi avanzato

La risposta è stata forse un pochino superficiale ma l’AI ha spontaneamente suggerito alcuni siti per approfondire.

5. Si può richiedere all’AI di progettare una lezione (lesson plan), o degli esercizi, o una griglia di valutazione su uno specifico task, o di progettare un’attività CLIL

In questo caso ho richiesto una griglia di valutazione a ChatGPT:

Progetta una griglia di valutazione in peer assessment per un’attività a gruppi di presentazione di un argomento  

L’AI ha perfettamente centrato l’obiettivo, ci saranno forse delle risistemazioni da fare, ma l’idea presentata è ottima.

6. Si possono far realizzare batterie di esercizi o quiz a risposta chiusa (su argomento o su un testo), ottenendo anche le soluzioni

Ho chiesto a Gemini di crearmi una batteria di esercizi: 

Generami 15 esercizi sull’iterazione enumerativa

L’AI ha spontaneamente fornito tre esercizi “bonus” e alcuni esercizio di livello avanzato.
Ho specificato la richiesta in:

dammi le soluzioni in Python a questi esercizi

Ottenendo le soluzioni, naturalmente da verificare provandole in una IDLE.

7. Si può chiedere all’AI di fare riassunti

Ho sottoposto a Gemini il link ad un articolo pubblicato in Internet, chiedendone un riassunto:

Fai un riassunto di questo articolo 

Oltre al riassunto, un po’ troppo breve forse, l’AI mi ha fornito anche l’elenco dei punti chiave e alcune domande per la discussione.

8. Si può chiedere all’AI di suddividere un problema difficile in sotto problemi più semplici

Ho chiesto a ChatGPT di suddividere un problema di programmazione:

Suddividi in nuclei più semplici il seguente problema ““Predisponi un programma per il caricamento di un certo numero di numeri interi  in una lista, il ciclo di caricamento dopo ogni inserimento dovrà richiedere se si vuole inserire un altro elemento. Dovrai calcolare e visualizzare la media, la mediana e la moda dei valori inseriti, utilizzando, se vuoi, i metodi di lista, ma non le funzioni statistiche già predisposte”

9. Si possono far realizzare presentazioni automaticamente

Ho chiesto a Gemini di crearmi una presentazione:

Creami una presentazione per una lezione sulla crittografia di Cesare a studenti che sanno programmare in Python a livello di base

La proposta è stata solo testuale, in sostanza un elenco di slide con titolo e contenuto.

Nell’applicativo Powerpoint si può installare l’estensione “ChatGPT for Powerpoint”, che permette di creare una presentazione a partire dalla descrizione testuale delle slide (o da un argomento).

Tutti questi sono solo esempi di come si può interrogare un AI per aumentare la propria produttività, in questi esempi si sono interrogate solo le due AI generiche: ChatGPT e Gemini, stanno però nascendo tutta una serie di AI create specificatamente per la Scuola, sono prevalentemente in lingua inglese ma vale la pena dare uno sguardo:

Sitografia

 

Utilizzare Moodle per condividere materiali con gli studenti

Come si è visto nel primo articolo di questo ciclo, Moodle è una piattaforma di e-learning diffusa a livello mondiale che offre una serie di potenzialità molto interessanti anche per le scuole superiori. Una delle funzioni di base di Moodle è quella di condividere appunti, dispense, video con gli studenti. Questa funzione è comune a tutte le piattaforma per l’e-learning, quindi non sceglieremo Moodle solo per condividere materiali, bensì per tutte le altre funzionalità avanzate che vedremo nei prossimi articoli di questo ciclo.

L’unità Corso

In Moodle il “contenitore” principale è il corso e sarebbe ideale creare un corso per ogni anno di insegnamento: se per esempio avessimo due seconde e due terze, potremmo creare un solo corso per le seconde e uno per le terze, in modo da parallelizzare il lavoro. Ogni corso ha diverse proprietà: quelle di base come il nome e la descrizione e altre più specifiche come il formato, il tracciamento, i metodi di accreditamento oppure se il corso può avere più gruppi di utenti.

Il formato di un corso, nella versione base di Moodle, può essere per argomento o settimanale: se volessimo usare un corso su classi parallele non ci converrebbe usare la modalità settimanale che è  legata alla cronologia delle lezioni. La modalità per argomenti è più flessibile e non necessita di molte modifiche per essere riutilizzata negli anni successivi. All’interno di ogni argomento, in una struttura gerarchica, possiamo inserire le varie attività.

Nella prossima immagine si vedono le attività che possiamo scegliere:

Figura 2 – Attività che si possono inserire in un argomento

Ogni attività rappresenta un tipo di interazione con lo studente o una modalità con la quale condividiamo contenuti nel corso. Tra le proprietà del corso troviamo anche il tracciamento che ci permette di controllare i progressi di ciascun iscritto al corso; per default il tracciamento potrebbe essere posto a “no”, ma se cambiamo questa impostazione a livello superiore, allora per ciascuna attività di quel corso possiamo decidere se l’attività verrà tracciata in modo automatico, in base a condizioni che possiamo definire, o se sarà lo studente in autonomia a spuntare l’attività come completata; oppure possiamo decidere che questa particolare attività non partecipa al tracciamento del completamento del corso.

All’inizio non sembra utile abilitare il tracciamento, ma impratichendosi nella progettazione in Moodle apparirà chiaro che per lo studente poter visualizzare in modo trasparente il proprio stato di avanzamento è di stimolo a svolgere bene e tutte le attività. 

Un’altra impostazione del corso permette di decidere se vogliamo permettere la gestione dei gruppi.  Specifichiamo che la gestione dei gruppi è utile quando il corso prevede l’iscrizione, invece di essere ad accesso libero  gli studenti avranno un utente e una propria password per accedere. Possiamo decidere di raggruppare gli studenti in due o più gruppi, per esempio se il corso è fatto per due o più classi parallele, possiamo creare gruppi diversi per classi diverse per poter diversificare la visualizzazione o l’accesso alle attività.

 

 

 

Accreditamento e ruoli

Esistono diverse modalità di fruizione di un corso: possiamo permettere l’accesso agli ospiti, oppure consentire agli studenti di iscriversi autonomamente, oppure far sì che l’insegnante iscriva gli studenti manualmente. Se permettiamo agli studenti di iscriversi autonomamente è utile impostare una parola chiave, così non corriamo il rischio che si iscriva un’utente non autorizzato. Una volta iscritto, lo studente possiederà un codice utente ed una password e per accedere al corso dovrà sempre fare login.

In realtà ci sono due livelli: l’iscritto in piattaforma e l’iscritto al corso, uno studente può essere iscritto in piattaforma ed essere iscritto a un corso e non ad altri, per Moodle gli iscritti ad un corso si chiamano partecipantiI partecipanti sono iscritti secondo un ruolo: che può essere anche “Docente non editor”, cioè un docente che non aggiunge contenuti ma che può visualizzare le valutazioni. Il ruolo al di sopra di tutti è naturalmente l’amministratore.

L’attività Pagina

 

Finalmente arriviamo a parlare della prima attività che ci permette di condividere materiali, l’attività pagina, in questa attività possiamo scrivere dei contenuti, anche corredati da immagini o da filmati (anche presi da YouTube o altre fonti). L’editor che ci aiuta in questo lavoro si chiama tiny e ha diverse funzionalità. Nell’immagine si vedono le scelte di menu (Modifica, Visualizza, Inserisci, Formato ….) e alcune icone per gli strumenti pronti all’uso: grassetto, corsivo, titoli, grandezza del carattere, inserimento di immagini, audio e video, collegamento a pagine esterne, allineamento del testo. Questa attività è quella che uso di più nei miei corsi.

 

L’attività file (e cartella)

 

Se invece il contenuto che vogliamo rendere disponibile è tutto in un file (per esempio una dispensa in pdf o una presentazione) allora possiamo usare l’attività file, l’aspetto interessante della quale è che possiamo visualizzarla in modi diversi, possiamo aprire il file sopra alla pagina del corso oppure possiamo scegliere di visualizzarlo in un popup o anche di forzarne il download. Se vogliamo raggruppare più file possiamo usare l’attività cartella, in figura 12.

Possiamo mostrare il contenuto della cartella in una pagina separata o nella home del corso. Nel contenuto di una cartella possono essere messi file o sottocartelle.

L’attività URL

Infine, esaminiamo l’attività url ,con la quale possiamo collegare una pagina web che possiamo decidere di aprire al posto della pagina home del corso o in un popup (scelta consigliata). Queste sono le attività di base con le quali possiamo condividere materiali con gli studenti, nei prossimi articoli esamineremo quelle che ci permettono un grado maggiore di interazione, come le esercitazioni a correzione automatica o le verifiche, e quelle molto utili per la didattica partecipativa.

Questa frase è falsa

Cara lettrice, caro lettore,
oggi esploreremo un concetto affascinante che collega la matematica, la logica e l’elettronica in modi sorprendenti: i circuiti autoreferenziali di porte logiche. Partiamo da un paradosso ben noto, quello racchiuso nell’affermazione “questa frase è falsa”. Questa affermazione crea un dilemma logico: se la frase è vera, allora deve essere falsa, ma se è falsa, allora deve essere vera. Sorprendentemente, questo paradosso trova una rappresentazione pratica nel mondo delle porte logiche, specificamente attraverso una porta NOT collegata a se stessa. In questo scenario, l’uscita della porta NOT è reinserita come suo ingresso, creando un circuito che non ha uno stato definito, riflettendo il paradosso logico di partenza.

 
Un circuito creato collegando l’output di una porta NOT al suo input.

 

Un’interpretazione alternativa, meno logica e più pratica, si ottiene se nel nostro modello il circuito NOT stesso impieghi qualche istante prima di elaborare l’input. In questo caso, supponiamo che inizialmente l’input sia falso. La porta NOT lo elabora e, qualche istante dopo l’output di questa porta diventa vero, e così risulta vero anche l’input (dato che li abbiamo collegati). Ora che l’input è vero, dopo qualche istante la porta NOT elabora l’output falso, e così via, dando origine a un circuito il cui valore logico continua a oscillare tra vero e falso nel tempo di aggiornamento della porta NOT. 

Questo tipo di comportamento richiede uno studio più accurato dal punto di vista matematico, ma è quello che si ottiene quando realizziamo nella pratica delle porte logiche, per esempio utilizzando dei transistor. Possiamo quindi provare a costruire circuiti più complessi che trovano applicazioni nella vita di tutti i giorni. Consideriamo, per esempio, un circuito OR in cui abbiamo un input collegato a un interruttore, e l’output collegato al secondo input rimasto libero. Inizialmente, il circuito è spento: entrambi gli input valgono falso, l’output di OR vale falso, e questo è consistente essendo l’output collegato a uno dei due input.

 
Un circuito autoreferenziale creato utilizzando una porta OR.

 

Una volta che si attiva l’interruttore, la porta logica elabora il risultato: vero OR falso = vero, e così, il secondo input diventa vero. A questo punto non importa più lo stato in cui impostiamo l’interruttore: dato che il secondo input è sempre vero, la porta OR avrà sempre come output vero. Questo meccanismo si può paragonare a un sistema di allarme che, una volta attivato, rimane in stato di allerta finché non viene resettato manualmente, per esempio togliendo l’alimentazione.

 
Un circuito autoreferenziale creato utilizzando una porta XOR.

 

Un altro esempio intrigante è il circuito XOR autoreferenziale, dove l’uscita è connessa a uno degli ingressi. In modo simile all’OR, supponiamo che inizialmente tutti gli input valgano falso. In questo caso, quando operiamo sull’input libero la porta logica impiega qualche istante per elaborare 1 XOR 0 = 1. Ma ora il secondo input vale 1, dato che è collegato all’output. Ancora una volta, dopo qualche istante, la porta logica elabora 1 XOR 1 = 0, e così via. L’uscita oscilla indefinitamente tra acceso e spento finché non si riporta l’interruttore a 0, interrompendo questa oscillazione. Questa configurazione può essere paragonata a un sistema di illuminazione a intermittenza, dove l’alternanza continua di stato simula un effetto lampeggiante.

Vi proponiamo ora un circuito più complesso, chiamato SR-Latch, costruito utilizzando porte logiche in configurazioni autoreferenziali. La “S” nel nome sta per set e la “R” sta per reset, la funzione dei due pulsanti che controlleranno lo stato del circuito. Un modo per realizzarlo è tramite porte logiche NOR, ma si può ottenere un risultato simile anche con NOR. L’effetto finale, che vi invitiamo a verificare, è il seguente: attivando “set”, l’output del circuito si accende, e rimane acceso anche quando “set” viene disattivato. Attivando “reset”, l’output del circuito si spegne, e rimane spento anche quando “reset” viene disattivato. 

 
Un esempio di circuito SR-latch costruito utilizzando delle porte NOR. Ora lo si vede nella configurazione di riposo, a output spento.

 

 
Un esempio di circuito SR-latch costruito utilizzando delle porte NOR. Ora lo si vede quando viene attivato l’input SET. L’output diventa uguale a 1 e, quando si smette di attivare SET, il circuito rimane in una posizione di riposo con output acceso.

 

 
Un esempio di circuito SR-latch costruito utilizzando delle porte NOR. Ora lo si vede quando viene attivato l’input RESET. L’output diventa uguale a 0 e, quando si smette di attivare RESET, il circuito rimane in una posizione di riposo con output spento.

 

Un circuito simile è quello per esempio dei circuiti di controllo di alcune macchine utensili, che utilizzano interruttori a pulsante per spegnere o accendere i dispositivi. Inoltre, questi circuiti funzionano come memorie elementari, capaci di impostare e poi mantenere lo stato di output fino a che non vengono cambiati da un input esterno. In questo contesto, questo circuito è una memoria da 1 bit. Questo principio trova applicazioni pratiche in una varietà di dispositivi, dalla conservazione dei dati nei computer fino ai sistemi di bloccaggio elettronico nelle porte di sicurezza, dimostrando come concetti apparentemente astratti possano avere impatti concreti e tangibili nel mondo reale.

Attraverso questi esempi, vediamo come le porte logiche, oltre a essere fondamentali per la costruzione di circuiti elettronici, ci offrono anche un mezzo per esplorare e comprendere concetti logici e matematici complessi, dimostrando ancora una volta l’intreccio profondo tra teoria e pratica e quanto la matematica abbia un ruolo fondamentale nella tecnologia che usiamo ogni giorno. Questi esempi provengono dalla mostra “Circuiti invisibili” di Curvilinea, che esplora le applicazioni delle porte logiche da varie angolazioni, inclusi linguaggio e matematica, ma facendo anche ponti verso il mondo dell’informatica.

Matematica e storytelling

Avete mai pensato di iniziare una lezione di matematica leggendo una storia?

Vero è che l’area del cervello deputata al linguaggio e all’ascolto non si trova in stretta connessione con l’area cerebrale che si attiva quando siamo impegnati in un compito matematico, il cui dominio cognitivo specifico è quello visuo-spaziale. Eppure le storie hanno una grande attrattiva su bambine e bambini, coinvolgono, motivano, emozionano e permettono a chi le ascolta di immedesimarsi. E allora perché non utilizzarle con lo scopo di catturare l’attenzione dei nostri studenti e rendere loro un po’ più familiare un mondo che spesso appare lontano, poco interessante, se non addirittura incomprensibile?

Quali testi?

Molti sono i libri per ragazzi e gli albi illustrati che possiamo proporre. Trovate qui di seguito solo alcuni dei testi che io stessa ho utilizzato in classe:

  • “Matematica da paura” di L. Baglioni (Mondadori) per introdurre nelle prime classi di scuola primaria o ripassare con i più grandi le quattro operazioni e le frazioni, divertendosi;
  • “L’isola delle Tabelline” di G. Pettarin e J. Olivieri (Einaudi Ragazzi), per accompagnare bambini e bambine di classe 2a nel viaggio alla scoperta delle tabelline o per riprenderle gli anni successivi;
  • “Tutti quanti contano” di K. Roskifte (Emme Edizioni) per entrare nel mondo dei numeri partendo dal numero 1 per arrivare fino ai miliardi;
  • “Mostri in geometria” di L. Baglioni (Mondadori), tre storie divertenti per studiare linee, angoli e poligoni;
  • “Una matematica da favola” di V. Razzini (Erickson), che consta di due volumi – il primo per le prime tre classi di primaria, il secondo dedicato a 4a e 5a – ricchi di tantissime storie corredate da schede didattiche per affrontare in modo più inclusivo una grande varietà di argomenti dagli amici del 10 al problem solving, dal conteggio alle proprietà delle operazioni, dalle equivalenze alle misure di superficie;
  • “Pazzi per la Matematica – Scuola di Spie: Missione Frazioni” di L. Bertola (WS Kids), che unisce a brevi capitoli narrativi una serie di giochi e attività divertenti e sfidanti (consigliato dai 10 anni in su).

Come proporre la lettura?

Accogliere i bambini e le bambine con un libro di narrativa attirerà la loro attenzione, leggerglielo per introdurre un nuovo argomento sicuramente li incuriosirà. Possiamo però fare qualcosa in più e cioè strutturare un percorso che a partire dalla lettura di una storia coinvolga i bambini in attività pratiche che accompagnino passo passo il racconto e permettano loro di sperimentare e scoprire concetti matematici in prima persona e attivare così anche quell’area cerebrale deputata all’apprendimento della matematica, e cioè quella visuo-spaziale.

Vediamo insieme brevemente alcuni esempi:

  • in una classe seconda avevo utilizzato il libro “L’isola delle Tabelline” per accompagnare i miei alunni in un percorso didattico durato settimane volto alla scoperta delle tabelline: dopo aver lavorato sui prerequisiti necessari, avevo iniziato la lettura accompagnandola con i protagonisti del racconto (dei “numerini animati” plastificati), utilizzandoli per alcune attività procedendo di pari passo con la storia, come farli mettere in ordine crescente o decrescente, andare a posizionarli nella Tavola Pitagorica, raggrupparli per tabelline di appartenenza, eccetera.
  • In terza, invece, erano piaciuti moltissimo i poligoni mostruosi che avevo realizzato in gomma eva per accompagnare la lettura di “Mostri in geometria” per spingere bambini e bambine all’osservazione e all’identificazione delle caratteristiche delle figure piane; avevamo poi anche realizzato la nostra personale mostra di rette, segmenti e linee curve, rappresentato il percorso della Gara Gas-Odorosa e inventato insieme il ritmo della canzone, che ricordiamo ancora adesso (in classe quinta) per memorizzare la definizione di “poligono”.

  • E ancora, per lavorare sulle figure solide e le loro impronte piane, avevo drammatizzato la lettura della storia “Tutta gente di un certo spessore” (contenuta nel 1° volume di “Una matematica da favola”) utilizzando scatole vuote di forma diversa per rappresentare gli abitanti di Ulimpia, un rotolo di carta bianca per fare il Sentiero Terroso e la tempera marrone per imprimere sul sentiero le impronte fangose di Cubo, Parallelepipedo, Piramide, Sfera e Cilindro.

Se vi piace l’idea…

Se vi ho incuriositi e se vi piacerebbe saperne di più, trovate queste e altre proposte didattiche descritte in maniera più approfondita sul mio profilo Instagram @maestravalentina e altri “consigli di lettura matematica” nel nuovo libro di testo “GEA” per le classi 4a e 5a, disponibile per l’adozione dal prossimo anno scolastico!

Cybersecurity I – I Virus informatici

Spesso si sente parlare di ransomware, malware, trojan ma da dove sono nati e come si sono sviluppati i virus informatici? Se ne parla spesso perché sono uno dei mezzi più utilizzati per veicolare attacchi informatici e commettere crimini sfruttando il mondo digitale. Sappiamo tutti quanto nel mondo di oggi questi attacchi siano frequenti, anzi, ormai possiamo dire di averci fatto l’abitudine.

Un po’ di storia

La storia dei virus si intreccia con la storia dell’informatica e, fin dai suoi inizi, viaggia di pari passo con la storia di Internet. Infatti è proprio per mezzo dell’antenato di Internet, Arpanet, la rete a uso militare e universitario sviluppata negli Stati Uniti, che inizia a circolare  un programma capace di attivarsi da sé, di eseguire alcune operazioni in automatico e, sempre in automatico, di spostarsi verso un diverso nodo collegato in rete. Nel 1971 nasce Creeper, ovvero quello che è considerato il primo worm della storia; si tratta di un virus dimostrativo e abbastanza innocuo che oltre ad autoreplicarsi, caratteristica principale dei worm, visualizza sullo schermo una frase che schernisce l’utente.

È però negli anni ‘80 che si assiste a una prima vera diffusione dei virus, favorita dalla vendita di volumi crescenti di dispositivi informatici e dallo sviluppo dei software; viene anche utilizzato nel 1983 per la prima volta il termine virus in contesto informatico. In quegli anni i virus si diffondono principalmente per mezzo di floppy disk, due esempi famosi sono Elk Cloner e Brain. Quest’ultimo, dopo aver infettato il sistema, mostra a video la frase “Beware of this VIRUS…. Contact us for vaccination” riportando i contatti di un negozio di computer a Lahore in Pakistan; i proprietari del negozio lo avevano sviluppato inizialmente come strumento anti pirateria non immaginando che si sarebbe presto diffuso a livello internazionale.

Gli anni ’90 sono una pietra miliare della storia dei virus, sia per la rapida diffusione dei computer, diventati ormai un prodotto commerciale, dei loro sistemi operativi e dei relativi software, sia per l’evento che segnerà per sempre l’era moderna, la nascita di Internet, che tra le altre cose dà il via a un fenomeno di massa che rende estremamente facile diffondere trojan, worm e malware di ogni tipo. All’inizio degli anni 2000 la posta elettronica diventa un terreno estremamente fertile perché permette di colpire l’anello più debole della sicurezza informatica: l’inconsapevole utente.

Un esempio celebre è ILOVEYOU, un virus che in un tempo estremamente rapido infetta milioni di computer in tutto il mondo attraverso messaggi apparentemente innocui aventi come  oggetto “ILOVEYOU” inviate da conoscenti o amici: appena aperto l’allegato, il worm invia una copia di se stesso a tutti i contatti presenti nella rubrica. Questo virus è particolarmente interessante perché sfrutta modalità utilizzate ancora oggi: abbina allo sfruttamento (exploit) di una vulnerabilità, che in questo caso consentiva l’esecuzione automatica degli allegati, a tecniche di ingegneria sociale per invogliare gli utenti ad aprire l’allegato e assicurarsi la sua propagazione.

Cosa succede oggi?

Oggi la situazione è molto più complessa e i virus vengono sfruttati anche dagli Stati per portare avanti azioni di spionaggio o vera e propria guerra cibernetica (Cyber Warfare). Un caso studio particolarmente interessante è il virus Stuxnet, un trojan che si diffonde nel 2010 sui sistemi industriali Iraniani per l’estrazione dell’uranio a partire da un aggiornamento software distribuito attraverso una chiavetta USB infetta. 

Altri malware interessanti e attuali sono i Ransomware tra cui ricordiamo Cryptolocker, comparso nel 2013 e diffuso via Internet, che permette agli attaccanti di criptare tutti i dati contenuti in un disco fisso per chiedere un riscatto in cambio del codice di sblocco. Anche WannaCry, che presenta caratteristiche simili a Cryptolocker, ha colpito oltre 230 000 computer in tutto il mondo, rendendolo uno dei maggiori contagi informatici mai avvenuti.

E in futuro?

Una cosa è certa: gli attacchi informatici non diminuiranno nel prossimo futuro, anzi probabilmente aumenteranno. Basti pensare all’avvento dell’Internet of Things: le possibilità che questi device semplici e iperconnessi offrono agli sviluppatori di software malevolo sono enormi; inoltre siamo perennemente connessi alla rete e dipendiamo fortemente dai sistemi informatici per numerose attività in ambito professionale e privato.

È quindi fondamentale dedicare sempre maggiore attenzione alla sicurezza informatica: è importante acquisire questa consapevolezza fin dalle scuole per poter essere cittadini consapevoli del mondo digitale e imparare ad adottare comportamenti sicuri, a partire dall’attenzione alle password, agli aggiornamenti di sicurezza dei nostri device e alla cautela nell’interazione con siti web o email sospette.

Approfondimenti

Ma quanto inquina l’Intelligenza Artificiale?

Se è vero che l’Intelligenza Artificiale ha provocato un cambiamento radicale nella nostra vita di tutti i giorni, è altrettanto vero che l’inquinamento che questa provoca per l’allenamento e la realizzazione di modelli complessi (come ChatGPT) è diventato un problema sempre più importante e verso cui porre sempre maggiore attenzione. 

Kate Crawford, studiosa che si occupa dell’impatto sociale ed ecologico dell’IA, ha condotto numerosi studi che hanno portato alla luce criticità evidenti. Nel suo manoscritto Né intelligente né artificiale. Il lato oscuro dell’IA(2021), l’autrice presenta uno studio effettuato ai fini di stimare quanto l’IA sia costosa a livello ambientale

Nel libro, la riflessione inizia a monte, notando che, se un tempo era l’oro la fonte primaria di ricchezza per la città, oggi il litio, denominato oro grigio“, è diventato altrettanto prezioso. La miniera di litio attiva negli Stati Uniti, situata a Silver Peak, ha attirato l’attenzione di figure di spicco come Elon Musk, il cui interesse è legato ai considerevoli bisogni di Tesla. Infatti, Tesla richiede circa 28.000 tonnellate di idrossido di litio all’anno, pari alla metà del consumo globale annuo. Richiesta aumentata dalle più moderne tecnologie di Intelligenza Artificiale. 

Inoltre, l’autrice, pone l’attenzione anche sulla stima del consumo di CO2, con particolare riferimento alla CO2 prodotta dai data center. Nel libro si stima che, nel 2018, nell’industria cinese, i data center abbiano attinto il 73% della loro energia dal carbone, e emesso circa 96 milioni di tonnellate di CO2

Stime destinate a crescere negli ultimi anni, se pensiamo all’evoluzione dell’IA e in particolare all’introduzione dei modelli generativi, come ChatGPTA questo proposito, interessanti sono gli studi condotti dalla ricercatrice Sasha Luccioni. Nell’articolo “Counting Carbon: A Survey of Factors Influencing the Emissions of Machine Learning”, la ricercatrice propone possibili modi per stimare in modo quantitativo l’emissione di carbonio prodotta dai modelli di IA. In particolare, per stimare il consumo di CO2, si possono utilizzare fattori come la potenza di consumo dell’hardware utilizzato, il tempo di allenamento e l’intensità di carbonio della rete energetica.

Sempre Sasha Luccioni, nell’articolo “Estimating the carbon footprint of bloom, a 176b parameter language model presenta, quindi, un innovativo studio riguardo le emissioni di carbonio generate dall’addestramento di BLOOM, un modello linguistico composto da 176 miliardi di parametri. Nell’articolo vengono confrontati il consumo energetico e le conseguenti emissioni di carbonio di diversi LLM (Large Language Models) degli ultimi anni. 

L’obiettivo era confrontare la portata delle emissioni di diversi modelli di LLM e capire quali fattori le influenzano. Dallo studio emerge come, a seconda della fonte energetica utilizzata per l’addestramento e della sua intensità di carbonio, l’addestramento di un LLM nel 2022 emetta almeno 25 tonnellate metriche di equivalenti di carbonio, se si utilizzano energie rinnovabili. Se si utilizzano fonti energetiche ad alta intensità di carbonio, come il carbone e il gas naturale, come fatto nel caso di GPT-3, questo numero aumenta rapidamente fino a 500 tonnellate metriche di emissioni di carbonio, approssimativamente equivalenti a oltre un milione di miglia percorse da un’auto media alimentata a benzina.

Oltre al consumo di CO2 é bene anche sottolineare l’impatto ambientale nel consumo di acquaNell’articolo “Making AI Less “Thirsty”: Uncovering and Addressing the Secret Water Footprint of AI Models”, gli autori stimano come l’addestramento di modelli come GPT-3 comporti un notevole consumo di risorse, ad esempio, nei moderni data center statunitensi di Microsoft, si utilizzano circa 700mila litri di acqua dolce pulita. Questo consumo equivale a produrre, secondo quanto riportato dai ricercatori, 370 auto BMW o 320 Tesla. È, quindi, sempre più necessario portare l’attenzione su questi temi, sia per le aziende che per noi consumatori, per creare un mondo di produttori e  ma soprattutto di consumatori di IA sempre più coscienti e consapevoli.

Riferimenti

L’autrice

Giovanna Maria Dimitri è ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche (RTDA), Università di Siena, Italia, nel gruppo guidato dal Prof. Marco Gori. In precedenza ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Cambridge (UK), sotto la supervisione del Prof. Pietro Liò, sullo sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale per l’analisi di dati biomedici. 

Si è laureata inoltre nel luglio 2015 con un MPhil in Advanced Computer Science presso l’Università di Cambridge, con lode. È membro Clare Hall College, Università di Cambridge. In precedenza ha conseguito la tesi di laurea magistrale e di laurea (entrambe 110/110 e lode) in Ingegneria Informatica e dell’Automazione presso l’Università degli Studi di Siena (Italia), relatore il Prof. Michelangelo Diligenti. È docente del corso di Business Intelligence per il master in Ingegneria Gestionale (DIISM, Università di Siena) dall’A.A. 2019/2020. Ha all’attivo oltre 45 articoli su sviluppo e applicazioni di tecniche di intelligenza artificiale, pubblicati su riviste scientifiche top nel settore ed in conferenze internazionali. 

I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente lo sviluppo di modelli di deep learning e machine learning per la visione artificiale e la bioinformatica.

Website: https://sites.google.com/unisi.it/gmdimitri

Rubrica a cura di Generazione Stem

Corsi di Laurea STEM a confronto: Fisica o Ingegneria Fisica?

Fino a qualche anno fa, una volta concluse le scuole superiori e dopo aver deciso di voler proseguire con la carriera universitaria, per studenti e studentesse le opzioni erano molto limitate, e spesso guidate dalle opinioni e dalle occupazioni dei genitori. Le facoltà più ambite erano giurisprudenza, ingegneria, economia… oppure lettere, per poi proseguire con l’insegnamento. Nel corso del tempo, queste facoltà sono diventate sempre di più e sempre più settoriali, ognuna con un suo scopo ma non ben delineato nel piano formativo, cosicché oggi,  studenti e studentesse si ritrovano a dover optare per un unico percorso universitario in mezzo a una lunghissima lista di corsi tra i quali scegliere.

Diventa quindi di fondamentale importanza, per guidare le future matricole in questa scelta, fare chiarezza su somiglianze e differenze soprattutto tra corsi di studio affini, sottolineandone le caratteristiche principali, e le possibilità di carriera future. Due facoltà che potremmo definire tra loro affini sono Fisica e Ingegneria Fisica; la prima materia pura e da sempre così, la seconda un insieme di argomenti e recentissima. 

Chi è il fisico / la fisica, e come si diventa?

Questa figura professionale si dedica allo studio della materia, dell’energia e delle leggi fondamentali dell’Universo. Attraverso l’uso di teorie, esperimenti e calcoli, cerca di comprendere i fenomeni naturali a livello microscopico e macroscopico. Gli esperti in questo campo possono lavorare in una vasta gamma di settori, come l’astronomia, la fisica delle particelle, la ricerca energetica, la medicina e l’ingegneria. Utilizzando strumenti avanzati e tecnologie all’avanguardia, sviluppano nuove tecnologie, studiano le leggi della natura, risolvono problemi complessi. Sono curiosi, creativi e appassionati, spinti dalla ricerca della verità e dell’innovazione.

Durante il corso di laurea triennale in Fisica si studiano principalmente analisi matematica, chimica, meccanica analitica, statistica e soprattutto molta fisica: la fisica classica newtoniana, la fluidodinamica, la relatività, la meccanica quantistica, e poi fisica della materia e fisica delle interazioni fondamentali, soprattutto al terzo anno quando con i corsi a scelta ci si può specializzare, approfondendo uno o più di questi argomenti teorici. Queste conoscenze saranno arricchite da laboratori di elettronica e di fisica dei materiali, e dall’imparare almeno un linguaggio di programmazione per l’analisi dati.

Chi è l’ingegnere fisico / l’ingegnera fisica e come si diventa?

È un professionista dell’innovazione, capace di gestire e progettare prodotti e processi ad alto contenuto tecnologico. È una figura professionale con ampie conoscenze ingegneristiche di base, unite ad un’approfondita nozione delle aree più avanzate della fisica applicata. Durante il corso di laurea triennale in Ingegneria Fisica si studiano le materie base di una qualunque facoltà ingegneristica: analisi matematica, chimica, fisica, informatica, automatica, meccanica, elettronica, sistemi energetici… Unite ad un’approfondita preparazione nelle aree più avanzate della fisica: fisica quantistica, tecnologie ottiche, principi di laser, struttura della materia, interazione luce-materia… Il tutto arricchito da una vita universitaria ricca di laboratori ed opportunità extra universitarie.

Il percorso di studi può continuare con una laurea magistrale in settori affini, come Ingegneria Fisica (Nanophysics and Nanotechnology, Photonics and Nano Optics), o in Ingegneria Nucleare, oppure ancora in Ingegneria Quantistica. L’ampia preparazione di base, comunque, permette di plasmare il proprio percorso di studi a piacimento, proseguendo, previa integrazione di eventuali esami mancanti, con una qualunque laurea magistrale in ingegneria o in fisica.

Gli sbocchi lavorativi con una laurea in Fisica 

Una volta terminata la laurea triennale in Fisica, è possibile continuare la carriera universitaria con una magistrale in Fisica delle interazioni fondamentali, Fisica della Materia, Fisica dei Dati o Astrofisica, e poi scegliere di proseguire con il dottorato di ricerca. Una laurea triennale in Fisica, però, apre anche diverse opportunità professionali, in una vasta gamma di settori. Nell’ambito ingegneristico, i fisici e le fisiche possono applicare le loro conoscenze alla progettazione e allo sviluppo di tecnologie avanzate, come dispositivi elettronici, sensori ottici o sistemi di imaging medico. Anche settori come l’industria aerospaziale, l’energia nucleare e le telecomunicazioni offrono opportunità di lavoro stimolanti per i laureati in Fisica, che possono contribuire al miglioramento delle tecnologie esistenti o alla creazione di nuove soluzioni innovative.

La consulenza è un altro settore in cui queste figure possono trovare impiego. Le loro competenze analitiche e di problem solving sono spesso richieste in ambiti come la consulenza finanziaria, tecnologica o strategica per l’analisi di dati complessi o lo sviluppo di simulazioni e modelliIn alternativa, chi ha una laurea in Fisica può intraprendere una carriera nell’insegnamento nelle scuole medie e superiori, oppure nella divulgazione scientifica in musei, centri di divulgazione, organizzazioni non profit. 

Gli sbocchi lavorativi con una laurea in Ingegneria Fisica

Gli sbocchi lavorativi di una laurea in Ingegneria Fisica sono molteplici: si può spaziare dalla ricerca (pubblica e/o privata), allo sviluppo industriale (dove i principi studiati sui libri diventano qualcosa di concreto). Alcuni dei settori di maggior impiego sono la fotonica (con ampio impiego nell’ambito dei laser, degli strumenti di misura e delle telecomunicazioni), le nanotecnologie, l’energia, la microelettronica, i materiali e le tecnologie avanzate. Ma la preparazione ingegneristico-scientifica permette anche di occupare ruoli all’interno di aziende che operano nella consulenza strategica e industriale, nonché all’interno di enti di ricerca e di piccole e medie imprese che sviluppano sistemi e tecnologie innovative.

Dove studiare Fisica e Ingegneria Fisica?

In Italia ci sono diverse università  molto rinomate per i loro programmi di Fisica. Tra le migliori troviamo l’Università di Pisa, l’Università di Roma “La Sapienza”, l’Università di Padova e l’Università di Trento. Queste istituzioni offrono programmi accademici di alta qualità con una vasta gamma di corsi, laboratori e opportunità di ricerca, oltre a un ambiente accademico stimolante e all’avanguardia. Invece, gli atenei italiani che offrono il corso di laurea in Ingegneria Fisica attualmente sono 3: il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino e l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Essendo le uniche, cercano di fornire la preparazione più completa possibile. Si tratta di un corso ancora “nuovo”, sicuramente in futuro sarà disponibile anche in altre università.

Come prepararsi?

Per prepararsi ad un test di ingresso in Fisica, così come ad un test di ingresso in Ingegneria Fisica di tipo TOLC, è importante fare un ripasso di concetti di logica, matematica e statistica, con almeno un’infarinatura generale di fisica e chimica. Chiaramente, il livello di ripasso e di approfondimento di queste materie dipende molto dalle conoscenze e competenze già acquisite dallo studente o dalla studentessa che intende immatricolarsi: se si proviene da un liceo scientifico, si possiedono già pienamente i requisiti per affrontare il test in maniera efficace. Se invece si arriva da un liceo classico, linguistico, artistico o da un istituto tecnico/professionale, va prestata più attenzione, anche sfruttando libri di testo universitari o risorse online, per fare pratica con esercizi e quesiti. Sicuramente, poi, mantenersi aggiornati sulle ultime scoperte e sviluppi nel mondo della fisica attraverso la lettura di riviste scientifiche e la partecipazione a conferenze e seminari può arricchire la preparazione e fornire una prospettiva più ampia.

Cosa differenzia sostanzialmente queste due figure professionali?

Il fisico / la fisica è sicuramente una figura professionale più teorica di un ingegnere / un’ingegnera: a livello universitario si trova ad affrontare materie molto più teoriche, e per qualche verso “filosofiche”, andando ad indagare a fondo i fenomeni fisici di natura.  I fisici cercano di scoprire e spiegare i fenomeni naturali, formulando leggi e teorie che possano descrivere e predire il comportamento del mondo fisico. Chi viene da un percorso in ingegneria fisica, invece, indaga a sua volta i fenomeni fisici, ma con lo scopo di comprenderli e saperli sfruttare al meglio nelle tecnologie più avanzate e di tutti i giorni. Gli ingegneri fisici applicano i principi fisici per progettare e costruire dispositivi, sistemi e tecnologie che possono essere utilizzati in una vasta gamma di settori, come l’ingegneria elettrica, l’ottica, l’ingegneria dei materiali e così via.

Come faccio a capire qual è il percorso più adatto a me?

Nonostante le facoltà siano diventate sempre di più e sia sempre più difficile scegliere quella più adatta, con l’avvento dei social le persone che ne parlano e che aiutano a fare chiarezza sono sempre di più. Su Instagram, TikTok, YouTube si trovano contenuti di ragazzi e ragazze che raccontano la propria esperienza, di studio e di lavoro, aiutando le future matricole a comprendere quale potrebbe essere il percorso più adatto a loro.

In ogni caso un consiglio che viene da dare a chiunque stia per intraprendere una facoltà (scientifica e non) è: siate curiosi!  È dalla curiosità che nascono le migliori scoperte. Non è la facoltà che si sceglie a definire la persona che si diventerà in futuro; non è la laurea in Fisica o in Ingegneria Fisica a determinare il lavoro che si dovrà fare per tutta la vita. Siate curiosi, informatevi, cercate di arricchire il vostro bagaglio culturale non limitandovi ai soli libri e alle sole lezioni universitarie! Oggigiorno siamo circondati di notizie, di informazioni, selezionatele con cura e fatene tesoro. Il futuro è nelle vostre (e nelle nostre) mani.

Le autrici

Mariasole Maglione, nata in una notte stellata del 1997, sono laureata in fisica e specializzata in astrofisica a Padova. Sono autrice e Head of Astro Content di Astrospace.it, magazine online focalizzato sulla narrazione e l’approfondimento del mondo spaziale a 360° pubblicato da Astrospace. Sono una divulgatrice scientifica, socia responsabile del Gruppo Astrofili Vicentini e autrice di diversi romanzi. Contributor per Generazione Stem.

Marianna Ruggeri, studentessa di Ingegneria Fisica al Politecnico di Milano e contributor di Generazione Stem. Testarda e ambiziosa. Da piccola sognavo di raggiungere la luna. Ora cerco la fisica nel mondo che mi circonda.

Rubrica a cura di Generazione Stem

Da “abloom” fino a “zinnia”

Il Gioco degli Alfabeti è un’attività sempre divertente e apprezzata dai bambini. Nella sua semplicità, è un diversivo che può essere sfruttato a scopi didattici in maniera coinvolgente ed efficace, soprattutto quando si tratta di ampliare il vocabolario tanto nella Lingua Materna quanto nella L2.

Bambini, alfabeto e alfabeti

I bambini imparano fin dalla Scuola dell’Infanzia a riconoscere le lettere dell’alfabeto e poi, alla Primaria, quello che prima era un rapporto solo di “curiosità” e una finestra sul mondo dei grandi diventa invece uno “strumento di lavoro” che, per alcuni, purtroppo si trasforma talvolta in un patrimonio faticoso e macchinoso da utilizzare. Pensiamo a tutti quei bambini che, per i più svariati motivi, fanno fatica a riconoscere e memorizzare le lettere, a distinguerle, o a pronunciarle. Giocare con l’alfabeto può essere una chiave per permettere a questi piccoli di modificare la loro percezione di qualcosa che, loro malgrado, vedono come faticoso e macchinoso.

Ancor meglio, prendere l’alfabeto, smontarlo, rimontarlo, ricostruirlo ed esplorarlo è un modo meraviglioso per imparare parole nuove, ampliare il proprio vocabolario, condividere il proprio patrimonio linguistico con gli altri. Se questo non fosse sufficiente, la costruzione di alfabeti tematici – sui più diversi e svariati argomenti – diviene un’occasione unica per fermarsi e riflettere, per ragionare, per guardarsi incontro, per ricercare e condividere con gli altri quali sono le nostre percezioni personali di quei medesimi argomenti. Si ampliano così le potenzialità didattiche dell’attività al campo esperienziale e metacognitivo, aggiungendo uno strato di profondità maggiore al nostro agire didattico. Ma, in buona sostanza, come si usano gli alfabeti tematici nella didattica? Vediamolo insieme.

A come… B come…

Prima di avventurarsi con i bambini nella costruzione vera e propria di alfabeti tematici, è consigliabile procurarsi alcuni albi illustrati che ne propongano alcuni già “confezionati”. A questo proposito si consigliano i numerosi libri in inglese di Greg Paproki, veri e propri volumi di immagini e parole, tematici a tema ABCs. Sfogliare libri di questo tipo è un ottimo modo per entrare nell’ottica dell’attività che si sta per svolgere, avvicinarsi al gioco. L’ideale sarebbe poter proiettare le immagini in grande formato sulla Lim, osservarle nei dettagli, discuterle una ad una, per arrivare solo alla fine ad analizzare la parola a cui si riferiscono, tradurla, copiarla sul quaderno.

Dopo aver osservato un certo quantitativo di esempi, sarà il momento di cominciare a lavorare in prima persona sugli alfabeti personalizzati.

  • Selezionare un tema: le stagioni, le festività, ma anche i sentimenti, e gli argomenti di studio si prestano benissimo a diventare temi alfabetici. Ciascun insegnante può scegliere quello che più degli altri in quel momento interessa ai suoi bambini; alcuni esempi possono essere: la scuola, la famiglia, il mare, la natura…

Per ciascun tema selezionato è bene che l’insegnante abbia preparato in precedenza un elenco di parole da consultare, qualora ai bambini non dovessero venirne in mente.

  • Creare un esempio in Lingua Madre: in grande gruppo, la prima attività è quella di creare un alfabeto sul tema che si è scelto, nella propria lingua. Sul quaderno, i bambini e l’insegnante, compileranno un vero e proprio elenco di parole (o di gruppi di parole) legate all’argomento trattato. Per esempio, se si parlerà di primavera, si potrà scrivere:
  • A come: Alberi, Aria fresca, Api…
  • B come: Boccioli…
  • C come: Calore, Ciliegia…
  • D come:

Nella prima fase di lavoro, che è più un brainstorming che una elaborazione vera e propria, si potranno scrivere più parole per ciascuna lettera. Quello che probabilmente emergerà sarà, talvolta, il disaccordo su alcune parole; questa situazione favorevolissima andrà incoraggiata, e potrà essere un punto di partenza interessante per discussioni di ampio spettro metacognitivo: perché qualcuno considera una certa parola “a tema” e altri no? Che cosa rende una parola “a tema”? Quali diversi ricordi, esperienze, immagini ciascun argomento suscita in persone differenti. In un secondo momento il gruppo potrà decidere quali parole mantenere nell’alfabeto definitivo.

  • Ricercare le parole straniere che già si conoscono: l’insegnante chiederà ai bambini di attingere alle proprie conoscenze pregresse per cercare alcune parole già conosciute che si leghino al tema analizzato. Per restare in tema “Primavera” i bambini potrebbero identificare parole come sun, birds, grass, warmche già fanno parte del loro vocabolario acquisito.
  • Tradurre le parole della Lingua 1 in Lingua 2: dopo aver identificato alcune parole già conosciute, si lavorerà sull’utilizzo del vocabolario, chiedendo ai bambini di tradurre quelle identificate durante la fase di lavoro in Italiano. In questo modo gli studenti lavoreranno da un lato sulla scioltezza nell’utilizzo dello strumento “vocabolario” e al tempo stesso sull’ampliamento lessicale. Queste traduzioni saranno inserite sul quaderno, in ordine alfabetico.
  • Venire in soccorso degli studenti, qualora ce ne fosse bisogno: l’insegnante, che avrà già creato una lista di parole possibili, potrà proporle ai bambini nel caso essi non dovessero trovare nessuna parola che inizi con una determinata lettera.
  • Dare forma grafica al proprio alfabeto: al termine dell’attività di “ricerca” il docente proporrà alla classe la creazione di un colorato elaborato finale che dia visibilità al lavoro svolto. Può trattarsi di un cartellone, di una pagina di quaderno decorata, di un disegno che contenga al suo interno quante più parole tra quelle trovate. L’importante è creare qualcosa di graficamente bello e piacevole!

Perchè è utile?

Lavorare con l’alfabeto è, come si è già detto, un modo divertente per ampliare il proprio vocabolario. Aiuta inoltre a raffinare il linguaggio e a prendere consapevolezza di termini specialistici poco usati – si pensi ad alfabeti come quello della Scienza, o a quello dello Spazio. E’ un’attività che si pone anche come punto di partenza e trampolino di lancio per essere ripetuta più volte, senza essere mai uguale a se stessa: la stessa classe può creare, nel corso dell’anno scolastico, numerosi alfabeti su altrettanti argomenti, riflettendo in questo modo in maniera significativa sulla lingua appresa: quali parole possono appartenere a più alfabeti? Quali argomenti sono particolarmente difficili? Quali invece sono simili su certi aspetti, ma diversi su altri? Quali si accavallano? Se per ogni alfabeto si creerà un poster da appendere in corridoio, alla fine dell’anno sarà possibile vederli tutti, l’uno in fila all’altro e rendersi conto a colpo d’occhio di quante parole nuove si sono imparate!

Fact Checking | Fake news… dal Tardoantico

False notizie scambiate per verità

Tutta la storia è costellata di fake news. Alcune di esse, poi, sono diventate tanto celebri da confondersi con la verità anche a distanza di molto tempo. Non fanno eccezione, in questo senso, le false notizie giunte dall’epoca tardoanticaQuesta età di transizione – che possiamo collocare tra la fine del III secolo e il crollo dell’Impero romano d’Occidente – da un lato mantenne un forte legame con il mondo antico, spesso vagheggiato come periodo di splendore e benessere, dall’altro presentò alcuni elementi di discontinuità, come la crescente importanza assunta dalla religione cristiana, anche in chiave politica.  E furono proprio questi due aspetti a contribuire all’elaborazione di alcune fake news durante l’epoca del tramonto di Roma.

Perché vinse Costantino?

Il primo esempio di false notizie del Tardoantico affonda le proprie radici nella leggenda e ha come protagonista incontrastato Costantino. Si racconta infatti che quest’ultimo, nella battaglia di Ponte Milvio, riuscì a sconfiggere il rivale Massenzio grazie all’aiuto di Dio. La notte precedente lo scontro, Costantino avrebbe avuto una visione del monogramma di Cristo, accompagnato dalla croce e dalle parole: In hoc signo vinces, “Con questo segno vincerai”. Dopo questa apparizione, Costantino si convertì al cristianesimo e l’indomani sbaragliò l’avversario.

In tempi recenti, l’analisi dettagliata della dinamica della battaglia (ricostruita grazie a fonti coeve poco considerate in passato) ha però svelato che a determinare l’esito dello scontro fu la sconsiderata strategia militare messa in atto da Massenzio. Quest’ultimo, prima si asserragliò dentro Roma, poi improvvisamente cambiò tattica e decise di sfidare il nemico in campo aperto. Massenzio, però, dispose le sue truppe troppo vicine al fiume Tevere e, quando Costantino contrattaccò, si trovò in grande difficoltà. Dovette così battere in ritirata con tutti i suoi uomini, imboccando un ponte in legno costruito poco tempo prima. Il ponte, tuttavia, non resse il peso delle truppe e crollò: molti, tra cui Massenzio stesso, morirono affogati.

Quali furono le conseguenze della conversione?

Il racconto della vittoria di Costantino coinvolge anche uno dei temi più dibattuti dalla storiografia: la sua conversione fu un atto di fede o un’abile mossa politica? Se da un lato non è possibile fornire una risposta univoca, dall’altro possiamo comunque affermare che questa scelta ebbe una conseguenza rilevante: Costantino ottenne infatti l’appoggio dei cristiani. Questa parte sempre più numerosa della popolazione romana si mostrò estremamente rispettosa delle leggi dell’impero e si adoperò per portare aiuto ai più poveri e ai bisognosi: due atteggiamenti che garantirono stabilità politica e sociale.

Fu la sete di sangue a portare gli unni in Occidente?

Il secondo esempio di fake news dell’epoca tardoantica è invece riferito agli unni ed ha un’origine evidente: l’atteggiamento degli storici romani nei confronti di questo popolo considerato “barbaro”. Sin dall’inizio, infatti, gli unni vennero dipinti dai latini come feroci e spietati. Si trasmise così l’idea di un popolo (e di un capo, Attila, detto “flagello di Dio”) che si scagliò contro l’Impero d’Occidente solamente per placare la propria sete di sangue. E che così decretò la fine di un mondo.

Per sconfessare questa narrazione, sedimentatasi nei secoli, è servito parecchio tempo. Gli studi più recenti dimostrano che a muovere gli unni verso Occidente non fu la loro spietatezza sanguinaria, bensì il cambiamento climatico. Fu infatti una grande siccità ad alterare profondamente la vita di questa popolazione asiatica, dedita all’agricoltura e all’allevamento, spingendola a migrare verso l’Europa. Del resto, nel corso del IV secolo i capi unni avevano tessuto con pazienza una tela diplomatica con l’Impero romano, fatta di accordi reciproci. Solo un evento “esterno” poteva dunque spingerli a cambiare drasticamente strategia, optando per l’invasione.

Alcuni contributi scientifici hanno evidenziato l’esistenza di questo grande cambiamento climatico. Esaminando gli anelli degli alberi presenti nelle aree in cui erano insediati gli unni, si sono individuati i periodi di siccità, e si è visto come questi coincidessero esattamente con l’epoca delle incursioni unne in Occidente. Non solo: analizzando con il metodo degli isotopi alcuni resti umani ritrovati e riconducibili a questo popolo, si è osservato come gli unni furono persino costretti dal cambiamento climatico a cambiare dieta, che divenne decisamente più povera. La loro migrazione fu dunque dovuta soprattutto al bisogno di trovare nuove risorse alimentari.

Emigrazione, decolonizzazione, alterità: le parole chiave della prossima Biennale di Venezia

«Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere» è il titolo della 60ma edizione della Biennale d’Arte di Venezia che aprirà al pubblico il 20 aprile per protrarsi fino al 24 novembre. La scelta del tema di fondo della manifestazione, mutuata dalle installazioni al neon del collettivo Claire Fontaine, si deve al curatore Adriano Pedrosa, direttore del Museo di Arte di San Paolo (MASP), brasiliano d’origine e apertamente queer. 

Protagonista, stando alle anticipazioni, è lo straniero (altrimenti estraneo, stranger, étranger) incarnato dall’artista immigrato, espatriato, diasporico (ancora una volta), esiliato e rifugiato, seguendo una traiettoria che nuovamente si sposta tra Sud e Nord del mondo, così come avvenuto per la precedente edizione della Biennale Architettura curata dalla ghanese Lesley Lokko. In una realtà globale permeata da crisi multiformi e fenomeni migratori, in cui anche ad ognuno di noi può capitare di sentirsi intrinsecamente straniero, Pedrosa cerca di risarcire la marginalizzazione dell’outsider, l’autodidatta, il folk, e persino l’indigeno invitando ben 332 artisti. 

Parole-chiave e comuni denominatori della 60ma Biennale d’Arte 

Se emigrazione e decolonizzazione possono considerarsi le parole-chiave di questa edizione, i comuni denominatori vedono la forte presenza di artisti provenienti dal sud del mondo e di matrice indigena (come il collettivo brasiliano Mahku che realizzerà un murale sulla facciata del Padiglione Centrale ai Giardini e il collettivo Maataho di Aotearoa/Nuova Zelanda alle Corderie), la prevalenza di nomi presenti alla Biennale per la prima volta, la ricorrenza dell’arte tessile (Dana Awartani, Liz Collins, il collettivo cileno Bordadoras de Isla Negra, Frieda Toranzo-Jaeger, Pacita Abad e Yinka Shonibare) ed esponenti della cultura queer (tra gli altri, Erica Rutherford, Isaac Chong Wai, Elyla, Violeta Quispe, Louis Fratino). 

I contenuti e le sezioni 

Secondo quanto immaginato dal curatore, i contenuti si suddivideranno principalmente in due parti: il Nucleo Contemporaneo, allestito negli spazi delle Corderie, e il Nucleo Storico, al Padiglione Centrale ai Giardini. Nel primo si potranno trovare molti dei comuni denominatori sopra menzionati. Nel secondo troveremo esempi dell’arte del XX secolo di America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia e tre ulteriori sezioni: «Ritratti» (perlopiù sculture e dipinti dal 1905 al 1990), «Astrazioni» e «Diaspora artistica italiana del XX secolo» (con 40 artisti che hanno sviluppato la loro carriera anche in Africa, Asia e America Latina).

Partecipazioni nazionali, Padiglione Italia ed eventi collaterali

Le partecipazioni nazionali sono quest’anno in tutto novanta distribuite, come d’abitudine tra Arsenale, gli storici padiglioni ai Giardini e altre sedi in città (palazzi, fondazioni, istituzioni culturali e non solo). La partecipazione della Santa Sede, ad esempio, troverà collocazione all’interno della casa di reclusione femminile sull’isola della Giudecca.

Il Padiglione Italia (Arsenale, Tese alle Vergini) curato da Luca Cerizza, vede quest’anno, come nel 2022, la partecipazione di un solo artista: Mario Bartolini. Il titolo «Due qui / To Hear» rimanda al tema dell’ascolto (al metaforico tendere l’orecchio verso l’altro) e si traduce in soluzioni scultoree, installative, sonore e performative. Tra le anticipazioni sino ad ora diffuse spicca il dettaglio di due installazioni sonore, tra cui quella del musicista inglese Gavin Bryars e di suo figlio Yuri che musicano il componimento del poeta argentino Roberto Juarroz dal titolo A veces ya no puedo moverme (“Certe volte non riesco più a muovermi”). 

Gli eventi collaterali ufficiali (30 in quest’edizione, da non confondersi con le altre numerose mostre in città) sono quelli che possono fregiarsi del leoncino rosso alato, logo della Biennale. Anch’essi sono distribuiti in diverse sedi culturali come l’Abbazia di San Giorgio Maggiore, le Fondazioni Querini Stampalia e Bevilacqua la Masa, le Procuratie Vecchie, l’Accademia di Belle Arti. Ogni progetto, previo il pagamento di una quota di partecipazione alla Biennale, deve avere l’approvazione del Curatore e allinearsi con il tema dell’edizione in corso.

È comunque fuor di dubbio che la forza attrattiva della città lagunare come vetrina internazionale a cui tutto il mondo dell’arte guarda alla ricerca di un proprio spazio di visibilità è tornata ai livelli di pre pandemia. Sono difatti ben oltre il centinaio le proposte espositive distribuite a Venezia nell’arco temporale dell’apertura della Biennale, ossia tra aprile e novembre.

Per approfondire

In copertina: Claire Fontaine (Founded in Paris, France, 2004 Based in Palermo, Italy) Foreigners Everywhere, Spagna (2007). (Photo by Studio Claire Fontaine © Studio Claire Fontaine Courtesy Claire Fontaine and Mennour, Paris)