Dove puoi lavorare con una Laurea in Chimica?

Avreste mai pensato che con una laurea in Chimica è possibile lavorare come chimico/a dei materiali all’ESA o come chimico/a analitico/a al Metropolitan Museum di New York? Ebbene sì, una volta conseguita una laurea in Chimica, si apre un ampio spettro di opportunità lavorative, tutte ugualmente appassionanti e degne di essere esplorate. Qui di seguito i percorsi post lauream più comuni:

 Lavorare in azienda: esistono molte aziende che richiedono laureati e laureate in chimica in diversi settori. Tra queste, per esempio, le aziende farmaceutiche (come Merck, Johnson&Johnson, Abbvie per citarne alcune), le aziende del settore energetico (come Eni, Enel), aziende nell’ambito della consulenza (RINA, Accenture) o anche aziende nel settore optoelettronico (come STM Microelectronics). La scelta è veramente molto vasta e le candidature si aprono nel corso di tutto l’anno! Per orientarsi, un buon consiglio è quello di aprire e aggiornare frequentemente un proprio profilo LinkedIn. Tramite l’utilizzo dei filtri della piattaforma potrai trovare le offerte più adatte a te, magari in base alla zona geografica o al tipo di esperienza minima richiesta.

Dottorato: consente di proseguire il proprio percorso nel mondo della ricerca, che può essere sia accademica sia industriale. Da qualche anno, infatti, anche in Italia, è possibile svolgere dottorati di ricerca in collaborazione con le aziende. E’ possibile consultare i bandi di dottorato messi a disposizione da ogni singolo ateneo, prestando attenzione alla presenza di eventuali periodi di formazione all’estero obbligatori e/o un periodo di lavoro obbligatorio presso un’azienda, nel caso dei dottorati industriali.

I bandi escono solitamente nel periodo primaverile-estivo fino a settembre, ma ogni università ha le proprie date e scadenze, quindi è consigliato consultare con attenzione il sito web di ogni singolo dipartimento di interesse. Sono degni di nota anche i cosiddetti “dottorati di interesse nazionale” che prevedono la collaborazione e co-tutela da parte di più atenei su tutto il territorio italiano. Infine, è da tenere presente che con una laurea in Chimica è possibile iscriversi anche a dottorati non puramente inerenti le Scienze Chimiche o affini. Alcuni dottorati attivi presso le facoltà di Ingegneria o presso i dipartimenti di Chimica farmaceutica, Biochimica (ecc.) sono aperti anche a laureati e laureate in Chimica.

Master di I o II livello: i master di I livello sono aperti a chi possiede una laurea triennale, mentre ai master di II livello è possibile partecipare con una laurea magistrale. I master, in generale, forniscono un approfondimento delle conoscenze su un ambito molto specifico, come il controllo qualità oppure la chimica forense. Esistono tanti master diversi tra cui scegliere, quindi il consiglio è di informarsi sui siti web dei vari atenei italiani. Spesso, inoltre, i master prevedono un tirocinio con fini di inserimento nel mondo del lavoro, quindi è importante considerare anche questo aspetto nella scelta del master più adatto alle proprie esigenze.

Concorsi pubblici: rappresentano un metodo di selezione per poter accedere a borse di ricerca, assegni di ricerca o specifiche posizioni lavorative in enti nazionali. Esempi di istituzioni che emanano bandi di interesse per chimici sono: CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche, MASE – Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ISS – Istituto Superiore di Sanità, AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco, ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, CREA – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria.

Ma quindi, quali posizioni è possibile ricoprire come chimico o chimica? Ecco una lista di professioni molto interessanti da aggiungere a quelle classiche: 

  • Chimico/a dei Materiali all’ESA (Agenzia Spaziale Europea):
    si occupa dello studio di materiali in ambito aerospaziale.
  • Chimico/a analitico/a al Metropolitan Museum of Arts di New York:
    lavora per la conservazione di opere d’arte e beni culturali.
  • Chimico/a cosmetologo/a:
    è coinvolto nella preparazione e applicazione di prodotti cosmetici.
  • Chimico/a forense nei RIS – Carabinieri o per la Polizia di Stato:
    si occupa di analisi di laboratorio su campioni biologici, polvere da sparo, sostanze stupefacenti e altre indagini di interesse nell’ambito.
  • Divulgatore/ Divulgatrice o Comunicatore/Comunicatrice Scientifico/a:
    può lavorare negli Uffici Stampa e Comunicazione di enti nazionali (come ASI – Agenzia Spaziale Italiana, INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) oppure nel mondo dell’editoria (per quotidiani o riviste come Le Scienze).

Per approfondire meglio ognuna di queste possibilità, consiglio la lettura delle “Fonti” alla fine dell’articolo. Per concludere, è chiaro che con una laurea in Chimica le possibilità lavorative sicuramente non mancano. È fondamentale cercare e informarsi con entusiasmo e forza di volontà per trovare il lavoro che meglio si adatta alle nostre esigenze e passioni.

Rubrica a cura di Generazione Stem

Fonti

L’autrice

Valeria Ferrara è laureata in Chimica, curriculum in Chimica Organica e Biomolecolare. Attualmente lavora come Chimico Organico presso un ente di ricerca, dove vengono sviluppati e testati materiali innovativi in ambito biomedico. Nel 2022 ha svolto la sua tesi magistrale come Research Intern allo Zernike Institute for Advanced Materials a Groningen, nei Paesi Bassi. Come comunicatrice della scienza cerca di trasmettere curiosità e spirito critico tramite i suoi contenuti, perché crede che questi siano due aspetti portanti per comprendere la realtà che ci circonda.

Canciones españolas: otra forma de aprender el idioma

Los idiomas no se aprenden solo con libros o ejercicios, hay muchas formas de desarrollar una nueva lengua: leyendo libros, viendo películas y también caminando por la calle mientras escuchas canciones españolas con tus auriculares. 

La música puede ser una herramienta increíble si quieres aprender un nuevo idioma de manera divertida y envolvente. Las melodías con los estribillos repetidos en bucle y las letras han sido siempre óptimos  aliados del proceso de aprendizaje. Hoy te hablo de cuatro canciones que podrían ayudarte en tu viaje lingüístico.

  1. “La Bamba” – Ritchie Valens

“La Bamba” es una canción clásica de la música latina y ha ganado el corazón de muchas personas en todo el mundo alrededor de los años. Con su melodía y su ritmo alegre es perfecta para quienes están aprendiendo español y quieren hacerlo de manera innovadora y divertida. A nivel de texto, las palabras son relativamente fáciles de entender y la repetición en la canción facilita el proceso de memorización. Además, la letra ofrece una excelente oportunidad para aprender nuevas expresiones y vocabulario útil.

  1. “Bailando” – Enrique Iglesias ft. Descemer Bueno, Gente de Zona

“Bailando” es un éxito internacional de Enrique Iglesias que no puede faltar en ninguna playlist de música española que se respete. Esta canción cuenta con un ritmo que te hace bailar y las palabras se pronuncian tan claramente que podemos poner a prueba nuestra comprensión oral de manera muy fácil. Cantar “Bailando” te ayudará no solo a mejorar tu pronunciación, sino también a sumergirte en la cultura musical y lingüística española.

  1. “Vivir Mi Vida” – Marc Anthony.

“Vivir Mi Vida” de Marc Anthony es un himno al optimismo y la alegría de vivir. ¿Quién no la conoce? La letra es relativamente fácil de entender y ofrece una oportunidad para explorar la gramática y el vocabulario español, haciendo que el aprendizaje sea una experiencia agradable y divertida. 

  1. “Hasta la Raíz” – Natalia Lafourcade

“Hasta la Raíz” es una canción de Natalia Lafourcade que ha ganado numerosos premios por su belleza y profundidad. La letra poética y emotiva junto con el ritmo suave hacen que sea una opción perfecta para los estudiantes de español que desean practicar su comprensión auditiva sin ponerse a bailar, expandiendo su vocabulario a través de canciones tranquilas que les ayuden a aprender vocabulario de manera constante y relajada. Además, si tienes dudas sobre esta canción,  te aseguro que ofrece también una oportunidad única para explorar la riqueza cultural de la música latinoamericana.

Canciones como estas no solo te permitirán practicar el idioma, sino también sumergirte en la cultura y la belleza del idioma español. ¡Así que ponte los auriculares, sube el volumen y comienza tu viaje español a través de la música!

L’autrice

Alba di Egness, madrelingua spagnola, laureata in economia e con un master in marketing, si trasferisce in Italia nel 2016 e si specializza nell’insegnamento dello spagnolo per studenti di madrelingua italiana. Content creator e Fondatrice dell’Accademia Egness, la prima scuola online di spagnolo per italiani.

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Entrare nelle storie

Il processo di comprensione 

Il processo di comprensione del testo è una competenza complessa, composta da molte abilità sia cognitive che emotive. Gli studi recenti hanno dimostrato quanto sia fondamentale, per un processo di comprensione autentico e solido, che il lettore sia attivo nella costruzione del significato e che metta in campo le proprie capacità cognitive, ma allo stesso tempo si faccia coinvolgere in prima persona per entrare nella storia.

Le fasi della comprensione

La comprensione profonda attraversa varie fasi. Come tutti i processi, bisognerebbe scomporre il grande processo e lavorare sulle singole fasi, fornendo strategie mirate per l’apprendimento di ognuna.

Decodifica: La prima fase coinvolge la decodifica delle parole e delle frasi nel testo. Qui il lettore utilizza le conoscenze linguistiche per identificare le parole, riconoscendole o aggiungendole al proprio bagaglio personale, cercando di comprendere contemporaneamente le regole grammaticali che governano la struttura delle frasi.

Ricostruzione del significato: Dopo aver decodificato le parole, il lettore deve ricostruire il significato delle frasi e dei paragrafi. Questo processo coinvolge l’associazione delle parole e delle frasi con il loro significato semantico, l’identificazione delle relazioni logiche tra le idee presentate nel testo e la comprensione del contesto. Quanto più il contesto sarà conosciuto e vicino all’esperienza del lettore, tanto più immediata e veloce sarà la comprensione.

Attivazione delle conoscenze pregresse: Durante la comprensione testuale, i lettori richiamano e utilizzano le loro conoscenze pregresse, inclusi i loro schemi mentali, le loro esperienze passate, le informazioni sul contesto e le conoscenze del mondo. Queste conoscenze vengono utilizzate per interpretare il testo, fare connessioni con informazioni già acquisite e integrare nuove informazioni nel loro schema cognitivo esistente.

Inferenza: Per comprendere a fondo il significato di un testo è necessario far ricorso alle inferenze. Ciò significa che ogni lettore deve estrapolare informazioni implicite, riempire lacune concettuali e dedurre il significato implicito o nascosto basandosi sul contesto e sulle informazioni disponibili nel testo. Questo processo è molto complesso e va allenato con attività mirate, anche attraverso la lettura costante di albi illustrati.

Monitoraggio della comprensione: Durante la lettura, i lettori monitorano costantemente la propria comprensione del testo. Se incontrano difficoltà o incertezze nella comprensione, attivano strategie di problem solving, come la rilettura, il riformulare le frasi, o cercare chiarimenti nel testo stesso o in altre fonti.

Valutazione: Alla fine della lettura, i lettori valutano e riflettono sul proprio grado di comprensione del testo. Questo coinvolge il confronto delle proprie interpretazioni con il testo originale, la verifica dell’accuratezza delle proprie inferenze e la valutazione della coerenza e della logica del testo.

La parte emotiva della comprensione

Comprendere il testo non è solamente un processo cognitivo: nel costruire i significati delle storie è fondamentale l’io di ciascun bambino e bambina, proprio perché entrare nella storia significa da una parte riconoscere una parte di me all’interno del testo, e dall’altra trovare connessioni e inserire la mia esperienza nella storia. Dunque le emozioni, la motivazione, gli interessi e l’atteggiamento di chi sta leggendo ricoprono un ruolo fondamentale. Anche la semplice interpretazione delle azioni e delle caratteristiche dei personaggi, dipendono dalla risonanza che tutto ciò crea con le conoscenze, le emozioni e le esperienze di chi legge, creando delle connessioni più o meno profonde. 

Il senso del testo viene poi costruito attraverso le domande che ognuno si fa, in riferimento a quanto letto o ascoltato. Entrare nella storia significa proprio connettere e scavare a fondo per far propri i significati che ogni testo suscita in chi legge. Le classiche domande di comprensione non bastano per creare connessioni profonde, ma è necessario che ciascuno metta del proprio, facendo domande e trovando connessioni. Nel libro di letture di Leggo, sento, Imparo, vengono presentate le quattro mosse fondamentali per la comprensione, insieme alle tre strategie di lettura che accompagnano il processo. Il tutto viene poi accompagnato dal richiamo alle connessioni personali degli alunni e delle alunne, chiedendo loro di entrare nel testo, con le proprie impressioni e domande.

La comprensione delle storie si riflette poi come modello per la comprensione del mondo. Solo se sapremo abituare bambini e bambine ad avere uno sguardo attento ai dettagli, capace di cogliere la bellezza delle differenze e dell’unicità, sapranno a loro volta essere critici, sapranno andare a fondo ma soprattutto sapranno comprendere la ricchezza di un mondo che sa andare oltre gli stereotipi.

Una parola… mille parole!

Le flashcards sono uno degli strumenti più diffusi ed utilizzati nel mondo della scuola anglosassone, strumenti che poco alla volta stanno trovando una loro collocazione ed utilizzo anche in Italia, sebbene il loro uso non sia ancora prassi consolidata tanto quanto in altri Paesi. “Inventate” dall’Inglese Favell Lee Mortimer già negli anni ‘30 del XIX secolo, si tratta di veri e propri mazzi di carte che, a seconda dei casi, possono riportare immagini, parole, brevi spiegazioni o domande, possono essere stampate su uno o su due lati e, negli ultimi anni, possono essere fisiche o virtuali. Se al momento della loro creazione erano viste principalmente come mezzi di ampliamento lessicale, con il tempo le potenzialità e gli utilizzi di queste carte si sono moltiplicate e, al giorno d’oggi, ciascun docente è in grado di “piegarle” alle proprie esigenze.

Flashcards, Lingua 2 e Comportamentismo

Rimanendo nell’ambito della L2, lo scopo originario delle flashcards è ancora particolarmente attuale, in quanto sono perfette per l’apprendimento di parole nuove, quei mattoncini che, poco alla volta, formeranno il patrimonio linguistico dei nostri studenti. Le modalità di utilizzo, però, si sono evolute nel tempo. Di seguito si mostrerà come il lavoro 1:1 con gli studenti con difficoltà di memorizzazione del vocabolario della L2 possa beneficiare di alcune tecniche di insegnamento/apprendimento utilizzate nell’ambito della didattica di stampo comportamentista, in particolare a partire dalle sperimentazioni della dottoressa Mary Barbera, che da anni studia e si occupa delle strategie apprendimento della lingua orale in bambini con disturbo dello spettro autistico – strategie che possono essere applicate allo stesso modo nel lavoro con i bambini che apprendono una L2.

I principi su cui questa modalità di utilizzo delle flashcards si basa sono quelli dell’acquisizione tramite errorless teaching, una modalità di apprendimento particolarmente efficace poiché sfrutta il rinforzo positivo e la soddisfazione provata nell’apprendere “senza sbagliare”. Ovviamente, l’errorless learning and teaching deve essere sapientemente guidato dal docente, che deve saper predisporre attività strutturate in maniera tale che colui che apprenda possa sperimentare il più possibile la sensazione positiva legata al successo, ma allo stesso tempo organizzare il lavoro e il materiale in modo che l’assistenza guidata del docente possa gradualmente venire meno fino a rendere il discente completamente autonomo nel proprio lavoro, e in grado di utilizzare ciò che ha appreso nel contesto di vita reale, senza il supporto del docente e del materiale.

Sfruttando i medesimi principi è possibile aiutare i bambini che imparano una seconda lingua ad ampliare il proprio vocabolario a partire da UNA SOLA PAROLA CONOSCIUTA. Esattamente: sarà sufficiente che l’alunno con difficoltà di memorizzazione conosca una sola parola nella lingua target perché, con le giuste strategie, a partire da quella parola, il suo vocabolario si ampli in maniera esponenziale. Ma, in pratica, come si lavora? Vediamolo insieme.

Da una parola a un vocabolario

Forse la maniera più facile e immediata per capire il funzionamento di questa strategia è vederla messa in atto. Meglio, quindi, procedere con un esempio. Supponiamo di voler insegnare la parola bike a un bambino con difficoltà di memorizzazione – che però già conosce solo una parola in Inglese: la parola apple.

  • L’insegnante preparerà due flashcards, una che rappresenti la mela e una la bicicletta – possibilmente il più possibile somigliante all’oggetto reale conosciuto dal bambino.
  • Le carte verranno predisposte una accanto all’altra, a faccia in giù, davanti al bambino, e l’insegnante darà il comandogive me the apple, dopodiché girerà entrambe le carte contemporaneamente ed estenderà la mano verso lo studente. Poiché il bambino già conosce la parola apple, egli riuscirà senza errori a consegnare al docente la carta corretta.
  • La risposta corretta alla consegna deve essere rinforzata positivamente con qualcosa che dia soddisfazione al bambino. Un “batti 5”, una carezza, un commento positivo, un piccolo applauso sono tutte possibilità facilmente attuabili.
  • Una volta assicuratosi che la risposta allo stimolo sia sempre corretta durante un numero soddisfacente di tentativi, il docente proverà a chiedere give me the bike. Poiché la parola apple è già padroneggiata dallo studente, egli dovrà semplicemente riconoscere quello che “non è apple” e dare la carta all’insegnante,  cosa che dovrebbe risultare abbastanza automatica. In questa fase il rinforzo positivo dovrà essere erogato ad ogni risposta corretta, e con grande entusiasmo.
  • In caso di errore l’insegnante non dirà nulla, nemmeno un “no”, ma si limiterà a mantenere la posizione della mano estesa, senza accettare la carta, in modo che sia lo studente stesso ad accorgersi di aver sbagliato e a correggersi, azione dopo la quale verrà rinforzato positivamente.
  • Man mano che lo studente diverrà più sicuro, l’insegnante inizierà non solo a chiedergli di passare la carta con l’immagine corretta, ma anche di ripeterne il nome ogni volta. In questa fase, inoltre, è possibile iniziare a modificare la posizione delle carte, in modo che lo studente non possa prevedere quale oggetto si trova in una certa posizione, e debba riflettere attivamente.

Questi primi step riguardano l’acquisizione delle parole nuove a livello recettivo, di comprensione, e aiutano il bambino a riconoscere una parola in una L2 nel momento in cui la sente. La competenza linguistica, però, prevede anche e soprattutto che lo studente sia in grado di nominare un oggetto nella lingua target nel momento in cui viene a contatto con esso. Per questo motivo, una volta padroneggiato l’aspetto ricettivo, bisognerà proseguire immediatamente a lavorare su quello espressivo. Vediamo come.

  • L’insegnante prenderà in mano la carta della bicicletta e se la metterà vicino alla bocca, ripetendone il nome tre volte. Ogni volta avvicinerà la carta un po’ di più allo studente, fino a che, dopo la terza volta, gliela consegnerà e gli chiederà di ripeterne il nome. Come per i passaggi precedenti, il rinforzo positivo è essenziale.
  • Dopo aver ripetuto insieme la nuova parola, si proporrà il gioco del Quiz, in cui l’insegnante terrà le due carte coperte e ne girerà una alla volta, chiedendo al bambino di nominarle. Inizialmente le carte non cambieranno posizione sul tavolo – e quindi il bambino saprà cosa è dove – e la proporzione tra parola nuova (bike) e parola già conosciuta (apple) sarà di 4:1. All’aumentare delle risposte corrette, la posizione delle carte inizierà a cambiare in maniera casuale e imprevedibile.
  • Se il bambino non sarà in grado di nominare correttamente la nuova parola, l’insegnante si limiterà a ripeterne il nome e a riprovare, o a ripetere il primo passaggio di questo secondo blocco di indicazioni fino all’acquisizione della competenza.

La verifica dell’apprendimento avviene allo stesso modo e nello stesso tempo, con l’insegnante che, quando riterrà che il bambino mostri un livello di sicurezza adeguato, potrà iniziare ad alternare le attività e a ridurre i rinforzi, prima ad intervallo fisso più ampio ‘ ogni 5 o 10 risposte corrette – e successivamente a intervallo randomizzato.

Un lavoro per tutti

Il processo fin qui illustrato è inserito all’interno di una cornice di lavoro individuale per quegli alunni che sembrano presentare particolari difficoltà nell’acquisizione del vocabolario di base della L2. Una volta presa confidenza con la strategia, però, sarà facile per l’insegnante adattarla a diversi contesti, diversi gruppi e diverse esigenze. Si potrà lavorare in coppie, o coinvolgere il grande gruppo proiettando le flashcards sulla LIM invece che averle fisicamente in mano, si potranno dividere i bambini in piccoli centri autonomi e assegnare liste di parole da imparare.

Alcuni principi, però, non devono venire meno: 

  • il rinforzo deve essere erogato, nella prima fase, ogni volta che la risposta è corretta.
  • La risposta corretta non darà luogo a nessun tipo di rinforzo negativo, ma verrà semplicemente ignorata.
  • È necessario partire da un aggancio noto di base che sia fortemente padroneggiato dagli studenti, una parola conosciuta e sulla quale non ci sia il minimo dubbio.

In questo modo, partendo da una sola parola conosciuta dallo studente, se ne possono apprendere centinaia, lavorando sull’opposizione è/non è, cioè sul confronto tra vocaboli finalizzato alla discriminazione tra noto e ignoto, per favorire l’apprendimento.

Quando il “problema” non è un problema!

Le Indicazioni Nazionali del 2012 parlano chiaro: insegnare a bambine e bambini ad applicare correttamente procedure matematiche standardizzate non è più sufficiente; bisogna invece valorizzare i processi di pensiero e insegnar loro a prendere decisioni attivando le proprie risorse interne, mettendo in gioco competenze e strategie.

In questa cornice appare evidente come il focus dell’insegnamento della matematica debba sempre di più essere spostato sulla ricerca di strategie per risolvere problemi.

Ma che cos’è un problema?

Un problema è una situazione in cui qualcuno vuole raggiungere un obiettivo, trovare una soluzione, ma non sa come fare. Se ci soffermiamo a riflettere sui testi di quelli che vengono chiamati “problemi” nella stragrande maggioranza dei libri scolastici, ci accorgiamo che spesso l’obiettivo da raggiungere è poco chiaro o ha poca attinenza con le problematiche che si incontrano nella vita di tutti i giorni e che si sa benissimo come fare per trovare la soluzione, basta seguire una procedura standard che i bambini hanno imparato ad applicare essendosi trovati di fronte a “problemi” simili.

Risulta quindi necessario fare una distinzione tra:

  • quelli che possiamo chiamare “problemi per allenarsi”, che altro non sono che esercizi ripetitivi e un po’ meccanici, pensati per allenare gli studenti a seguire passaggi ben precisi per arrivare a una risposta univoca, che hanno sempre una soluzione;
  • e quelli che a tutti gli effetti sono dei “problemi autentici”, perché assomigliano a quelli della vita di tutti i giorni, infatti non sempre sono risolubili, a volte possono prevedere più di un’unica risposta e richiedono di ragionare attivando risorse interne per trovare delle strategie efficaci.

La risoluzione di un “problema standard” sicuramente rassicura l’insegnante rispetto a quella di un problema autentico che oltre a prevedere più risposte possibili, richiede abilità di argomentazione e l’attivazione di strategie diverse; ci può essere infatti una difficoltà nel valutare i processi di pensiero divergente, un’incertezza nel rispondere a domande impreviste o imprevedibili, la paura di sbagliare e quella di non avere abbastanza tempo.

Tutto questo è normale, quello che dobbiamo chiederci però è sempre qual è il nostro obiettivo e se valga la pena metterci un po’ in discussione per raggiungerlo.

Un esempio di problema autentico

Nel nuovo libro di testo di Rizzoli Education – Gea è stata inserita questa distinzione, infatti sfogliandolo potete trovare alcuni esempi di problemi autentici; di seguito ne riassumo uno a titolo esemplificativo, tratto dall’eserciziario di classe 5a.

Alessio è stato alla sua prima lezione di hip-hop. Dopo la lezione ha incontrato Jenny, che invece segue un corso di scrittura. Si accorgono di avere parecchi interessi in comune, così decidono di rivedersi ancora la prossima volta che avranno ciascuno la propria lezione lo stesso giorno. Il corso di hip-hop è tutti i martedì e i venerdì; le lezioni di Jenny invece cadono ogni 10 giorni. Inoltre il giorno di chiusura del bar è proprio il martedì. Secondo i calcoli di Alessio riusciranno a rivedersi altre 4 volte nei 6 mesi successivi. Secondo te ha ragione? Perché?

Utilizzare Moodle per valutare: i quiz a valutazione automatica

Per sfruttare le potenzialità più vantaggiose di Moodle è necessario iscrivere gli studenti ai corsi di Aula Virtuale. L’iscrizione, come abbiamo visto negli articoli precedenti, può essere spontanea o manuale; se consentiamo agli studenti di iscriversi spontaneamente, ciascuno di loro si accrediterà scegliendo un proprio codice utente, una propria password e dovrà fornire un indirizzo mail valido.

Se l’iscrizione è manuale sarà l’insegnante o l’amministratore della piattaforma a ideare per ciascuno studente un’utenza e una password e dovrà inserire per ciascuno l’indirizzo mail personale. Avvenuta la registrazione, il docente del corso potrà tracciare tutti gli accessi e le attività svolte dagli studenti; in particolare potrà:

  • dare la possibilità di consegnare file (attività compito);
  • permettere la compilazione di questionari (attività quiz) che possono essere corretti automaticamente e utilizzati sia come esercitazione sia come verifica;
  • preparare un percorso didattico misto che può andare benissimo per la didattica in flipped-classroom (attività lezione), perché può prevedere il filmato di una spiegazione, alcune domande a correzione automatica e anche il testo di un esercizio che preveda la consegna online di un file;
  • gestire verifiche o esercitazioni in peer-assessment (attività workshop); in questo caso sarà la piattaforma che, rispettando le consegne che stabiliremo, assegnerà a ciascuno studente il testo dell’esercizio da risolvere, consentirà la consegna e gestirà in modo casuale l’attribuzione ai pari (cioè agli altri studenti) delle consegne da correggere. È possibile anche ideare una griglia di valutazione che, una volta compilata, guiderà ciascuno studente nella correzione degli esercizi svolti dai compagni.

Vediamo in particolare le prime due possibilità.

L’attività compito

L’attività compito serve per consentire agli studenti di consegnare dei lavori sotto forma di file (fig. 1). Il docente può visualizzare le consegne premendo il tasto “Visualizza tutte le consegne”; nella figura 2 sono state tagliate alcune colonne sulla sinistra in cui è indicato il nome dello studente per tutelare la privacy degli utenti; cliccando sul nome dei file sarà possibile scaricarlo sul proprio PC. Cliccando invece sul tasto valutazione è possibile dare un feedback testuale e una valutazione numerica alla prova; naturalmente in questa modalità la correzione della prova dovrà essere manuale a cura dell’insegnante.

Figura 1 – Attività compito.

Figura 2 – Elenco delle consegne.

 Il quiz a correzione automatica

L’attività quiz permette al docente di comporre dei questionari formati da domande che lo stesso docente deve inserire e organizzare in categorie. Possiamo creare diversi tipi di domande, quasi tutti prevedono che il docente indichi anche la risposta corretta; quindi, i quiz sono a correzione automatica: il sistema confronta la risposta data dallo studente con la risposta corretta e se c’è corrispondenza assegna a quella domanda il punteggio.

Il punteggio può essere espresso al 100% (risposta corretta) oppure il docente può indicare risposte che siano solo parzialmente corrette alle quali il sistema può attribuire una percentuale inferiore al 100%. Il sistema calcola proporzionalmente il punteggio totale del quiz rapportandolo a 10. In figura 3 è riportato l’esempio di due possibili domande, la prima a risposta multipla con una sola risposta corretta, la seconda a risposta aperta breve.

Per le domande a risposta breve lo studente può digitare un testo di due o tre parole; anche in questo caso la risposta verrà confrontata con quella inserita dal docente al momento della compilazione della domanda. Non è sempre facile prevedere tutte le possibili risposte corrette che può dare uno studente a una domanda aperta, così dopo l’invio di tutte le risposte e la correzione automatica del quiz si deve dare allo studente la possibilità di revisionare la prova sia per avere un feedback sulla correzione sia per discutere la correzione delle domande.

Figura 3

Figura 3 – Esempi di domande.

 

In figura 4, invece, vediamo come realizzare domande nelle quali lo studente deve scegliere l’associazione corretta, per esempio, tra definizione e termine definito.

Figura 4 – Domanda ad associazione.

 

Nelle figure 5 e 6 sono riportati alcuni possibili tipi di domande.

Figura 5 – Tipi di domanda.

Figura 6 – Altri tipi di domanda.

Il deposito delle domande

Le domande che vengono create dal docente, come mostrato in figura 7, possono essere raggruppate in categorie e sottocategorie nel deposito delle domande, in modo da essere rintracciate più comodamente quando il docente deve riutilizzarle e riorganizzarle in modo diverso nella creazione di altri quiz.

Figura 7 – Organizzazione del deposito delle domande.

Diversi utilizzi del quiz

A seconda di come si configurano le proprietà di un quiz lo si può utilizzare come esercitazione formativa o come verifica sommativa. La figura 8 mostra le proprietà di un quiz; cliccando sulle freccine si visualizzano le scelte che il docente può fare per ciascuna proprietà.

Figura 8 – Proprietà dell’attività quiz.

 

Le proprietà che potrebbero distinguere un’esercitazione da una verifica sommativa sono diverse, vediamone alcune:

  • la durata: nella verifica è necessario dare una durata stabilita, nell’esercitazione può essere lasciata libera;
  • nella valutazione si sceglie il numero di tentativi permessi, nella verifica deve essere pari a uno, mentre si devono lasciare liberi gli studenti di tentare un’esercitazione tutte le volte che vogliono;
  • nell’impaginazione si ha la possibilità di scegliere se si vuole inserire un salto pagina ad ogni domanda, opportuno in caso di verifica;
  • è possibile scegliere il metodo di navigazione che può essere libero nel caso delle esercitazioni o sequenziale per le verifiche. Con il metodo sequenziale lo studente non ha la possibilità di tornare indietro; questo tipo di navigazione si accoppia con la scelta di mescolare le domande in modo che ogni studente abbia un ordine dei quesiti diverso dagli altri compagni;
  • la revisione dovrebbe essere sempre disponibile per le esercitazioni, mentre non dovrebbe esserlo nel caso di una verifica fino a che tutti gli studenti non hanno consegnato; in questo modo chi finisce prima non potrà vedere le soluzioni e suggerirle a chi non ha ancora ultimato la verifica;
  • l’uso di un Save Exam Browser può essere utile per far fare agli studenti la verifica in un browser apposito che non consente di uscire dalla verifica per consultare eventualmente il web.

La piattaforma PP&S

Negli articoli precedenti abbiamo visto che per avere un ambiente Moodle, occorre ottenere in qualche modo uno spazio Web corredato da database; a questo proposito ricordiamo il progetto PP&S a cura dell’Università e del Politecnico di Torino (fig. 9), che mette a disposizione dei docenti che ne fanno richiesta la possibilità di pubblicare i propri corsi sui loro server e di accreditare gli studenti in modo che i docenti possano iscriverli alla propria Aula Virtuale.

Figura 9 – Progetto PP&S.

Fact Checking | Fake news… dal Medioevo

Falsi storici di grande successo

Anche in età medievale non mancarono le fake news. Un po’ come succede al giorno d’oggi, queste false notizie furono costruite per raccontare una certa versione dei fatti e diffondere così un’idea o sostenere una convinzione. Finendo per orientare il modo di pensare delle persone. Presentiamo qui di seguito tre casi di fake news risalenti all’Alto Medioevo, tre casi che hanno differenti origini e sviluppi: il primo è creato dalla Chiesa di Roma con uno scopo ben preciso; il secondo nasce per via letteraria e assume un rilievo politico-religioso; il terzo fiorisce grazie ad una rivisitazione artistica, diventando un luogo comune.

Un documento creato ad arte

La più clamorosa fake news dell’Alto Medioevo (e forse di tutta la storia) è quella della cosiddetta “Donazione di Costantino”. Tutto inizia tra l’VIII e il IX secolo, quando negli archivi papali viene alla luce un documento che attesta un fatto di straordinaria importanza per la Chiesa: l’imperatore Costantino, diversi secoli prima, ha assegnato al papa il possesso di Roma, dell’Italia e di tutti i territori dell’Impero d’Occidente. Il testo appare subito come il decisivo riconoscimento della legittimità dello Stato della Chiesa e del potere temporale del pontefice.

Per scoprire che il documento è un falso, costruito ad arte da qualche zelante membro della Curia, deve passare parecchio tempo. Un primo dubbio sorge attorno all’anno Mille al giovane imperatore tedesco Ottone III di Sassonia, che denuncia la falsità del testo e lo attribuisce a un diacono, un tal Giovanni dalle dita mozze. Ma pochi gli danno credito.

È solamente grazie all’umanista Lorenzo Valla, nel XV secolo, che l’inganno viene svelato. Per farlo è necessaria tutta l’abilità di questo straordinario filologo, che studia accuratamente il testo e ne mette in luce i numerosi anacronismi: il riferimento a Costantinopoli, città fondata circa quindici anni dopo la stesura della Donazione; l’uso di termini come “feudo”, decisamente inappropriato per l’epoca; o ancora la lingua usata, un latino denso di contaminazioni germaniche, e quindi successivo all’età di Costantino. Persino durante l’Umanesimo la denuncia di Lorenzo Valla fatica a trovare spazio: il suo trattato viene pubblicato ben sessant’anni dopo la sua morte, nel 1517, e unicamente in Paesi protestanti. 

Scontro di civiltà o un banale agguato?

Nel 778, a Roncisvalle si combatte una battaglia divenuta epica: da un lato i paladini cristiani capeggiati da Carlo Magno e dall’altro i mori, di religione islamica. La posta in gioco è altissima: l’Europa deve difendersi da quelli che sono dipinti come diabolici “infedeli”. Questa, però, è la versione letteraria dell’accaduto: è il racconto che ne fa la Chanson de Roland. E questo racconto diventa a tal punto celebre – e credibile – da rappresentare per molti la verità storica. La morte stessa di Rolando, il più valoroso dei paladini franchi, diventa il gesto estremo di un cavaliere disposto al sacrificio pur di difendere gli ideali cristiani.

Ma le cose andarono davvero così?  Per niente! Nel 778 Carlo Magno e i suoi uomini si trovano al confine tra Francia e Spagna: sono lì per sostenere i governatori di Saragozza e Barcellona, impegnati contro i mori dell’Emirato di Cordoba. In quel momento, però, nei territori tedeschi scoppia una violenta rivolta dei sassoni, e i franchi devono rientrare precipitosamente. Proprio mentre si stanno ritirando, essi cadono vittima di un’imboscata: nelle gole di Roncisvalle, sui Pirenei, gli uomini di Carlo vengono attaccati, non dai mori, bensì da una banda di baschi, un popolo che abita in quella regione. I baschi sono in buona parte cristiani, e colpiscono per impadronirsi del bottino dei franchi. La battaglia si trasforma in un massacro per i carolingi: i baschi, con un armamento leggero, si muovono agilmente nelle strette vallate, al contrario dei franchi, ostacolati dalle loro pesantissime armature.

I vichinghi avevano le corna?

L’ultima fake news risale alla parte finale dell’Alto Medioevo, ed è decisamente più pittoresca. Riguarda i vichinghi, che ancora oggi nell’immaginario collettivo sono dei portentosi guerrieri che indossano elmi con le cornaIn realtà non esiste nessuna fonte dell’epoca che attesti questa usanza. E i vichinghi in battaglia portano sì elmi in ferro decorati e incisi, ma di corna non vi è traccia! A originare questa falsa credenza è una rivisitazione artistica: nel XVII secolo alcuni pittori iniziano a ritrarre i popoli barbari provenienti dal Nord Europa con elmi con le corna. Quando poi, nel XIX secolo, il compositore Richard Wagner li rappresenta così in una sua opera, il gioco è fatto! E questa versione piace a tal punto da essere tuttora diffusissima.

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25 aprile: festa della Liberazione

Tramontana ha deciso di dedicare il video articolo di Rivista di questo mese alla festa della Liberazione del 25 aprile, con l’intento di stimolare una discussione sull’importanza di questa ricorrenza civica partendo da una consapevole conoscenza degli eventi storici che hanno condotto alla Liberazione e hanno posto le fondamenta della nostra Repubblica. Il video è introdotto dalle parole di Carlo Rapetti, presidente della sezione Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, che ricorda il contributo  collettivo che l’intera popolazione italiana, in tutte le sue componenti, diede alla lotta di liberazione dal nazifascismo.

Il video 

 

Come sempre, dopo aver visionato il video, potete scaricare le schede di attività preparate per voi: un compito di realtà, da proporre alla classe, e una scheda riservata ai docenti, comprensiva di strumenti per la valutazione.

Materiali aggiuntivi