“Papà, guarda, bisonti!”
Con queste parole, pronunciate nel 1879 da una bambina di 8 anni, Maria, è stata riscritta la storia dell’arte. Maria era la figlia di un archeologo dilettante, don Marcelino Sanz de Sautuola e stava indicando al padre i bisonti dipinti della grotta di Altamira, nel nord della Spagna, oggi uno degli esempi più emblematici di arte preistorica mai scoperti in Europa.
Il vibrante rosso ruggine dei corpi dei bisonti dipinti era così ben conservato che l’archeologo fu accusato di aver tracciato egli stesso quelle meravigliose rappresentazioni, a caccia di notorietà. Gli storici dell’epoca erano comprensibilmente scettici di fronte a quelle immagini, che non ritenevano possibile essere state tracciate dalle mani di uomini del 13.000 a.C., che significa tre volte più antichi di Stonehenge o delle piramidi di Giza.
Quando parliamo di arte rupestre, ci riferiamo a quelle straordinarie rappresentazioni che i nostri lontani antenati hanno lasciato sulle pareti di grotte e caverne in tutto il mondo. Queste opere, tracce vive della creatività dell’uomo preistorico, sono come finestre aperte su un passato affascinante e misterioso, un tempo in cui l’essere umano cercava di interpretare e raccontare il mondo circostante attraverso il segno e il colore.
Ma cosa rappresenta davvero l’arte rupestre? Quali segreti si celano dietro queste antiche testimonianze? Quali tecniche e materiali venivano utilizzati per creare immagini capaci di attraversare i millenni? E quale significato avevano per le culture che le hanno prodotte? Questi interrogativi ci guidano in un viaggio senza tempo, alla scoperta delle radici profonde dell’arte e del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente.
L’arte rupestre è una delle più antiche forme di espressione artistica conosciuta dall’umanità, risalente al periodo del Paleolitico, che si estende da circa 40.000 anni fa fino a 10.000 anni fa, con una continuazione anche nel Neolitico, fino a circa 3.000 anni fa. La datazione di queste pitture è spesso incerta a causa della possibile contaminazione dei campioni, che può alterare i risultati dei metodi come il radiocarbonio.
Nel dicembre 2019, sono state scoperte a Sulawesi (Indonesia) pitture rupestri risalenti a 35.000-44.000 anni fa. Un anno dopo, un dipinto nella grotta di Leang Tedongnge, datato con il metodo uranio-torio, è risultato essere di almeno 45.500 anni, diventando il più antico esempio noto di arte figurativa umana. Durante il Paleolitico, l’uomo viveva principalmente di caccia e raccolta, spostandosi in base alle stagioni e alle disponibilità di risorse naturali. Le grotte e le caverne non solo offrivano rifugio, ma erano anche luoghi di incontro, di vita sociale e, come dimostrano le pitture rupestri, di espressione creativa.
Gli artisti preistorici utilizzavano le pareti di queste cavità naturali come tele su cui rappresentare il mondo che li circondava: gli animali che cacciavano, le scene di vita quotidiana e, forse, anche simboli legati a credenze religiose e rituali. Oltre ai dipinti murali, l’arte preistorica comprendeva anche sculture, incisioni su pietra e osso, ma è proprio l’arte rupestre a rappresentare la forma di espressione più diffusa e più affascinante, per via delle tecniche utilizzate e della sua collocazione nei siti naturali.
I soggetti rappresentati più frequentemente nelle pitture rupestri sono grandi animali selvatici, come bisonti, cavalli, uri (gli antenati delle nostre vacche domestiche) e cervi, insieme a impronte di mani umane e motivi astratti noti come “scanalature delle dita”. Sebbene queste specie animali fossero idonee alla caccia da parte dell’uomo, non sempre corrispondevano alle prede effettivamente consumate, come dimostrano i resti ossei rinvenuti nei siti archeologici. Un esempio è dato dai pittori di Lascaux, che hanno lasciato prevalentemente ossa di renna, mentre questa specie non è raffigurata nelle pitture, dove predominano, invece, i cavalli. Le rappresentazioni umane, erano rare e stilizzate, contrariamente alla maggiore precisione riservata agli animali.
La Tavolozza Naturale dell’Artista Preistorico: Materiali e Pigmenti
Uno degli aspetti più straordinari dell’arte rupestre è l’uso creativo che gli artisti preistorici facevano dei materiali naturali. Privi di strumenti sofisticati, si affidavano completamente ai pigmenti reperibili nell’ambiente circostante. La gamma cromatica di cui disponevano era sicuramente limitata rispetto a quella moderna, ma i risultati sono senza dubbio degni di nota. Gli artisti preistorici utilizzavano una gamma cromatica composta principalmente da quattro colori: bianco, rosso, giallo e nero e loro sfumature.
Questi pigmenti venivano ottenuti da minerali e terre naturali e applicati alle pareti delle grotte attraverso tecniche diverse, a seconda delle risorse disponibili e del contesto ambientale. Ad esempio, gli uomini del Paleolitico usavano la calcite (CaCO₃) come pigmento bianco, un minerale composto da carbonato di calcio, generalmente di origine sedimentaria. Il colore bianco poteva essere ricavato anche dalla caolinite, da rocce silicee e dalle ossa degli animali. Altri colori, come rossi e gialli venivano ottenuti dalla lavorazione di ocre, miscele di argilla e ossidi di ferro.
L’ocra è una classe di geomateriali più comunemente costituiti da argilla, silice e ossidi di ferro. Di solito è ricca di ossidi di ferro, che si presentano in diverse forme cristalline. Le ocre rosse, in particolare, erano tra i pigmenti più utilizzati in Europa e Africa, e a seconda della concentrazione di ossido di ferro potevano assumere tonalità che variavano dal giallo pallido al rosso intenso. Quelli principalmente usati nell’arte parietale erano l’ematite, la goethite e la limonite.
L’ematite (Fe2O3) prende il nome dal termine greco che significa “sangue”, per il suo colore che ricorda il sangue coagulato. Dall’ematite si ottengono per esempio i toni del rosso tipici dei disegni della grotta di Altamira (Spagna) e di Lascaux (Francia). La goethite, invece, è un minerale composto da idrossido di ferro, con un colore che può variare dal giallo bruno al nero. Il suo nome è un omaggio a Johann Wolfgang von Goethe, tra i primi ad occuparsi di teoria del colore. Un importante giacimento di goethite, sfruttato già nel Paleolitico, si trova nei pressi della Grotta della Monaca, in provincia di Cosenza.
Da questo minerale si ottenevano pigmenti caratterizzati da tonalità che spaziavano dal bruno all’ocra. La limonite, invece, indica un ossido idrato di ferro contenente un certo numero di molecole di acqua che si forma per disfacimento di minerali ferrosi. E’ di fatto una miscela di minerali e materiali amorfi. I colori variano dal giallo ocra al marrone. Per quanto riguarda, in ultimo, i toni del nero, questi venivano ottenuti dalla combustione di sostanze organiche, come il carbone, il legno, l’osso o il corno, oppure da minerali come l’ossido di manganese. In alcune regioni, veniva anche utilizzato il biossido di manganese, che conferiva al pigmento nero una tonalità più intensa e resistente.
Il rosso: il primo colore
Va fatta una considerazione particolare sul colore rosso. Il rosso è il colore archetipico, il primo che l’uomo abbia effettivamente ottenuto e padroneggiato. Per millenni il rosso è stato l’unico colore degno di tale nome e infatti spesso “colore”, “bello” e “rosso” sono sinonimi in diverse lingue. Proprio su questo colore l’uomo ha fatto i primi esperimenti e costruito il suo universo cromatico. Proprio sul rosso sono state studiate per la prima volta le sfumature.
Prima di dipingere l’uomo ha iniziato a tingere e dipingersi il corpo. Il rosso ha avuto presto un ruolo importante nelle pratiche ornamentali e nei “letti” color ocra rosso trovati tra gli arredi funerari di alcune tombe. Il colore aveva probabilmente lo scopo di proteggere il defunto durante il suo viaggio, dato che era un colore considerato “magico”, ma è palese che i rossi nella preistoria hanno una triplice funzione: deittica, preservativa ed estetica. In quell’epoca uomini e donne si distinguevano, proteggevano ed abbellivano con il rosso.
Le recenti analisi mostrano come certe ocre gialle venissero scaldate in crogioli di pietra in modo da far perdere loro l’acqua, in modo da trasformarle in ocre rosse. Allo stesso modo, alcuni pigmenti erano arricchiti da sostanze allo scopo di modificarne il colore coprente. Possiamo quasi parlare di chimica: un conto è bruciare legna e fare del carbone per ottenere il nero, ma un altro è estrarre dal suolo l’ematite, lavarla, filtrarla, ridurla in polvere in un mortaio, mescolarla con il feldspato e l’olio vegetale o il grasso animale per dare sfumature diverse. Forse non possiamo parlare di vere e proprie ricette, ma è difficile da dire, dal momento che quello che vediamo è il risultato del tempo e non possiamo vedere lo stato originale.
I leganti
Oltre ai pigmenti, gli artisti preistorici impiegavano vari leganti naturali per fissare i colori alle superfici rocciose, come grassi animali, resine, cere e sangue. Questi venivano mescolati ai pigmenti per ottenere vernici più resistenti, favorendo una migliore adesione alle pareti e garantendo la conservazione delle opere per millenni. Spesso, i colori venivano preparati con acqua naturalmente ricca di calcio, che assicurava resistenza e aderenza.
Tuttavia, per questi straordinari dipinti venivano utilizzate anche sostanze oleose o grasse, come albume d’uovo, grasso animale, cere o sangue, che fungevano da agenti agglomeranti. La superficie scabra delle grotte faceva il resto, essendo perfettamente adatta a far sì che il composto di pigmento e legante restasse perfettamente adeso. Non solo, favoriva anche gli effetti tridimensionali delle pitture, grazie alle ombre che vi si formavano a seconda dell’incidenza della luce.
La Disponibilità Regionale dei Materiali
La disponibilità di questi materiali pittorici variava notevolmente da una regione all’altra, influenzando le caratteristiche cromatiche delle opere d’arte rupestre. In Europa occidentale, ad esempio, le ocre rosse erano particolarmente diffuse, dando origine a pitture caratterizzate da tonalità calde e vibranti. In altre aree, come l’Africa e l’Australia, si utilizzavano una gamma più ampia di pigmenti, con diverse sfumature di rosso, giallo e nero.
Strumenti e Tecniche: La Creatività del Mondo Preistorico
Nonostante la semplicità apparente dei materiali e degli strumenti a disposizione, l’arte rupestre è un esempio straordinario di abilità tecnica e creatività. Gli artisti preistorici utilizzavano diverse tecniche per applicare i pigmenti alle pareti delle grotte, dimostrando una profonda comprensione delle proprietà dei materiali e delle superfici rocciose. Gli strumenti utilizzati per dipingere variavano a seconda delle risorse disponibili e del tipo di pittura che si desiderava realizzare. Spesso dipingevano semplicemente con le dita, che consentivano loro di dosare il colore e creare linee sottili o spesse secondo necessità.
Per un’applicazione più precisa, impiegavano pennelli rudimentali fatti con peli di animali, erbe, muschio o fibre vegetali, legati a bastoncini o ossa, ottenendo così tratti uniformi e dettagliati. Per coprire aree estese o creare sfumature, usavano tamponi di muschio o pelle, che garantivano una stesura morbida e omogenea del pigmento. Un’altra tecnica consisteva nel soffiare il colore attraverso tubi o ossa cave, generando un effetto nebulizzato ideale per ampie superfici e ombreggiature delicate.
Oltre agli strumenti, gli artisti svilupparono vari metodi per ottenere effetti visivi complessi. Molte pitture rupestri sono realizzate a mano libera, con figure tracciate direttamente sulla roccia, variando dai contorni semplici a rappresentazioni dettagliate. Per dare profondità e dinamismo, sovrapponevano i colori e li sfumavano, come nell’uso dell’ocra rossa con linee nere sovrapposte per evidenziare i contorni e creare contrasto. Inoltre, sfruttavano le irregolarità della roccia, utilizzando sporgenze naturali per enfatizzare parti del disegno, come la testa o il corpo di un animale, conferendo così un effetto tridimensionale e un senso di movimento.
L’Interpretazione Simbolica: Significati e Funzioni delle Pitture Rupestri
Un aspetto cruciale dell’arte rupestre, che affascina studiosi e archeologi, è la sua possibile funzione simbolica. Sebbene non possiamo sapere con certezza cosa rappresentassero queste pitture per chi le realizzava, sono state formulate numerose teorie sulle motivazioni che spingevano gli uomini preistorici a decorare le pareti delle grotte.
Teoria della Magia della Caccia
Una delle ipotesi più diffuse è che le pitture rupestri fossero legate a riti propiziatori per la caccia. Secondo questa teoria, le rappresentazioni di animali sulle pareti delle grotte avevano un significato magico-religioso: gli artisti dipingevano gli animali per garantirsi il successo nella caccia, come se la loro raffigurazione potesse influenzare il mondo reale. In questo contesto, l’arte rupestre assumeva una funzione rituale e spirituale, un modo per interagire con le forze della natura e per garantirsi la sopravvivenza.
Teoria della Fertilità
Un’altra teoria suggerisce che le pitture rupestri fossero legate a riti di fertilità, non solo della terra ma anche degli esseri umani e degli animali. In alcune pitture, si osservano figure stilizzate di esseri umani in posizioni che potrebbero richiamare simboli di fertilità o di nascita. Questo potrebbe indicare che l’arte rupestre non rappresentava solo la caccia e la vita quotidiana, ma anche un desiderio di garantire la prosperità della comunità e la continuità della specie.
Significato Astronomico e Calendario
Recentemente, alcuni studiosi hanno proposto che alcune pitture rupestri possano avere un significato astronomico. Secondo questa teoria, le rappresentazioni di animali e simboli potrebbero corrispondere a costellazioni o eventi stagionali, e l’arte rupestre potrebbe essere stata utilizzata come una sorta di calendario preistorico. Le posizioni delle stelle e dei pianeti potevano essere osservate e interpretate dagli artisti per prevedere i cicli stagionali, le migrazioni degli animali e altre informazioni cruciali per la sopravvivenza della comunità.
Funzione Sociale e Identità di Gruppo
Oltre al loro possibile significato religioso o rituale, le pitture rupestri potrebbero avere avuto anche una funzione sociale, rappresentando l’identità e i valori di un gruppo specifico. Le grotte decorate potevano essere luoghi di incontro e celebrazione per le comunità, e l’arte rupestre poteva fungere da simbolo di appartenenza a un gruppo o a una tribù. In questo senso, l’arte non era solo un’espressione individuale, ma anche collettiva, con un forte significato culturale e sociale.
I Grandi Siti dell’Arte Rupestre: Casi Studio
Per comprendere meglio l’importanza e la varietà dell’arte rupestre, esaminiamo alcuni dei più importanti siti archeologici del mondo, famosi per la straordinaria qualità delle pitture conservate al loro interno.
Le Grotte di Lascaux (Francia)
Le Grotte di Lascaux, scoperte casualmente nel 1940 in Francia, sono considerate uno dei tesori più preziosi dell’arte rupestre paleolitica. Le pareti delle grotte sono decorate con oltre 600 pitture e incisioni che risalgono a circa 17.500 anni fa, durante il Paleolitico superiore. Le pitture rappresentano principalmente animali, come bisonti, cavalli, cervi e tori, ritratti con un realismo sorprendente. Una delle sale più famose è la Sala dei Tori, che ospita un ciclo di dipinti raffiguranti un grande gruppo di bovini in movimento.
Le tecniche utilizzate per realizzare le pitture di Lascaux sono particolarmente affascinanti. Gli artisti preistorici utilizzavano pigmenti naturali come ocra rossa e gialla, nero (ottenuto da ossidi di manganese e carbone) e bianco (da calcare o argille). I colori venivano applicati con pennelli rudimentali, tamponi di muschio o soffiati attraverso ossa cave, creando effetti di profondità e dinamismo. Gli studi più recenti hanno rivelato che per ottenere alcune tonalità particolari, gli artisti di Lascaux utilizzavano ossa di animali cotte ad alte temperature, un processo che dimostra una conoscenza sofisticata dei materiali e dei processi a cui andavano incontro
Purtroppo, l’apertura al pubblico delle grotte nel XX secolo ha causato danni irreparabili alle pitture, dovuti a umidità e anidride carbonica prodotta dai visitatori. Per proteggere questo inestimabile patrimonio, le grotte sono state chiuse al pubblico nel 1963, e oggi è possibile visitare una replica fedele, Lascaux II, che permette di ammirare queste meraviglie senza danneggiare gli originali.
Grotta di Altamira (Spagna)
La Grotta di Altamira, situata in Cantabria, Spagna, è un altro straordinario esempio di arte rupestre paleolitica, risalente a oltre 35.000 anni fa. Scoperta nel 1879, questa grotta custodisce pitture parietali che rappresentano principalmente animali, come bisonti, cervi e cavalli, ritratti con grande abilità e precisione. Gli artisti di Altamira sfruttarono le irregolarità della roccia per creare effetti tridimensionali, dando l’impressione che gli animali emergessero dalla parete.
I pigmenti utilizzati nelle pitture di Altamira erano simili a quelli di Lascaux: ocra rossa e gialla, nero (ossidi di manganese) e bianco. Le pitture venivano realizzate a mano libera e i colori venivano stesi con tamponi di pelle o muschio per ottenere effetti morbidi e realistici. Una delle tecniche più sorprendenti utilizzate ad Altamira è la rappresentazione delle mani in negativo, ottenuta soffiando pigmento attorno alle mani appoggiate sulla parete.
Come Lascaux, anche Altamira è stata chiusa al pubblico per proteggere le pitture dall’umidità e dai cambiamenti atmosferici causati dai visitatori. Oggi, una replica della grotta permette di ammirare le pitture senza mettere a rischio le opere originali.
Grotta di Chauvet (Francia)
Scoperta nel 1994, la Grotta di Chauvet, situata nel sud della Francia, è uno dei più importanti siti di arte rupestre paleolitica al mondo. Le pitture e le incisioni che decorano le pareti della grotta risalgono a circa 32.000-36.000 anni fa e rappresentano un’incredibile varietà di animali, tra cui bisonti, mammut, cavalli, leoni, orsi e rinoceronti. Una delle caratteristiche più sorprendenti di Chauvet è la rappresentazione dettagliata e dinamica degli animali, realizzata con un’abilità tecnica straordinaria.
Gli artisti di Chauvet utilizzavano pigmenti naturali come ocra rossa, carbone e ossidi di manganese, applicati con tecniche simili a quelle utilizzate a Lascaux e Altamira. Le pitture erano realizzate a mano libera, con l’aggiunta di tamponi e pennelli rudimentali per creare sfumature e dettagli. A Chauvet, gli artisti preistorici dimostrarono una conoscenza sorprendente della prospettiva e del movimento, sovrapponendo figure e utilizzando linee curve per dare vita a scene complesse.
Come negli altri siti di arte rupestre, anche Chauvet è stata chiusa al pubblico per preservare le pitture dal degrado causato dall’esposizione all’aria e dall’umidità. Una replica della grotta, chiamata Chauvet 2, è stata inaugurata nel 2015 e offre ai visitatori l’opportunità di esplorare questa meraviglia dell’arte preistorica senza danneggiare le opere originali.
L’arte rupestre non è solo un’incredibile eredità culturale, ma anche un ponte che ci collega a chi, migliaia di anni fa, ha cercato di dare forma al proprio mondo, dimostrando che la creatività e il desiderio di esprimersi sono caratteristiche universali dell’umanità.
L’autrice
Eva Munter, su Instagram è Chimica in pillole.