«Sarebbe bello durare quanto i racconti che abbiamo ascoltato e che raccontiamo. Ma loro dureranno più di noi». Stefano Benni
Ti racconto del racconto…
Dopo oltre quattro decadi di sovrapproduzione romanzesca, gli editori italiani iniziano, seppur timidamente, a guardare con rinnovato interesse al racconto.
Molti autori sono stati lanciati proprio dal genere: Valeria Parrella ha vinto Premio Campiello Opera Prima con la raccolta Mosca più Balena, Manuale per ragazze di successo di Paolo Cognetti è diventato un bestseller, Mauro Covacich è stato finalista al Premio Strega con la raccolta La sposa…
E una nuova generazione di lettori sta scoprendo (o riscoprendo) il racconto, anche grazie ad operazioni commerciali come quelle del quotidiano La Repubblica che, l’estate scorsa, ha allegato al suo giornale una selezione di racconti di Camilleri.
Perché il racconto?
Il racconto è sintetico, completo, incisivo, non abbraccia la vita intera dei personaggi, ma si limita a un episodio, una frazione, punti di svolta decisivi, in poche pagine può raggiungere la perfezione, perché lavora al meglio con poca materia e riesce a non perdere mai l’attenzione del lettore, sempre più distratto da stimoli e informazioni. Proprio per questo è la forma di narrazione ideale per il nostro tempo.
Secondo lo scrittore statunitense Raymond Carver, il racconto è la forma narrativa ideale per rappresentare una realtà complessa e mutevole, poiché non ambisce a interpretarla come fa il romanzo, ma a riprodurne una parte, come una fotografia o un tassello di un mosaico.
«Per scrivere un romanzo, uno scrittore dovrebbe vivere in un mondo dotato di senso, un mondo in cui poter credere, da poter mettere a fuoco per bene e su cui poi scrivere accuratamente. Un mondo che, almeno per un certo tempo, rimanga fisso in un posto. Inoltre dovrebbe esserci una specie di fiducia nella correttezza di quel mondo. Fiducia nel fatto che il mondo conosciuto abbia una ragion d’essere, e che valga la pena di scriverne, che non vada tutto in fumo mentre lo fai. Non era questo il caso del mondo che io conoscevo e nel quale vivevo. Il mio mondo era un mondo che pareva cambiare marcia, direzione e regole ogni giorno» R. Carver, Il mestiere di scrivere, trad. R. Duranti, Einaudi, 1997
La potenzialità del racconto come narrazione capace di illuminare frammenti di esperienze e di mondi interiori viene portata alle estreme conseguenze negli ultimi anni dalla forma della flash story, che concentra la scrittura in uno spazio minimo, dalle 1500 parole in giù. L’esiguità delle dimensioni è inversamente proporzionale alla qualità dell’esperienza di lettura. Una brevità che richiede densità di contenuti e compattezza stilistica. È questa la ragione per cui tra le firme troviamo scrittori del calibro di Italo Calvino, Umberto Eco, Julio Cortàzar.
Una curiosità…
Il racconto più piccolo della storia ha otto parole (sette, nell’originale spagnolo) ed è dello scrittore guatemalteco Augusto Monterroso.
«Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì.»
Perché leggere racconti a scuola?
Velocità e compiutezza sono i due ingredienti che fanno del racconto la forma narrativa privilegiata a scuola da insegnanti e studenti. La misura chiusa del racconto rende più immediata la comprensione di personaggi, tecniche narrative ed elementi stilistici. Leggere storie brevi e concluse è inoltre un buon modo per appassionarsi alla lettura. Il racconto si legge in una sola seduta e sazia completamente la fame del lettore, soprattutto in classe, quando il tempo da dedicare alla lettura antologica è frammentato e interrotto dai tagli dei libri di testo e dalle campanelle.
Una buona selezione di racconti soddisfa la curiosità dei ragazzi e sostiene il lavoro dell’insegnante.
Per approfondire:
- Un archivio di racconti letti “ad alta voce” https://www.raiplayradio.it/programmi/adaltavoce/archivio/racconti/
- Due racconti di Julio Cortàzar
- Un racconto di Calvino