L’arte ha accompagnato l’umanità sin dalle origini della civiltà, poiché l’espressione di tradizioni, credenze e culture è intrinseca all’essere umano, così come la capacità di produrre utensili. Per secoli, l’arte ha suscitato l’interesse di diversi estimatori ed esperti, tra cui artisti, critici, venditori, storici e collezionisti, il cui focus principale è stato spesso il messaggio e il concetto trasmessi dalle opere.
Tuttavia, un aspetto fondamentale è rappresentato dalla componente materica, ovvero dal supporto e dai materiali di cui è costituita l’opera d’arte, che consentono di apprezzare appieno il messaggio dell’artista o la cultura di un determinato popolo. Lo studio delle sostanze che compongono l’arte è una disciplina relativamente recente, conosciuta come “Cultural Heritage Science”, che forma figure professionali specializzate nei materiali artistici e archeologici, nel degrado e nella conservazione del patrimonio culturale materiale.
In Italia, questa disciplina è ancora poco conosciuta e si può studiare in corsi di laurea triennale in “Tecnologia per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali”, che rientrano nel gruppo delle lauree STEM. L’obiettivo di questi corsi è formare laureati e laureate competenti in materie scientifiche, ma con una spiccata sensibilità per il patrimonio culturale; unendo così l’arte e l’archeologia alla scienza.
La figura professionale che si forma da questa tipologia di corsi di laurea non sostituisce, ma affianca il restauratore o la restauratrice, fornendo supporto scientifico per i dilemmi professionali che possono insorgere durante i lavori di conservazione e restauro, fungendo da tramite per conoscenze che spaziano dalla fisica della materia all’antropologia, dalla geologia e chimica fino alla biologia.
Archeometria, Mineralogia e Petrografia, Chimica del Restauro e Metodologie Fisiche Applicate, sono solo alcune delle discipline che negli anni hanno approfondito lo studio dei materiali artistici e archeologici. Molte delle quali integrate con laboratori.
Questa interdisciplinarità permette una visione d’insieme e una flessibilità nell’uso delle varie tecniche, facilmente spendibili anche al di fuori del campo dei Beni Culturali. Inoltre, essa sviluppa una particolare sensibilità rispetto all’approccio ai metodi di indagine non distruttivi e non invasivi, nonché la capacità di elaborare iter laboratoriali e strategie metodologiche basate su campioni minimi e quantità ridottissime.
Le principali branche metodologiche di questo settore includono:
- La diagnostica, che identifica il tipo e lo stato di degrado, determina i materiali costituenti, ricerca l’autenticità e studia metodi di conservazione.
- L’archeometria, che ricostruisce il contesto storico, tecnologico, antropologico e culturale attraverso lo studio dei reperti archeologici.
La disciplina dei Beni Culturali ha radici profonde nella storia, legata all’importanza che le diverse civiltà hanno attribuito alla conservazione del loro patrimonio artistico e culturale. L’interesse per la tutela del patrimonio culturale si è intensificato nel XIX secolo, quando gli eventi di guerra e le trasformazioni sociali hanno evidenziato la necessità di proteggere opere d’arte e monumenti storici.
Giuridicamente, in Italia, la tutela dei Beni Culturali è formalizzata dalla Costituzione, che, con l’articolo 9, stabilisce il compito della Repubblica di promuovere lo sviluppo culturale e la protezione del patrimonio. Con l’avvento della modernità, la disciplina ha subito un’evoluzione in risposta alle nuove tecnologie sviluppate, al progresso scientifico e alla globalizzazione.
Negli ultimi anni, il campo di studi si è ulteriormente esteso; oltre alla salvaguardia delle opere d’arte, sono stati aggiunti anche scopi di ricerca scientifica. Quest’ultima, applicata ai materiali del passato, consente di ricostruire l’evoluzione del sapere tecnico dell’umanità, che ha spesso fatto uso di approcci “scientifici/tecnici” anche in epoche in cui la scienza vera e propria non era ancora standardizzata, come dimostrano l’applicazione degli specchi o delle lenti nell’antica Grecia e a Roma.
Un approccio analitico consente anche di determinare il miglior metodo di conservazione per questi materiali delicati e fragili, senza comprometterne l’integrità fisica o la fruibilità al pubblico. Queste tecnologie applicate al mondo dell’arte consentono un’analisi approfondita dell’interno dell’opera, rivelando, ad esempio, ripensamenti dell’artista o riutilizzi dello stesso supporto. In questo modo si può ricostruire la storia dell’opera, integrando letteratura di riferimento e documentazione tecnica proveniente dagli archivi storici.
Attraverso l’analisi della composizione dei pigmenti, è possibile, per esempio, effettuare una datazione indiretta, dato che l’industria dei materiali colorati ha lasciato nel corso dei secoli una consistente documentazione tecnica relativa a brevetti e innovazioni composizionali. Conoscendo i periodi di produzione dei vari pigmenti, è possibile sia datare che valutare l’autenticità dei dipinti.
Un altro ambito di applicazione di queste conoscenze riguarda anche lo studio della collocazione in musei o archivi, per garantire una visibilità ottimale ai visitatori senza compromettere lo stato di salute dell’opera d’arte. Ciò include l’ottimizzazione di sistemi di ventilazione, illuminazione e la gestione del numero di visitatori.
Ulteriori ambiti di applicazione riguardano la progettazione di materiali e strumenti per il restauro che siano sicuri per l’ambiente e per gli operatori. Infatti, in passato, molte tecniche di pulitura o di eliminazione di organismi dai beni culturali prevedevano l’uso di acidi o altre sostanze tossiche, che nel tempo sono state sostituite con tecniche e materiali più sicuri ed efficaci.
Per quanto concerne l’applicazione di questa disciplina in campo archeologico, si possono realizzare:
- Ricostruzioni degli ambienti e del clima del passato attraverso analisi polliniche, di carboni, di resti animali e vegetali;
- Analisi dei resti umani e del DNA antico per comprenderne l’evoluzione, ricostruire le diete, lo stile di vita, le malattie, le classi sociali e le abitudini;
- Comprensione del livello tecnologico attraverso l’analisi di manufatti come ceramiche, metalli, tessuti, vetri, malte, ecc.;
- Ricostruzione delle funzioni degli ambienti e degli edifici dall’analisi dei resti organici e inorganici e delle strutture;
- Analisi delle tracce su contenitori o manufatti per comprenderne le funzioni e gli utilizzi, consentendo di ricostruire scambi e rotte commerciali.
Quindi, chi si laurea in Cultural Heritage Science si configura come un intermediario tra professionisti delle materie umanistiche, come archeologi, storici dell’arte e restauratori, e scienziati. Nel corso del tempo, ha acquisito un ruolo fondamentale come scienziato diretto per la ricerca, la diagnostica e lo studio dei materiali dei Beni Culturali.
Sempre più istituzioni pubbliche e private hanno riconosciuto l’importanza di questo ruolo, evidentemente per la necessità primaria di conservare e mettere in sicurezza reperti e opere d’arte, ma anche per il grande valore dei progressi nella ricerca consentiti dall’approccio scientifico: valutazione dell’autenticità, studi di provenienza, datazioni, ricostruzioni dei profili genetici delle antiche popolazioni, ricostruzione delle antiche rotte commerciali, studio dei paleoambienti e delle paleodiete, informazioni sul grado tecnologico delle civiltà del passato e molto altro.
Infatti, i laureati e le laureate in questo campo sono orientati prima di tutto alla ricerca, ma anche alla consulenza nella diagnostica, nella museologia e nella divulgazione. Che l’interesse riguardi la caratterizzazione chimica dei materiali di un Caravaggio, o la datazione di un reperto risalente al Neolitico, questo corso introduce a un mondo che coniuga la passione per l’arte o per la storia con il metodo e le tecniche scientifiche, permettendo di gettare nuova luce su ciò che ci è stato lasciato e su come conservarlo per le generazioni future.
A cura di Generazione Stem
L’autrice
Francesca Rossetti, si è laureata in Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali nel 2021 con una tesi dal titolo “Catalogazione e analisi XRF di antichi strumenti chirurgici del Museo di Storia della Medicina” presso l’Università La Sapienza, per la quale ha svolto il tirocinio presso il Laboratorio di analisi non distruttive e archeometria del Dipartimento di Scienze Ingegneristiche di Base e Applicate dell’Università. Dal 2007 svolge attività di divulgazione scientifica sulla cultura del bello nell’antica Roma, tenendo eventi culturali presso musei, siti archeologici, università e scuole di ogni ordine e grado in Italia e in Europa. Ha potuto inoltre partecipare a sessioni di monitoraggio e catalogazione di reperti archeologici sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica, alle GEP (Giornate Europee del Patrimonio) e a eventi organizzati dal Museo di Storia della Medicina dell’Università Sapienza.