I profumi hanno una particolare rilevanza in ambito storico, a causa della loro duplice natura. Da un lato infatti sono sostanze impalpabili, ma capaci di suscitare memorie ed emozioni, agendo direttamente sull’emotività umana: sono stati spesso al centro della riflessione dei pensatori del passato, e dunque sono utili indicatori per indagare la cultura dei vari popoli. D’altra parte sono anche beni materiali, inseriti in un processo di produzione e commercializzazione che permette di studiare il funzionamento delle economie antiche.
Il profumo degli dei
La connessione tra i profumi e la sfera del divino è sempre stata molto forte, forse proprio a causa del loro carattere effimero, intangibile, quasi spirituale. Le epifanie degli dèi sono segnalate da un profumo intenso e piacevole e alcune divinità in particolare, come Afrodite, hanno un rapporto strettissimo con i fiori e le essenze che da essi si ricavano: in una delle sue prime apparizioni nella letteratura occidentale, nel XXIII libro dell’Iliade, vediamo la dea della bellezza intenta a cospargere di olio di rosa il cadavere di Ettore, per preservarlo dalla corruzione.
Anche il nettare e l’ambrosia di cui i celesti si nutrono emanano un aroma soprannaturale, e lo stesso vale per alcuni luoghi riservati agli immortali, come le Isole dei beati, descritte per esempio da Luciano nel suo “romanzo di fantascienza” La storia vera. Inoltre il mito racconta innumerevoli vicende di fanciulli e fanciulle bellissimi e sfortunati, che dopo una tragica morte sono stati trasformati in fiori o essenze aromatiche. La vicenda più nota è forse quella di Mirra, l’eroina cui anche Vittorio Alfieri dedicò una memorabile tragedia.
La ragazza, figlia del re degli Assiri Cinira, colpita dalla vendetta di Afrodite si innamora del padre e, dopo essersi unita a lui sotto mentite spoglie, per il disonore viene tramutata nella pianta dalle cui lacrime ha origine la preziosa resina che prende il suo nome. Il legame tra profumi e divinità si riscontra anche in uno degli utilizzi principali e più antichi che le essenze avevano nel mondo antico: l’incenso in particolare veniva usato nelle cerimonie religiose e, secondo alcuni autori, come Plinio il Vecchio (I sec. d.C.) e Porfirio (III-IV sec. d.C.), fu solo in un secondo momento, quando l’umanità divenne più sofisticata, ma anche più corrotta, che si cominciò a bruciare e spargere incenso e altri aromi in occasione di nozze, funerali, banchetti e gare sportive.
Il miglior profumo? Nessun profumo.
Le affermazioni di Plinio il Vecchio si collegano alla sua posizione moralista e critica nei confronti del profumo, visto come un lusso dispendioso proveniente dall’Oriente, che ha corrotto gli austeri costumi italici. Anche per i Greci il profumo ha un’origine orientale e “barbara”: i raffinati Lidi ne hanno insegnato l’uso ai Persiani e ai Greci d’Asia, cosicché per un Ateniese dalla vita frugale come Socrate l’eccessiva profumazione si addice a un animo servile e molle. In linea con la misoginia tipica della società greco-romana, è molto diffuso in letteratura l’assioma per cui una donna troppo profumata non può essere del tutto onesta: è emblematico in proposito il verso di Plauto (III-II sec. a.C.), divenuto proverbiale a Roma, mulier recte olet, ubi nihil olet, “una donna profuma in modo onesto quando non profuma di niente” (Mostellaria, v. 273).
Personaggi “negativi” come il golpista Catilina, il corrottissimo Verre e la regina Cleopatra (autrice forse di un trattato Kosmetikon, su belletti e profumi), sono stigmatizzati anche per la loro eccessiva familiarità con aromi ed essenze, strettamente connessi alla loro natura lasciva e pericolosa. Il lusso spropositato, di cui i profumi sono uno status symbol, è stato perciò spesso colpito anche dagli strali dei legislatori, fin dal VI secolo a.C., da parte dell’ateniese Solone, e poi a Roma, per esempio con la legge Oppia, varata nel 215 a.C., contro la quale scesero in piazza (precisamente in Campidoglio) le matrone romane, per chiedere che venisse mitigata.
Chi disprezza compra
L’aura negativa che accompagnava le essenze aromatiche si estendeva anche ai profumieri che le producevano e vendevano ed erano spesso di origine orientale, schiavi o liberti, considerati perciò, dai soliti autori benpensanti, persone vili, a conferma del generale discredito in cui si trovano le professioni manuali nel mondo greco-romano. Il pregiudizio di pensatori e legislatori non ostacolò però in alcun modo l’enorme successo commerciale dei profumi.
Sia ad Atene che a Roma esistevano quartieri interamente riservati alle botteghe dei profumieri, alcuni dei quali talmente noti che la loro fama è giunta fino a noi. In Grecia era celebre Plangone, una profumiera vissuta forse nel III secolo a.C., che ha dato il suo nome a un’essenza, il plangonion; nell’agorà di Atene lavoravano i profumieri anonimi cui si rivolse nel IV secolo a.C. Teofrasto, filosofo allievo di Aristotele, per ricavare informazioni tecniche da inserire nel suo trattato Sui profumi, il più antico sull’argomento.
A Roma, in età imperiale, operava invece Cosmo, citato spesso negli epigrammi di Marziale: amatissimo dalle clienti, confezionava pasticche profumate per rinfrescare l’alito e, naturalmente, un profumo battezzato col suo nome, il cosmianum. L’industria profumiera era dunque floridissima e sosteneva l’economia di intere regioni: l’India e l’Arabia felix, innanzitutto, ma anche Egitto, Giudea, le isole Cicladi e, in Italia, la Campania, che, secondo la tradizione, aveva sedotto coi suoi lussi e profumi persino l’esercito di Annibale, di stanza a Capua dopo la vittoria di Canne (216 a.C.), infiacchendolo a tal punto da determinarne la successiva disfatta.
Quali profumi?
Ogni importante profumiere, come si è visto, metteva a punto una sua personale ricetta profumata, proprio come avviene oggi con le maisons d’alta moda, ma gli ingredienti e i processi di produzione erano grosso modo analoghi: a una base di olio (d’oliva, di mandorle dolci, di sesamo) o acqua si mescolavano essenze aromatiche ricavate dalle piante (fiori, foglie, rami, radici o resine). I profumi che se ne ricavavano erano particolarmente delicati e sensibili al calore, perciò venivano conservati in recipienti di alabastro, nella cui fabbricazione erano specializzati i vasai dell’Attica e di Corinto e che sono stati infatti ritrovati in grande quantità dagli archeologi.
Tra le essenze più popolari e più antiche vi era l’olio di rosa, rhodinon, che conteneva in effetti una varietà di ingredienti, oltre ovviamente alle rose; particolarmente apprezzato era quello prodotto in Campania, a Napoli, Paestum e Pompei, dove si diceva che questi fiori avessero una fragranza speciale e sbocciassero due volte l’anno. La regione greca di Elide, patria della profumiera Plangone, era rinomata invece per il profumo all’iris, irinon; sull’isola di Cipro d’altronde, legata al culto di Afrodite e al suo mito, sono stati trovati resti di laboratori per la fabbricazione di essenze profumate risalenti al II millennio a.C.: particolarmente rilevante era qui la produzione del cipro, un’essenza che prende il nome appunto dall’isola, da cui si ricava il colorante noto come henna/henné.
Ma gli aromi più preziosi e costosi erano quelli esotici: cassia, incenso, mirra, cinnamomo e nardo nati in Arabia felix, raccolti ed esportati dalla tribù dei Sabei, che vivevano di questo commercio ottenendo guadagni ingentissimi; cinnamomo e cardamomo dell’India, che avevano affascinato già Alessandro Magno; il balsamo di Giudea, una resina profumatissima ricavata da alberi che crescevano solo in due giardini di proprietà del re. Molte di queste sostanze, per esempio l’incenso e la mirra, ma anche i diversi oli profumati ai fiori, avevano inoltre un uso farmaceutico, come testimonia il medico greco Dioscoride nel suo trattato Materia medica (I d.C.).
Si usavano poi anche in cucina, sia per aromatizzare il vino (con mirra, mele cotogne, mirto, timo, ecc.) sia per impreziosire le pietanze che facevano bella mostra di sé sulle tavole dei più ricchi durante i banchetti, cucinate da veri e propri chef dell’epoca, come il celebre Apicio (I-II d.C.). Nel suo libro di ricette L’arte culinaria il cuoco vissuto ai tempi dell’imperatore Tiberio menziona una grande quantità di spezie indispensabili per la perfetta riuscita dei piatti, che sono per lo più quelle presenti anche nei ricettari moderni: zafferano, pepe, zenzero, sesamo, menta, origano, scalogno, ecc.
Un piacere costoso
Per giungere fino in Grecia e poi a Roma, molti di questi aromi dovevano essere trasportati lungo tragitti di chilometri per mare e per terra, e perciò avevano costi altissimi, che superavano, secondo Plinio il Vecchio, i 400 denari la libbra (circa 327 grammi), ovvero (con molta approssimazione) intorno ai 9000 euro di oggi. Se pensiamo al fatto che tuttora un grammo di zafferano di buona qualità costa tra i 20 e i 30 euro, la notizia di Plinio non ci stupisce più di tanto, mentre forse condividiamo in parte il suo sconcerto, riflettendo sui costi stratosferici raggiunti dai profumi esposti nelle vetrine dei negozi di via Montenapoleone a Milano, o via del Corso a Roma, corrispondenti odierni delle botteghe di Cosmo e dei suoi colleghi, nel Vicus Tuscus o nel Vicus Unguentarius.
Allora come oggi, però, al profumo si associavano una serie di significati emotivi, sociali, culturali, che valevano di certo la spesa, almeno per chi se lo poteva (e se lo può) permettere.
Per Approfondire
Consigli di lettura:
- Giuseppe Squillace, Le lacrime di Mirra. Miti e luoghi dei profumi nel mondo antico, Il Mulino, 2015
- Teofrasto, I profumi, a cura di Francesca Focaroli, La vita felice 2009
- Plinio il Vecchio, Storia naturale, 3.1. Botanica (libri 12-19), Einaudi 1984
- Dioscoride, De materia medica, Anguana edizioni 2022
- Apicio, Antica cucina romana, a cura di Federica Introna, Rusconi 2018