Tutti gli anni, la Giornata della Memoria ci pone davanti a un bivio che mette insieme interrogativi didattici, culturali e psicopedagogici. Se da una parte è piuttosto condivisa la necessità di “praticare” la memoria, di ricordare il passato per analizzarne gli errori, dall’altra il tema della Shoah lascia aperti molti quesiti, soprattutto nella scuola primaria.
Affrontare esplicitamente l’argomento, infatti, l’orrore e le violenze, le camere a gas, senza risparmiare i dettagli raccapriccianti può portare a conseguenze poco auspicabili:
- incomprensione: perché si fa riferimento a una brutalità fortunatamente lontana e difficile da rappresentare mentalmente da parte di un bambino o di una bambina di 6-11 anni;
- trauma: perché rischia di essere un racconto poco rispettoso della sensibilità e del vissuto degli stessi bambini e delle stesse bambine.
A questo proposito, Matteo Corradini (in “Tu sei memoria”, Erickson 2022) riporta le linee guida dell’Holocaust Educational Trust che possono fornire informazioni utili su come impostare le attività in vista del 27 gennaio 2024.
- Creare un ambiente di apprendimento positivo, incentrato sullo studente, e dedicare tempo e spazio adeguati alla riflessione.
- Raccontare la lunga storia e il ricco patrimonio culturale delle comunità ebraiche europee prima della guerra, poiché senza una comprensione della vita ebraica non è possibile aspettarsi la comprensione della perdita causata dalla Shoah. Non permettere che l’ebraismo venga definito dallo sterminio.
- Comprendere che l’identità ebraica non è esclusivamente definita in termini religiosi.
- Concentrarsi sulle storie e sulle esperienze personali degli ebrei. Le statistiche sono impersonali e solitamente difficili, se non impossibili da comprendere. Avvicinarsi alle storie individuali rende gli eventi umanamente più vicini.
- Scegliere le risorse con attenzione, con sensibilità verso gli studenti, le vittime e i sopravvissuti. Evitare l’uso di immagini raccapriccianti che turbano e desensibilizzano gli studenti e disumanizzano le vittime.
- Assicurarsi che le testimonianze siano adatte all’età dei fruitori.
- Non presentare gli ebrei solo come vittime. Assicurarsi di considerare il libero arbitrio e l’ingegno di coloro che provarono a rimanere, a nascondersi, a fuggire, a opporre resistenza in modi diversi.
- Evitare le attività di gioco di ruolo. Una cosa è stimolare l’empatia verso le vittime del nazismo, un’altra è aspettarsi che gli studenti provino personalmente gli eventi drammatici della Shoah. La cosa espone a sconvolgimenti inutili o banalizza l’esperienza delle vittime.
- Rendere significative le attività. Lo studio della Shoah genera impegno personale e di gruppo, e porta a considerare quanto gli eventi del passato abbiano una rilevanza ancora oggi.
A questi suggerimenti, mai come quest’anno così devastato dalle guerre, ci sentiamo di aggiungere un invito alla sensibilità e al dialogo sui temi della conoscenza storica e della riflessione critica. A tutto questo aggiungiamo, come sempre, alcuni consigli di lettura: la narrazione, infatti, è sempre il veicolo migliore e più potente per far arrivare emozioni, per sviluppare empatia, per suscitare domande e cercare qualche risposta.
Quest’anno vi consigliamo tre titoli, tutti incentrati sulla narrazione del Bene, sulla narrazione di storie (vere) di chi ha provato a fare la differenza insieme agli altri e alle altre: storie di comunità intere che hanno saputo compiere una scelta di umanità.
Un albo per tutti: La città che sussurrò, di Jennifer Elvgren, Giuntina
Un romanzo per i più grandi (dai 10 ai 100 anni): 40 cappotti e un bottone, di Ivan Sciapeconi, Piemme.
Un saggio per adulti: Il popolo che disse no, di Bo Lidegaard, Garzanti