Provate a leggere questo articolo partendo dalla fine e risalendo, parola per parola, fino all’inizio. Sicuramente, secondo lo psicologo americano J.P. Guilford state compiendo un’operazione ben poco creativa perché non rispetta tutte le condizioni da lui definite come fondamentali:
- “l’originalità” sarebbe rispettata, visto che la lettura “al contrario” è talmente originale da sconfinare nell’eccentricità;
- mancherebbe, però, “l’appropriatezza” della nostra operazione, perché è molto probabile che non coglieremmo quasi nulla del senso dell’articolo;
- allo stesso modo, mancherebbero: la creazione di nuove idee, nuovi relazioni o nuove associazioni tra concetti esistenti, la loro trasformazione o concretizzazione in prodotti nuovi ed originali.
Sperando che non abbiate seguito il suggerimento e che non siate arrivati a questo punto partendo dalla fine, possiamo iniziare con il dire che parlare di creatività, specie in ambito scolastico, ha poco a che fare con la libertà di fare più o meno quello che vogliamo. Al contrario, la creatività ha bisogno di strutture, di abilità (cognitive, sociali, personali…), di pratiche e di una biblioteca di conoscenze direttamente proporzionale alla complessità del compito che vogliamo affrontare. In pratica, e questo complica notevolmente le cose, lo sviluppo della creatività si basa sugli ingredienti che trattiamo normalmente a scuola: dobbiamo solo provare ad amalgamarli in modo diverso.
Secondo lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, la scuola non ha normalmente un impatto positivo sulla vita delle persone creative. Analizzando le loro biografie, nella stragrande maggioranza dei casi, esse rivelano lunghi anni di sofferenza e di incomprensioni. Tuttavia, secondo lo stesso psicologo, le persone creative sostengono di aver incontrato, lungo il proprio percorso, singoli insegnanti capaci di sostenere e dirigere gli sforzi, stimolare gli interessi, risvegliare energie inaspettate. Sono quegli insegnanti che sono riusciti ad “amalgamare” gli ingredienti del fare scuola in modo diverso: non hanno solo aggiunto o tolto contenuti, non hanno solo puntato su singole abilità specifiche o semplicemente concesso più libertà. Hanno ristrutturato il proprio modo di fare scuola in modo da incontrare tutte le specifiche diversità dei propri alunni, anche dei più creativi. Oggi, diremmo che hanno scelto un approccio “universale”… ma non affrettiamo troppo le conclusioni.
In un articolo precedente avevamo già presentato gli studi di Teresa Amabile, ma è importante tornare a citare il suo lavoro perché ci consente di fare il focus su come uccidere la creatività nei bambini. I cinque ingredienti per ottenere questo risultato sono:
- far lavorare i bambini in vista di un riconoscimento;
- organizzare situazioni competitive;
- focalizzare la loro azione sulla valutazione che riceveranno;
- organizzare una stretta sorveglianza;
- proporre una gamma ristretta di scelte.
Per motivi che sarebbe lungo e complesso descrivere, queste cinque operazioni aumentano la convergenza degli studenti, mentre, per favorire lo sviluppo della creatività, abbiamo bisogno di situazioni poco definite, situazioni nelle quali la risposta a un quesito non richiede la semplice applicazione di un algoritmo. Per tornare a J.P. Guilford, lo psicologo attribuisce all’ambito del pensiero convergente tutte quelle situazioni in cui, dato un problema, bisogna ricercare una soluzione univoca e convenzionale. In sintesi, si tratta di due opposte suggestioni:
- situazioni poco definite, tipiche dei contesti creativi e divergenti;
- situazioni perfettamente definite, tipiche dei contesti convergenti.
Ora possiamo accantonare le questioni più generali ed entrare finalmente in classe. Come posso fare una didattica creativity-friendly? Devo far trovare dei pennelli e della pasta da modellare anche se insegno italiano in quinta? Forse sì, ma probabilmente no. Forse sì, perché le possibilità di una mente creativa, anche sul lato docente, sono infinite. Probabilmente no, perché la creatività non riguarda i materiali o le proposte, ma in modo molto più sostanziale il processo e la metodologia. Quindi, la domanda corretta potrebbe essere: quali aspetti metodologici e organizzativi devo considerare per promuovere la creatività nella mia classe?
Ne elenchiamo alcuni a titolo di esempio e rimandiamo gli approfondimenti a pubblicazioni e corsi di formazione.
- Organizzare la classe secondo le dimensioni della didattica universale. Adottare questo modello di riferimento vuol dire (anche) promuovere condizioni di maggiore autonomia e libertà di scelta per gli alunni.
- Presentare attività di problem solving nelle quali le soluzioni e i percorsi per arrivarci sono molteplici. Questo tipo di proposte mettono gli alunni nella condizione di dover esercitare la creatività. Non dimentichiamo, infatti, che la convergenza e situazioni problematiche a soluzione “chiusa” sono decisamente rassicuranti, per gli studenti e, talvolta, anche per i docenti. Il problema, semmai, è che la realtà di tutti i giorni si basa su un paradigma di problem solving più vicino alla creatività.
- Prevedere, momenti di didattica aperta: una particolare modalità di organizzazione della classe nella quale le opzioni di scelta sono molteplici. Un esempio di didattica aperta prevede la possibilità, da parte degli alunni, di organizzare un proprio percorso tra tappe successive (didattica a stazioni).
- Fornire situazioni-problema poco definite nelle quali una parte delle informazioni o degli stessi quesiti devono essere ricercati dagli alunni. Abbandonare quindi l’idea di poter controllare tutte le variabili in gioco, conoscenze, idee, possibilità, a favore dell’autonomia e della responsabilità individuale di ciascun alunno.
Si tratta, ovviamente, solo di alcuni stimoli dai quali partire per gli opportuni approfondimenti: se avessimo fornito una lista esaustiva saremmo caduti in una gravissima contraddizione. Infine, se avete seguito il suggerimento della prima riga e siete finiti qui, pronti a leggere il testo al contrario, sappiate che in genere i creativi si fidano poco delle istruzioni ben definite e “chiuse”. Preferiscono costruirsele da sé, immaginando percorsi, sperimentando, verificando, migliorando e infine condividendo quello che hanno scoperto.