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Mille parole per mille emozioni

di Eva Pigliapoco e Ivan Sciapeconi

Primaria
16 - MARZO

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Difficile fare a meno di trattare le emozioni a scuola. In qualsiasi ordine e grado dell’istruzione, parlare di “quello che abbiamo dentro” e che determina molti dei nostri comportamenti sembra un argomento ormai imprescindibile. Colpa, forse, di una sempre più diffusa e riconosciuta fragilità emotiva o di una maggiore attenzione da parte di adulti ed educatori, sta di fatto che insegnanti e famiglie si trovano spesso a dover stabilire quale taglio dare al proprio intervento.

Spesso il primo approccio è informativo e si affidano alla classe alcune nozioni:

  • la parola emozione deriva dal latino e-movere che significa smuovere, portare da dentro a fuori
  • l’emozione è una reazione del nostro corpo di fronte a un determinato evento
  • le emozioni primarie sono sei: dolore, gioia, paura, rabbia, disgusto, sorpresa
  • le emozioni sono universali: le persone di tutti i Paesi del mondo esprimono le emozioni primarie con le stesse espressioni facciali.

Inutile precisare, però, che un’adeguata informazione su questo tema non produce alcun effetto sulla gestione delle emozioni, né alcun risultato da un punto di vista educativo. Molto più efficace, sotto questo punto di vista, proporre in classe attività più o meno strutturate di riconoscimento della propria vita interiore. In questo ambito possiamo far ricadere numerose attività che vanno dall’ampliamento del lessico fino alla gradazione dell’intensità delle emozioni.

E’ importante saper nominare la propria emozione, anche con un lessico sempre più ricco e, di conseguenza, più preciso rispetto a ciò che si sente. Un comportamento tipico e disfunzionale, infatti, è legato al modo totalizzante con cui i bambini e le bambine vivono i propri stati emotivi. Non è così frequente, per esempio, il riconoscimento della propria “frustrazione” o “irritazione” di fronte a una determinata situazione. Il modo di sentire è sempre estremo: ansia, rabbia, felicità…

Non avere sufficienti parole vuol dire non riuscire a dare un nome al proprio mondo interiore e questo contribuisce a creare fragilità. Non solo. Oltre alle parole giuste è necessario fornire anche chiavi di lettura delle proprie reazioni. Siamo nel campo dell’educazione razionale emotiva, di cui abbiamo già parlato nel numero precedente.  Ci sono molte buone pratiche da presentare in classe. 

Qualche esempio:

  • la tombola delle emozioni: alcune situazioni estratte a caso devono essere interpretate e ricondotte agli  stati emotivi scritti su apposite cartelle.
  • Immagini ed emozioni: la raccolta di visi da riviste e giornali può servire per raggruppare espressioni facciali e nominare emozioni più sfumate rispetto a quelle normalmente nominate dai bambini e dalle bambine.
  • I dottori delle emozioni: a partire da situazioni-stimolo, gli alunni e le alunne definiscono l’emozione suscitata, il grado di intensità ed eventuali azioni per contrastare le sensazioni sgradevoli.

Non va inoltre sottovalutato il fatto che un efficace lavoro sulle emozioni ha effetti anche sulla sfera degli apprendimenti. Per questo l’educazione emotiva dovrebbe riguardare tutte le discipline e tutte le attività scolastiche: rendere consapevoli i bambini e le bambine di ciò che sentono e di come si sentono prima, durante e dopo un lavoro è una delle principali risorse a nostra disposizione per aiutarli a migliorare anche nel loro percorso apprenditivo.