Spesso i paradossi possono essere molto utili per vedere che cosa non funziona e apportare le giuste correzioni. È un paradosso, per esempio, la differenza tra il modo tutto italiano di intendere “il controllo” dei bambini e delle bambine nel contesto scolastico e quanto avviene nel Nord Europa. Non è un mistero, infatti, che nei Paesi che spesso usiamo come riferimenti positivi, si consentono spazi di autonomia molto più ampi. Gli alunni e le alunne possono andare a scuola o tornare a casa da soli, possono non avere gli occhi degli adulti addosso durante l’intervallo e sono sollecitati a cavarsela il più possibile da soli.
Si tratta di un paradosso perché diamo per scontato che non ci siano condizioni oggettive tali da giustificare trattamenti così diversi. Anzi, in tempi di prove Invalsi siamo addirittura orientati alla costruzione di un sistema di valutazione comune con costanti confronti internazionali. E si tratta, per di più, di un paradosso consistente perchè lo stesso concetto di successo scolastico esce molto ridimensionato, senza un adeguato sviluppo dell’autonomia personale.
In attesa di un dibattito su questi temi e, magari, di modifiche legislative adeguate, dobbiamo tenere comunque in considerazione alcuni aspetti fondamentali:
- quando gli alunni e le alunne percepiscono di poter gestire in prima persona le situazioni che le riguardano (locus of control interno), i loro apprendimenti crescono significativamente;
- uno dei motori più efficaci del successo scolastico è “aver chiaro” il proprio funzionamento durante l’apprendimento (strategie, modalità preferenziali, organizzazione delle informazione);
- autonomia e sviluppo della conoscenza di sé sono strettamente connesse: senza occasioni di lavoro in autonomia, non si creano le condizioni necessarie alla ricerca personale.
Date queste premesse, la domanda più ovvia è: come posso organizzare la mia classe per favorire la crescita dell’autonomia pur nei limiti ricordati sopra? Una delle esperienze più significative è rappresentata da quella che si può definire “didattica aperta” e che può essere praticata anche solo in alcuni momenti della settimana o della giornata. Per esempio, si possono prevedere alcuni momenti settimanali nei quali:
- i bambini e le bambine sono divisi in gruppi di lavoro;
- ciascun gruppo è caratterizzato da una diversa proposta operativa, da un diverso argomento o anche da una diversa disciplina;
- ciascun componente della classe sceglie quale tipo di lavoro svolgere, ovvero a quale gruppo aderire, e poi relaziona alla classe;
- la scelta avviene sulla base di preferenze o di necessità personali e viene discussa pubblicamente nella classe;
- la rotazione dei diversi componenti nei gruppi va a completare un quadro di insieme: al termine della turnazione, tutti i bambini e tutte le bambine avranno completato ciascuna delle diverse proposte.
Nella nostra esperienza, le ore di didattica aperta sono le più entusiasmanti, per la classe. Sono quelle ore in cui ciascuno può decidere cosa fare, o come farlo, o con chi. Questo ovviamente richiede un cambio di passo importante per l’insegnante. La parte più consistente del suo lavoro avviene prima di entrare in aula, nella preparazione e organizzazione dei materiali, delle consegne, delle risorse per i vari gruppi. Una volta avviata la lezione, invece, la sfida principale per il docente è quella di “fare un passo indietro”: di non condizionare le scelte degli alunni, di lasciarli liberi di provare, di cambiare, di sbagliare, di imparare. Con gli altri e con le altre.
A fine lezione, poi, l’insegnante dovrà occuparsi di tirare le fila e capire come è andato il lavoro di ciascun alunno e di ciascuna alunna, ascoltare le motivazioni delle loro scelte, restituire un feedback costruttivo. Una fase, questa finale, importantissima: è dai loro racconti, infatti, che emergeranno tante informazioni utili per conoscere più a fondo tutte le differenze presenti in classe. Informazioni sulle dinamiche relazionali, certo, ma anche sui diversi stili di apprendimento, sulle loro preferenze, sulla loro consapevolezza di sé.