Introduzione: i servizi ecosistemici
Gli organismi impollinatori quali le api, i bombi e le farfalle sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi in quanto interagendo con il mondo vegetale permettono alle piante di completare il loro ciclo riproduttivo. L’impollinazione delle colture da parte degli organismi impollinatori, infatti, rappresenta un servizio ecosistemico intermedio di regolazione, ovvero reso dall’ecosistema a se stesso, necessario per la fornitura dei servizi finali per la fornitura di biomassa dalle coltivazioni e da cui dipende la fecondazione e la produttività agricola. L’impollinazione, quindi, può aumentare la resa, la qualità e la stabilità dei frutti e delle colture da seme.
Un notevole numero di piante ha affidato agli insetti il compito di trasportare il polline da un fiore all’altro per favorire la fecondazione e, conseguentemente, la loro esistenza dipende dall’attività svolta dalle api. L’impollinazione è, quindi, fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio ecologico e della biodiversità.
Dall’analisi degli studi elaborati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), 71 – delle circa 100 specie di colture che forniscono il 90% del cibo nel mondo – sono impollinate dalle api. Si calcola che a livello mondiale tali organismi siano responsabili dell’impollinazione di più del 75% di tutte le colture e di oltre il 90% delle piante selvatiche. L’attività di impollinazione degli insetti genera, in ambito comunitario, un fatturato prossimo ai 15 miliardi di euro di produzione agricola annuale. Infatti ricerche condotte dalla FAO dimostrano come l’apporto degli insetti impollinatori possa far aumentare la produttività media agricola del 24 %.
Gli organismi impollinatori garantiscono la sicurezza alimentare poiché con l’impollinazione sostengono la produzione di cibo diversificato e di qualità in grado di assicurare il progresso e il benessere degli uomini. La coltivazione di piante che dipendono dall’attività delle api rappresenta un importante fonte di reddito per gli agricoltori. Negli ultimi cinquant’anni la quantità di colture che discendono dall’impollinazione è triplicata. Infatti frutta e verdura come, ad esempio, mele, pere, ciliegie, albicocche, meloni, pomodori, zucchine, carote e cipolle ma anche noci, semi e semi oleaginosi si ottengono derivano dalla funzione svolta dagli organismi impollinatori. Inoltre l’attività delle api permette la produzione di foraggi per gli allevamenti, biocarburanti (da colza e mais), tessuti (cotone), medicinali e materiali da costruzione.
L’ape, inoltre, si è rivelata un eccellente sentinella ambientale o indicatore biologico di diverse sostanze contaminanti presenti nei tre elementi (aria, acqua e suolo) dove esse si trovano disperse essendo in grado di fornire importanti indicazioni sulla qualità ecologica e sulla presenza di fonti di contaminazione ambientale in un dato territorio. L’ape, spostandosi da fiore a fiore, posandosi su rami e foglie, trasportando acqua e intercettando con il suo corpo peloso le particelle in sospensione, è in grado di fornire un dato medio estremamente interessante sugli inquinanti, sulle sostanze chimiche e sulla situazione paesaggistica di un determinato luogo e, conseguentemente, sull’efficacia delle misure e delle buone pratiche agricole attuate.
L’impiego dell’ape nel monitoraggio ambientale risale al 1935 quando Jaroslav Svoboda, dell’Istituto per le ricerche in apicoltura di Libéice, indicò le ripercussioni negative degli inquinanti industriali sulle api che bottinavano nei territori densamente popolati e industrializzati di Tfinec in Cecoslovacchia. Lo stesso Svoboda e colleghi osservarono un aumento dello stronzio 90 nelle api e nei loro prodotti all’inizio degli anni sessanta, probabilmente dovuto agli esperimenti nucleari nell’atmosfera in corso in quel periodo.
Alla fine degli anni settanta, Jerry Bromenschenk, dell’Università del Montana, impiegò le api per stabilire l‘impatto ambientale di una centrale a carbone da 350 megawatt, prima e dopo la sua installazione. Il fluoro, sottoprodotto della combustione del carbone, fu ritrovato nelle api a livelli molto più elevati dopo l’attivazione della centrale.
In Italia, B. Cavalchi e S. Fornaciari, della USL n. 9 di Reggio Emilia, hanno monitorato con successo nel 1983 la zona del comprensorio ceramico di Sassuolo-Scandiano, collocando alveari a varie distanze dalle sorgenti di emissione dei contaminanti (in particolare piombo e fluoro) ed impiegando come matrici api morte, api vive, polline, miele e propoli. Anche nelle città, dove le api riescono a sopravvivere bottinando nei giardini spartitraffico, sulle alberature dei viali e sui fiori dei terrazzi e dei balconi, si è fatto ricorso a questo prezioso insetto per il rilevamento di vari inquinanti urbani.
Le api essendo connesse all’ambiente in cui vivono per l’intero ciclo vitale risultano estremamente sensibili ad ogni alterazione dell’habitat, a cui reagiscono con numerose risposte fisiologiche ed ecologiche che, nelle situazioni più complesse e critiche, possono determinarne la stessa morte ed accelerare il rischio di estinzione delle specie più sensibili con il successivo insediarsi e diffondersi delle specie più tolleranti ed adattabili. Nel dettaglio, le api attraverso fenomeni di bioaccumulo, scomparsa, mortalità e variazioni nel comportamento, sia come organismi singoli che come colonie, consentono di effettuare valutazioni sulla qualità dell’ambiente in cui le stesse vivono poiché hanno un elevato tasso riproduttivo, una grande mobilità e visitano un grandissimo numero di fiori ogni giorno (Fig. 1).
L’ape può essere definita come un sensore viaggiante poiché nei tragitti di andata e ritorno dall’alveare copre un’area avente un’estensione di circa 7 chilometri quadrati. Inoltre, se si considera che un alveare in buono stato è costituito da circa 10.000 individui bottinatori e che ogni insetto visita giornalmente circa un migliaio di fiori, allora si può dedurre che una colonia di api effettua circa 10 mil. di micro prelievi ogni giorno, e ciò escludendo il trasporto di acqua che nelle giornate calde può raggiungere anche il mezzo litro. Le api, quindi, sono degli organismi instancabili nella loro attività di raccolta di svariate sostanze quali nettare, polline, propoli, melata ed acqua.
Figura 1 – Le interazioni tra gli organismi impollinatori, l’ambiente e gli inquinanti
L’ape è un buon indicatore diretto dei prodotti chimici, specialmente insetticidi, e risponde alla loro immissione nell’ambiente con un’intensa ed estesa mortalità. Nel caso di principi attivi non particolarmente pericolosi, invece, l’ape svolge la funzione di indicatore indiretto, ovvero di organismo non sensibile ma esposto ed in grado di fornire informazioni sotto forma di residui. Infatti il polline raccolto dagli insetti, le analisi dei prodotti apistici e quelle effettuate sulle api morte consentono di avere indicazioni sullo stato ambientale e sulle sostanze tossiche con cui sono venute a contatto. In alcuni casi accurate analisi di laboratorio hanno riscontrato negli insetti e nei prodotti apistici le sostanze attive contenute in diversi prodotti fitosanitari nelle aree nelle quali gli insetti effettuavano i voli e bottinavano.
Per affinità di soluzione, il miele accumula antibiotici, metalli pesanti e idrocarburi, mentre nella cera si rinvengono diossine, furani, radionuclidi gamma emittenti ed altri contaminanti persistenti. Nel polline, invece, si riscontrano informazioni su microinquinanti organici, pesticidi e radionuclidi gamma emittenti. Nella tabella sottostante vengono illustrati brevemente i benefici e gli svantaggi derivanti dall’utilizzo degli organismi impollinatori come sentinelle ambientali:
Vantaggi | Limiti |
Veloce e continua rigenerazione nell’alveare | L’utilizzo è influenzato dalle condizioni climatiche |
Apparato boccale che permette di suggere anche il nettare dei fiori a corolla profonda | Le api possono non tornare nell’alveare per mortalità naturale, per deriva, o per forte sensibilità agli insetticidi |
Numerosi indicatori (bottinatrici) in ogni alveare | Il censimento in tempo reale dell’intera famiglia per stadio e per età è obiettivamente difficile |
Alta mobilità e un ampio raggio di volo che permette di controllare una vasta zona | Esiste una tendenza non controllabile alla scelta autonoma alle fonti di cibo da parte delle famiglie |
Facile da allevare e costi di gestione relativamente contenuti | |
Numerosi prelievi giornalieri | |
Ha il corpo relativamente coperto di peli che la rendono particolarmente adatta ad intercettare materiali e sostanze con cui entra in contatto. |
Lo stato di salute degli organismi impollinatori
A partire dal 2008, la funzione svolta dagli insetti impollinatori è a rischio perché la moria delle api ha dimezzato la popolazione negli alveari italiani. Il loro declino è da imputare ai fattori connessi all’utilizzo dei prodotti fitosanitari, all’attuazione di pratiche agricole intensive, alla forte importazione di api regina e di sciami da Paesi terzi, alle patologie veterinarie che storicamente affliggono gli sciami, quali la peste europea, agli impatti causati dal cambiamento climatico, all’urbanizzazione, al consumo di suolo, ai cambiamenti di destinazione d’uso del suolo, all’impoverimento della biodiversità, alla perdita e alla frammentazione degli habitat, alla semplificazione del paesaggio, all’introduzione di monocolture e, per alcune specie, alla riforestazione naturale conseguente all’abbandono delle aree rurali.
Inoltre, vari studi hanno ormai messo in luce un declino diffuso e generalizzato dell’ape domestica (Apis mellifera) causato dalla maggiore vulnerabilità nei confronti di patogeni, prevalentemente parassiti quali, ad esempio, Varroa destructor (acaro), Aethina tumida (coleottero esotico) e Vespa velutina (calabrone asiatico). A livello globale si stima che più del 40% delle specie di insetti sono a minaccia di estinzione ed, in particolare, gli ordini dei lepidotteri, imenotteri e coleotteri. In Europa nord-occidentale gli impollinatori selvatici sono in declino sia in termini di distribuzione che di diversità ed abbondanza.
L’Italia è l’unico paese europeo che ha redatto la Lista Rossa per i due taxa (raggruppamenti) più importanti di animali impollinatori, ovvero gli apoidei e le farfalle diurne (lepidotteri ropaloceri). La fauna apistica italiana è una tra le più ricche del mondo in rapporto alla superficie del nostro Paese (fonte: WWF, 2020). In Italia sono presenti 151 specie di api native o autoctone, delle quali il 24% è considerato a rischio di estinzione.
Dall’analisi delle segnalazioni pervenute da apicoltori e dai risultati dei progetti di ricerca (ad es. progetto SPIA-BEENET) si rileva che nel periodo 2015 – 2018 si è verificato un incremento dei casi di moria di api fino al 2017 ed una diminuzione nel corso del 2018, rispettivamente 31 nel 2015, 49 nel 2016, 50 nel 2017 e 32 casi nel 2018. Inoltre si osserva un maggior numero di morie nel periodo compreso tra aprile e giugno, coincidente con le fioriture primaverili delle specie vegetali durante le quali le api svolgono un’intensa attività di bottinamento che le rende maggiormente vulnerabili alle potature e agli inquinanti diffusi presenti nell’ambiente.
Le condizioni ottimali o sfavorevoli per l’impollinazione
Per garantire l’impollinazione le api necessitano di tre elementi: luoghi adatti a nidificare, cibo (fiori) sufficiente e disponibilità d’acqua nei pressi dei siti di nidificazione.
Per quanto concerne i fiori occorrono specie vegetali ricche di nettare e polline, autoctone e con fiori profumati di colore bianco, giallo, arancione, blu, porpora e violetto. Il colore dei fiori è importante poiché l’occhio delle api percepisce solo quattro colori (giallo – arancio, verde – giallastro e bluastro, blu e ultravioletto). Le api confondono il nero con il rosso ed, infatti, non visitano i fiori di tali colori, ad eccezione dei papaveri in quanto i loro petali non sono soltanto rossi ma presentano anche l’ultravioletto. A titolo di esempio, il colore rosso porpora viene percepito dalle api come blu, mentre il bianco come verde – bluastro. Ogni fiore, inoltre, ha una sua particolare superficie riflettente che lo diversifica dalle altre specie rendendo più agevole l’individuazione e l’impollinazione selettiva da parte delle api (Fig. 2).
Figura 2 – La visione delle api
Le specie vegetali idonee sono quelle aventi fioriture prolungate ed attive da marzo ad ottobre, ovvero essenze con fioriture primaverili precoci al fine di fornire polline per le nuove covate dopo il riposo invernale e/o fioriture autunnali tardive. Le condizioni ottimali per le specie impollinatrici sono rappresentate dalla realizzazione di un mix di diverse varietà di piante e dal loro posizionamento in zone soleggiate e protette dal vento.
Le specie idonee sono, quindi, il tiglio (ottimale per gli impollinatori ed avente inoltre capacità media di rimozione degli inquinanti e basso potenziale di formazione dell’ozono, specialmente negli ambienti urbani dell’area mediterranea), l’acero campestre, il caprifoglio, il prugnolo, il salicone, il ciliegio (specie ottimale per gli impollinatori avente elevata capacità di sequestro di carbonio e un basso potenziale di emissione di composti organici volatili di origine biogenica e di formazione dell’ozono), il sanguinello, il glicine, il corniolo, la spirea, il ligustro, il lillà, la buddleja, il mirabolano, il laurotino, il tarassaco, le piante aromatiche (rosmarino, salvia, menta, timo, lavanda e origano) ed erbacee (crochi, aster e borragine).
Le piante aromatiche, oltre a svolgere un’azione repellente contro le zanzare, non forniscono solo un buon profumo ma sono caratterizzate da fioriture belle visivamente, prolungate nel tempo ed assai gradite agli impollinatori. Fra le piante erbacee si evidenzia che i crochi sostengono le api in occasione della ripresa primaverile, mentre le asteracee offrono vivaci fioriture quando le altre specie vegetali sono oramai sfiorite.
Le specie da non utilizzare, invece, sono quelle alloctone invasive – infestanti (quali l’Ailanto e la Robinia), tipi con polloni e radici invadenti, varietà allergeniche, piante velenose, generi con spine o che necessitano di cure con prodotti fitosanitari costanti e varietà a fiore doppio poiché i loro numerosi petali non permettono alle api di raggiungere il nutrimento. Le specie arboree prevalentemente adoperate per realizzare le siepi ornamentali (quali bosso, alloro, agazzino, lauroceraso e photinia), essendo sottoposte a potature che le rendono dei veri e propri muri verdi, non sono attrattive per gli organismi impollinatori.
Occorrerebbe inoltre evitare di effettuare trattamenti alle specie vegetali con prodotti fitosanitari (insetticidi, acaricidi, diserbanti o fungicidi) durante il periodo della fioritura: tali trattamenti non dovrebbero essere praticati non solo sulle piante più frequentate dalle api ma anche su tutte quelle che possono essere visitate dagli insetti impollinatori (quali soia, mais, vite, barbabietola da seme, ecc.). Se occorresse effettuare trattamenti durante la fioritura, anche se con prodotti ammessi come, ad esempio, gli anticrittogamici, bisognerebbe praticarli al tramonto quando le api non frequentano i fiori onde evitare effetti indesiderati sia sugli organismi impollinatori che sui prodotti da essi derivati.
Occorrerebbe, altresì, avere l’accortezza di non effettuare trattamenti in prossimità della fioritura con sostanze tossiche o ad azione repellente per le api, in particolare insetticidi, se ad elevata persistenza o sistemici. In presenza di fioriture di piante spontanee adiacenti o sottostanti a colture da trattare, spesso più appetitose per le api rispetto a quelle coltivate, occorrerebbe prevederne l’eliminazione o lo sfalcio. Infine, riepilogando, i luoghi più idonei per gli organismi impollinatori sono quelli diversificati con un elevato effetto ornamentale, fioriture prolungate, limitate esigenze di manutenzione e gestione onde evitare l’utilizzo di prodotti fitosanitari e una maggiore necessità futura di potature e sfalci.