Il mese di novembre 2022 verrà ricordato per il raggiungimento di 8 miliardi di abitanti a livello mondiale (ONU, 2022).
L’aumento della popolazione deve necessariamente confrontarsi con l’approvvigionamento alimentare e con le conseguenze dei cambiamenti climatici.
L’accordo di Parigi del 2015 fissa i limiti da rispettare, accordati a livello globale da 195 Paesi, per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C, indicando di tagliare i modelli insostenibili di produzione e consumo che interessano anche il comparto zootecnico.
La sostenibilità degli allevamenti zootecnici è argomento di estrema attualità in quanto i consumatori poco informati percepiscono che gli alimenti di origine animale siano impattanti per l’ambiente e dannosi per la salute (Leroy et al., 2022).
Gli alimenti di origine animale presentano qualità e valori nutrizionali indubbiamente elevati (Ruminantia, 2022). Da un punto di vista dell’ambiente, invece, non c’è dubbio che le produzioni zootecniche siano fonte di un impatto ambientale importante ma, allo stesso modo, sostenibile.
Le principali fonti di impatto ambientale degli allevamenti, in particolar modo dei ruminanti sono:
- emissione di gas climalteranti (CO2, CH4 e NO2);
- emissione di NH3 in atmosfera e rilascio dei nitrati nelle acque;
- consumo delle risorse idriche.
Il sistema zootecnico nazionale è il responsabile del 65% del totale delle emissioni del settore agricoltura (con 19.872 mila tonnellate di CO2) ma, allo stesso tempo, rappresenta solo il 5,2% delle emissioni totali italiane che derivano dai diversi settori produttivi (ISPRA, 2020).
Nel corso degli ultimi 50 anni, grazie al miglioramento genetico e alle tecnologie applicate in zootecnia gli allevamenti intensivi degli animali hanno evidenziato una forte riduzione dell’emissione di inquinanti nell’ambiente (40% di gas climalteranti in meno prodotti dal 1970 a oggi).
Altro fattore a favore delle produzioni zootecniche è che il carbonio emesso dai gas di fermentazione è biogeno, ovvero deriva dalla fissazione nei vegetali a opera dei processi di fotosintesi. Questo carbonio viene ingerito dagli animali e riemesso in atmosfera per poi essere nuovamente fissato dai vegetali in un ciclo biologico continuo (Ronchi et al., 2021). Il carbonio emesso dall’utilizzo dei combustibili fossili, invece, deriva dalla sua fissazione nel sottosuolo avvenuta in centinaia di milioni di anni.
Questo ciclo biologico, a differenza di quello animale/vegetale, diventa troppo lungo perché il carbonio rilasciato in atmosfera ritorni nel sottosuolo; questi gas rilasciati, quindi, rimangono in atmosfera contribuendo in modo significativo all’effetto serra. Ciononostante, le filiere zootecniche del settore agricolo, rimangono le principali responsabili delle emissioni dei gas climalteranti del settore agricolo.
Ma come intervenire per ottenere allevamenti e stalle ancora più sostenibili?
Cozzi e Dorigo nel 2022 hanno elencato una serie di strategie per raggiungere questo obiettivo.
La prima risposta deriva dalla capacità dei ruminanti di nutrirsi con alimenti non utilizzabili dall’uomo (foraggi e prodotti ricchi in fibra), trasformandoli in alimenti per l’uomo con altissimo valore biologico. Si tratta quindi di un riutilizzo in alimentazione animale dei sottoprodotti della lavorazione degli alimenti per l’uomo al fine di ridurre gli sprechi.
La gestione delle superfici agricole volta all’autoproduzione di alimenti per gli animali migliorerebbe l’efficienza aziendale (miglioramento della fertilità del suolo, gestione dei reflui e contenimento dell’utilizzo di acqua).
Il miglioramento genetico degli animali, l’utilizzo di alimenti altamente digeribili e la formulazione di diete che soddisfino i fabbisogni degli animali, evitando gli eccessi di nutrienti che altrimenti verrebbero eliminati con le deiezioni, possono contribuire in modo importante alla diminuzione dell’impatto ambientale degli allevamenti.
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