Le celebrazioni dantesche di quest’anno hanno riportato l’attenzione degli studi non solo verso l’ambito letterario e storico medievali, ma anche verso le infinite variazioni del mito di Dante in età moderna e contemporanea con lo scopo di analizzarne le ragioni ideative, le finalità, i modelli di riferimento e l’inesausta vitalità.
L’interpretazione romantica
L’interpretazione romantica, e di seguito simbolista, della poesia dantesca, ma anche la stessa fortuna iconografica del Poeta, spesso collimano con la ripresa da parte degli artisti dei modelli michelangioleschi, in cui terribilità, tragedia e grandiosità si incarnano in visioni apocalittiche e in corpi titanici. Si devono al pittore inglese John Flaxman (1755-1826) e al pittore svizzero Heinrich Füssli (1741-1825), in piena temperie protoromantica legata alla nuova sensibilità del Sublime, i primi affascinanti recuperi delle tematiche dantesche, in particolare della Divina Commedia a cui il primo dedica una serie di disegni durante il viaggio in Italia (1792-1793, poi stampati nel 1802 a Roma) e il secondo una serie di acquerelli realizzati anch’essi durante un lungo soggiorno in Italia (1770-1778) e il cui modello sono gli affreschi michelangioleschi nella cappella Sistina, studiati a lungo e con fervore. Nascono così Dante e Virgilio nella distesa ghiacciata del Cocito (Zurigo, Kunsthaus) [1] e Paolo e Francesca trascinati dal vento (Chicago, The Art Institute) [2], nei quali rigore compositivo e tensione drammatica si fondono in una visione onirica che sembra preludere la ben più articolata operazione illustrativa realizzata dall’inglese William Blake (1757-1827) tra il 1824 e il 1827.
Questa serie è costituita da centodue acquerelli, commissionatigli dal collega e amico John Linnell, di cui settantadue per l’Inferno, venti per il Purgatorio e dieci per il Paradiso, sempre avendo come riferimento figurativo l’opera di Michelangelo, nei quali potenza visionaria, illustrazione a tratti ingenua e valori simbolici si fondono in un commento visivo dei versi danteschi, spesso travalicando il testo stesso [3].
Un’affascinante testimonianza di rielaborazione dell’iconografia di Dante si ha proprio in età post neoclassica quando il marchese romano Carlo Massimo, per il Casino della propria villa nei pressi di San Giovanni in Laterano, commissiona (1817) ai pittori tedeschi del gruppo dei Nazareni una decorazione dedicata alla tradizione letteraria italiana: la Divina Commedia, l’Orlando furioso e La Gerusalemme liberata. Philip Veit (1793-1877) dipinge, tra il 1818 e il 1824, il soffitto della sala dedicata a Dante con la raffigurazione dell’Empireo e, tra il 1825 e il 1828, Joseph Anton Koch (1768-1839) decora le pareti con Dante addormentato e il sogno della selva oscura [4], La penitenza dei sette peccati capitali, Purgatorio e Inferno ispirandosi alle raffaellesche Stanze Vaticane, così come ai modelli quattrocenteschi.
Ma è con l’età romantica che dall’illustrazione dei versi si passa a una libera reinterpretazione dei temi danteschi con una capacità di evocazione del tutto innovativa. Basti pensare a quel capolavoro che è La barca di Dante (Parigi, Musée du Louvre) [5] di Eugène Delacroix (1798-1863) che l’artista dipinge nel 1822 per il Salon di quell’anno. Tratta dall’VIII canto dell’Inferno, la scena raffigura Dante terrorizzato dalle anime dannate che, emergendo dalle acque immote della palude Stigia, cercano di salire sulla barca, mentre Virgilio gli tiene la mano e un titanico Caronte, ripreso dai nudi michelangioleschi, spinge il lungo remo. Il giovane Delacroix tuttavia guarda alla propria contemporaneità poiché la composizione piramidale, i corpi statuari mossi da tensioni e torsioni drammatiche, la tavolozza giocata sui bruni, i grigi, gli azzurri e le terre deriva direttamente dalla monumentale Zattera della Medusa (Parigi, Musée du Louvre) dipinta tra il 1818 e il 1819 da Théodore Géricault (1791-1824) che aveva suscitato grave scandalo nell’establishment accademico: il medesimo effetto che ottiene Delacroix, subissato di critiche, ma difeso da un maestro come Antoine-Jean Gros che paragonò il dipinto all’esuberante forza evocativa della pittura di Rubens.
Per ritrovare una potenza simile bisogna arrivare al 1880 quando Edmond Turquet, segretario di stato alla presidenza del consiglio per l’istruzione e le belle arti, commissiona allo scultore Auguste Rodin (1840-1917) la porta monumentale per l’accesso al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Un’opera rimasta incompiuta e dalla gestione tormentata, ma che rappresenta una delle più alte testimonianze della rielaborazione simbolista delle tematiche dantesche.
Per questa monumentale porta bronzea ispirata alla cantica dell’Inferno l’artista, in un primo momento, aveva pensato a una divisione in pannelli simile a quella della Porta del Paradiso, realizzata da Lorenzo Ghiberti per il Battistero fiorentino, ma fin dal secondo bozzetto (1880), prendendo a modello il Giudizio Universale di Michelangelo, elimina la divisione dei battenti e sceglie solo alcuni episodi del testo di Dante che mescola ad un’infinità di figure di grandezza diversa. I gessi e le varie versioni bronzee realizzate dopo la morte dell’artista testimoniano lo stravolgimento del concetto di porta scolpita: le figure, a gruppi o singole, si spingono ben al di fuori del tradizionale basso o altorilievo e documentano il dinamismo prorompente della proposta rodiniana.
La struttura architettonica è come negata dall’emergere per ogni dove di teste urlanti, di arti in movimento, di corpi in caduta libera o impegnati in una faticosa, quanto inutile risalita: la materia, il bronzo appunto, sembra abbandonare la propria forma definita per deformarsi sotto la spinta del calore e del terrore oscuro del mondo sotterraneo che la sua presenza separa dal mondo reale. Tra le figure più significative si riconosce, al centro dell’ampio timpano rettangolare, quella del Pensatore, nota in molte versioni [6], che rappresenta allegoricamente lo stesso Dante e che, con la sua postura rannicchiata e l’atteggiamento corrugato, non tarderà a suggestionare molti altri scultori, non solo francesi. Poste sulla sommità dell’architrave e concepite come figure a tutto tondo stanno le Tre ombre, gruppo di derivazione dantesca composto di tre nudi maschili che sembra replicare la stessa figura in tre pose differenti. Alla Commedia si riferiscono parimenti diversi episodi posti sui due battenti e sulla cornice, come il gruppo con Il conte Ugolino mentre divora i suoi figli, soggetto più volte realizzato dall’autore anche in statue di grandi dimensioni [7] e quello raffigurante Il bacio, in riferimento al noto episodio di Paolo e Francesca, anch’esso soggetto ricorrente sviluppato dall’autore in molteplici versioni [8].
Tra questo capolavoro simbolista, fuso in bronzo in alcuni esemplari dopo la morte di Rodin, e il dipinto di Delacroix corre quasi un secolo di cultura romantica e tardo romantica che di Dante costruisce il mito iconografico, nutrito soprattutto a livello popolare dall’edizione illustrata della Divina commedia prodotta da Gustave Doré tra il 1861 e il 1868 [9].
Dante e la cultura dell’Italia unita
In specie con la Restaurazione e con l’impegno di snazionalizzazione programmaticamente condotto dal governo austriaco, si era sviluppato un florilegio di panegirici, elogi, apologie di Dante da cui pittori, scultori e incisori pescarono a piene mani dalle drammatiche vicende del Poeta e dal repertorio dantesco. Il milanese Giuseppe Bertini alla Great Exhibition di Londra del 1851 aveva presentato la monumentale vetrata con il Trionfo di Dante affiancato da Matelda e Beatrice [10], poi acquistato da Gian Giacomo Poldi Pezzoli, per collocarlo nel suo palazzo milanese in quell’ambiente, commissionato dal 1853 a Luigi Scrosati e allo stesso Bertini, chiamato Gabinetto Dantesco: una fusione tra il gusto preraffaellita e quello orientalista. Una replica di quella vetrata fu esibita alle iniziative fiorentine del 1865, in occasione del sesto centenario della nascita di Alighieri, iniziative vissute come dichiarazione di patriottismo e di fede nell’avvenire dell’Italia visto che l’impresa dell’Unità di era compiuta con successo.
Dal Conte Ugolino nella torre di Giuseppe Diotti [11], acquistato dal collezionista Paolo Tosio per il proprio palazzo bresciano, alla statua scolpita da Enrico Pazzi e inaugurata al centro della piazza di Santa Croce da re Vittorio Emanuele II (14 maggio 1865) [12], Dante passava da esempio morale e intellettuale a icona immediatamente riconoscibile come mediatrice di significati politici, civili e identitari della nuova Italia. Da quel momento tutte le principali città italiane e i luoghi danteschi si dotarono di monumenti e di effigi del Poeta: da quella corrusca ed essenziale di Vincenzo Vela (1865; a Padova) e di Ugo Zannoni (1865, a Verona) a quella di Tito Angelini (1871, a Napoli) al narrativo ed esplicitamente patriottico e irredentista monumento creato da Cesare Zocchi per Trento (1896).
Il 1921 è occasione di nuove celebrazioni dantesche, celebrazioni dedicate al VI centenario della morte e che coincidono, simbolicamente, con la Marcia su Roma: Dante rinverdisce in questa occasione, che ha come epicentro Ravenna, il proprio ruolo di padre della Patria e di profeta della Nazione. In quell’anno viene annunciata la pubblicazione dell’Inferno, prevista per il 1922, in una grandiosa edizione in folio illustrata da tavole disegnate e dipinte dal parmense Amos Nattini [13] e con il sostegno, morale, di Gabriele d’Annunzio che, nell’ottobre 1920 aveva acquistato per 25.000 lire l’esclusiva sulla monumentale xilografia creata dall’amico Adolfo De Carolis, che egli battezza Dante Adriacus [14] e di cui distribuisce trecento copie a Fiume, l’utopica repubblica destinata, in realtà, a sciogliersi nel Natale di quell’anno. Dante viene definitivamente trasformato in icona da d’Annunzio inserendolo nell’allestimento della Biblioteca del Mappamondo nel Vittoriale degli Italiani a Gardone sul Garda, il suo estremo rifugio, come nume tutelare, non a caso insieme a Michelangelo [15].
La continuità della fortuna iconografica dantesca nel corso del Novecento, l’ispirazione che ne hanno tratto anche artisti, autori teatrali, cineasti, musicisti, fotografi e performer contemporanei dimostrano quale vitalità di suggestioni, invenzioni e interconnessioni possieda ancora oggi la Divina Commedia, quale metafora della condizione umana di cui l’Ulisse dantesco resta, tra gli altri, uno dei più potenti testimoni: “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza…”
Le immagini
[1] Johann Heinrich Füssli, Dante e Virgilio sul fiume Cocito ghiacciato, 1774, penna e inchiostro bruno acquerellato, 39 x 27,4 cm, Zurigo, Kunsthaus.
[2] Johann Heinrich Füssli, Dante Swoons before the Soaring Souls of Paolo and Francesca, Virgil at his Side, 1818 circa, acquaforte e acquatinta su carta avorio, 47 × 30,2 cm (incisione); 50 × 33,2 cm (foglio), Chicago, The Art Institute.
[3] William Blake, The Simoniac Pope, 1824-1827, inchiostro e acquerello su carta, 52,7 × 36,8 cm (foglio), Londra, Tate Gallery.
[4] Joseph Anton Koch, Dante nella Selva con le Fiere e Virgilio, 1818-1828, affresco, Roma, Casino Massimo Lancellotti, sala di Dante.
[5] Eugène Delacroix, Dante et Virgile (detto La barque de Dante), 1822, olio su tela, 189 x 241,5 cm, Parigi, Musée du Louvre.
[6] Auguste Rodin, Il pensatore, 1903, bronzo, 180 x 98 cm, Parigi, giardino del Musée Rodin.
[7] Auguste Rodin, Ugolino, 1882-1906, gesso, 139,2 x 173 x 278,6 cm, Parigi, Musée d’Orsay (donato dall’artista nel 1916).
[8] Auguste Rodin, Il bacio, 1885 circa, gesso patinato, 86 x 51,5 x 55,5 cm, Parigi, Musée Rodin.
[9] Gustave Dorè, Divina Commedia, Inferno, Canto X, Farinata degli Uberti si rivolge a Dante.
[10] Giuseppe Bertini, Il Trionfo di Dante, 1851-1853, vetrata dipinta, 170 x 61 cm, Milano, Museo Poldi Pezzoli, Studiolo dantesco
[11] Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella Torre, 1831 circa, olio su tela, 173,5 x 207,5 cm, Cremona, Museo Civico Ala Ponzone.
[12] Enrico Pazzi, Monumento a Dante Alighieri, 1865, Firenze, Piazza Santa Croce
[13] Amos Nattini, Divina Commedia, Inferno, canto XVII, Gerione
[14] Adolfo de Carolis, Dantes Adriacus, 1921, xilografia, 98 x 68,5 cm, Ravenna, Museo Dantesco. La xilografia fu donata da d’Annunzio al comune di Ravenna in occasione delle celebrazioni del 1921 e il poeta la corredò di una dedica autografa: “A Ravenna illuminata per sempre da questa ‘Santa lampada’ Gabriele D’Annunzio ‘suso in Italia bella’ giugno 1921”.
[15] Vittoriale degli Italiani, un particolare della Biblioteca del Mappamondo con la xilografia di Adolfo de Carolis, Dantes Adriacus, Gardone Riviera