Quale rapporto intercorre tra il mondo della progettazione e Intelligenza Artificiale? “Da una parte”, afferma Marco Vanucci, Design Director di Opensystems Architecture e docente presso la London South Bank University, “lo sviluppo di una conoscenza misurabile, riproducibile algoritmicamente e dunque trasferibile dentro i software di calcolo, ha determinato una maggiore comprensione del progetto e dei suoi effetti”. Dall’altra l’intelligenza artificiale segna un punto di svolta nel rapporto uomo-macchina. Non è facile prevedere con certezza quali nuove prospettive si apriranno nella professione – non esistono, per ora, software di intelligenza artificiale specifici per il design d’architettura- ma “è inevitabile che i nuovi sistemi intelligenti siano destinati a giocare un ruolo determinante nel modo di pensare la città e l’architettura”.
“Allo stesso tempo -prosegue Vanucci- forme di IA sono in uso da anni nella progettazione. Dai primi esperimenti coi software di auto-progettazione di Nicholas Negroponte e Yona Friedman, all’MIT, al design algoritmico con cui gli architetti progettano l’efficientamento energetico e la distribuzione funzionale di un edificio o i software di calcolo strutturale che simulano l’edificio prima di essere costruito. L’effetto combinato di big data e IA accelera questi processi in maniera esponenziale, rendendo possibile l’interpolazione di una quantità di dati senza precedenti”.
Quale deve essere il rapporto tra quella che lei chiama creatività biologica e quella sintetica?
“La progettazione prevede sempre un rimando, implicito o esplicito, a modelli di riferimento: dall’ordine vitruviano, alle tipologie edilizie, all’architettura parametrica. D’altro canto, da sempre gli architetti disegnano ciò che, potendo essere misurato, può essere costruito. Allo stesso modo, un problema deve essere misurabile per essere automatizzato: l’IA elabora soluzioni attraverso l’interpolazione multidimensionale di una vasta quantità di dati. È in questo senso che le macchine ci aiutano nel calcolo e nell’ottimizzazione di processi complessi che la mente umana non è in grado di elaborare con altrettanta efficienza, precisione e velocità”.
Quali potrebbero essere quindi le nuove frontiere?
“Come diceva Buckminster Fuller: il miglior modo di predire il futuro è progettarlo. Ritengo sia necessario capire e provare ad ipotizzare scenari di collaborazione con le macchine. Ad esempio, per secoli, le tipologie edilizie hanno dato forma ad architetture e città che raggruppavano la società in categorie produttive e classi sociali. La proliferazione esponenziale di dati e la possibilità di incorporarli nel progetto d’architettura apre le porte ad un ambiente costruito ad alta risoluzione: dati ambientali, strutturali, normativi o dati relativi ai singoli utenti entreranno a far parte del processo architettonico sia in fase progettuale che in fase di gestione attraverso il digital twin (cioè la possibilità di gestire l’immobile, una volta occupato, attraverso informazioni in tempo reale).
In sintesi: la tecnologia va compresa senza fare delle macchine dei nemici, è qui per aiutarci ad affrontare le grandi sfide della contemporaneità ed occorre comprendere e stabilire processi virtuosi di collaborazione con forme sintetiche di intelligenza. D’altronde, è rinunciando a trasformare il mondo che l’uomo diventa il suo più temibile nemico”. Veronica Rodenigo
Per approfondire
- https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/intelligenza-artificiale-e-progetto/
- https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/creativita-sintetica-vs-creativita-umana-dove-andra-la-progettazione/
- https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/disintermediazione-sta-a-noi-decidere/
- https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/acume-critico-e-abilita-creativa-per-lera-delle-copie-senza-originali/