Avete mai pensato a come i vostri studenti e le vostre studentesse affrontano una verifica di scienze? Non parliamo di stati d’animo, ma di processi mentali che coinvolgono la riflessione e il ragionamento. Per appurare se un argomento è stato studiato e appreso, il porre domande è un sistema consueto e abituale, ma forse ignorate che la mente di alunni e alunne non si approccia a esse sempre nello stesso modo.
A seconda che le domande siano “chiuse” (spesso a scelta multipla), oppure “aperte” (magari con una situazione problematica da risolvere), alunni e alunne ricorrono a due differenti tipologie di pensiero: convergente e divergente. Questi termini sono stati coniati negli anni ‘60 del Novecento dallo psicologo americano Joy Paul Guilford, che era interessato a scoprire come si quantifica l’intelligenza umana. I suoi studi lo portarono a considerare tra i fattori determinanti non solo il QI, ma anche altre abilità della mente.
Quando poniamo una domanda che prevede un’unica risposta corretta, per esempio, “qual è l’osso più lungo del corpo umano?”, il pensiero di chi risponde converge verso l’unica soluzione possibile. Con le informazioni che ha a disposizione, segue una particolare sequenza di passaggi logici e filtra l’insieme delle opzioni per identificare il passo successivo del ragionamento, fino alla risposta finale. Chiaramente, ogni deviazione da questo percorso condurrà a commettere un errore.
Al contrario, quando le domande sono aperte, negli studenti e nelle studentesse si attiva un ragionamento differente, che non segue più uno schema fisso: davanti a loro si aprono molte strade da esplorare e da scegliere liberamente, arrivando a molteplici soluzioni, tutte possibili e plausibili. Vedono le cose da prospettive diverse e nelle loro teste prendono forma idee fantasiose, spesso anche distanti dagli schemi convenzionali. Questo processo mentale è generalmente più apprezzato dai ragazzi, perché avviene in modo spontaneo e soprattutto in piena libertà.
Non si deve però pensare che un pensiero sia più efficace dell’altro perché, in realtà, più che degli opposti, essi rappresentano due facce della stessa medaglia. Un potenziamento e coordinamento di entrambi, quindi, non può che dare risultati positivi: per esempio, l’acquisizione di stili di pensiero non omologati, una vera rarità tra i ragazzi di oggi.
Tuttavia, mentre è piuttosto comune nell’insegnamento promuovere e stimolare il pensiero convergente, non altrettanto si può dire per quello divergente, che allena il pensiero critico e dà spazio alla creatività. Promuovere il pensiero divergente forse richiede da parte del docente qualche sforzo in più, ma lo sforzo è ampiamente ricompensato, se pensiamo che la creatività e la vivacità intellettiva sono universalmente riconosciute come elementi indispensabili per la produzione di idee innovative, il motore prioritario che promuove lo sviluppo scientifico.
Si dovrebbe dunque incoraggiare il pensiero divergente già in età scolare, attraverso il brainstorming, lo studio di case history, l’organizzazione di debate e qualsiasi attività che aiuti gli studenti a superare blocchi iniziali e pregiudizi.
In conclusione ricorrere al pensiero divergente nello studio delle scienze può fornire agli studenti e alle studentesse abilità che tornano utili nella vita adulta. Infatti, oltre a sviluppare la creatività, che rappresenta una delle abilità attualmente più apprezzate nel mondo extrascolastico, il pensiero divergente abitua a contrastare la tendenza a lavorare solo entro i confini della prima impressione e consente di apprezzare le diverse prospettive di una qualsiasi situazione. Non ultimo, sviluppa curiosità e desiderio di sapere, incoraggia la sperimentazione e consolida la perseveranza di fronte al fallimento.
Per approfondire
Scopri l’opera:
- Superscienziati! di Cristina Banfi, Diego Mattarelli, Emanuela Pagliari, Enrica Soroldoni – Rizzoli Education, 2021 – Testo di scienze per la scuola secondaria di primo grado
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- Mercoledì 23 novembre alle ore 16:30 faremo un live streaming con i nostri autori su questo tema!