Negli ultimi anni abbiamo assistito a interventi museografici che hanno proposto un nuovo approccio alle testimonianze archeologiche, unendo corrette interpretazioni filologiche a suggestioni emozionali e ambientali. Tra questi uno dei più significativi è stato promosso dalla Fondazione Brescia Musei nell’ambito di un progetto di rinnovamento dell’area archeologica della città e del complesso museale di Santa Giulia che, per altro, dal 2011 è diventato sito UNESCO. Un’importante campagna di restauro, lunga due anni (2018-2020), e l’intervento di un architetto internazionale del calibro di Juan Navarro Baldeweg hanno comportato una nuova visione e un nuovo allestimento dell’area del Capitolium e della sezione romana del Museo di Santa Giulia.
La scoperta
Tutto ebbe inizio nel 1826 con la scoperta della Vittoria alata, rarissimo bronzo di età imperiale, durante le campagne di scavo nella zona templare della città, da pochissimo riportata alla luce. Un rinnovato interesse per le origini romane di Brescia, sostenuto dal circolo di intellettuali e artisti che si muoveva intorno al collezionista Paolo Tosio e al pittore Luigi Basiletti (al quale nel 2023 sarà dedicata una mostra, appunto, in palazzo Tosio, oggi sede dell’Ateneo di Scienze Lettere e Arti, fondato nel 1802) favorirono i lavori e le scoperte.
In un’intercapedine dei resti del tempio venne rinvenuto un insieme di bronzi, teste imperiali, elementi decorativi figurati, fregi e cornici, frammenti di varia natura e, appunto, la grande Vittoria, con le ali smontate e appoggiate al suo fianco. L’epoca in cui il deposito fu costituito, tra il IV e il V secolo d. C., e l’occultamento tra due muri dell’edificio sacro ha fatto ipotizzare che i bronzi fossero stati nascosti in un momento di crisi e per evitarne la fusione e il riuso.
L’aver ritrovato, sostanzialmente intatto, quel bronzo ha fatto della Vittoria alata nel corso del tempo, uno dei simboli di Brescia: descritta e celebrata da scrittori e viaggiatori illustri la scultura fu la protagonista assoluta del Museo Patrio, aperto nel 1830 nelle ricostruite celle del tempio Capitolino su progetto dell’architetto neoclassico Rodolfo Vantini, e venne documentata nel 1838 nel volume Museo Bresciano Illustrato con un disegno di Gabriele Rottini trasferito in incisione da Pietro Anderloni. Da allora la Vittoria bresciana è stata oggetto di studi, discussioni accademiche, interpretazioni e attribuzione diverse, ma anche di riproduzioni e copie divenendo un’icona presente nella memoria collettiva.
L’opera
Il bronzo, alto 194 centimetri, rappresenta una figura femminile alata e rivestita con un chitone aderente e fissato in alto, probabilmente con due fermagli, oggi perduti; la veste, scivolando, lascia scoperta la spalla destra e parte del seno; mentre la parte inferiore del corpo è coperta da un mantello, un himation, che si avvolge intorno alle gambe e ai fianchi.
Il volto presenta due lamine metalliche che chiudono le orbite, con ogni probabilità inserite in fase di restauro dopo la scoperta per risarcire la perdita degli occhi originali in pietre dure, mentre la lunga chioma è raccolta e trattenuta da una fascia decorata con agemine che riproducono foglie di mirto, pianta sacra ad Afrodite.
La composizione dell’opera oggi risulta incompleta per la perdita di due elementi fondamentali: l’elmo di Marte o di un nemico sconfitto su cui certamente poggiava il piede sinistro, e lo scudo, sostenuto dalla mano sinistra e poggiante sulla coscia, sul quale la dea scriveva il nome del vincitore, in analogia con l’iconografia della Vittoria presente nel fregio della colonna di Traiano a Roma.
La tecnica
La statua, ormai è accertato da indagini diagnostiche e dal restauro eseguiti dall’Opificio delle pietre dure di Firenze, sin dall’origine venne concepita da uno sconosciuto scultore come Vittoria alata e realizzata con il metodo della fusione indiretta cava a cera persa, ossia le diverse parti, fuse separatamente, vennero saldate in modo da poter ottenere un ricco modellato, attraverso numerosi sottosquadri, di grande effetto naturalistico, arricchito, infine, da dorature, inserti di agemine, lamine metalliche (le labbra) e pietre dure (gli occhi).
Durante il restauro è stata sostituita la struttura di sostegno e di riempimento inserita nella scultura subito dopo la scoperta, per permetterne l’esposizione in verticale, che in circa duecento anni ha prodotto danni al delicatissimo bronzo. Le indagini hanno quindi permesso di accertare in via definitiva la datazione alla prima metà del I secolo d.C. e l’identificazione del luogo di fusione a Brixia (antico nome della città).
L’allestimento
Gli interventi su uno dei più importanti bronzi monumentali di età imperiale ha comportato un nuovo allestimento della statua all’interno del Capitolium all’area del quale, con ogni probabilità, era pertinente fin dall’origine. La scelta è caduta sulla terza cella del tempio, dedicata alla dea Minerva, perché, pur conservando verso la parete settentrionale i resti dell’originaria pavimentazione in lastre marmoree policrome e parte della muratura del podio, era stata completamente trasformata in età postclassica e ricostruita in età ottocentesca.
Dal 2020, l’allestimento di Juan Navarro Baldeweg propone ai visitatori un nuovo rapporto con la statua e una corretta prospettiva di lettura dei volumi, grazie alla collocazione su un basamento cilindrico in pietra di Botticino di 1,5 metri, un’altezza corrispondente al podio retrostante. La posizione decentrata nello spazio della straordinaria scultura dichiara che l’opera non fosse un simulacro nel tempio, ma, data la sua posizione elevata, suggerisce che essa, in origine, fosse una sorta di ex voto, di donazione imperiale alla città, posta nell’area sacra e che fosse elevata sopra un pilastro o un alto plinto.
La luce rarefatta, studiata nei minimi dettagli, crea un’atmosfera suggestiva, intima, come di scoperta e, allo stesso tempo, il suo variare di intensità permette ai visitatori di cogliere tutti gli aspetti della scultura e dello stupefacente restauro che ha permesso il recupero di infiniti dettagli della superficie e delle tracce delle dorature. Nello spazio vuoto della cella luci fredde e calde disegnano percorsi visivi diversi: una sorta di disco lunare virtuale proiettato sulla parete ruvida, rivestita di sottili mattoni dalle tonalità rosate, evoca lo scudo mancante, mentre fasci di luce calda scorrono lateralmente esaltando la tessitura dei mattoni e restituendo l’effetto plastico del rivestimento delle pareti.
Infine, sul lato d’ingresso alla cella, l’architetto Baldeweg, ispirandosi alla pittura parietale romana – di cui restano ampie testimonianze nell’area archeologica di Brescia – e alle partiture architettoniche dipinte sulle pareti della Domus Aurea a Roma o a quelle ideate da Michelangelo per la Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze, ha fatto montare le cornici bronzee, in parte lisce e in parte ageminate, ritrovate insieme alla grande scultura e che in origine delimitavano epigrafi dedicatorie, porte e lapidi, dando loro, nuovamente, un ruolo decorativo e architettonico. Nella loro cartesiana disposizione fanno da contraltare alle morbide e naturalistiche forme della Vittoria alata, dimostrando, ancora una volta, quanto un intelligente e studiato intervento contemporaneo possa essere al tempo stesso emozionate, suggestivo ed efficace per comprendere il valore non solo estetico ma anche semantico delle opere antiche.
Per approfondire
- Il programma di Brescia-Bergamo capitale italiana della cultura
Questa operazione museale e culturale denota la ricchezza e la vitalità del territorio italiano, nelle sue città e nelle realtà locali, spesso al di fuori dei circuiti del turismo di massa, ma non per questo meno vive e ricche di cultura e storia. Brescia, insieme a Bergamo, sarà capitale italiana della cultura per il 2023, con lo slogan di “città illuminata”. Per conoscere meglio il programma delle attività e delle iniziative puoi consultare questo articolo. - La Vittoria e la sua storia
Un bellissimo video che racconta attraverso riprese in situ e documenti d’epoca il ritrovamento, la storia, il restauro e il ruolo simbolico di questa opera nella Brescia risorgimentale. Guarda il video della lezione, nello specifico la seconda parte (dal minuto 47:35). - Un bellissimo pre-testo
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Un’esauriente raccolta di immagini dell’opera con i suoi mille, preziosi dettagli è visibile su Google Arts & Culture.