“È stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più”.
L’epidemia di Covid-19 non è ancora finita, ma considerazioni simili a quelle di Don Abbondio già serpeggiano. Nel mondo della scuola prende forza, per esempio, l’idea che la didattica emergenziale imposta dalla pandemia sia stata un salutare scossone, utile a “spazzare via” prassi didattiche superate. La traduzione dal greco e dal latino è nell’occhio del ciclone; il ragionamento è semplice: per più di un anno abbiamo tirato avanti benissimo senza compiti in classe; tanto vale prenderne atto e procedere a una radicale riforma delle materie classiche.
Via il latino e il greco, allora. Via anche l’epica, e quindi il mito? Nell’ondata di cancel culture che sta minacciando i programmi scolastici di mezzo mondo, la domanda sorge spontanea. Ma è difficile, se non impossibile, cancellare il mito dalla scuola, perché è difficile cancellarlo dalla nostra vita. L’abbiamo dentro di noi: una tradizione ininterrotta (artistica, letteraria, folklorica) l’ha sedimentato nella nostra coscienza culturale. Noi pensiamo, immaginiamo, giudichiamo applicando categorie e modelli che ci vengono in larga misura dal grande serbatoio della mitopoiesi antica.
La forza del mito classico nel cinema
L’attualità del mito classico è confermata dalla sua prepotente presenza nei linguaggi della modernità. Nel cinema, per esempio. Lo si vede anche, e soprattutto, nelle opere dei cineasti più originali e innovativi. Prendiamo Kill Bill, di Quentin Tarantino: un film che trasuda citazioni omeriche. La scena in cui Hattori Hanzo consegna alla protagonista la spada forgiata per lei, riproduce l’episodio iliadico in cui Teti depone ai piedi di Achille le armi fabbricate da Efesto. Il massacro nella Casa delle Foglie Blu è un’evidente citazione della Mnesterofonia odissiaca.
Omerico è l’impianto concettuale di Matrix. Nella scena madre il protagonista, Neo, deve scegliere se inghiottire la pillola blu, che lo lascerà immerso in una felice e artificiale inconsapevolezza, oppure la pillola rossa che lo restituirà a una vita autentica, anche se dolorosa. Il modello è la drammatica scena dell’Odissea in cui Calipso tenta per l’ultima volta di persuadere Odisseo a rimanere con lei a Ogigia, in un eterno e trasognato oblio; Odisseo rifiuta: come Neo, sceglie la vita vera, con il suo portato di sofferenze.
L’attualità della tragedia: Edipo, Pelasgo, Alcesti
L’attualità del mito si manifesta con particolare forza nella tragedia. La tragedia drammatizza le vicende mitiche: le presenta come se avvenissero ora. Si produce così un transfer emotivo: lo spettatore si immerge in una storia che gli entra in corpo e lo prende al cuore. Questo è la tragedia: mito che si fa carne. Quando Edipo scopre di essere quel che mai avrebbe immaginato di essere, ogni spettatore è costretto a guardarsi dentro, in cerca della verità su se stesso.
La tragedia è un faro che illumina anche le situazioni della nostra vita collettiva. Pelasgo, che nelle Supplici accoglie le Danaidi venute dall’Egitto (pur consapevole che la sua decisione esporrà la città al rischio di un conflitto) interroga la nostra coscienza sul tema dei migranti. Folgorante, in tempo di pandemia, è l’attualità dell’Alcesti; il litigio tra Admeto e Ferete (che si accusano a vicenda di essere sopravvissuti sfruttando il sacrificio di una donna) evoca il drammatico problema del diritto alla vita: se bisogna scegliere chi ammettere alle cure e chi abbandonare, è giusto salvare i giovani e condannare i vecchi?