In età repubblicana tutte le cariche pubbliche (honores) erano elettive e avevano durata annuale, tranne in pochi casi (i censori, ad esempio, rimanevano in carica 5 anni). La popolazione di Roma, quindi, viveva in un clima di perenne “campagna elettorale”.
Avevano diritto di voto tutti i cittadini romani maschi senza distinzione di censo o di condizione sociale; partecipavano inoltre alle elezioni dei magistrati anche i cittadini di alcuni municipi che, pur non essendo cives Romani optimo iure, cioè cittadini romani a pieno titolo, godevano tuttavia dello ius suffragii, cioè del diritto di voto.
Le elezioni si svolgevano nell’ambito dell’assemblea a cui spettava il diritto di eleggere un determinato magistrato: i magistrati maggiori (consoli, censori, pretori) venivano eletti nei comizi centuriati, i tribuni della plebe, gli edili e i questori, invece, nei comizi tributi; al senato infine spettava l’elezione del dittatore. Il voto (suffragium), nell’epoca più antica, era palese, successivamente divenne segreto: comunque non vinceva il candidato che aveva ricevuto il maggior numero di voti individuali, ma quello che riusciva ad aggiudicarsi la maggioranza delle centurie o delle tribù.
La campagna elettorale era detta ambitus, dal verbo ambio che significa propriamente «andare intorno», con riferimento ai “giri” elettorali che il candidato doveva fare ogni giorno per farsi conoscere e sollecitare il voto dei suoi concittadini, in cambio di promesse di favori: il tutto si svolgeva con una tecnica ben collaudata: l’aspirante a una carica pubblica (petitor), dopo aver depositato ritualmente la sua candidatura, indossava come segno distintivo la toga candida (per questo veniva chiamato candidatus) e si aggirava nei luoghi più frequentati di Roma (il foro, le terme, i mercati…) per “agganciare” e blandire i potenziali elettori (questa operazione si chiamava prensatio, che propriamente significa «stretta di mano»); nel suo girovagare era accompagnato dal maggior seguito possibile di clientes e di amici importanti, e soprattutto, accanto a lui c’era sempre un nomenclator, cioè un segretario che gli suggeriva tempestivamente il nome delle persone che incontrava. In questo modo il candidatus poteva chiamarle per nome e creare così l’atmosfera familiare di un incontro con un vecchio amico al quale chiedere il favore di un voto, promettendo in cambio di ricordarsi di lui in caso di vittoria.
La campagna elettorale si svolgeva senza esclusione di colpi: si andava dalle promesse di favori alla denigrazione dei concorrenti, dalla corruzione al voto di scambio e al broglio elettorale vero e proprio. Ne è prova l’elevato numero di processi de ambitu, cioè per brogli elettorali, di cui ci è giunta notizia.
Una campagna elettorale, specie per le cariche più importanti, era molto costosa, i candidati dovevano spesso indebitarsi e, naturalmente, quando riuscivano nel loro intento cercavano poi in ogni modo di rifarsi delle spese sostenute….
La propaganda elettorale non si svolgeva solo con i contatti personali, ma anche attraverso “manifesti” scritti sui muri, con l’esaltazione delle qualità dei canditati e l’invito a dare loro il voto. Delle scritte sui muri di Roma non abbiamo naturalmente nulla, le uniche che conosciamo sono quelle trovate sui muri delle case di Pompei, conservate intatte dalle ceneri infuocate del Vesuvio che nel 79 d.C. seppellì la città con tutti i suoi abitanti sotto una enorme massa di ceneri infuocate. Eccone alcune che riguardano non l’elezione di consoli e pretori, ma quelle di magistrati municipali (oggi parleremmo di consiglieri comunali, assessori, sindaci). L’invito a votare per una certa persona è per lo più fatto da una intera categoria professionale della quale, evidentemente, il candidato aveva promesso di tutelare gli interessi (CIL, IV 710, 429, 698, 710, 1147, 6626):
Ennium Sabinum aedilem pomarii rogant
I fruttivendoli chiedono come edile Marco Ennio Sabino
Iulium Polybium aedilem oro vos faciatis. Panem bonum fert
Vi prego di eleggere edile Gaio Giulio Polibio. Fa del buon pane.
Aulum Vettium Firmum aedilem oro vos faciatis dignum rei publicae. Pilicrĕpi facĭte
Vi pregi di eleggere edile Aulo Vezzio Firmo, un uomo degno della pubblica amministrazione.
Giocatori di palla, eleggetelo.
Sabinum et Rufum aediles dignos re publica Valentinus cum discentes suos rogat
Valentino con i suoi studenti chiede come edili Sabino e Rufo, degni della pubblica amministrazione
In questo caso a sostenere la candidatura è un maestro con i suoi scolari: speriamo che a scrivere il graffito non sia stato proprio il maestro, visto che contiene un grossolano errore di grammatica (cum costruito con l’accusativo anziché con l’ablativo)!
Marcum Cerrinium Vatiam aedilem oro vos faciatis, seribibi universi rogant
Vi prego di eleggere edile Marco Cerrinio Vatia. Lo chiedono tutti i beoni nottambuli.
Chissà che promesse aveva fatto questo candidato per avere l’appoggio dei seribĭbi, che letteralmente significa «coloro che bevono tardi», cioè «i beoni nottambuli»! È probabile che si tratti di “antipropaganda”, intesa a denigrare un candidato, visto che lo stesso Marco Cerrino in altri due graffiti viene sostenuto anche dai dormientes universi, cioè da «tutti i dormiglioni» e dai furŭnculi, cioè dai «ladruncoli» (furuncŭlus è diminutivo di fur).
Per approfondire
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