Se l’occhio non si esercita, non vede.
Se la pelle non tocca, non sa.
Se l’uomo non immagina, si spegne
D. Dolci
Quando si affronta il tema dell’insegnamento della storia a scuola una delle questioni più impellenti è quella relativa al come farla apprezzare, e ciò sia per la storia più generale sia per quella “minore”, intesa come quella legata più alle persone singole, che nel bene e nel male l’hanno “messa in scena”, determinata, rappresentata, interpretata. E’ costante la domanda del come insegnare alle e ai più giovani a interrogare, a vedere, a ricostruire gli eventi storici e sociali, anche i più terribili, risvegliando in loro l’immaginario e la “compassione”, verso le tante storie del passato (anche recente), dalle più vaste alle più piccole e locali, fino alle famigliari… In altre parole, come fare accostare in modo autentico ed efficace le studentesse e gli studenti a ciò che è stato, in modo che non risulti per loro qualcosa di astratto, estraneo, lontano, che non li riguardi?
L’uso del linguaggio visuale
Perché è incontestabile quanto sia importante suscitare un coinvolgimento emotivo ed inclusivo nell’apprendimento della storia, che, accanto alla vigilanza metodologica, possa portare i ragazzi ad individuarvi quei valori universali, che perdurano nel presente. Trovo che l’uso del linguaggio visuale possa venirci in aiuto: negli anni come INDIRE abbiamo sviluppato un’attività sperimentale “La scuola allo schermo” che ha permesso di monitorare svariate esperienze in aula in cui storia e cinema si sono sapute incontrare in modo efficace, dando un contributo nella direzione di quell’istruzione di qualità di cui si parla quale base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile, soprattutto nelle aree difficili del nostro territorio, caratterizzate dallo spopolamento e dall’isolamento, laddove è più forte il bisogno di una rinnovata narrazione: dialogica, iconica, multimediale, tecnologica, filmica.
Il processo di digitalizzazione e il cinema come fonte
Certo nell’uso in classe delle fonti fotografiche, filmiche e audiovisive viene in aiuto il processo di digitalizzazione che le ha rese ormai più agevolmente accessibili on line. Ci si riferisce innanzitutto a siti e portali di istituti culturali, di archivi, ma anche di biblioteche, nonché di istituzioni e progetti nazionali ed europei, che hanno rendono oggi possibile la consultazione nel web di cospicui giacimenti documentari digitalizzati, descritti, contestualizzati, con percorsi didattici che, soprattutto oggi, costituiscono un’offerta proficua, senza precedenti, accanto a quella dei manuali e di altri strumenti didattici.
Fare cinema riunendo le discipline
Se si guarda, invece, non tanto al cinema come “fonte”, ma al “fare” cinema in classe nel quadro dell’insegnamento – apprendimento della storia: emerge un elemento, ovvero come il raccontare attraverso un’immagine o narrare per immagini sia un’attività che determina la discesa in campo di molte abilità, che sono alla base di un laboratorio di storia attivo e partecipativo, che prescinde dalla sola storia in senso stretto e che integra molte altre competenze, svelate proprio dai linguaggi visivi.
E se il cinema è un linguaggio, uno strumento con cui tutte le persone possono esprimersi allora a scuola può diventare uno strumento che favorisce l’insegnamento della storia, che consente una sua riattualizzazione e che, al contempo, unisce le discipline, riuscendo a far emergere conoscenze e competenze con carattere di trasversalità e, soprattutto, a favorire l’inclusione e a supportare talune fragilità.
The Lexi Cinema, Chamberlayne Road, NW10 – Mike Quinn – Wikimedia Commons
Un linguaggio inclusivo
Infatti, dagli esercizi allo sguardo più immaginifici si riesce a dare una forma ai pensieri e la cultura audiovisiva diviene, a tutti gli effetti, un linguaggio inclusivo che trasforma in attiva tutta l’applicazione metodologica. L’audiovisivo, inoltre, non è composto solo di immagini, ma di suoni, di sensazioni, di sinestesie, di lunghe emozioni tattili. Dunque, questa narrazione si configura come pluri-sensoriale. Questa dimensione in riferimento all’inclusione scolastica, può permetterci finalmente di parlare di didattica inclusiva: quest’ultima, oggi, può essere qualificata come una “didattica di qualità per tutti” ed ha smesso di essere considerata come una corsia d’accesso solo per studenti con disabilità o bisogni educativi speciali. Così anche nell’insegnamento della storia, l’audiovisivo diventa il terzo spazio mediale: un nuovo ambiente di apprendimento dove chi non riesce a comunicare convenzionalmente può creare.
La dimensione territoriale
La scuola si trova in una rete di relazioni che sono in primo luogo quelle del suo territorio, della comunità che vi abita e lavora e della loro storia. Per quanto il confine tra la dimensione locale e quella globale sia oggi più sfumato rispetto al passato, solo la dimensione territoriale è depositaria degli usi, dei costumi, dell’immaginario collettivo che dà forma all’identità personale e comunitaria, assegnando agli oggetti (naturali e artificiali) uno specifico significato. Questo processo di significazione costruisce il patrimonio della collettività, come ci ricorda l’articolo 2 della Convenzione di Faro, uno dei recenti documenti europei con maggiori e evidenti aspetti formativi.
Partendo da questo presupposto, che mette al centro del patrimonio culturale i soggetti e le loro volontà, la dimensione territoriale dell’azione educativa assume un valore cruciale. In tale prospettiva “fare storia” può coincidere anche con il raccontare il quotidiano, l’usuale, un luogo, una montagna, una periferia, narrando una vicenda “banale” come fosse un’epica, raccontando per non dimenticare, poiché raccontare è un esercizio della memoria.
Due esperienze nel territorio
Nelle due esperienze che potete scaricare qui sotto – sia in quella sviluppata in Abruzzo nella contingenza pandemica, sia in quella Toscana sui sentieri dei pellegrini – cinema, memoria e territori, compongono una grande narrazione corale, quasi un’epica, una mitologia dei luoghi e degli eventi. In queste due esperienze, la disciplina storica, attuata attraverso il fare cinema, si configura come elemento centrale per rafforzare il legame tra abitanti e i loro territori: l’attività svolta ha permesso di far emergere le voci dei territori, rispondendo all’intento di offrire alla comunità locale e pure a quella più ampia uno spazio ulteriore per raccontarsi nelle sue dimensioni storico culturali materiali e immateriali, valorizzando vicende, luoghi e personaggi dei territori extraurbani attraverso una narrazione che metta in luce aspetti significativi, talvolta inediti, che meritano di essere scoperti e approfonditi.
Alimentare, grazie al linguaggio cinematografico, il rapporto tra memoria, territorio e scuola ha significato ripensare alla prossimità non solo in termini di vicinanza fisica ma anche, e soprattutto, in termini di senso di appartenenza ai luoghi e di legami culturali identitari: si è trattato di valorizzare il patrimonio materiale e immateriale del territorio col fine precipuo di proteggere anche l’identità culturale delle comunità che in esso si riconoscono.
In copertina: Cinema Auditorium – Jorge Simonet – Wikimedia Commons
Per approfondire
- Il mio anno stranissimo (Rai Play) – Il racconto della pandemia vista dai preadolescenti nell’Appennino abruzzese.
Scarica il pdf dell’esperienza - Sentieri e linguaggi (INDIRE) – Un progetto nelle terre alte dell’Appennino Toscano.
Scarica il pdf dell’esperienza