Rivolto alle/ai docenti della scuola secondaria di secondo grado
Intervento
Il racconto eroico e nostalgico di vittime innocenti da commemorare è una peculiarità della storia del Novecento italiano. Lo si vede chiaramente ancora oggi nelle commemorazioni delle stragi mafiose di Capaci e di Via D’Amelio e, per altri versi, nella Giornata della Memoria (27 gennaio, Shoah) e nel Giorno del Ricordo (10 febbraio, Foibe). Tutti questi eventi, anche se diversi, sono analizzabili tramite il paradigma vittimario.
Che cos’è il paradigma vittimario? Lo storico Giovanni De Luna ne La Repubblica del dolore riattraversa la storia della memoria nazionale degli ultimi trent’anni affermando che l’attuale patto memoriale si fonda essenzialmente sul ruolo centrale della vittima: la memoria pubblica si trasforma in una “memoria in negativo”: essa si risolve in una lista di mancanze o di torti da riparare e di giorni predisposti dal legislatore “per ricordare”.
Sono gli anni Novanta il crinale di passaggio: la memoria dell’Olocausto, ormai riconosciuta, diventa il modello di riferimento per l’emersione/manifestazione di altri ricordi traumatici legati a violenze di massa, proprio mentre in Europa orientale crollano i regimi comunisti. Anche in Italia la vittima diventa lo snodo per elaborare il trauma della crisi politico-istituzionale che innesca una fortissima carica rivendicativa e una richiesta di risarcimento e di riparazione delle memorie fino allora sopite dai vincoli ideologici.
Parleremo di:
- Come il paradigma prenda forza nella tensione degli anni Settanta e si sviluppi dopo la morte di Moro nell’Italia del «riflusso» attraverso l’azione istituzionale del presidente Sandro Pertini e tramite la Tv del dolore che nasce e cresce a partire dalla tragedia di Vermincino.
- Come il paradigma muti, incrociandosi con il modello testimoniale della Shoah, durante i primi anni Novanta sull’onda d’urto delle stragi mafiose divenendo uno strumento per interpretare la crisi politico-istituzionale della Repubblica (1989-1994).
Serge Noiret, esperto di Public History, intervista il Prof. Marcello Ravveduto, professore dell’Università di Salerno e docente al master in “Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione” dell’Università di Pisa.
Relatori
Serge Noiret è dottore di ricerca in Storia contemporanea dell’Istituto Universitario Europeo. Si è occupato di storia politica italiana e oggi di storia digitale e di Public history. Le sue pubblicazioni sono disponibili nel suo blog Digital & Public History. Ha co-fondato l’International Federation for Public History (IFPH) nel 2012 e ne è stato il primo Presidente. È dal 2017, data della sua fondazione, il Presidente dell’Associazione Italiana di Public History (AIPH). È membro del comitato direttivo delle riviste Memoria e Ricerca, Ricerche Storiche e Il Capitale Culturale. È inoltre membro del consiglio scientifico della Fondation Maison des Sciences de l’Homme a Parigi e della Società Italiana per lo Studio della Fotografia (SISF).
Marcello Ravveduto insegna Digital Public History all’Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia. È componente del Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana di Public History, del Comitato Scientifico del Master di secondo livello per “Esperto in comunicazione storica, multimedialità e linguaggi digitali” dell’Università Roma Tre e del Comitato scientifico della “Biblioteca digitale sulla camorra e sulla cultura della legalità” presso l’Università Federico II di Napoli. È il direttore scientifico della “Galleria virtuale sulle mafie e l’antimafia” nella Casa/Museo “Joe Petrosino”.