L’asciutta è l’interruzione forzata della lattazione che permette alle bovine di effettuare un periodo di pausa e di riposo per prepararsi alla successiva lattazione. Le motivazioni che sono alla base di questa fase di allevamento sono:
- garantire un periodo di ripristino dell’ambiente ruminale;
- garantire il ripristino del tessuto ghiandolare secernente della mammella;
- soddisfare i fabbisogni fetali;
- ripristinare e mantenere le riserve lipidiche corporee (BCS – Body Condition Score).
La fase dell’asciutta ha una durata convenzionale di 60 giorni (Sguerrini, 2015) e risulta un momento improduttivo dove le bovine rappresentano esclusivamente una voce di costo per il bilancio aziendale.
Diversi studi scientifici hanno evidenziato che, un’asciutta con una durata pari a 35 giorni, può far diminuire la produzione di latte di una quantità che può variare tra il 20% e il 4,4% in meno nelle lattazioni successive (Santschi et al., 2014). Questa perdita può essere compensata dalla produzione di latte che può variare tra i 400 e i 500 kg in più durante i giorni di extra lattazione. L’asciutta con una durata ridotta a 35 giorni inoltre garantisce una miglior efficienza ruminale in termini di minore stress dovuto al cambio dieta e miglior ripresa dell’attività ruminale nel post parto/inizio lattazione. Questo a patto che le diete formulate per l’asciutta siano ben equilibrate (Drackley, 2011).
Durante il periodo di asciutta emergono però due importanti criticità che possono evidenziarsi nei primi 15-20 giorni dopo l’ultima mungitura (periodo chiamato dry-off) e, successivamente, nei 15-20 giorni che precedono il parto (periodo chiamato close-up).
Ci concentriamo qui sulla prima criticità che vede, a seguito della messa in asciutta, l’alta probabilità di insorgenza di mastiti cliniche o subcliniche (Schukken et al., 2011) che, successivamente, non verranno diagnosticate generando ingenti perdite economiche (la causa è la mancanza di controlli oggettivi da parte degli allevatori in concomitanza dell’ultima mungitura). La mastite è un’infiammazione della ghiandola mammaria dovuta a diverse cause che prevalentemente si riconducono a infezioni di tipo batterico (Zecconi et al., 2013). Per tale motivo la cura di queste patologie avviene con l’utilizzo di terapie a base di principi attivi antibiotici. Le nuove norme comunitarie (reg. 2019/6 EU) di tracciamento, controllo e uso dei farmaci veterinari promuovono un uso più consapevole degli antibiotici al fine di contrastare l’antibiotico resistenza (AMR – Anti Microbial Resistance). Durante la messa in asciutta, in concomitanza con l’ultima mungitura, è prassi consolidata trattare gli animali con una terapia antibiotica ad ampio spettro d’azione con un tempo di sospensione pari a 60 giorni. Questa strategia però vanifica gli obiettivi comunitari di riduzione dell’uso di antibiotici perché prevede l’utilizzo indiscriminato di farmaci anche su animali sani. Una recente indagine ha evidenziato che il 53% degli allevamenti italiani utilizza ancora questa strategia, il 9% non utilizza nessun antibiotico ed il 38%, invece, applica la terapia antibiotica selettiva (Bonellli et al., 2020).
La terapia antibiotica selettiva prevede di somministrare il farmaco solo a quegli animali che evidenziano un numero di cellule somatiche superiore alle 200.000 cellule/ml (Zecconi, 2019). L’utilizzo dell’asciutta selettiva permette di diminuire l’utilizzo di antibiotici generando un notevole risparmio economico senza causare perdite produttive e senza influire negativamente sulla salute delle bovine.