La comunicazione della scienza, oggi, è un’attività quanto mai complessa poiché non si tratta solo di tradurre due linguaggi diversi (quello degli scienziati da una parte e quello dei non addetti ai lavori dall’altra), ma di tenere anche conto delle dinamiche comunicative del contesto in cui ci troviamo. In un mondo dominato dalla conoscenza digitale, che spesso svaluta il ruolo degli esperti e va molto più veloce della scienza e della ricerca, bisogna dare ai ragazzi non solo le conoscenze, ma, soprattutto, le competenze per poter affrontare la disinformazione.
Il tutto è reso ancora più difficile dal fatto che il nostro cervello non è allenato a ragionare in modo scientifico. Spesso, infatti, usiamo processi mentali intuitivi, sbrigativi e basati sulle nostre esperienze personali o sulle emozioni. Questo ci permette di arrivare prima alle conclusioni, ma così cadiamo in errori di valutazione. Questo modo di approcciarsi alla realtà, inoltre, è in contrasto con il metodo scientifico che, al contrario, segue dei procedimenti rigorosi senza prendere scorciatoie.
Se questo non dovesse bastare, la nostra mente cade continuamente vittima dei cosiddetti pregiudizi cognitivi. Tendiamo a ritenere vero qualcosa che abbiamo sentito molte volte o che ci è familiare senza approfondire se lo è veramente. Questo meccanismo è lo stesso che fa persistere credenze ormai screditate: ed ecco che continuiamo a ritenere vera la famosa mappa del gusto che ci dice che le diverse zone della lingua percepiscono gusti diversi anche se ormai è stata smentita da diversi anni.
Inoltre, tendiamo a conformarci agli altri: se la maggioranza ha una certa idea probabilmente sarà vera. Ci circondiamo di persone che la pensano come noi così da avere le conferme che cerchiamo e, al contrario, ignoriamo ciò che va contro le nostre convinzioni. La falsa informazione sfrutta proprio i pregiudizi cognitivi uniti alle emozioni, solitamente sdegno, rabbia e paura, e alla poca fiducia nella scienza.
Che cosa possiamo fare, allora, per aiutare i ragazzi?
Non è possibile, e forse poco utile, smontare una per una le fake news, ma si può lavorare sui pregiudizi cognitivi, fornire gli strumenti per sviluppare il senso critico e dare dei punti di riferimento sicuri per attraversare indenni il mare di informazioni in cui navigano i giovani. Innanzitutto, usiamo sempre i termini corretti: le parole nella scienza hanno un significato ben preciso e conoscerlo può aiutare a smascherare a prima vista siti o pagine social che si ammantano di autorevolezza scientifica ma che, invece, danno solo notizie false o manipolate.
Cerchiamo di essere preparati, ma non solo, sfruttiamo anche le emozioni che non siano quelle della disinformazione ma quelle belle che i fenomeni naturali sanno far nascere: la curiosità, lo stupore, la meraviglia, il divertimento e l’allegria. Insomma, bandiamo la noia dalle lezioni di scienze! Appassionare i ragazzi alle scienze è il miglior modo per aiutarli ad affrontare le bufale che li circondano. Combattere la disinformazione una volta che si è diffusa, infatti, è spesso una battaglia persa ed ecco che allora dobbiamo prevenire e fornire agli studenti gli strumenti per riconoscerla al volo ancora prima di leggerla e lasciarsi affascinare dal suo contenuto.
Dobbiamo, quindi, cercare di prevenire il diffondersi di false notizie accompagnando, per esempio, i ragazzi a un uso critico del web: segnaliamo le cosiddette parole “sentinella” (come “condividi prima che lo censurino” o “scienza ufficiale”) che possono subito far scattare un allarme che ciò che ci troviamo davanti sia una scorretta informazione. Invitiamo a non condividere se non si è certi e a prestare sempre attenzione alle fonti, non tutte sono attendibili o hanno lo stesso grado di autorevolezza.
Spieghiamo come vengono prodotte e diffuse le notizie false: sul web si trovano risorse molte utili allo scopo come Bad News, una piattaforma creata da alcuni ricercatori dell’università di Cambridge. In questo gioco virtuale si impersonifica un generatore di fake news in modo da far comprendere al giocatore le tattiche più utilizzate per diffondere la falsa informazione. La ricerca ha dimostrato che permettere agli utenti di capire come agisce chi produce in modo sistematico disinformazione ha funzionato molto meglio rispetto allo smentire di volta in volta le singole fake news.
Questo metodo prende il nome di “debunking preventivo”, che a sua volta deriva dal termine “debunking” cioè la pratica di smontare le varie fake news basandosi su metodologie scientifiche. Pratica che, come abbiamo già visto, non è sempre una tecnica efficace perché è estremamente difficile fermare una notizia una volta che si è diffusa ed è diventata “virale”. Il “debunking preventivo”, invece, costituisce una sorta di scudo che richiede una buona consapevolezza di come funziona la scienza e del linguaggio che usa, ma anche e soprattutto la comprensione dei meccanismi usati per produrre false informazioni. Il “debunking preventivo” risulta, così, uno degli strumenti più efficaci per combattere la disinformazione in ambito scientifico e la diffusione delle fake news.