Il desiderio di conoscere: riflessioni di un’insegnante
Quando insegniamo storia a scuola ci troviamo a combattere contro una serie di difficoltà pratiche: dover sintetizzare lunghi periodi e complesse dinamiche politiche o culturali in una manciata di ore; rendere comprensibile e auspicabilmente interessante per gli studenti una materia che a loro appare spesso distante e noiosa. Il primo problema ci costringe talvolta a una schematizzazione che rischia di diventare da un lato banalizzante, dall’altro troppo astratta. La seconda difficoltà è connessa alla natura stessa dell’insegnamento: il miglior maestro, come spiega Massimo Recalcati nel suo libro L’ora di lezione, è quello che chiarisce la materia ma allo stesso tempo riesce a destare nello studente il desiderio di saperne di più, sempre di più… Questo è il sogno di tutti noi insegnanti: lasciare una traccia nella memoria di chi ci ascolta, trasmettendo non tanto – o non solo – le date delle battaglie e i nomi dei generali, ma un metodo, una chiave per leggere la realtà e uno sprone a diventare, in qualunque campo, individui mentalmente attivi, interessati a scoprire e a conoscere e magari anche a creare, non solo fruitori passivi di tutto ciò che viene propinato dagli onnipresenti mass-media. Vorremmo insomma lasciare ai nostri studenti uno ktèma eis aièi, un possesso per sempre, per dirla con Tucidide.
La giusta distanza
La storia e la geostoria sono infatti tra le materie più adatte alla formazione intellettuale e persino etica di chi la studia con partecipazione e passione. La storia antica è infatti allo stesso tempo lontanissima e vicinissima al nostro mondo e alla nostra quotidianità. In classe mi capita spesso di fare collegamenti fra il mondo greco o romano e le dinamiche attuali, di cui si parla sui giornali o in televisione o su internet, ed è bello quando sono i ragazzi stessi a cogliere un’analogia o un richiamo tra le due epoche, perché mostrano in questo modo di aver compreso sia la vicenda antica sia quella moderna, scavando sotto la superficie e osservando i fatti con uno sguardo nuovo e acuto. Allo stesso tempo, però, il compito dell’insegnante è anche quello di evitare un appiattimento che porti a considerare tutti i secoli e le società uguali tra loro, perché sarebbe tanto scorretto quanto valutare il passato morto e sepolto e inutile al presente. Si tratta di trovare la giusta distanza.
L’utilità delle fonti
In questo arduo compito ci vengono in aiuto le fonti antiche: testi letterari ed epigrafici, ma anche immagini e oggetti relativi alle epoche di cui dobbiamo parlare hanno infatti una duplice utilità nell’ambito dell’insegnamento. Da un lato permettono di ovviare al rischio che la nostra spiegazione risulti troppo astratta, offrendo un aggancio alla realtà concreta, dall’altro sono un mezzo immediato per spiegare in modo sintetico ma coinvolgente un evento o un fenomeno, mostrando sia le affinità sia le inevitabili divergenze tra la nostra società e quella antica. Penso a quanto sia utile l’orazione Per l’uccisione di Eratostene di Lisia per comprendere la condizione della donna nell’Atene del V secolo a.C., o il complesso iconografico dell’Ara Pacis per spiegare la politica di Augusto. Anche gli oggetti hanno in questo senso una grande importanza, soprattutto quando spieghiamo epoche come la preistoria, nelle quali non esistono fonti scritte: sappiamo quanto sia cruciale nello sviluppo del genere umano la produzione dei chopper, o come sia significativa dal punto di vista religioso e culturale la presenza di corredi funebri nelle sepolture degli uomini di Neanderthal.
Ieri e oggi
Grazie alle fonti antiche possiamo introdurre in classe anche un discorso metodologico sul fact checking, ovvero sulla valutazione critica delle informazioni a nostra disposizione, che risulta cruciale non solo nell’approccio al passato ma anche nella lettura del presente. I testi letterari sono infatti spesso faziosi, parziali e fortemente ideologizzati, mentre le immagini e gli oggetti presentano una difficoltà di interpretazione che dipende dal loro essere testimonianze “mute” che si prestano a molteplici letture. Hanno quindi le stesse caratteristiche delle fonti d’informazione nelle quali si imbattono oggi i nostri studenti: articoli di giornale, blog, ma anche le migliaia di immagini che ci circondano e di oggetti che ci vengono proposti come simboli più o meno espliciti di un modo di vivere e pensare…un semplice spot pubblicitario di pochi secondi può racchiudere in sé una molteplicità di messaggi reconditi che solo chi ha la mente allenata può afferrare. Studiare le fonti del passato può dunque aiutarci a decrittare le voci del presente, cogliendo elementi di continuità e discontinuità senza cadere nella trappola della retorica e della propaganda.
Oltre i luoghi comuni
Con un approccio concreto all’insegnamento della geostoria, che passi attraverso l’uso massiccio delle testimonianze antiche, è possibile quindi sfatare alcuni pregiudizi su questa materia. La storia non è una disciplina remota e ardua da attualizzare: dinamiche scottanti e attuali come le migrazioni dei popoli o la questione ambientale non sono un’esclusiva del mondo moderno ma problemi coi quali si sono confrontati anche uomini e donne antichi. Perciò esiste una stretta e naturale commistione tra storia, educazione civica e geografia, al di là dei programmi ministeriali. I netti confini che tracciamo oggi tra le varie discipline non venivano percepiti allo stesso modo dagli antichi e, per esempio, per i Greci, storia, geografia e mito si confondevano tra loro: lo dimostra il celeberrimo inizio delle Storie di Tucidide, nel quale si cita Minosse come primo talassocrate della grecità. Anche le fratture nette che siamo costretti a porre, per utilità didattica e pratica, tra le varie civiltà, non hanno naturalmente un reale fondamento, e ancora facendo appello alle fonti lo possiamo facilmente mostrare ai nostri studenti: Erodoto ci mostra quanto la civiltà Egizia sia presente nell’immaginario greco; tutta l’arte romana è prova dell’influenza che la Graecia capta di oraziana memoria ebbe sul ferus victor latino; un brano di Sant’Agostino o un’immagine di San Giorgio che uccide il drago (derivata dall’iconografia di Bellerofonte e la Chimera) illustrano a sufficienza quanto a lungo sia sopravvissuta l’eredità culturale classica nel mondo cristiano.
Per approfondire
Consigliamo di vedere la registrazione dei live streaming già tenuti dagli storici A. Però e R.Rao – Fonti scritte per la geostoria e Insegnare la geostoria attraverso le immagini e di non perdere le loro prossime lezioni di Le Umanistiche Live – Temi e metodi per la geostoria.
Scopri l’opera
- “Le porte della storia” di Riccardo Rao e Anna Però – La Nuova Italia – Rizzoli Education, 2022 – Testo di geostoria per la scuola secondaria di secondo grado