Il rapporto con l’opera d’arte può, soprattutto da parte delle nuove generazioni, non essere sempre di “amore a prima vista”: se l’arte antica può suscitare soggezione, per le sue implicazioni culturali e filosofiche, l’arte contemporanea può provocare spesso diffidenza, quando non disagio o rifiuto. Proprio partendo dall’accettazione delle proprie emozioni di fronte all’opera può nascere un rapporto autentico, che può trasformarsi in vera passione.
Nei confronti delle performance della Abramovich o delle installazioni di Hirst è normale e sacrosanto provare disagio, fastidio o disgusto. Si devono perciò incoraggiare i ragazzi e le ragazze ad esprimere le proprie sensazioni (“mi piace, non mi piace, lo trovo disgustoso, è imbarazzante”).
Ma una volta accettato questo sentire, il passaggio successivo è quello di porre all’opera, sia essa un’installazione contemporanea o un Caravaggio, delle domande.
Questo modo di approcciare l’arte è applicato in modo sistematico nel nostro corso di arte e immagine Come d’incanto: ponendo delle domande, anche molto semplici, sollecita gli alunni e le alunne ad osservare con attenzione, a percorrere l’opera con sguardo curioso e indagatore. Prendiamo un’opera come Las Meninas di Velazquez: grazie a pochi quesiti (“Chi fa cosa, Dove guardano tutti, Cosa c’è nella cornice nera”) il quadro si disvela poco per volta, mostrando tutto il suo enigmatico fascino.
La sistematicità con cui questa metodologia viene applicata in Come d’incanto si propone l’obiettivo di andare oltre i confini del libro, per diventare un atteggiamento mentale costante.
L’approccio all’arte, infatti, può seguire una corrente storico-critica che subordina la comprensione di un’opera alla tradizione storico-culturale nella sua evoluzione. Oppure può, come nel caso di Come d’incanto, considerare l’atto di contemplare un’azione pratica: instaurando un rapporto diretto, non mediato, la contemplazione cessa di essere riconoscimento per diventare esperienza.